La confessione di Davide

Oggi considereremo il secondo peccato di Davide riportato dalla Bibbia (anche se in realtà è il primo). Questo brano è uno dei capolavori della letteratura biblica e meditandolo dobbiamo tener presente la meravigliosa analisi psicologica che viene fatta del cuore di Davide. Questo brano può essere diviso in due parti: la prima è 2 Sam 11,1-27 e la potemmo chiamare “la negligenza delle circostanze”, la seconda è 2 Sam 12,1-14 e la potremmo chiamare “Dio guida Davide verso il pentimento”. Inoltre mediteremo anche il Salmo 51. Lo scopo di questa serata è di renderci un po’ conto di come a volte, lasciandoci prendere da tante piccole circostanze che possono passare inosservate, si cada alla fine in un grande peccato. Ma soprattutto di come il Signore non voglia la nostra condanna, ma faccia di tutto perché noi giungiamo al pentimento e ad accogliere il suo perdono. Una piccola avvertenza, questa è solo una delle tante “ipotesi” di lettura possibile di questi passi della Bibbia. Il racconto (1 Samuele 11, 1-12,14)

L’anno dopo, al tempo in cui i re sogliono andare in guerra, Davide mandò Ioab con i suoi servitori e con tutto Israele a devastare il paese degli Ammoniti; posero l’assedio a Rabbà mentre Davide rimaneva a Gerusalemme. Un tardo pomeriggio Davide, alzatosi dal letto, si mise a passeggiare sulla terrazza della reggia. Dall’alto di quella terrazza egli vide una donna che faceva il bagno: la donna era molto bella di aspetto. Davide mandò a informarsi chi fosse la donna. Gli fu detto: “È Betsabea figlia di Eliàm, moglie di Uria l’Hittita”. Allora Davide mandò messaggeri a prenderla. Essa andò da lui ed egli giacque con lei, che si era appena purificata dalla immondezza. Poi essa tornò a casa.

La donna concepì e fece sapere a Davide: “Sono incinta”. Allora Davide mandò a dire a Ioab: “Mandami Uria l’Hittita”. Ioab mandò Uria da Davide.

Arrivato Uria, Davide gli chiese come stessero Ioab e la truppa e come andasse la guerra. Poi Davide disse a Uria: “Scendi a casa tua e lavati i piedi”. Uria uscì dalla reggia e gli fu mandata dietro una portata della tavola del re. Ma Uria dormì alla porta della reggia con tutti i servi del suo signore e non scese a casa sua. La cosa fu riferita a Davide e gli fu detto: “Uria non è sceso a casa sua”. Allora Davide disse a Uria: “Non vieni forse da un viaggio? Perché dunque non sei sceso a casa tua?”. Uria rispose a Davide: “L’arca, Israele e Giuda abitano sotto le tende, Ioab mio signore e la sua gente sono accampati in aperta campagna e io dovrei entrare in casa mia per mangiare e bere e per dormire con mia moglie? Per la tua vita e per la vita della tua anima, io non farò tal cosa!”. Davide disse ad Uria: “Rimani qui anche oggi e domani ti lascerò partire”. Così Uria rimase a Gerusalemme quel giorno e il seguente. Davide lo invitò a mangiare e a bere con sé e lo fece ubriacare; la sera Uria uscì per andarsene a dormire sul suo giaciglio con i servi del suo signore e non scese a casa sua.

La mattina dopo, Davide scrisse una lettera a Ioab e gliela mandò per mano di Uria. Nella lettera aveva scritto così: “Ponete Uria in prima fila, dove più ferve la mischia; poi ritiratevi da lui perché resti colpito e muoia”. Allora Ioab, che assediava la città, pose Uria nel luogo dove sapeva che il nemico aveva uomini valorosi. Gli uomini della città fecero una sortita e attaccarono Ioab; parecchi della truppa e fra gli ufficiali di Davide caddero, e perì anche Uria l’Hittita.

