L'ideale di Davide

Ed eccoci giunti al nostro ultimo incontro, che per certi versi è anche il più difficile. Affrontare una lettura “spirituale” della Bibbia non è mai uno studio fine a se stesso, ma deve tendere ad una maggiore conoscenza di Dio, ad aumentare la nostra amicizia con lui. La meta principale è di riuscire a vedere il Risorto presente ovunque, vedere la Chiesa che cammina e si costruisce lungo i secoli, vedere lo Spirito che resuscita Gesù nel nostro cuore e in quello dei nostri fratelli. Se riusciamo ad ottenere questo sguardo di fede, riusciamo a vedere (o almeno a intuire) il disegno di Dio; se non l’abbiamo, consideriamo banali, se non negativi, tanti momenti e tante realtà nella nostra vita come in quella della Chiesa. Questa sera vedremo l’ideale di Davide che poi confronteremo con quello di Gesù. Però è necessaria una piccola premessa, per intenderci meglio sul significato dei termini e dei concetti.

L’ideale è ciò che ci si presenta o ci si propone come tipo perfetto, come modello assoluto. Da un punto di vista soggettivo è ciò che, sotto un certo punto di vista, darebbe una piena e perfetta realizzazione alle aspirazioni del nostro cuore e del nostro spirito.

Parlo di un ideale storico, di una situazione che almeno in parte venga realizzata in questo mondo. Però nessun ideale storico può prescindere da quello escatologico assoluto. Ogni ideale storico è sempre “inserito” in un ideale che lo trascende e gli dà un senso universale ed eterno. E d’altra parte non avrebbe senso la ricerca di ideali penultimi senza un riferimento a quello definitivo.

L’ideale escatologico assoluto si può esprimere in modi diversi:

- Teologicamente lo si indica con la visione beatifica, cioè il vedere Dio faccia a faccia, come Gesù vede il Padre. Perciò essere con Gesù davanti al volto del Padre, per la grazia dello Spirito, per sempre.

- La Gerusalemme celeste è un’immagine bellissima, un simbolo stupendo dell’ideale ultimo (cfr. Ap. 21)

- In Rom 8,11 s. Paolo lo esprime con la Risurrezione finale di tutti i giusti

- Oppure in 1 Cor 15, 28 l’ideale escatologico assoluto è il Regno consegnato al Padre (E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.). Poco prima (al v. 19) l’Apostolo ha sottolineato che senza questa speranza nella vita eterna, nessun ideale avrebbe senso: “Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini.”

La domanda che ci poniamo è questa: a partire dalla Gerusalemme celeste è possibile individuare nella storia dei riflessi visibili della resurrezione finale? è possibile individuare degli ideali di realizzazione del Regno nel tempo?

Il racconto (2 Samuele 7, 1-29)

1 Il re, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato tregua da tutti i suoi nemici all’intorno, 2 disse al profeta Natan: “Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto una tenda”. 3 Natan rispose al re: “Va’, fa’ quanto hai in mente di fare, perché il Signore è con te”. 4 Ma quella stessa notte questa parola del Signore fu rivolta a Natan: 5 “Va’ e riferisci al mio servo Davide: Dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? 6 Ma io non ho abitato in una casa da quando ho fatto uscire gli Israeliti dall’Egitto fino ad oggi; sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione. 7 Finché ho camminato, ora qua, ora là, in mezzo a tutti gli Israeliti, ho forse mai detto ad alcuno dei Giudici, a cui avevo comandato di pascere il mio popolo Israele: Perché non mi edificate una casa di cedro?

