Quaresima 2006

Prima domenica

Il vangelo della prima domenica di Quaresima riporta ogni anno il racconto delle tentazioni di Gesù. È quindi un’occasione per ripensare un attimo a cosa sono le “tentazioni“.

I Padri della Chiesa ne hanno parlato molto. La prima cosa da dire è che la tentazione non è peccato. Ci capita, e capita a tutti, ma non è peccato. Il peccato lo facciamo quando iniziamo ad accoglierla, quando iniziamo a darle il nostro assenso.

Certo che il diavolo ci conosce, e quindi ci tenta lì dove siamo più deboli, dove la strada è più facile, più “in discesa“. Ma noi non dobbiamo dimenticare mai che non siamo soli, che Dio vuole aiutarci, e lo fa sempre, solo che noi glielo chiediamo. Il diavolo è forte, forse più forte di noi, ma non è assolutamente forte come Dio.

Se le tentazioni del demonio sono, per così dire, in discesa, ci sono anche le tentazioni “in salita“. Sono le tentazioni di Dio: “siate santi perché io sono santo“(Lv 11,44;45;19,2;20,7), “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Sono le tentazioni che ci fanno venire in mente, e al cuore, che noi siamo fatti per grandi mete, per grandi ideali. Siamo in grado di essere qualcosa di grande, siamo stati creati come figli di Dio, e ogni nostro accontentarci di qualcosa di meno ci lasci l’amaro in bocca.

Cerchiamo allora di approfittare di questa Quaresima per imparare a resistere alle prime tentazioni, ma soprattutto per imparare a cedere alle seconde.

Seconda domenica

Se nella prima domenica di Quaresima venivano raccontate le tentazioni di Gesù, nella seconda invece ci viene presentata la sua Trasfigurazione.

Grande mistero quello avvenuto sul monte Tabor. Mistero non nel senso di ignoto o poco chiaro nel modo di accadere, perché questo viene descritto molto bene dai Vangeli, ma nel suo significato più profondo.

Certamente ha il fine di aiutarci a capire che la storia di Gesù, e la nostra al suo seguito, non si ferma alla croce, ma, attraverso la croce, si arriva alla più piena glorificazione.

Ma il senso della Trasfigurazione non si ferma a questo. È una grande finestra su Dio, e in particolare sul Dio-Amore. L’amore è una grande forza, capace veramente, come dice Dante, di muovere il sole e le altre stelle. Ed è l’amore del Padre che trasfigura, trasforma il Figlio.

E anche noi, se ci esponiamo, attraverso la finestra della Trasfigurazione, all’amore di Dio veniamo trasformati. Da persone egoiste, chiuse in sé stesse, nei nostri piccolo orizzonti, veniamo trasformati in persone aperte agli altri, che vogliono abbracciare il mondo. Ma soprattutto veniamo trasformati in persone capaci di amare. E, amando, di trasformare il mondo.

Perché solo il nostro amore è in grado di cambiare le persone che ci circondano, di far emergere in loro il lato migliore, quello che giace nascosto dalle tante ferite della vita.

Allora in questa Quaresima lasciamoci trasformare dall’amore di Dio, in modo da poter, il giorno di Pasqua, anche noi risorgere trasformati da Dio in diffusori di amore.

Terza domenica

La prima lettura di oggi ci presenta quelli che comunemente chiamiamo “i 10 Comandamenti“.

Il brano inizia con Dio che si presenta come il liberatore del suo popolo. E come ha donato agli ebrei la libertà dalla schiavitù ora gli dona il Decalogo. Il Decalogo è espressione della benevolenza divina, è dono, come è dono la libertà.

Il Dio liberatore non può trasformarsi all’improvviso in un Dio esoso, che impone un giogo intollerabile. Non diventa un faraone che ti sottopone ai lavori forzati di un’osservanza legale.

Ma la sua è una libertà che deve essere mantenuta, un tesoro che non va dissipato.

Dio libera degli schiavi, e offre loro la possibilità di mantenersi liberi anche nel futuro, di non ricadere nella schiavitù, di non assoggettarsi nuovamente alle catene. Osservando le 10 Parole io dimostro di essere uscito definitivamente dall’Egitto.

L’obbedienza ai Comandamenti non è la clausola di un contratto, lo scotto da pagare per essere amati, ma la possibilità di una vita nuova, nella libertà che Dio mi offre, mi propone. I Comandamenti sono la carta della libertà dei figli di Dio.

Dio non incatena, ma scioglie. Non inchioda in una morsa di obblighi e divieti, ma apre la strada che ciascuno può percorrere per essere sé stesso. Il Decalogo è liberazione, non costrizione o soffocamento della libertà, della spontaneità.

Il Decalogo nasce dall’amore di Dio, e conduce l’uomo a percorrere le vie della libertà e dell’amore. Perché l’amore è veramente tale solo se è libero.

Quarta domenica

Le letture di oggi ci presentano due realtà diverse: l’infedeltà, il peccato dell’uomo e la compassione, l’amore di Dio. Di fronte al peccato dell’uomo, Dio reagisce amando, perdonando.

