Davide - peccatore e credente

Contemplando Davide peccatore noi capiremo qualcosa di noi; perché Davide, pur credendo e amando Dio, è uomo crudele, vendicativo, sensuale. Per la sua crudelta verso i nemici, basta leggere 2 Sam 8, 2.4.5; per la sensualita sono indicativi i brani di 2 Sam 3, 2-5; 5,12 ss.; e le ultime parole di Davide sono di vendetta (1 Re 2,5-6).

Tuttavia la Bibbia ci presenta solo due atti di Davide come veri e propri peccati, limitandosi a raccontare il resto senza dare un giudizio. È perciò interessante capire il perché di questo fatto.

Cominciamo col leggere la pagina più difficile (2 Sam 24, 1-25), ricordando che per cercare la volontà di Dio occorre allontanare da sè tutte le affezioni disordinate, nella persuasione che c'è sempre qualche cosa che impedisce all'uomo tale ricerca. Dobbiamo ricordare che la via regale per entrare nella preghiera è il riconoscimento della propria fragilità e indegnità.

Il racconto (2 Samuele 24, 1-25)

“La collera del Signore si accese di nuovo contro Israele e incitò Davide contro il popolo in questo modo: “Su, fa’ il censimento d’Israele e di Giuda”. Il re disse a Ioab e ai suoi capi dell’esercito: “Percorri tutte le tribù d’Israele, da Dan fino a Bersabea, e fate il censimento del popolo, perché io conosca il numero della popolazione”. Ioab rispose al re: “Il Signore tuo Dio moltiplichi il popolo cento volte più di quello che è, e gli occhi del re mio signore possano vederlo! Ma perché il re mio signore desidera questa cosa?”. Ma l’ordine del re prevalse su Ioab e sui capi dell’esercito e Ioab e i capi dell’esercito si allontanarono dal re per fare il censimento del popolo d’Israele. Passarono il Giordano e cominciarono da Aroer e dalla città che è in mezzo al torrente di Gad e presso Iazer. Poi andarono in Gàlaad e nel paese degli Hittiti a Kades; andarono a Dan. Poi girarono intorno a Sidòne; andarono alla fortezza di Tiro e in tutte le città degli Evei e dei Cananei e finirono nel Negheb di Giuda a Bersabea. Percorsero così tutto il paese e dopo nove mesi e venti giorni tornarono a Gerusalemme. Ioab consegnò al re la cifra del censimento del popolo: c’erano in Israele ottocentomila guerrieri che maneggiavano la spada; in Giuda cinquecentomila.

Ma dopo che Davide ebbe fatto il censimento del popolo, si sentì battere il cuore e disse al Signore: “Ho peccato molto per quanto ho fatto; ma ora, Signore, perdona l’iniquità del tuo servo, poiché io ho commesso una grande stoltezza”. Quando Davide si fu alzato il mattino dopo, questa parola del Signore fu rivolta al profeta Gad, il veggente di David: “Va’ a riferire a Davide: Dice il Signore: Io ti propongo tre cose: scegline una e quella ti farò”. Gad venne dunque a Davide, gli riferì questo e disse: “Vuoi tre anni di carestia nel tuo paese o tre mesi di fuga davanti al nemico che ti insegua oppure tre giorni di peste nel tuo paese? Ora rifletti e vedi che cosa io debba rispondere a chi mi ha mandato”. Davide rispose a Gad: “Sono in grande angoscia! Ebbene cadiamo nelle mani del Signore, perché la sua misericordia è grande, ma che io non cada nelle mani degli uomini!”.

Così il Signore mandò la peste in Israele, da quella mattina fino al tempo fissato; da Dan a Bersabea morirono settantamila persone del popolo. E quando l’angelo ebbe stesa la mano su Gerusalemme per distruggerla, il Signore si pentì di quel male e disse all’angelo che distruggeva il popolo: “Basta; ritira ora la mano!”. Ora l’angelo del Signore si trovava presso l’aia di Araunà il Gebuseo. Davide, vedendo l’angelo che colpiva il popolo, disse al Signore: “Io ho peccato; io ho agito da iniquo; ma queste pecore che hanno fatto? La tua mano venga contro di me e contro la casa di mio padre!”.