8 Ora dunque riferirai al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti: Io ti presi dai pascoli, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi il capo d’Israele mio popolo; 9 sono stato con te dovunque sei andato; anche per il futuro distruggerò davanti a te tutti i tuoi nemici e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. 10 Fisserò un luogo a Israele mio popolo e ve lo pianterò perché abiti in casa sua e non sia più agitato e gli iniqui non lo opprimano come in passato, 11 al tempo in cui avevo stabilito i Giudici sul mio popolo Israele e gli darò riposo liberandolo da tutti i suoi nemici. Te poi il Signore farà grande, poiché una casa farà a te il Signore. 12 Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. 13 Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. 14 Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male, lo castigherò con verga d’uomo e con i colpi che danno i figli d’uomo, 15 ma non ritirerò da lui il mio favore, come l’ho ritirato da Saul, che ho rimosso dal trono dinanzi a te. 16 La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre”.

17 Natan parlò a Davide con tutte queste parole e secondo questa visione.

18 Allora il re Davide andò a presentarsi al Signore e disse: “Chi sono io, Signore Dio, e che cos’è mai la mia casa, perché tu mi abbia fatto arrivare fino a questo punto? 19 E questo è parso ancora poca cosa ai tuoi occhi, mio Signore: tu hai parlato anche della casa del tuo servo per un lontano avvenire: e questa è come legge dell’uomo, Signore Dio! 20 Che potrebbe dirti di più Davide? Tu conosci il tuo servo, Signore Dio! 21 Per amore della tua parola e secondo il tuo cuore, hai compiuto tutte queste grandi cose, manifestandole al tuo servo. 22 Tu sei davvero grande Signore Dio! Nessuno è come te e non vi è altro Dio fuori di te, proprio come abbiamo udito con i nostri orecchi. 23 E chi è come il tuo popolo, come Israele, unica nazione sulla terra che Dio è venuto a riscattare come popolo per sé e a dargli un nome? In suo favore hai operato cose grandi e tremende, per il tuo paese, per il tuo popolo che ti sei riscattato dall’Egitto, dai popoli e dagli dèi. 24 Tu hai stabilito il tuo popolo Israele per essere tuo popolo per sempre; tu, Signore, sei divenuto il suo Dio. 25 Ora, Signore, la parola che hai pronunciata riguardo al tuo servo e alla sua casa, confermala per sempre e fa’ come hai detto. 26 Allora il tuo nome sarà magnificato per sempre così: Il Signore degli eserciti è il Dio d’Israele! La casa del tuo servo Davide sia dunque stabile davanti a te! 27 Poiché tu, Signore degli eserciti, Dio d’Israele, hai fatto una rivelazione al tuo servo e gli hai detto: Io ti edificherò una casa! perciò il tuo servo ha trovato l’ardire di rivolgerti questa preghiera. 28 Ora, Signore, tu sei Dio, le tue parole sono verità e hai promesso questo bene al tuo servo. 29 Dègnati dunque di benedire ora la casa del tuo servo, perché sussista sempre dinanzi a te! Poiché tu, Signore, hai parlato e per la tua benedizione la casa del tuo servo sarà benedetta per sempre!”.

L’ideale di Davide

Qual’era l’ideale storico di Davide? cosa intravedeva come modello assoluto dei desideri suoi e del suo popolo? Non è difficile trovarlo nei Libri di Samuele, espresso sia esplicitamente che implicitamente, e anche in tanti passi dei Salmi, che indicano, in preghiera, i desideri e le aspirazioni di Davide.

Mi pare però che il testo fondamentale sia quello proposto questa sera. Il Signore gli ha promesso una casa (dopo che lui aveva espresso il desiderio di costruire una casa per il Signore), e Davide, dopo che il profeta Natan gli ha riferito le parole di Dio, incomincia la sua preghiera (”Chi sono io, Signore Dio, e che cos’è mai la mia casa, perché tu mi abbia fatto arrivare fino a questo punto?” v. 18). Ciò che il Signore gli ha donato è meraviglioso: l’ha preso dai pascoli, l’ha reso capo di un popolo, gli ha fatto vincere guerre, ha dato stabilità e pace a Israele.

Capiamo quindi che l’ideale di Davide è: regno, pace, prosperità, sicurezza dai nemici, gioia, danze nel tempio. Il re è contento, perfettamente soddisfatto. Ma al v. 19 c’è un secondo aspetto, molto importante, di questo ideale: tutto quello che si è realizzato continuerà in futuro, è stabile. Davide non riesce a desiderare di più (vedi i vv. 28 e 29).

