Ct 1,2-17

Dopo un piccolissimo libro della Bibbia, un altro piccolo libro: il Cantico dei Cantici (d’ora in poi Ct). Nell’originale ebraico sono solo 1250 parole, 8 capitoletti, ma talmente ricco da essere uno dei libri dell’Antico Testamento più commentati.

Quindi, essendo molto ricco, è anche difficile. Difficoltà si sono presentate fin per la sua accettazione nel canone, sia in quello ebraico sia in quello cristiano. La prima difficoltà, ma è la minore, sta nel fatto che la protagonista principale è una donna, ma qui diversamente da Rut, è una donna che prende l’iniziativa, che parla, che “provoca” una reazione nell’uomo; invece di esservi sottomessa si pone, ed è realmente, al suo pari, allo stesso livello. La seconda difficoltà sta nel fatto che Dio non viene nominato mai, a parte in 8,6 in cui i fulmini vengono chiamati “fiamma del Signore” quindi in maniera completamente marginale, a-teologica; Dio sembra essere il grande assente. E infine alcuni lo consideravano troppo carico della passione amorosa, uno scritto che concedeva troppo al sentimento e all’animo umano, troppo intriso di carnalità e corporeità.

C’è una bella espressione ebraica per indicare la sacralità di un libro: un libro è sacro (cioè ispirato) se “sporca le mani”. Il sacro “sporca le mani” perché non si può entrare in contatto con Dio senza che un po’ della sua santità ci rimanga addosso; non si esce indenni, l’incontro vero con Dio ci cambia. Inoltre “sporca le mani” perché fa emergere il proprio peccato, la propria lontananza dalla misericordia, dalla santità e dall’amore di Dio.

Quando intorno al 100 d.C. si iniziò a stabilire il canone ebraico, sul Ct sorsero accesi dibattiti. Anche se era già usato nella liturgia del secondo tempio (quello ricostruito dopo l’esilio Babilonese) nel culto del giorno di Pasqua (il giorno delle nozze tra Dio e il popolo d’Israele), i contrari alla sua accoglienza tra i libri sacri erano numerosi. L’intervento risolutivo fu quello di Rabbi Aqibà, che disse: “In Israele nessuno ha mai contestato che il Cantico sporca le mani perché il mondo intero non vale il giorno in cui è stato dato ad Israele il Cantico dei cantici. Tutte le Scritture sono sante, ma il Cantico dei cantici è il santo dei santi”.

Chi sono i protagonisti di questo libro? Sono un ragazzo e una ragazza che si amano. Da nessuna parte si dice che siano sposati. Anche nella traduzione latina di 4,8: “Veni sponsa de Libano”, “sponsa” non è “uxor” cioè “moglie”. Usando un linguaggio d’oggi si dovrebbe dire che sono due che almeno fino alla fine del libro non hanno alcuna intenzione di fare le pubblicazioni matrimoniali!

Ma c’è un altro protagonista, che purtroppo non viene quasi mai evidenziato: il loro amore. Invece questo è il protagonista principale, senza il quale la storia non avrebbe senso. L’amore umano in sé (e non solo come metafora) parla di Dio. Se esiste l’amore umano, esiste Dio. Chi ama conosce Dio (1Gv 4,7) e lo irradia attraverso il suo amore, rivelandolo al mondo.

Il racconto (Ct 1,2-17)

(LEI) 2Mi baci con i baci della sua bocca! / Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino. / 3 Per la fragranza sono inebrianti i tuoi profumi, / profumo olezzante è il tuo nome, / per questo le giovinette ti amano. / 4 Attirami dietro a te, corriamo! / M'introduca il re nelle sue stanze: / gioiremo e ci rallegreremo per te, / ricorderemo le tue tenerezze più del vino. / A ragione ti amano! / 5 Bruna sono ma bella, o figlie di Gerusalemme, / come le tende di Kedar, / come i padiglioni di Salma. / 6 Non state a guardare che sono bruna, / poiché mi ha abbronzato il sole. / I figli di mia madre si sono sdegnati con me: / mi hanno messo a guardia delle vigne; / la mia vigna, la mia, non l'ho custodita. / 7 Dimmi, o amore dell'anima mia, / dove vai a pascolare il gregge, / dove lo fai riposare al meriggio, / perché io non sia come vagabonda / dietro i greggi dei tuoi compagni.