Ioab inviò un messaggero a Davide per fargli sapere tutte le cose che erano avvenute nella battaglia e diede al messaggero quest’ordine: “Quando avrai finito di raccontare al re quanto è successo nella battaglia, se il re andasse in collera e ti dicesse: Perché vi siete avvicinati così alla città per dar battaglia? Non sapevate che avrebbero tirato dall’alto delle mura? Chi ha ucciso Abimelech figlio di Ierub-Bàal? Non fu forse una donna che gli gettò addosso un pezzo di macina dalle mura, così che egli morì a Tebez? Perché vi siete avvicinati così alle mura? tu digli allora: Anche il tuo servo Uria l’Hittita è morto”. Il messaggero dunque partì e, quando fu arrivato, riferì a Davide quanto Ioab lo aveva incaricato di dire. Davide andò in collera contro Ioab e disse al messaggero: “Perché vi siete avvicinati così alla città per dare battaglia? Non sapevate che avrebbero tirato dall’alto delle mura? Chi ha ucciso Abimelech, figlio di Ierub-Bàal? Non fu forse una donna che gli gettò addosso un pezzo di macina dalle mura, così che egli morì a Tebez? Perché vi siete avvicinati così alle mura?”. Il messaggero rispose a Davide: “Perché i nemici avevano avuto vantaggio su di noi e avevano fatto una sortita contro di noi nella campagna; ma noi fummo loro addosso fino alla porta della città; allora gli arcieri tirarono sulla tua gente dall’alto delle mura e parecchi della gente del re perirono. Anche il tuo servo Uria l’Hittita è morto”. Allora Davide disse al messaggero: “Riferirai a Ioab: Non ti affligga questa cosa, perché la spada divora or qua or là; rinforza l’attacco contro la città e distruggila. E tu stesso fagli coraggio”.

La moglie di Uria, saputo che Uria suo marito era morto, fece il lamento per il suo signore. Passati i giorni del lutto, Davide la mandò a prendere e l’accolse nella sua casa. Essa diventò sua moglie e gli partorì un figlio. Ma ciò che Davide aveva fatto era male agli occhi del Signore.

Il Signore mandò il profeta Natan a Davide e Natan andò da lui e gli disse: “Vi erano due uomini nella stessa città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero; ma il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina che egli aveva comprata e allevata; essa gli era cresciuta in casa insieme con i figli, mangiando il pane di lui, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno; era per lui come una figlia. Un ospite di passaggio arrivò dall’uomo ricco e questi, risparmiando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso, per preparare una vivanda al viaggiatore che era capitato da lui portò via la pecora di quell’uomo povero e ne preparò una vivanda per l’ospite venuto da lui”. Allora l’ira di Davide si scatenò contro quell’uomo e disse a Natan: “Per la vita del Signore, chi ha fatto questo merita la morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non aver avuto pietà”. Allora Natan disse a Davide: “Tu sei quell’uomo! Così dice il Signore, Dio d’Israele: Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo padrone e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa di Israele e di Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi avrei aggiunto anche altro. Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada Uria l’Hittita, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti. Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Uria l’Hittita. Così dice il Signore: Ecco io sto per suscitare contro di te la sventura dalla tua stessa casa; prenderò le tue mogli sotto i tuoi occhi per darle a un tuo parente stretto, che si unirà a loro alla luce di questo sole; poiché tu l’hai fatto in segreto, ma io farò questo davanti a tutto Israele e alla luce del sole”.

Allora Davide disse a Natan: “Ho peccato contro il Signore!”. Natan rispose a Davide: “Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai. Tuttavia, poiché in questa cosa tu hai insultato il Signore (l’insulto sia sui nemici suoi), il figlio che ti è nato dovrà morire”. Natan tornò a casa.

La struttura spirituale di Davide

La domanda che ci poniamo è questa: “Come mai l’aver trascurato alcune piccole circostanze, insieme alla negligenza, ha portato Davide a essere il contrario di tutto ciò che era?”

Abbiamo già visto la volta scorsa come Davide era sicuramente un peccatore, non un santo; tuttavia con dei principi a cui non rinunciava mai, con una sua precisa struttura spirituale. Era cioè leale, fedele fino alla morte agli amici, capace di rispettare i giuramenti e le regole del gioco della guerra.

1 - Pensiamo, ad esempio, ai diversi passi che descrivono il senso profondo di amicizia che nutriva verso Gionata, il figlio di Saul, del nemico. Persino dopo la morte di Gionata, Davide chiede: “È forse rimasto qualcuno della casa di Saul, a cui io possa fare del bene a causa di Gionata?” (2 Sam 9,1). Questa lealtà, alla quale tiene più che a ogni altra cosa, fa la grandezza di Davide davanti al suo popolo.

