Le sane parole (la sana dottrina)

Concludiamo il primo capitolo di questa lettera prendendo in esame una piccola frase. Piccola ma molto importante sia per la comprensione delle lettere pastorali in genere, ma anche nella nostra situazione odierna. È un tema molto delicato perché va a toccare nel profondo molte sensibilità.

La frase che vediamo questa sera è la seguente:

Il testo (2Tim 1, 13-14)

13 Prendi come modello le sane parole che hai udito da me, con la fede e la carità che sono in Cristo Gesù. 14 Custodisci il buon deposito con l'aiuto dello Spirito Santo che abita in noi.

Il concetto di “sane parole” o di “sana dottrina” è ricorrente nelle lettere pastorali (cfr. ad esempio 1Tim 1,9-10 e Tt 1,13), segno che era una questione vitale per la Chiesa di quel tempo. Ma lo è ancora oggi. Quello che colpisce però è che questo termine non compare in altri testi della Bibbia. Il solo precedente è nel Libro dei Proverbi 4,2. Altra cosa tipica è il sottolineare, nelle lettere pastorali, il rapporto tra sana dottrina e vita morale.

E accanto all’espressione “sana dottrina” c’è quella analoga di “deposito” (già presente anche al v. 12).

Quindi per Paolo c’è un deposito da custodire, una sana dottrina da cui si può deviare. Quale importanza abbia questo per l’apostolo ce lo fa capire il fatto che il motivo che ha spinto Paolo a lasciare Timoteo ad Efeso, e a partire per la Macedonia, sia stato proprio l’insegnamento della sana dottrina (cfr. 1Tim 1,3-4).

Tutto questo potrebbe far pensare ad una stretta ortodossia, magari fissata in parole precise da ripetere in modo esatto. Per capire come siano le cose cercheremo di rispondere a quattro domande:

- cos’è la “sana dottrina”?

- come la si insegna?

- come la si corrompe?

- c’è relazione tra sanità della dottrina e sanità spirituale?

La sana dottrina

Una prima considerazione: la sana dottrina non è la “retta dottrina”. Il termine ortodossia non compare mai nel NT, come pure il termine ortoprassi, che noi usiamo per indicare la retta azione. Ci sono però due sinonimi.

Il primo è ortopodìa, che significa “camminare diritto”. Compare una sola volta (Gal 2,14) e il fatto strano è che Paolo la nega in Pietro! Paolo aveva un forte senso della coerenza tra vangelo e vita quotidiana, tra le convinzioni interiori e l’azione pratica, e rimprovera a Pietro la mancanza di questa coerenza.

Il secondo sinonimo, anche questo presente una sola volta (2Tim 2,15) è ortotomìa, cioè la retta distribuzione della dottrina.

Il verbo greco usato è ughiázo, che attiene soprattutto alla salute fisica, qui indica la sanità e la purezza della dottrina (sana dottrina = ughiainoúsa didaskalìa in 1Tim 1,10, 2Tim 4,3, Tt 1,9 ; sane parole = ughiainóton lógon in 2Tim1,13, 1Tim 6,3). Quindi l’aggettivo sana indica qualcosa che dà salute. La dottrina sana, le parole sane, vanno messe in relazione col cibo sano, che permette di vivere. Non è sufficiente che la dottrina sia corretta, è necessario che sostenga la vita spirituale, che la faccia crescere, che la faccia guarire se necessario. La sana dottrina è quella dà vigore e forza, che irrobustisce e corrobora.

Inoltre in 1Tim 6,3-5 Paolo stabilisce un rapporto diretto tra le sane parole del Signore Gesù, cioè la dottrina secondo la pietà, e le deviazioni di coloro che non le accettano. Il contrario di sana dottrina è la dottrina mortifera, quella che conduce alla malattia, alla morte.

Per Paolo la sana dottrina considerata in pericolo è la giustificazione per la fede, la dottrina della gratuità della grazia, del primato di Dio che solo dona grazia e misericordia contro ogni pretesa umana di salvarsi, di costruirsi la propria salvezza organizzando la propria vita, fosse pure in un modo santo. Siamo al cuore della fede, nel pensiero tipicamente paolino, che ha sperimentato e vissuto in tutta la sua esistenza (cfr. 1Tim 1,15-16, 2Tim 1,9, 2Tim 3,15). Proprio perché per Paolo la dottrina non è teoria ma vita vissuta capiamo come dalla sana dottrina segue un modo di pensare e di agire, un comportamento umile, sincero servizievole, contrastante con tutto ciò che è pretesa e che, proprio a partire dall’autogiustificazione, diventa orgoglio e arroganza.