(CORO) 8 Se non lo sai, o bellissima tra le donne, / segui le orme del gregge / e mena a pascolare le tue caprette / presso le dimore dei pastori.

(LUI) 9 Alla cavalla del cocchio del faraone / io ti assomiglio, amica mia. / 10 Belle sono le tue guance fra i pendenti, / il tuo collo fra i vezzi di perle. / 11 Faremo per te pendenti d'oro, / con grani d'argento.

(LEI) 12 Mentre il re è nel suo recinto, / il mio nardo spande il suo profumo. / 13 Il mio diletto è per me un sacchetto di mirra, / riposa sul mio petto. / 14 Il mio diletto è per me un grappolo di cipro / nelle vigne di Engàddi.

(LUI) 15 Come sei bella, amica mia, come sei bella! / I tuoi occhi sono colombe.

(LEI) 16 Come sei bello, mio diletto, quanto grazioso / Anche il nostro letto è verdeggiante. / 17 Le travi della nostra casa sono i cedri, / nostro soffitto sono i cipressi.

Il commento

Piccola premessa. Oltre alle difficoltà per così dire teologiche di cui accennavo all’inizio, ci sono anche delle difficoltà letterarie in questo testo. Su di un totale di 1250 parole, circa una cinquantina sono presenti solo qui in tutta la Bibbia. Inoltre mentre l’argomento è chiaramente gioioso, è un canto di felicità, la metrica usata nell’originale ebraico è quella usata per i canti solenni, di lamento. Già da questo si vede la notevole “polisemia” di tutto questo canto. È complesso com’è complessa la vita umana: gioia e dolore, pianto e appagamento mescolati. E così è anche l’amore umano. Questa complessità fece dire ad Origene: “Beato chi comprende e canta i cantici della Scrittura, ma più beato chi canta e comprende il Cantico dei Cantici”.

Il libro inizia subito con una specie di ouverture in cui sono condensati i temi che poi saranno sviluppati: la donna, il suo uomo, il coro, l’ebbrezza dell’amore, il desiderio, il possesso, la contemplazione. Come nota Giovanni Paolo II (discorso sul Ct del 24.5.1984) si delimita il cerchio tracciato dall’irradiazione dell’amore in cui si muoveranno i protagonisti.

La prima parola del Ct è un bacio inebriante in cui le bocche si cercano per comunicarsi il respiro e la vita stessa. In tutta l’area mediterranea esiste una tradizione costante nella quale il vino viene assunto a simbolo dell’amore: hanno identica capacità di conquistare l’uomo. E anche nella Bibbia il vino è simbolo di delizia e gioia della vita (cfr. ad es.: Qo 2,3; Is 22,13; Sal 104,15). Anche la stessa esperienza di Dio viene definita come un gustare saporoso (Sal 34,9), ed è per questo che la tradizione giudaica ha visto nel bacio e nel vino del Ct il segno della legge e del Messia.

Ma l’ebbrezza non è data solo dal bacio, ma anche dalla trama degli atti d’amore, quelli che nel Ct, qui e altre tre volte (4,10; 5,1; 7,13) sono detti dodîm, cioè gli amori, le carezze, le tenerezze reciproche. Appare qui per la prima volta la radice ebraica dwd che sarà il filo conduttore ininterrotto del Ct. Questa radice ha in sé il nome santo e amato da ogni ebreo: dwd-dawid-Davide.

E dopo il gusto viene coinvolto l’odorato (vedremo come nel Ct vengano coinvolti tutti i cinque sensi). L’olio profumato avvolge l’amato. Ma l’originale ebraico ha anche un raffinato gioco di parole: in ebraico “nome” si dice šem, che è molto simile alla parola šemen che vuole dire “profumo”. Non dimentichiamo poi che per il semita il nome è la persona stessa, la sua essenza, la sua realtà più profonda. La donna quindi dice al suo uomo: “Sei tu il profumo più affascinante, la tua presenza stessa è profumo”.