Quel giorno Gad venne da Davide e gli disse: “Sali, innalza un altare al Signore sull’aia di Araunà il Gebuseo”. Davide salì, secondo la parola di Gad, come il Signore aveva comandato. Araunà guardò e vide il re e i suoi ministri dirigersi verso di lui. Araunà uscì e si prostrò davanti al re con la faccia a terra. Poi Araunà disse: “Perché il re mio signore viene dal suo servo?”. Davide rispose: “Per acquistare da te quest’aia e innalzarvi un altare al Signore, perché il flagello cessi di colpire il popolo”. Araunà disse a Davide: “Il re mio signore prenda e offra quanto gli piacerà! Ecco i buoi per l’olocausto; le trebbie e gli arnesi dei buoi serviranno da legna. Tutte queste cose, re, Araunà te le regala”. Poi Araunà disse al re: “Il Signore tuo Dio ti sia propizio!”.

Ma il re rispose ad Araunà: “No, io acquisterò da te queste cose per il loro prezzo e non offrirò al Signore mio Dio olocausti che non mi costino nulla”. Davide acquistò l’aia e i buoi per cinquanta sicli d’argento; edificò in quel luogo un altare al Signore e offrì olocausti e sacrifici di comunione. Il Signore si mostrò placato verso il paese e il flagello cessò di colpire il popolo.”

Questo capitolo, probabilmente aggiunto, è abbastanza strano. La storia di Davide è quasi terminata e all’inizio del libro successivo, quello dei Re, si parlerà di Davide vecchio e della successione, poi della sua morte.

Ma dopo aver riportato nel cap. 23 le ultime parole del re, la Bibbia ci presenta questo racconto come un fatto importante nella vita di Davide.

Per capirne la ragione, cerchiamo di dividere l’episodio in tre parti:

    • - il censimento del popolo (vv. 1-9);
    • - il castigo (vv. 10-15);
    • - il chiarore del tempio, la promessa (vv. 16-25).

Nell’insieme si tratta di un misterioso brano di peccato, anche se non si capisce immediatamente di quale peccato si tratti.

Il censimento del popolo e il peccato a Davide

“La collera del Signore si accese di nuovo contro Israele e incitò Davide contro il popolo in questo modo: “Su, fa’ il censimento d’Israele e di Giuda”.”

Il libro delle Cronache, nel capitolo parallelo (1 Cr 21), spiega, in un modo teologicamente più sfumato, che non la collera del Signore, bensì “Satana insorse contro Israele. Egli spinse Davide a censire gli Israeliti” (v 1).

Che cosa c’è dunque di male nel censimento del popolo, che è un’operazione civile, di ordine per conoscerne l’efficienza? Qualche cosa di male c’è, perché la prima reazione di Joab, fedelissimo al re, è contraria.

D’altra parte abbiamo nella Bibbia altri esempi di censimento. Se ne parla nell’Esodo come di una operazione attraverso la quale si conosce il popolo e si prende atto delle sue possibilità, ma in quel caso è sottolineata piuttosto la sacralità del censimento. Mosé, infatti, dice al Signore: “Se tu potessi perdonare il loro peccato… Altrimenti, cancellami dal libro che tu hai scritto!” (Es 32, 32). Fare il censimento equivale a entrare nel numero di coloro che appartengono a Dio; è lui che scrive i nomi nel libro e che li cancella.

Per questo ho parlato di sacralità.