2 - È crudele, ma rispetta le regole del gioco della guerra. Vengono alla mente i due momenti in cui potrebbe uccidere il re Saul e non lo fa per rispetto verso l’unto del Signore e perché sarebbe disonesto uccidere un nemico a tradimento (cfr. 1 Sam 24;26).

3 - Un altro esempio meraviglioso, che fa di Davide l’eroe più attraente dell’Antico Testamento, è il pianto su Saul e Gionata, il lutto sincerissimo per la morte del re. L’elegia che pronuncia rivela un cuore completamente fedele verso colui che, se solo avesse potuto, avrebbe volentieri cancellato il suo nome dalla faccia della terra. Eccone alcuni versi:

“Saul e Gionata, amabili e gentili, né in vita né in morte furon divisi; erano più veloci delle aquile, più forti dei leoni.

Figlie d’Israele, piangete su Saul, che vi vestiva di porpora e di delizie, che appendeva gioielli d’oro sulle vostre vesti.

Perché son caduti gli eroi in mezzo alla battaglia?

Gionata, per la tua morte sento dolore, l’angoscia mi stringe per te, fratello mio Gionata!

Tu mi eri molto caro” (2 Sam 1,23 ss.)

Il cap. 11 descrive però la storia di un processo nel quale, attraverso piccole circostanze insignificanti, l’eroe Davide diventa sleale, infedele, traditore. Se qualcuno gli avesse detto, nel giorno in cui era andato a passeggiare sulle terrazza: “Guarda che ucciderai il tuo miglior amico, l’uomo che ti è più fedele di ogni altro”; avrebbe certamente risposto: “Questo non potrà accadere!”

La genesi di un peccato

Il primo versetto serve da introduzione al racconto. Davide non si pone nemmeno il problema di andare in guerra: è pago del suo trono di re, non rischia più come una volta. Possiamo dire che è ormai sicuro di sé.

Con grande finezza psicologica, lo scrittore annota che tutto inizia da un semplice sguardo curioso. Come mai l’ha guardata? Probabilmente perché riteneva che, essendo vecchio e ricco di esperienze, gli era permesso: una semplice curiosità che non poteva avere conseguenze per uno come lui.

Il secondo passo è un’imprudenza: “Davide fece prendere informazioni su quella donna, e gli risposero: ‘Ma è Betsabea, figlia di Eliam e moglie di Uria l’Hittita’” (v. 3). Si tratta ancora di una circostanza molto piccola, e Davide non si accorge di ciò che gli sta succedendo.

Ora l’imprudenza si fa più grave: (la fece cercare) (v. 4a). Volendo scusarlo, possiamo pensare che si trattava di un semplice capriccio. Egli desiderava solo conoscerla, niente di più, e magari farla andare a corte per rendere dei servizi. In realtà, nel suo cuore aveva già deciso.

Il testo incalza rapidamente. Dallo sguardo, alla donna incinta: tutto si è svolto come in un sogno. Comincia la vera storia del peccato di Davide. Fino a qui si può parlare di debolezza, di stupidità, di vanità: si credeva forte, superiore a certe quisquiglie. Adesso si pone il problema: Che cosa fare?

Dapprima Davide pensa: Mi tirerò fuori dall’impiccio e farò di tutto per salvare la mia reputazione e la rispettabilità della donna; la situazione è brutta, ma me la caverò. Chiama Uria e fa finta di nulla, cerca di lusingarlo sottolineando la sua abilità di soldato, però diventa menzognero. Poi, quasi en passant, gli dice di passare da casa. Forse Uria aveva capito, perché Davide parlando si era un po’ tradito nella voce. O forse non aveva capito ed era semplicemente rispettoso delle regole di guerra. In quella prima notte, il re comincia a pensare che non è così facile come immaginava, che non può dominare la situazione come credeva. Tuttavia non perde la sua padronanza.

Il testo seguente è pieno di ironia e si ha l’impressione che Uria si stia prendendo gioco del re, come se avesse dei sospetti e volesse prenderlo al laccio. Davide, ormai confuso, inganna l’uomo con l’amabilità e l’ospitalità, mentre Uria, rovesciando il discorso, si appoggia alla lealtà, al rispetto per Dio e per le regole. E una grande lotta, e il re ha la peggio.