Nel v. 4 troviamo un appello che si potrebbe tradurre così: “trascinami, rapiscimi dietro a te”. Il verbo usato è lo stesso che Osea, il cantore profetico dell’amore, applica a Dio mentre tenta di conquistare il suo popolo: “Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d'amore” (Os 11, 4).

All’improvviso entra in scena un personaggio inatteso: il re. Il modello regale era applicato alle celebrazioni nuziali; lo sposo è il re della festa, e la sposa ne è la regina. Ancora oggi, nel rito matrimoniale ortodosso, nel corso della cerimonia la sposa viene incoronata.

Ma in questo verso ci sono ancora tre punti importanti, significativi.

Il primo è il vocabolo tradotto con “le sue stanze”. Il senso primario è tipicamente nuziale. Ma nella Bibbia lo stesso vocabolo è usato anche in senso tecnico per indicare il Sancta Sanctorum del tempio, la cella in cui era custodita l’arca, il luogo dell’incontro tra Dio e il suo popolo.

Il secondo riguarda i verbi “gioire”, “rallegrarsi”. Sono tutti espressi al plurale: è un “noi” che coinvolge non solo la coppia, ma anche il coro e il mondo intero. L’amore che sboccia in una coppia si irradia sul mondo intero, ha un influsso che rende meno malvagia l’umanità.

Infine il terzo punto riguarda il verbo “ricordare”. L’originale ebraico è “zkr”, che è ricordare, ma non in modo nostalgico, ma creativo ed efficace. È il “memoriale”, cioè rendere vive e presenti oggi le azioni dell’amore di Dio. Il senso qui allora è che l’amore sfida il tempo: è certamente la storia passata di un incontro, ma è anche il presente e l’attesa di un futuro sempre nuovo da “assaporare”. L’amore quindi è ricordo, presenza e speranza.

A questo punto c’è il famoso verso “bruna sono ma bella” che ha generato tante interpretazioni, anche le più disparate. Il significato letterale è invece molto semplice ed esprime un fatto molto presente in tutte le culture: ciò che è diverso, inusuale, affascina. Per l’oriente il segno dello splendore è il biondo e la carnagione bianca. E difatti anche la donna, in 5,10, per celebrare la bellezza del suo uomo affermerà che è “bianco e vermiglio”.

Ed è molto bello vedere questa profonda umanità della parola di Dio, che conosce anche le attenzioni ai gusti, alle piccole mode locali, ai vari tipi di bellezza.

Ma c’è anche un altro dato nascosto, almeno a noi, in questo quadretto. La ragazza confessa di aver abbandonato la sua vigna, anzi al v. 6 c’è un’insistenza: “la mia vigna, la mia”. Ma in tutta la letteratura medio orientale la vigna ha un doppio senso di origine sessuale legato alla femminilità. Quindi la donna pronuncia una dichiarazione di autonomia nei confronti del suo corpo e del suo destino. Come dice il v. 7 è disposta ad affrontare il rischio del disonore (il termine “vagabonda” viene dalla traduzione di s. Gerolamo, nell’originale si legge “donna velata”, che può avere sia il significato di donna disperata che di prostituta, dipendeva dal colore del velo che ricopriva il volto). Per il Ct la vigna della sposa è sì aperta e incustodita, ma solo perché è totalmente dedicata e offerta allo sposo.

E la ricerca dello sposo si fa spasmodica. L’espressione dolce e amara allo stesso tempo “amore dell'anima mia” (v. 7) letteralmente si dovrebbe tradurre così: “O tu, che la mia anima ama”. Ma “anima” in ebraico (nefeš) non è qualcosa di spirituale, ma è il respiro stesso della persona, il suo stesso esistere. Quindi qui si dice che l’amato è il respiro stesso della persona innamorata, la sua stessa vita; la sua assenza è morte, la distruzione dello stesso “io” dell’amante.

A questo punto entra in scena il coro. Ed è tramite questo intervento che si apre alla donna la speranza: tra poco ci sarà l’incontro con l’amato. L’elemento fondamentale di questi versi è che l’amore non è solo possesso, ma anche continua ricerca e continua conquista.

E finalmente l’incontro avviene! Il canto degli innamorati non fa altro che ripetere i segreti della bellezza reciproca. E questa bellezza viene descritta usando quanto di più affascinante Dio ha creato: perle, ori, argenti, nardo, mirra, cipro, viti e vino, ecc. ecc..