Un altro passo, sempre nel libro dell’Esodo: “il Signore parlò a Mosé e gli disse: ‘Quando tu farai la rassegna degli Israeliti con il censimento, ciascuno di loro dovrà al Signore il riscatto della propria vita, perché non scoppi tra loro nessun flagello in occasione del censimento’” (Es 30, 11-12). Il censimento appartiene a Dio e occorre farlo con grande attenzione perché in esso può introdursi qualcosa di male. Vengono poi date delle regole: “Chiunque verrà sottoposto al censimento pagherà mezzo siclo, sulla base del siclo del santuario che comprende venti ghera. Questo mezzo siclo sarà un’offerta per il Signore” (v. 13).

E il segno che la vita appartiene a Dio e che il popolo è di Dio: se è necessario toccare il popolo, bisogna però farlo con riverenza e rispetto, perché è il tesoro del Signore. Sacralità della vita, dunque, e sacralità del popolo nel suo insieme, non soltanto dei singoli individui.

Un altro caso di censimento l’abbiamo nel libro dei Numeri, che sono appunto il censimento: “Il Signore parlò a Mosé, nel deserto del Sinai, nella tenda del convegno, il primo giorno del secondo mese, il secondo anno dopo l’uscita dal paese di Egitto. Egli disse: ‘Fate il censimento di tutta la comunità degli Israeliti, per clan e per famiglie, contando il nome di tutti i maschi testa per testa’” (Nm 1, 1-2).

In Israele è quindi usuale il censimento, anche se a esso è necessario accostarsi con mani pure. In Occidente abbiamo perduto la sacralità di questo atto, ma in altre civiltà la si conserva. Nella Bibbia è comunque chiaro che non si può toccare la testa delle persone e il popolo in quanto tale, senza toccare una proprietà di Dio.

In che cosa consiste, allora, il peccato di Davide? L’operazione compiuta da Joab e dai suoi uomini è descritta con esattezza grande: si parte dall’al di là del Giordano, si percorre il sud, poi il nord fino a Sidone. Per Davide è un momento di gloria, perché Israele, prima di allora, non aveva avuto una tale estensione.

Credo tuttavia che la chiave per capire il racconto sia al v. 2: “Percorrete dunque tutte le tribù di Israele da Dan a Bersabea, e fate il censimento del popolo, affinché io conosca il numero della popolazione“.

Davide non vuole riconoscere la proprietà di Dio, ma vede il popolo d’Israele come la sua forza, la sua ambizione.

In termini più moderni, possiamo dire che il censimento significa possesso, efficacia, potere, nell’intenzione di Davide. L’umile servo cade nella tentazione di sentirsi padrone, acquista anzi un cuore da padrone, entra nello spirito del possesso. Egli vuole misurare il successo, averne il segreto, essere certo dell’efficacia.

Il risultato è meraviglioso: Israele contava ottocentomila uomini capaci di maneggiare la spada, e Giuda cinquecentomila. Davide non ha più bisogno di appoggiarsi a Dio, come ai tempi di Golia, perché ormai è il re più potente della terra, e può fare da solo!

Il castigo

La sensazione della potenza acquisita da Davide è chiaramente evidenziata dalle sue stesse parole: “Dopo questo Davide si sentì battere il cuore e disse al Signore: ‘Quale grande peccato ho mai commesso!” (v. 10). E lui stesso che si accorge dello sbaglio.

E interessante vedere un parallelo di un altro momento della vita di Davide, quando rifiuta la possibilità di uccidere il re Saul: “Davide si alzò e tagliò di nascosto un lembo del mantello di Saul. Ma dopo si sentì battere il cuore per aver tagliato un lembo del mantello di Saul. Poi disse ai suoi uomini: ‘Il Signore mi guardi di agire così verso il mio signore, di stendere la mano su di lui, perché è l’unto del Signore’” (1 Sam 24, 6-7). Sentiva di aver toccato qualche cosa di sacro, di aver messo le mani sulla proprietà di Dio.

“Ora, Signore, perdona la colpa del tuo servo perché ho commesso una grande stoltezza!” (2 Sam 24, 10).