Però questo ideale, che sembra colmare ogni possibile desiderio di Davide, si realizza solo in parte: né la regalità né la promessa divina danno al re una vita felice. E difatti subito dopo, il capitolo 9 nella Bibbia di Gerusalemme ha per titolo: “La famiglia di Davide e gli intrighi per la successione”. Sono racconti di vicende dolorosissime, familiari e sociali, fino alla ribellione del figlio Assalonne e alla sua morte.

L’ideale c’è sempre, ma rimane sullo sfondo, e dai Salmi comprendiamo che Davide riesce ad andare oltre, a capire che c’è qualcosa di meglio del regno e della pace: “O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, / di te ha sete l’anima mia / la tua grazia vale più della vita” (Sal 63, 2.4). L’ideale è essere vicino a Dio. Forse Davide non capisce come si possa essere vicini a Dio senza la pace, il regno, il tempio, però sente che è così. “Non rifiutarmi, Signore, la tua misericordia, / la tua fedeltà e la tua grazia / mi proteggano sempre” (Sal 40, 12). Dio è più grande del regno perché è l’autore di ogni prosperità, di ogni pace, di ogni regno. Egli è in sé stesso buono, meraviglioso, ricco di gioia: “Esultino e gioiscano in te quanti ti cercano, / dicano sempre: “Il Signore è grande” / quelli che bramano la tua salvezza” (Sal 40, 17).

È questa tensione, presente nei Salmi, quella che ci aiuta a pregare con essi ancora oggi. Se si trattasse solo dell’ideale di un regno terreno, i Salmi non avrebbero una portata universale. È la tensione messianica verso l’ideale assoluto della storia, che nell’Antico Testamento non giungerà a chiarirsi completamente, anche se ha, in certi momenti, dei culmini molto alti come ad es. in Is 11: “Un germoglio spunterà dal tronco di Jesse, / un virgulto germoglierà dalle sue radici. / Su di lui si poserà lo spirito del Signore, / spirito di sapienza e di intelligenza, / spirito di consiglio e di fortezza, / spirito di conoscenza e di timore del Signore./ Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno / in tutto il mio santo monte, / perché la saggezza del Signore riempirà il paese / come le acque ricoprono il mare” (vv. 1-2.9).

Oppure, più avanti: “In quel giorno ci saranno cinque città nell’Egitto che parleranno la lingua di Canaan e giureranno per il Signore degli eserciti; una di esse si chiamerà Città del sole. In quel giorno ci sarà un altare dedicato al Signore in mezzo al paese d’Egitto e una stele in onore del Signore presso la sua frontiera: sarà un segno e una testimonianza per il Signore degli eserciti nel paese d’Egitto. Quando, di fronte agli avversari, invocheranno il Signore, allora egli manderà loro un salvatore che li difenderà e li libererà. Il Signore si rivelerà agli Egiziani e gli Egiziani riconosceranno in quel giorno il Signore, lo serviranno con sacrifici e offerte, faranno voti al Signore e li adempiranno. Il Signore percuoterà ancora gli Egiziani ma, una volta colpiti, li risanerà. Essi faranno ritorno al Signore ed egli si placherà e li risanerà. In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria; l’Assiro andrà in Egitto e l’Egiziano in Assiria; gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri. In quel giorno Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra. Li benedirà il Signore degli eserciti: “Benedetto sia l’Egiziano mio popolo, l’Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità”" (Is 19, 18-25)

Quindi il vertice dell’ideale di Davide, e della linea davidica, è perciò un regno di pace assoluta, nella conoscenza del Signore, nella concordia tra tutti gli uomini, nell’armonia con tutta la creazione.

L’ideale di Gesù

Gesù esprime il suo ideale storico anzitutto con una parola che si riallaccia fedelmente e fortemente con Davide: il Regno. Non possiamo capirlo in tutto il suo significato, in tutta la sua pregnanza, se non conosciamo l’ideale di Davide.