Le prime parole dello sposo, col paragone della cavalla, a noi sembrano molto ridicoli, per non dire di peggio. Invece presso i popoli semiti è simbolo di perfezione e bellezza. Basta andare a rileggersi il ritratto che ne fa Dio stesso nel libro di Giobbe (Gb 39, 19-25). Comunque tutta la descrizione del volto dell’amata è fatta con molta delicatezza. Nel Ct si supera l’utile e il necessario per esaltare la gioia, l’eleganza, la libertà, la bellezza, lo splendore. Da un punto di vista spirituale il pensiero corre al profeta Isaia: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli” (Is 61, 10)

Se le parole del giovane erano legate a simboli visivi, la ragazza torna ai simboli odorosi (il cipro è un arbusto odoroso da cui di ricava anche l’henné). Compare qui per la prima volta il vocabolo dodî che risuonerà per 30 altre volte nel Ct. È un vezzeggiativo, reso in genere con “mio diletto”, ma è più simile ai nomignoli che in genere si danno gli innamorati.

L’uomo viene avvolto dai profumi e stretto in un abbraccio; è quindi simile a quel sacchetto di mirra che la donna porta sul petto (questa era un’usanza comunissima). L’originale più che “riposa”, dice “pernotta”, passa l’intera notte tra i seni della donna. La lettura spirituale dei Padri della Chiesa trasforma i due seni della donna nell’Antico e nel Nuovo Testamento.

Anche nella risposta di lui c’è un vocabolario che sarà costante. Quel “bella”, che nell’originale è “jafah” che più precisamente significa “incantevole”, e comparirà molte altre volte nel Ct, e che nel verso successivo lei gli rilancerà. Questo è un aggettivo molto “visivo”, che nella Bibbia viene applicato a Sara, a Tamar, agli occhi di Davide. Ed è proprio sugli occhi che l’innamorato si fissa adesso. Negli occhi l’uno dell’altro gli innamorati sanno intuire parole non dette, sentimenti inespressi.

La colomba è il simbolo della fedeltà, dell’innocenza e della tenerezza.

Questo primo capitolo si chiude con un’immagine che richiama, per certi versi, la celebre canzone di Gino Paoli “Il cielo in una stanza”. Anche se i due sono solo su di un prato, il loro amore lo rende lussuoso ed eccezionale, gli arbusti che li circondano diventano degli splendidi cedri.

Ma questo ha anche un altro significato. I cedri erano stati largamente usati per la costruzione del tempio, sia di quello di Salomone, che del secondo dopo il ritorno dalla deportazione babilonese. Quindi in sottofondo al prato si sostituisce lo splendore del tempio, il luogo dell’incontro tra Dio e la sua sposa, Israele.

Messaggio per noi

Di fronte ad un testo come questo che si presta a molteplici livelli di lettura risulta molto difficile, per non dire quasi impossibile, individuare un messaggio univoco e che sia adatto al maggior numero di persone. A seconda del proprio stato di vita e della situazione che uno si trova a vivere in quel momento, ognuno di noi sentirà vibrare delle corde diverse, dei messaggi diversi.

A puro titolo d’esempio, quale può essere il messaggio che uno recepisce di fronte ai versi iniziali: “Mi baci con i baci della sua bocca...”?

- Due sposi o fidanzati possono pensare all’invito che l’Amore, cioè Dio, fa a loro di amarsi profondamente ed eternamente. L’invito quindi è di sentirsi baciati intensamente dall’Amore in modo da divenire capaci di vivere in perfetta, eterna e feconda relazione d’amore.

- Un altro può pensare a come Dio ha voluto bene al suo popolo, tanto da “baciarlo” sul monte Sinai e dargli la sua Parola e la sua Legge. Questa è l’interpretazione tradizionale ebraica.

- Un altro ancora può invece pensare a come Gesù ci ha amato, fino al punto da donarci la sua vita sulla croce. E questa è l’interpretazione classica della spiritualità monastica.