Il Signore allora gli fa scegliere il castigo e la risposta di Davide è bellissima: “Ebbene, cadiamo nelle mani del Signore, perché la sua misericordia è grande” (v. 14).

Ecco Davide peccatore ma credente: il sentimento della misericordia di Dio è presente anche in questa oscura vicenda.

Che cos’è il castigo del Signore?

E esattamente il contrario dell’ipnosi del successo; è l’angoscia dell’insuccesso totale. Davide infatti si vede spossessato dei suoi uomini: ne muoiono settantamila.

Al posto della efficacia, vede frantumarsi la struttura del suo popolo. Al posto del potere, sente tutta l’impotenza dell’uomo di fronte al flagello della peste. Egli sperimenta la propria debolezza, l’inutilità di tutte le misure umane e si accorge di essere in balia di circostanze imprevedibili.

In questo modo è corretto nelle sue tre passioni che lo hanno ubriacato, e viene profondamente umiliato

L’alba del tempio

La misericordia di Dio, che è invocata da Davide nella scelta del castigo, si rivela più luminosamente nella terza parte dell’episodio.

L’angelo dello sterminio sta stendendo la sua mano verso Gerusalemme quando “il Signore si pentì di quel male e disse all’angelo che sterminava il popolo: ‘Basta! ritira la tua mano’” (v. 16). Dio ha misericordia di Gerusalemme.

“L’angelo del Signore si trovava presso l’aia di Araunà il Gebuseo. Quando Davide vide l’angelo che colpiva il popolo, disse al Signore: ‘Sono io che ho peccato, sono io che ho commesso il male, ma questo gregge che cosa ha fatto? Che la tua mano cada dunque su di me e sulla mia famiglia’” (vv. 16-17).

A partire da queste parole del re, il profeta dice a Davide di alzare un altare sull’aia del Gebuseo. Poi Davide compie il sacrificio e costruisce un altare che è l’inizio del tempio, perché proprio in quel luogo verrà edificato il tempio di Salomone, che ancora oggi è venerato a Gerusalemme.

Così, dalla disfatta umana di Davide sorge il segno luminoso della presenza di Dio, della sua infinita misericordia.

Attualizzazione del racconto

Vi ho offerto degli spunti e tuttavia non è facile interpretare questo testo. Molti aspetti restano oscuri, c’è un’idea di Dio abbastanza rigida, però ritengo che racchiuda degli insegnamenti per capire l’anima più primitiva che è dentro ciascuno di noi e che non è ancora stata rischiarata dalla luce di Gesù: ad esempio, un certo timore di provocare la collera di Dio, la paura di aver toccato il sacro.

Soprattutto, vogliamo domandarci che cosa significa la tentazione di Davide per noi oggi.

L’ossessione dell’efficacia, del successo, del potere, è purtroppo una tentazione moderna collettiva, particolarmente in Occidente.

Anche la Chiesa vive in questa atmosfera ed è portata a verificare l’efficacia dei suoi mezzi, della sua azione, a usare metodi di efficacia tecnologica. Usarli non è male, se l’intenzione è buona; ma l’idolatria del successo può facilmente insinuarsi.

Davide non ha peccato nel compiere il censimento, bensì nello spirito con cui l’ha fatto. E dobbiamo stare attenti perché un atto esteriore plausibile non ci rende mai sicuri, per ciò stesso, di compierlo con l’atteggiamento giusto.

1 - La tentazione del successo può avvenire negli uomini di Chiesa, quindi anche in noi, quando cediamo all’ossessione della visibilità dei frutti, dei risultati immediati: vogliamo che gli altri riconoscano la bontà dei nostri progetti. Si può addirittura giungere a misurare l’economia divina col metro delle multinazionali: Perché Dio non ci aiuta nel trovare gli strumenti più efficaci? forse ci ha abbandonato!

Proprio per questo nella Chiesa ci sono tante tensioni. E vero che il diavolo fa il suo mestiere, ma è legittimo chiederci come mai può farlo con tanta facilità.