Non vuole però darsi per vinto e invita Uria a bere e a mangiare in sua presenza, facendolo poi ubriacare. Anche ubriaco, Uria dorme con i servi e non va a casa. In questa terribile notte, Davide si accorge per la prima volta che è davvero prigioniero di se stesso.

Non dice tuttavia: “Che cosa ho mai fatto?”, ma ha in mente una sola cosa. Egli vuole salvare tre valori, tutti grandi, che lo irretiscono:

- il primo è la rispettabilità del re;

- il secondo è la madre, col bambino, che vuole vivi a ogni costo. Avrebbe potuto abbandonare la donna, sapendo che si sarebbe fatta uccidere piuttosto di rivelare al marito il nome dell’uomo che l’aveva messa incinta, però la ama e non vuole perderla;

- il terzo è l’amico, Uria, che non bisogna sopprimere.

Non sa cosa fare: lasciar perdere la rispettabilità del re? Impossibile. Lasciar morire la donna e il bambino? Nemmeno. Sopprimere l’amico? No.

Passa da un valore all’altro, senza voler rinunciare a nessuno. Questo è il peccato, il disordine: l’essere giunti per negligenza, mancanza di attenzione, superficialità, a una situazione che diventa a poco a poco inestricabile.

Forse, per la prima volta nella vita, Davide ha paura e si rende conto che deve per forza rinunciare a uno dei tre valori. Per tutta la notte non fa che arzigogolare e, al mattino, è sfinito. Improvvisamente la decisione è presa: sacrificherà l’amico.

Con astuzia e perfidia, ma forse già col cuore spezzato, scrive una lettera a Ioab e manda Uria a portarla.

La storia non è finita, perché il peccato ha conseguenze molto gravi. I versetti seguenti sono ancora una meraviglia di narrazione: gli uomini si fanno beffa del re, capiscono benissimo quello che è accaduto e la rispettabilità, che Davide voleva salvare ad ogni costo, è perduta. Il fedelissimo Ioab è il primo a prenderlo in giro. Manda al re tutti i dettagli del combattimento e notate cosa dice di riferire al messaggero.

Tutto andò come Ioab aveva previsto e il racconto procede lentamente per farci assaporare ogni particolare. Il messaggero parte, poi arriva e riferisce al re il messaggio. Davide si adira molto e il messaggero spiega come sono andati i fatti, concludendo: “Anche il tuo servo Una l’Hittita è morto” (v. 24). A questo punto Davide gli dice: “Ecco ciò che dirai a Ioab: Non ti affligga l’accaduto perché la spada divora ora qua ora là. Rinforza l’attacco contro la città e distruggila. Così tu gli ridarai coraggio” (v. 25). Davide resta chiuso nel suo peccato, convinto che non poteva agire diversamente, autolegittimandosi. Questa è la conclusione a cui giungono tutti coloro che mancano alla fedeltà, all’amicizia, alla famiglia: non vorrebbero fare del male, ma non hanno altro modo per uscire da quello che ritengono un vicolo cieco. Ora il re non ha più difficoltà a prendere la moglie di Uria, proprio perché pensa di aver fatto la sola cosa giusta possibile. Betsabea diverrà moglie di Davide e partorirà un figlio.

Dio guida Davide verso il pentimento

Il capitolo 11 termina con una parola che capovolge la situazione: “Ma l’azione che Davide aveva commesso dispiacque al Signore” (v. 27b). In realtà, il re si era dimenticato completamente di Dio e dei canti che aveva composto: “Mio Dio, tu sei il mio Dio… ho sete di te… Tu sei la mia roccia, la mia difesa”. In tutta questa storia angosciante, non si dice che abbia mai pregato. Non gli è mai venuto in mente di chiedere: Signore, aiutami tu a venirne fuori! Riteneva che il problema fosse solo suo e che nessuno, nemmeno Dio, potesse aiutarlo. Davide si era dunque molto allontanato da quello spirito di fede, di umiltà, di abbandono, che era il suo. Probabilmente, anzi, aveva pensato: Il Signore mi ha lasciato entrare in questo pasticcio, non è più con me.

Il peccato l’ha condotto alla confusione, all’aridità, alla tristezza. Un piccolo disordine coltivato l’ha portato a commettere un errore dietro l’altro.