- Un prete può meditare sull’amore che Gesù ha avuto per la gente, e in che modo l’amore divino e sponsale del Cristo lo porti a spingersi in un uguale amore verso la sua parrocchia. Lui non è un professionista dell’anima, né un capo, né soltanto un servo. È prima di tutto uno sposo.

- Un’altra persona può pensare agli altri perché tutti sono persone da amare, i vicini di casa, i colleghi di lavoro, le persone con cui a vario titolo entra in contatto. Ogni persona deve essere non uno strumento o un accidente, ma il termine del suo amore, un amore che ha la sua forza “simbolica” e reale nell’amore sponsale. C’è un invito ad essere degli innamorati.

- Infine una persona che è ancora alla ricerca “dell’anima gemella” può pensare a come sarà bello l’incontro con questa persona che Dio fin dall’eternità ha stabilito per lei, a come sarà sorprendente lo scoprirsi vicendevolmente l’uno per l’altra.

Capite quindi che non è possibile ricavare un senso unico, o comunque preponderante. Quindi mi limiterò a dare solo alcuni spunti. Sentitevi pienamente liberi di prenderli, sono solo un aiuto per la vostra riflessione.

Attirami dietro a te, corriamo!” L’amore è bello, amare fa bene, dà pace, serenità e gioia. Noi riusciamo ad amare perché scopriamo di essere amati. E quindi è importante, soprattutto nei confronti dei figli e dei giovani in generale, che riusciamo a donare degli esempi di amore, dargli un’esperienza d’amore.

Bruna sono ma bella” La donna sembra voler dire: non guardare solo il mio aspetto esteriore, guardami in tutta la mia persona. Non è solo l’aspetto esteriore che conta, ma tutta la persona. Come l’amore divino ha trasfigurato Gesù, così l’amore umano riesce a trasfigurare chi ama. Non è vero che l’amore è cieco, anzi, solo l’amore vede bene.

Mi hanno messo a guardia delle vigne” Il mio amore è stato più forte degli interessi a cui mi avevano impegnato gli altri. Ci hanno rimesso le vigne, cioè certi doveri, certe routine. Non sono le opere che salvano, ma la carica d’amore che si mette nel fare le cose.

Perché io non sia come vagabonda dietro i greggi dei tuoi compagni” L’importanza della fedeltà. Un vero amore ha bisogno non della libertà che vaga senza raggiungere uno scopo, ma ha bisogno di correre appassionatamente in vista del fine. È una scelta libera, ma è una scelta che suppone decisione e fedeltà.

Segui le orme” Tante volte non si vede chiaro. C’è quindi bisogno di essere attenti ai segni, ai piccoli gesti. Ma le impronte del gregge possono essere anche le tracce lasciate da tutti i credenti che ci hanno preceduto, dai santi come dai nostri genitori e dalle persone che ci hanno amato o che sono state importanti per noi.

Belle sono le tue guance fra i pendentiTu sei la più importante. I monili attirano appena il mio sguardo, ma sei tu quella che attira la mia attenzione e il mio cuore.

Come sei bella, amica mia, come sei bella” Il Ct invita ad innamorasi delle persone, dell’amicizia, del proprio lavoro. Anche il prete è invitato ad innamorarsi, a sentirsi lo sposo della sua gente. Nei rapporti con le persone non dovrebbe prevalere l’aspetto professionale, il dovere, ma l’incontro con le persone. Com’è più bella la vita quando gli altri non ci sono indifferenti o nemici o concorrenti. Abbiamo bisogno degli altri per poter vivere meglio.

Nostro soffitto sono i cipressi” Quando si ha l’amore si ha bisogno di meno cose, il consumismo è meno ossessionante. La vera relazione aiuta a non essere schiavi delle troppe cose.

E per finire un’ultima noticina sul coro. Può rappresentare il mondo che è attorno agli innamorati. Due innamorati tendono spesso a chiudersi nel proprio intimo, a star bene solo tra loro due soli. Ma col mondo esterno è necessario un rapporto, un buon rapporto. Abbiamo bisogno anche degli altri. Il mondo esterno dà sempre qualcosa, anche quando c’è un rapporto conflittuale: stimola a superare i propri confini. Esso stimola il mio/nostro amore all’altruismo, alla solidarietà. Inoltre anche il mondo ha bisogno di noi

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