In ultima analisi la sana dottrina è la dottrina della croce, da cui abbiamo la salvezza gratuita di Dio (1Cor 1, 18-21). Guardate che l’intuizione do Paolo è molto profonda: la sana dottrina è l’umiltà di Gesù, è l’essere con lui umiliati e crocifissi, ricevendo la salvezza solo da Dio. Siccome Dio mi ha salvato con la sua morte e la sua risurrezione, io sono chiamato, per puro dono di Dio, a seguirlo partecipando alla sua morte e risurrezione. Questo è il nucleo della saggezza che dobbiamo conservare ad ogni costo. E badate bene che non sono solo affermazioni verbali, ma la vita stessa di Paolo, la sua storia. La sana dottrina della salvezza gratuita è la radice della trasformazione di tutta la persona umana, di tutti i suoi comportamenti.

Per riassumere: Paolo sottolinea che la salvezza viene dalla fede, cioè dalla croce di Gesù che ci riscatta dall’orgoglio e dal peccato. Questa fede vissuta si esprime in norme di vita (povertà, umiltà, semplicità, cioè lo spirito delle Beatitudini) e non solo in parole da ripetere. Il vero cuore della sana dottrina ci invita a prendere la nostra parte di sofferenza con Gesù, in modo da poter con Lui risorgere. Tutto questo lo dice perché si è accorto che è minacciato, esposto continuamente a logorio, a fraintendimento, e quindi denuncia gli atteggiamenti contrari: arroganza, protagonismo, voglia di successo e affermazione, contese e liti. Quando queste cose si manifestano in una persona o in una comunità, significa che manca la sana dottrina.

E anche noi adesso possiamo constatare come questa sana dottrina sia minacciata anche dai tentativi di costruirsi la propria santità secondo schemi e visioni soggettive. Purtroppo dobbiamo constatare che la maggior parte delle discussioni fra i cristiani nella Chiesa avvengono proprio per l’assenza di quella umiltà che è il cuore della rivelazione di Gesù (cfr. Fil 2,6-8).

Piccola digressione. Spesso si sente parlare di “distacco tra fede e vita”. Penso che, proprio alla luce di quanto visto questa sera, questo sia un concetto da rivedere. Normalmente quando un gruppo, una comunità o una persona ha dei comportamenti arroganti, presuntuosi, contrari alla carità e/o alla giustizia, diciamo che la fede non è calata nella vita, che c’è un distacco tra fede e vita. Per Paolo non è così. Paolo direbbe invece che è la fede che non è retta, è la dottrina che non è corretta, non è sana, perché altrimenti ci sarebbero state delle opere e degli atteggiamenti diversi. La retta dottrina è quindi rinnegata molte volte nella quotidianità, e in mille modi diversi, per il semplice motivo che non è stata capita, assimilata, recepita, anche se magari la si riesce ad esprimere correttamente a livello di espressione verbale.

Vedete come Paolo metta il dito in una piaga che era già sanguinante nelle prime comunità, ma che purtroppo lo è ancora.

Come si insegna la sana dottrina

Facendo un po’ il riassunto di quanto detto in questi nostri primi incontri, possiamo dire che innanzi tutto la si insegna attraverso parole che siano ispirate alla Sacra Scrittura. La lettura e la meditazione della Scrittura ci mantengono nella sana dottrina, ci mettono in guardia da spiritualità frutto di costruzioni umane, dalla pretesa di salvarci da soli con i nostri mezzi. Raccontandoci del primato di Dio, del suo amore, della tenerezza e del perdono di Dio in Gesù ci riportano sempre sulla sana dottrina.

Ma soprattutto la sana dottrina la si insegna con la propria vita e pagando di persona. Abbiamo visto, e vedremo ancora più avanti, che Paolo ricorda spesso a Timoteo quello che ha sofferto per il vangelo. Non lo fa per un ripiegamento su sé stesso, per auto compiacimento o per autocompassione, ma perché vuol far comprendere cos’è concretamente la sana dottrina, proprio perché anche il discepolo la viva. La sana dottrina si proclama pagando di persona per poi trasmetterla anche agli altri attraverso l’esempio (cfr. 2Tim 2,1-3).