Con il cap. 12, Dio riprende il filo della storia: “Il Signore mandò il profeta Natan da Davide” (v. 1). Se non l’avesse mandato, Davide sarebbe rimasto per tutta la vita nella convinzione di aver scelto la sola via possibile. Il Signore però vuole l’ordine, la pace, la verità, secondo le parole del Salmo: “Tu ami la verità nel profondo dell’essere”.

Il racconto continua con una parabola che, a poco a poco, ricostruisce la verità in Davide. La narrazione è semplice, un po’ ingenua, perché descrive una situazione estrema.

Davide ritorna se stesso. Dio lo libera facendo presa, nella sua infinita bontà e finezza psicologica, sui suoi sentimenti migliori: la lealtà, il bisogno di difendere la giustizia. Non viene rimproverato, come faremmo noi in un caso del genere. Se Natan l’avesse accusato probabilmente avrebbe trovato delle giustificazioni. L’appello non è rivolto al Davide peccatore, bensì al Davide giusto, leale, e per questo riesce, e Davide, preoccupandosi della giustizia, esclama: “Pagherà quattro volte il valore della pecora per aver commesso questa azione e non aver avuto pietà”.

Adesso il momento è delicatissimo: che cosa dirà Natan? Avrà il coraggio di parlare? Sappiamo per esperienza come è difficile dover affrontare certe situazioni e come spesso ci manca il coraggio della verità.

“Tu sei quell’uomo!”. Davide è colpito fortemente e confessa a Natan che gli ha annunciato il castigo di Dio: “Ho peccato contro il Signore!”. Ora riprende tutta la sua statura spirituale, esce dall’incubo terribile e ritrova quella che sarebbe stata la via di uscita più semplice, più ovvia: rinunciare alla rispettabilità per affermare il supremo valore di Dio. Avendo voluto difendere il privilegio di re è entrato in una serie di menzogne, di infedeltà fino all’omicidio. La sua ammissione nasce da un cuore umiliato e sincero e Natan gli dice che il Signore lo perdona, risparmiandogli la morte. Invece morirà il bambino nato da Betsabea.

Riconoscersi in Davide

Questa storia piena di saggezza non è lontana da noi perché Davide è un grande modello per tutti i tempi. Ci insegna come da piccole disattenzioni l’uomo entra in gravi difficoltà, e se non tiene lo sguardo fisso in Dio cade in errori sempre più grandi per coprire i precedenti. Dio però è ricco di misericordia e interviene per aiutarci a ritrovare il meglio di noi, a ritrovare ciò che lo Spirito ha messo come dono nel nostro cuore: l’amore per la verità, per la giustizia, per la lealtà.

Le parole di Gesù ci ammoniscono oggi e sempre: “Dal cuore provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le diffamazioni. Ecco le cose che rendono l’uomo impuro” (Mt. 15, 19).

Ci riconosciamo in Davide perché in ciascuno di noi c’è il cuore cattivo da cui proviene il disordine.

Per questo siamo invitati, dal Salmo 51 e dal racconto, a riflettere seriamente: non possiamo presumere di essere esenti dalla colpa solo perché non siamo re o non abbiamo la potenza di Davide.

È la nostra condizione umana che si trova in un destino di disordine e quindi rischia di farci diventare, almeno nelle piccole circostanze, prigionieri di noi stessi, incapaci di riconoscerci e di confessarci peccatori. Solo la grazia di Dio, continuamente invocata e accolta, ci rimette ogni giorno nella verità.

La conclusione messianica dei peccati di Davide

Vorrei far notare che i due peccati di Davide, su cui ci siamo soffermati, hanno entrambi una conclusione messianica; è il motivo, probabilmente, per cui la Bibbia sottolinea soltanto queste due azioni peccaminose del re. Noi dobbiamo abituarci, leggendo la storia di Davide (ma anche tutto l’Antico Testamento), a cogliere l’intreccio degli eventi che a poco a poco formano un unico disegno che sfocia nella rivelazione di Gesù.

- il peccato del censimento si conclude, abbiamo detto, con il chiarore del tempio: attraverso la colpa, il castigo, l’angelo, Gerusalemme, si giunge a vedere il primo altare, segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, a vedere l’inizio del tempio che avrebbe prefigurato il tempio definitivo, Gesù con noi, l’Emmanuele.