Gesù parte da questo concetto, ben presente agli ebrei, e lo riprende arricchendolo continuamente nella parabole, nei discorsi, nelle risposte. In Mt 4,17, dove è detto che Gesù comincia a predicare la necessità del cambiamento “perché il Regno dei cieli è ormai vicino”, la Bibbia di Gerusalemme fa un’annotazione in cui riassume tutti i dati neotestamentari sul Regno.

Gesù parla senza sosta di questo suo ideale storico anche dopo la risurrezione: “Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio” (At. 1,3)

Però Gesù mescola sempre l’ideale storico con quello escatologico, e per questo non è facile interpretare la sua predicazione. Annuncia un Regno definitivo, assoluto, che però comincia già adesso, tocca gli uomini, cambia il modo di rapportarsi della gente, ha il primato della pace e del perdono. E in questo mondo il Regno ha anche degli aspetti oscuri, di sofferenza, di umiliazione, che invocano la contemplazione del Regno finale per essere compresi e vissuti.

Ma “Regno” come parola-chiave non è l’unica, perché l’ideale di Gesù trascende la rigida terminologia, si declina in linguaggi, parole, espressioni diverse.

- In Gv 17 Gesù chiede in preghiera al Padre ciò che desidera dal più profondo del cuore. Anche noi, quando desideriamo molto qualcosa la domandiamo in preghiera: se chiediamo la salute fisica, significa che il nostro ideale in quel momento è lo star bene; se chiediamo la pace, vuol dire che la pace è il nostro ideale.

E cosa domanda Gesù? Che il Padre lo glorifichi: “E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse” (v. 5). La Gloria di Dio è l’ideale assoluto, escatologico, di Gesù. E la domanda per lui e per tutti gli uomini.

Ma sempre in quella preghiera esprime anche un ideale storico: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (vv. 20-21, ma vedi anche i successivi 22-23)

È l’ideale dell’unità dei credenti con lui, l’unità dei suoi e di lui stesso col Padre, affinché il mondo creda. Quindi il regno è indicato col linguaggio dell’unità. E difatti noi diciamo che la Chiesa è l’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, realizzata in questo mondo.

- Altra parola-chiave. Mt 28,18-19: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. L’ideale dell’unità nella Trinità è presentato in maniera dinamica, missionaria. Alla Chiesa è affidato questo ideale storico di Gesù.

- Lc 24, 45-57. Gesù apre la mente degli apostoli all’intelligenza delle Scritture, dei libri dell’Antico Testamento, perché era già scritto che doveva patire e risorgere, e anche che nel suo Nome sarebbero stati predicati al mondo la conversione e il perdono dei peccati “a partire da Gerusalemme“.

È un altro modo di esprimere l’ideale storico di Gesù. Egli menziona Gerusalemme non solo perché li è avvenuta la sua Passione, Morte e Risurrezione, non solo perché li sono adesso i discepoli, ma anche per indicare che la città di Davide rappresenta in maniera fisica la continuità delle promesse. E Gerusalemme resta ancora oggi il principio della missione della Chiesa; e questo è un grande mistero. Roma rappresenta la Chiesa locale che ha la responsabilità, l’incarico dell’unità, ma non cancella il significato simbolico di Gerusalemme come inizio della missione fino alla fine della terra. È in questo senso, per questo motivo, che è molto importante che anche oggi (come domani e sempre) sia presente in quella città una comunità giudeo-cristiana, proprio per rendere visibile il legame della Chiesa con tutta la storia della salvezza.

Dai testi che abbiamo visto, risulta che è soprattutto Gesù risorto che presenta la sintesi del suo ideale. Durante la sua vita ne parlava in enigmi, in parabole, oppure sotto il segno misterioso della croce. Dopo la risurrezione lo svela completamente come l’ideale dell’unità di tutti gli uomini in lui, nella Chiesa. La Chiesa come unità del genere umano, il genere umano come unità davanti a Dio.