C’è stato qualcuno che ha detto che ciò che ci rende più simili a Dio è proprio il perdonare.

Ma cos’è il perdono, cosa significa, concretamente, perdonare?

Innanzi tutto bisogna dire che il perdono non lo si può né meritare né pretendere. Come dice la parola stessa è “per-dono“, è cioè del tutto gratuito, è un regalo. E un regalo non lo si compra, lo si riceve soltanto, gratuitamente. E altrettanto gratuitamente lo si porge, senza pretendere niente in cambio.

Un’altra cosa. Tante volte sentiamo dire, o diciamo noi stessi: “Come posso perdonarlo dopo quello che ha fatto?”. Ma questo rende me e l’altro schiavi del passato. Il passato è passato, e non lo possiamo cambiare. Ma quello che possiamo cambiare è il futuro. Perdonare quindi non è dimenticare, ma non rendersi schiavi del ricordo. Perdonare è aprirsi al futuro, è pensare e sapere che l’altro è migliore dei suoi errori; è liberare l’altro, e sé stessi, dagli errori. È dire all’altro che lui è più importante di ogni errore; è dirgli che siamo convinti che ha la possibilità e la capacità di non commettere più quell’errore, e che noi siamo disposti ad aiutarlo in questo, a essergli vicino, a ricominciare ogni volta daccapo.

Il rancore alla fine uccide me, l’altro e il nostro futuro. Il perdono invece fa rinascere a nuova vita sia me che l’altro e genera un nuovo futuro per entrambi.

Capite allora perché il perdono ci rende simili a Dio. Dio è il Dio della vita, non della morte, è il Dio dei vivi e non dei morti. E tutto ciò che genera e favorisce la vita viene da Dio, mentre ciò che genera morte viene dal demonio.

Quinta domenica

Nel Vangelo di oggi ci sono dei greci che domandano di conoscere Gesù. Ed è interessante come, per farsi conoscere e far conoscere la sua missione, Gesù parli della croce. Cioè per capire lui si deve capire la croce.

Ma la croce è diventata, nel nostro modo di pensare comune, sinonimo di fatica, di sofferenza, di fallimento. Invece la croce è tutta un’altra cosa!

È la manifestazione dell’amore di Dio, della Sua solidarietà nei nostri confronti. Gesù parla della croce in termini di gloria. E la croce è gloria, se noi intendiamo la gloria dell’amore, non certo la gloria della potenza.

Sulla croce troviamo un amore forte, ostinato, che non si lascia scoraggiare dalla nostra incomprensione, dal nostro rifiuto.

Questo ci invita trovare Dio non dove c’è la potenza, la forza, il successo, ma solamente dove c’è l’amore, dove c’è il seme che muore.

Gesù non è sceso dalla croce alla testa di schiere di angeli per imporre la sua verità e la sua persona, non ha usato la sua potenza di Figlio per sottrarsi al rifiuto. Si è affidato alla libertà degli uomini, alla nostra libertà, ci ha lasciato la possibilità di dire “si” o di dire “no“.

Tutti ci aspettiamo un Dio che, proprio perché Dio, si imponga a tutti. Invece Dio ha preferito la via dell’amore che, proprio perché si fonda sulla libertà, la rispetta fino in fondo. Ed è questo il segno obbligato di ogni vero amore.

Domenica delle Palme

La liturgia di oggi ci propone due fatti apparentemente inconciliabili: l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme e la sua Passione. Il Messia entra nella sua città per prendere possesso del suo regno, e subito dopo viene condannato a morte con ignominia. Successo e sconfitta presentati assieme.

Sono due realtà che nella nostra vita normale si escludono. Ma nella liturgia di oggi siamo chiamati contemporaneamente a “congratularci” con Gesù per il suo successo e a commuoverci per la sua Passione.

In genere noi dividiamo i due momenti: il Venerdì Santo piangiamo la Sua morte, la sua umiliazione, e poi il giorno di Pasqua festeggiamo la Sua resurrezione e glorificazione. Il primo momento è il mezzo per arrivare al secondo. Attraverso l’umiliazione Gesù entra nella gloria.

Ma dividere troppo i momenti significa non tener presente Dio, che unifica tutto.

Cristo, mentre come uomo soffre, già trionfa sulla morte. Così è stato nel corso di tutta la sua vita terrena (e così si verifica continuamente nella vita della Chiesa). Di continuo è e sarà perseguitato e di continuo trionfa sui suoi persecutori.

Nella sua debolezza c’è il massimo della sua forza divina.

E così è anche per noi. La vita quotidiana spesso ci umilia, ma tutte queste umiliazioni diventano gloria quando le sopportiamo con Cristo, che in questa maniera, prende possesso del suo regno. La liturgia delle Palme è quindi anche simbolo del nostro cammino quotidiano dove, in mezzo a tante avversità, deve prevalere il nostro “osanna” vittorioso.

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