- l’adulterio con Betsabea e l’uccisione di Uria conducono alla nascita di Salomone, simbolo del principe della pace. Se leggete l’inizio del Nuovo Testamento, vedrete che tutto questo è molto chiaro nella coscienza dello scrittore sacro: “Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo… Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria” (cfr. Mt 1, 1 ss.). Betsabea è indicata come moglie di Uria proprio per ricordare gli avvenimenti oscuri che hanno portato alla nascita di Salomone.

Non solo, ma nel testo evangelico sono menzionate altre tre donne: Tamar, Racab, Rut, tutte connesse con fatti significativi della storia sacra, più o meno edificanti. Come a dire che Gesù riassume in sé le memorie passate le quali non vanno quindi dimenticate. Noi siamo chiamati a conoscere questo Gesù che è il Messia dell’umanità.

Il Salmo 51

Il “Miserere” è forse il più famoso dei Salmi. Preso più volte come ispirazione da scrittori e musicisti (ultimo anche Zucchero). Tuttavia è, di per sé, semplicissimo, e il nocciolo è la parola che Davide dice a Natan: “Ho peccato contro il Signore”.

Stabilito questo, non è tanto importante sapere se sia stato composto direttamente da Davide o se lo si è composto più tardi, riferendosi alla sua storia. Sicuramente, rivela una connessione profonda con la letteratura profetica, in particolare con Isaia ed Ezechiele. Per esempio il v. 9: “Purificami con l’issopo: sarò mondo; lavami: sarò bianco più della neve”, è in assonanza con la preghiera di penitenza e di pentimento del profeta: “Venite e discutiamo, dice il Signore. Anche se i vostri peccati saranno come scarlatto, come neve essi saranno bianchi” (Is 1, 18). Ancora, il v. 12: “O Dio, crea per me un cuore puro” ricorda Ezechiele: “Io darò loro un cuore nuovo e metterò in loro uno spirito nuovo” (Ez 11, 19 e anche 36, 26). La Bibbia di Gerusalemme riporta tutti gli altri rimandi ai profeti.

Non è facile analizzarlo perché è composto come una sinfonia del cuore, riprendendo temi già espressi. Tuttavia si possono scoprire in esso quattro movimenti: il passato; il presente; l’appello; il futuro. Vediamo le parole-chiave di ciascun movimento.

I quattro movimenti del Salmo

1 - Anzitutto il passato, costituito dalle parole di Davide: “Ho peccato”. I verbi sono al passato, ed è interessante soprattutto notare la struttura della confessione dell’uomo che avverte di essere caduto nel disordine: il passato è evocato, però molto brevemente.

2 - Sul presente ci si diffonde un po’ di più. Lo leggiamo, ad esempio, al v. 5. I vocaboli usati nelle diverse traduzioni per indicare il disordine, la ribellione, il peccato, non rendono purtroppo la lingua originale adeguatamente. Nel testo ebraico sono quattro le parole che esprimono ciò di cui ha coscienza Davide: pesha’, ‘awon,hatta, ra’ah. Esse significano deviazione dalla strada diritta, come se si procedesse a zig-zag toccando continuamente gli estremi, una specie di smarrimento; oppure un cuore cattivo, maligno, ribelle, invidioso, scaltro; disarmonia nella vita, mancanza di scioltezza e di equilibrio; il contrario di ciò che è buono, l’allontanamento dal bene. Vocaboli diversi per indicare, tutti, la consapevolezza dell’uomo di non riuscire ad andare sempre, come dovrebbe, per il cammino diritto, di non essere in armonia con se stesso, con Dio, con la natura e con gli altri, di non essere benevolo ma di lasciarsi andare a pensieri cattivi.

3 - L’appello è il tema che appare fin dall’inizio ed è continuamente ripreso. E una preghiera, una supplica, una invocazione di purificazione. I verbi sono all’imperativo: “Pietà di me, o Dio, nella tua bontà, nella tua grande tenerezza cancella il mio peccato, lavami da tutta la mia malizia, purificami dalla mia colpa… / Purificami con l’issopo… / Lavami… / Rendimi il senso della gioia e della festa… / Distogli il tuo volto dai miei peccati… / Crea per me un cuore puro, ristabilisci dentro di me uno spirito saldo”. Questo appello è anzitutto pieno di fede. Il Salmo non è solo confessione delle proprie colpe ma, a partire dalla coscienza che se ne ha, diventa confidenza in Dio, espressa con ogni possibile metafora: “Rendimi il senso della gioia e della festa, e danzino le ossa che tu hai spezzato!”.