È fondamentale il comportamento di Gesù per la pedagogia della fede: non ha spiegato tutto subito, perché sa che gli uomini devono fare un cammino graduale verso l’unità. E anche noi siamo invitati a seguire il suo esempio, rispettando le situazioni concrete, le persone, aiutando ciascuno nel rispetto di ciò che in un determinato momento può comprendere.

L’ideale del popolo di Dio

Proviamo a dare un’occhiata al Nuovo Testamento, agli altri scritti che non siano i Vangeli, per vedere in quali modi diversi è descritto l’ideale che Gesù ha lasciato al suo popolo.

- La parola Regno, dopo esser stata tanto usata ed aver dato tanti frutti, quasi scompare. Il linguaggio può ormai cambiare, perché ormai si è capito bene quello che Gesù voleva significare.

La troviamo ancora in Rm 14,17, ma quasi “en passant”, quasi che l’apostolo volesse esser ben sicuro di esser capito fino in fondo. Infatti è irritato dal problema del cibo e dice: “Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo”. Questo è tipico della seconda parte della predicazione di Paolo. Nella prima infatti puntava sulla venuta escatologica del Cristo. Dopo, l’accento della sua predicazione si è spostato sulla tensione al Regno nei cuori, al Regno tra gli uomini: gioia, giustizia, pace. Cioè qualcosa che tocca e modifica il modo di vivere e di agire delle persone.

L’ideale è cioè espresso attraverso i riflessi morali del Regno.

- Gal 5,22 presenta questo ideale in termini profondamente personalistici: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”. Cioè il popolo mosso dallo Spirito è, nella storia, una comunità semplice, mite, gioiosa, umile , pura, servizievole, paziente. L’ideale viene quindi precisato, specificato, adattato alle diverse circostanze.

- Poi, nel terzo momento della sua predicazione, Paolo preferirà sottolineare tale ideale come ideale cosmico, che abbraccia tutto l’universo. Ef 1,10: il mistero della volontà di Dio è di ricapitolare tutte le cose in Cristo. Col 1,19-20 propone Cristo come vero e unico capo di tutto il creato (le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli).

Le parole cambiano, non la sostanza. Gesù parlava del banchetto, della rete; Paolo usa altri termini, parole diverse, ma l’ideale profondo è sempre lo stesso. Ideale che assume, secondo i diversi momenti della storia, altri linguaggi. La grazia della Spirito Santo collega l’ideale di Gesù con quello di Paolo, di Pietro, di Agostino, di Tommaso, e via via fino a quello del Vaticano II, ai nostri giorni e a tutti quelli che verranno.

L’importante è che ogni linguaggio parta sempre dalla contemplazione della Croce e della Risurrezione, dalla contemplazione del Crocifisso risorto, che è l’ideale assoluto, il Messia definitivo, la chiave della storia e dell’universo.

Diventa allora interessante domandarci come oggi la Chiesa cerca di esprimere il suo ideale, quali immagini ritiene più adatte al nostro tempo. Penso che la regola di espressione sia per noi il Concilio Vaticano II, che ci ha dato delle pagine particolarmente significative. Ne vedremo quindi qualcuna, proprio per poter confrontarci con esse.

Per prima cosa l’introduzione alla Lumen gentium: Cristo è la luce delle genti “e la Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (n. 1). È una descrizione molto felice di quello che la Chiesa è nel mondo, e nessun’altra realtà può esprimere meglio l’unità tra tutti gli uomini: il Concilio interpreta l’anelito fondamentale del nostro tempo. È un ideale storico che può essere proposto all’umanità di oggi e che però è irradiazione dell’ideale di Dio, che vuole fare dell’umanità una sola cosa in Cristo. E difatti la Chiesa si propone come “sacramento o segno”.

Nella Gaudium et spes l’ideale generale è specificato. Il testo chiave è il n. 45, che troviamo proprio a metà della costituzione. È un po’ come Mc 8,27-30 (la confessione di Pietro) attorno a cui gira tutto il resto del Vangelo.

La chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel ricevere molto da esso, a questo soltanto mira: che venga il Regno di Dio e si realizzi la salvezza dell’intera umanità Il Signore è il fine della storia umana, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia di ogni cuore, la pienezza della aspirazioni umane”. Questa confessione cristologia della Chiesa è presa da un’allocuzione di Paolo VI tenuta il 3 febbraio 1965, e volutamente messa al centro del documento.

Poi si esprime questo ideale in termini di pace. “Il nome della pace oggi è sviluppo”, dirà Paolo VI; “il nuovo nome della pace è solidarietà” gli ha fatto eco Giovani Paolo II. Il testo conciliare afferma: “Mentre a poco a poco l’umanità va unificandosi e in ogni luogo diventa ormai più consapevole della propria unità, non potrà tuttavia portare a compimento l’opera che l’attende, di costruire cioè un mondo più umano per tutti gli uomini e su tutta la terra, se gli uomini non si volgeranno tutti con animo rinnovato alla vera pace” (n. 77). Un ideale storico che corrisponde al regno davidico: pace, sicurezza per tutti, ma esteso al mondo intero. “Per questo motivo il messaggio evangelico, in armonia con le aspirazioni e gli ideali più elevati del genere umano, risplende in questi nostri tempi di rinnovato fulgore quando proclama beati i promotori della pace, “perché saranno chiamati figli di Dio”" (ibidem).

E ancora: “La pace terrena, che nasce dall’amore del prossimo, è essa stessa immagine ed effetto della pace di Cristo che promana dal Padre” (n 78). Non si tratta di confondere le realtà (pace terrena e pace di Dio), bensì di avere ben chiara l’apertura, lo sbocco dell’ideale storico: la pace terrena è immagine ed effetto della pace di Dio in Cristo. La pace definitiva, che la Chiesa proclama, è in relazione con la pace sulla terra.

Infine la Gaudium et spes indica l’ideale storico riferendosi alla comunità delle nazioni e alle istituzioni internazionali: “Dati i crescenti e stretti legami di mutua dipendenza esistenti oggi tra tutti gli abitanti e i popoli della terra, la ricerca adeguata e il raggiungimento efficace del bene comune richiedono che la comunità delle nazioni si dia un ordine che risponda ai suoi compiti attuali, tenendo particolarmente conto di quelle numerose regioni che ancor oggi si trovano in uno stato di intollerabile miseria. Per conseguire questi fini, le istituzioni internazionali devono, ciascuna per la loro parte, provvedere ai diversi bisogni degli uomini” (n. 84). E questo è anche il tema fondamentale dell’enciclica di Giovanni Paolo II sulla dottrina sociale della Chiesa, Sollecitudo rei socialis.

La speranza cristiana definitiva rimane la pace, la giustizia interiore, la presenza di Dio, lo Spirito Santo che muove il cuore dell’uomo; la Chiesa tuttavia ci aiuta a darle un contenuto storico, a porla in un contesto di irradiazione storica e sociale che tenga conto delle miserie del mondo, delle disuguaglianze, dei pericoli di guerra, delle sofferenze dei poveri.

Siamo dunque invitati a convogliare queste realtà in una unità sempre difficile, per la quale dobbiamo impegnarci come servitori del grande disegno di Dio. Dobbiamo fissare lo sguardo su Cristo risorto, in modo da non essere divisi nel nostro cuore, sia come singoli che come Chiesa, tra l’ideale escatologico assoluto e gli ideali storici; tra la preghiera, la vita interiore e le responsabilità, il lavoro, anche quello nella Chiesa.

Solo la contemplazione di Gesù può farci cogliere il punto finale della storia, il compimento di ogni più profonda aspirazione e di conseguenza farci comprendere come ogni ideale storico riceve il suo “ordine”, il suo posto; e come ogni vocazione si colloca nel meraviglioso disegno cosmico di salvezza.

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