A mio avviso, una delle ragioni è che molti nella Chiesa considerano il proprio, piccolo progetto personale come progetto di Dio. Di qui le lotte, le divisioni, perfino gli scismi.

2 - La tentazione può avvenire nelle istituzioni ecclesiali, ad esempio nei movimenti, nelle scuole cattoliche, nelle università, quando comincia il gusto di contarsi, di verificare il proprio potere o la propria efficacia. Si pretende di essere al centro della Chiesa e si finisce col disprezzare gli altri. Lo scopo iniziale è buono, ma in seguito il cuore si guasta. In realtà, bisognerebbe operare servendo la Chiesa, non il gruppo o l’etichetta.

3 - E talora la tentazione è pure individuale e si manifesta come paura della povertà evangelica, nel lamento di non avere ciò che appare necessario. Il lamento può essere ragionevole, spesso però è amaro e si riallaccia al peccato di Davide: se avessi di più, avrei successo, potrei contare sulle mie forze.

Conclusione

Dobbiamo però sottolineare che il successo ha una sua importanza ed è una parte del nostro lavoro. Non vorrei, infatti, che cadessimo nell’estremo opposto, nel ricercare il fallimento in quanto tale, mentre l’equilibrio è una caratteristica cattolica. Gesù stesso desiderava che la sua predicazione fosse accolta bene. La gratificazione umana è dunque un bene, non un male, e la spiritualità biblica ce lo insegna. È tuttavia fondamentale la graduatoria, l’ordine dei valori, quell’ordine che Davide ha perso di vista.

Chi pone Dio al primo posto: “Dio, tu sei il mio Dio”, non ha da temere. Se ho scelto Dio come Bene supremo, da cui nessuna forza del mondo - né vita, né morte, né malattia, né sconfitta - può staccarmi, il resto verrà di conseguenza.

Il Bene ultimo è Dio che si comunica, e beni ultimi sono perciò la grazia, la preghiera, la carità. Posto questo primato, ci sono i beni penultimi, riflesso storico dei primi: l’amicizia, la gioia, la lealtà, la fedeltà, la giustizia, il volersi bene, il trovarsi insieme. E i beni terzultimi - che costituiscono dei presupposti naturali degli altri - sono la salute, il cibo, il lavoro, il successo, i risultati buoni, le gratificazioni.

Vedete che anche il successo trova la sua collocazione. Ciò che il Signore vuole è l’ordine interiore che regnava nel cuore di Davide quando cantava il Salmo 63.

Noi possiamo desiderare i beni terzultimi, possiamo lottare per averli, lamentarci perché non arrivano, sapendo però con chiarezza che i beni ultimi sono altro.

E io credo che, non in teoria, bensì nella pratica quotidiana l’ordine che il Signore vuole, in noi è molto spesso confuso.

Salmo 63(62)

1 Salmo. Di Davide, quando dimorava nel deserto di Giuda.

2 O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco,

di te ha sete l’anima mia,

a te anela la mia carne,

come terra deserta,

arida, senz’acqua.

3 Così nel santuario ti ho cercato,

per contemplare la tua potenza e la tua gloria.

4 Poiché la tua grazia vale più della vita,

le mie labbra diranno la tua lode.

5 Così ti benedirò finché io viva,

nel tuo nome alzerò le mie mani.

6 Mi sazierò come a lauto convito,

e con voci di gioia ti loderà la mia bocca.

7 Quando nel mio giaciglio di te mi ricordo

e penso a te nelle veglie notturne,

8 a te che sei stato il mio aiuto,

esulto di gioia all’ombra delle tue ali.

9 A te si stringe l’anima mia

e la forza della tua destra mi sostiene.

10 Ma quelli che attentano alla mia vita

scenderanno nel profondo della terra,

11 saranno dati in potere alla spada,

diverranno preda di sciacalli.

12 Il re gioirà in Dio,

si glorierà chi giura per lui,

perché ai mentitori verrà chiusa la bocca.

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