Nell’espressione di questo desiderio, l’uomo si appoggia sulla misericordia di Dio ed è così misteriosamente ricostruito.

- La fiducia è il tema dominante dell’invocazione, annunciato nel v. 3: “Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato”. L’ebreo fa appello alla hesed di Dio, sorgente prima di tutta la storia di salvezza. Colpisce che la confessione abbia inizio con questo profondo senso di fiducia, con una lode di Dio, con la proclamazione della sua bontà; dopo verrà espressa la vergogna che si prova. È dunque un genere di confessione che apre il cuore, che dice speranza. Non inizia nemmeno con una giustificazione. Quando domandiamo perdono a un altro, normalmente noi cominciamo così: “Non volevo farti del male, non era mia intenzione, mi dispiace ma non ho pensato di ferirti…” Davide invece parte facendo appello alla bontà e alla tenerezza del “suo” Dio, senza appoggiarsi a delle scuse o al proprio pentimento. È un capovolgimento importante perché l’uomo è sempre tentato di giustificarsi davanti a Dio o di proclamare di avere il cuore spezzato, di essere dispiaciuto. Nel Salmo si parlerà di ossa spezzate, ma dopo aver proclamato la grandezza dell’amore divino. La fiducia è dunque un punto decisivo nel processo di confessione.

- Un secondo tema dell’appello è il desiderio di purificazione: “Lavami… mondami… purificami… distogli il tuo volto dai miei peccati… cancella… liberami dal sangue…”. Questo desiderio non nasce dalla forza dell’uomo, ma è suscitato da Dio stesso. Non si dice: Voglio essere attento, non voglio più essere negligente; ma: lavami, purificami, liberami perché solo tu puoi farlo, solo la tua misericordia può ricrearmi.

- Infine, in questo appello, troviamo il senso della novità: “O Dio, crea in me un cuore puro” (v. 12). Il verbo creare designa un’azione divina, la grande azione divina dell’inizio, quando “Dio creò il cielo e la terra…” (Gn 1,1 ss.). È importantissima la fiducia nella novità di vita nello Spirito. In genere, la gente non crede a un cambiamento vero dell’uomo, a una vera conversione, all’azione dello Spirito che può trasformare i cuori e le situazioni.

È grave questa mancanza di speranza negli uomini e, talvolta, in noi stessi: “Sono sempre lo stesso, non cambierò mai, non c’è niente da fare”. È la tentazione del Nemico che ci spinge alla disperazione cinica, mentre il “Miserere” fa respirare il contrario: “O Dio, crea in me un cuore puro, rinnova in me uno Spirito saldo“.

Nell’antico latino, la seconda parte di questo versetto era tradotta: “Et spiritu principali confirma me“. Lo spirito principale viene invocato sul Vescovo, al momento dell’ordinazione, come lo Spirito che la Chiesa invoca su di lui. Il vocabolo ebraico non è facile da tradurre e indica uno spirito solido, che serva per una costruzione ben strutturata.

Viene menzionato lo Spirito tre volte perché è lo Spirito a fare la novità del cuore, è lui il dono del Nuovo Testamento, che rende nuovo il cuore dell’uomo. Giustamente, la Bibbia di Gerusalemme rimanda, per il v. 13 (”il tuo spirito santo”) alla lettera ai Romani 8, 9. In realtà, tutto il capitolo 8 di questa lettera, che parla della vita del cristiano secondo lo Spirito, può essere meditato in riferimento al Salmo 51.

4 - Il quarto tema del “Miserere” è il futuro, espresso a partire dal v. 15: “Insegnerò ai peccatori le tue vie…”. È la speranza, propria del cuore nuovo, che il futuro cambierà. Esso non sarà più, come il passato, sotto il peso del peccato, del disordine, dell’ambizione, della vanità della vita. Sarà piuttosto nel senso della missione, dell’apostolato, della predicazione al mondo del cambiamento del cuore degli uomini: “Insegnerò ai peccatori le tue vie”. Non solo mi rialzerò io, ma aiuterò anche gli altri.

Stupenda la ricchezza di questo Salmo che ci incanta per l’ampiezza dei sentimenti che evoca e la tenerezza, la sagacità, la psicologia, la finezza delle parole. In esso si riflettono tutti i movimenti cattivi e tutti i movimenti di bene presenti nel cuore umano.

Coscienza del peccato e dimensioni del tempo

Un’ultima osservazione. I quattro movimenti - passato, presente, appello, futuro - significano che la coscienza del peccato, davanti alla misericordia divina, svela agli uomini le dimensioni del tempo.

Il nostro tempo, spesso ripiegato su un presente noioso, difficile, fastidioso, si allarga, nel momento in cui prendiamo coscienza del nostro disordine, nella coscienza esaustiva del reale. Il passato non è mai da dimenticare perché nel presente si fa appello alla misericordia e diventa certezza del futuro.

Per questo è desolante che gli uomini abbiano timore della confessione sacramentale e non desiderino compierne il cammino, rinunciando alla larghezza di spirito che nasce dal processo di purificazione.

La confessione non è un evento penoso, doveroso, formale, ma ci aiuta ad appropriarci delle dimensioni temporali della nostra vita senza rinnegare niente; ci aiuta a inglobare i sentimenti tristi, che cerchiamo di emarginare, esprimendoli a Dio. Direi che la confessione è un vero cammino di liberazione, assolutamente necessaria.

Vi suggerisco quindi di provare a confessarvi partendo dall’esperienza del salmista, mettendo al primo posto la lode di Dio, l’affermazione della sua bontà e tenerezza, le meraviglie da lui compiute nella vostra vita.

Allora il cuore si apre, riafferma il tempo passato e presente, facendoci confessare quello che siamo, dicendo a Dio i sentimenti di fondo - nervosismi, inquietudini, amarezze, disgusti, inimicizie - che ci pesano e che sono la radice di tante mancanze.

A questo punto comincia la confessione di fede, la richiesta di essere liberati, purificati da ciò che non vogliamo essere, di essere cambiati: “Crea in me, o Dio, un cuore nuovo, donami la gioia della tua salvezza, non privarmi del tuo santo spirito, perché non è la grandezza del mio pentimento, bensì il tuo amore, che trasforma la mia vita!”. È la preghiera che ci immette pacificamente nella misericordia di Cristo, quella misericordia che scende su di noi nel sacramento della penitenza.

Salmo 51 (50)

1 Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.

2 Quando venne da lui il profeta Natan dopo che aveva peccato con Betsabea.

3 Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia;

nella tua grande bontà cancella il mio peccato.

4 Lavami da tutte le mie colpe,

mondami dal mio peccato.

5 Riconosco la mia colpa,

il mio peccato mi sta sempre dinanzi.

6 Contro di te, contro te solo ho peccato,

quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto;

perciò sei giusto quando parli,

retto nel tuo giudizio.

7 Ecco, nella colpa sono stato generato,

nel peccato mi ha concepito mia madre.

8 Ma tu vuoi la sincerità del cuore

e nell’intimo m’insegni la sapienza.

9 Purificami con issopo e sarò mondo;

lavami e sarò più bianco della neve.

10 Fammi sentire gioia e letizia,

esulteranno le ossa che hai spezzato.

11 Distogli lo sguardo dai miei peccati,

cancella tutte le mie colpe.

12 Crea in me, o Dio, un cuore puro,

rinnova in me uno spirito saldo.

13 Non respingermi dalla tua presenza

e non privarmi del tuo santo spirito.

14 Rendimi la gioia di essere salvato,

sostieni in me un animo generoso.

15 Insegnerò agli erranti le tue vie

e i peccatori a te ritorneranno.

16 Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza,

la mia lingua esalterà la tua giustizia.

17 Signore, apri le mie labbra

e la mia bocca proclami la tua lode;

18 poiché non gradisci il sacrificio

e, se offro olocausti, non li accetti.

19 Uno spirito contrito è sacrificio a Dio,

un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi.

20 Nel tuo amore fa grazia a Sion,

rialza le mura di Gerusalemme.

21 Allora gradirai i sacrifici prescritti,

l’olocausto e l’intera oblazione,

allora immoleranno vittime sopra il tuo altare.

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