Diffondere la sana dottrina con la propria vita non significa necessariamente avere una vita uguale a quella dell’apostolo, che è sfociata nel martirio. La si può diffondere con una vita semplice però radicalmente fondata sul vangelo. È questo l’esempio dei grandi santi che hanno reinterpretato il pensiero di Paolo con fedeltà creativa. Pensate ad esempio alla “piccola via” di s. Teresina, che testimonia il primato della Grazia e della misericordia di Dio nella povertà di chi si sforza di imitare il Gesù povero e umile.

Ma c’è una terza maniera di insegnare la sana dottrina, cioè ricentrare sempre tutto sul primato di Dio. Cioè ricentrare sull’amore di Gesù le difficoltà dell’esistenza, le complicazioni della vita di ogni giorno e aiutare la gente a fare altrettanto. Non basta citare le parole esatte del catechismo o fare riferimento alle parole esatte del vangelo.

Insegnare agli uomini la sana dottrina in quanto ha già trasformato e continua a trasformare la nostra vita, vuol dire collocare ogni frammento della vita sotto un’ottica che ha al centro Gesù. Anche le devozioni, i gesti liturgici vanno ricentrati su primato di Gesù Cristo crocifisso e risorto.

Come si corrompe la sana dottrina

Ci sono tanti modi di allontanarsi dalla sana dottrina, cioè di corromperla.

Per prima cosa a livello teorico (1Tim 1,3-7). Può essere corrotta da tutto quello che viene detto senza essere in relazione al disegno di Dio, da tutto quello che vaga nel campo della pura esposizione, ma senza aver riferimento al centro. Le deviazioni dottrinali non sono necessariamente eresie o negazioni formali della fede, ma sono anche quelle forme che non hanno a che fare con fuoco del vangelo, che si perdono in vanità e in complicazioni insensate.

In fondo lo sforzo del diavolo consiste nel convincerci che siamo noi a doverci salvare, siamo noi a dover tranquillizzare la nostra coscienza, che il Signore ci salva nella misura in cui ci diamo da fare il più possibile. Ma questo è il contrario del primato di Dio, del primato della grazia.

La preoccupazione di Paolo non riguarda semplicemente il rigore della dottrina, ma la vita: la vita cristiana deve avere il suo centro unificante nel Cristo crocifisso e risorto e non deve disperdersi e appesantirsi.

Poi c’è il livello pratico (1Tim 4,1-2; 2Tim 3,2-5). In questi brani abbiamo alcune descrizioni delle deviazioni che si oppongono alla semplicità e allo spirito delle beatitudini. A noi possono sembrare retoriche, esagerate, ma in realtà mostrano i molti modi con cui ci si allontana dalla sana dottrina sia col peccato palese sia sotto l’apparenza della pietà. In pratica sono quei modi di relazionarsi agli altri in cui si cerca di giovare a sé stessi, si cerca la propria esaltazione e la propria gloria, il proprio tornaconto.

La sana dottrina è inseparabile dall’obbedienza alla volontà di Dio manifestata negli avvenimenti quotidiani. Certo però che senza un camino di purificazione è difficile capire che la sana dottrina è quella che ci fa uscire da noi stessi per affidarci totalmente a Dio.

Ogni scarto dall’umiltà di Gesù e dalla sua croce, ogni pretesto umano che reintroduce la mondanità nel nostro presente è opposizione alla sana dottrina. Purtroppo oggi c’è un’apparenza di pietà deleteria: il bisogno di segni controllabili (il cosiddetto ‘miracolismo’), di pratiche che diano la certezza di salvarsi.

Relazione tra sana dottrina e sanità spirituale di chi la insegna

Questa relazione esiste, proprio perché la sana dottrina non è solo l’esatta esposizione di parole, ma è l’attitudine a ritrovare in ogni parola che pronunciamo il cuore del vangelo. È una sapienza che viene dallo Spirito, non acquistabile con la ripetizione di atti o parole. È un dono da chiedere dall’alto (con la certezza che Dio ce la vuole donare), ed è anche una grazia da coltivare con la preghiera e l’adorazione. Si tratta di saper usare le parole sane (non solamente corrette) che diano il gusto di Cristo e nutrano chi ci ascolta.

L’importante è non dimenticare che corriamo sempre il rischio, parlando di Gesù, di offuscare, di sminuire, il dono, com’è accaduto anche a Timoteo. Qualora ci capitasse non dobbiamo turbarci, ma tornare alla preghiera, alla contemplazione di Gesù crocifisso e risorto.

Piccola digressione molto impertinente

C’è un rapporto tra dottrina malata e complicazione del linguaggio, e viceversa, c’è rapporto tra sana dottrina e semplicità del linguaggio?

Paolo ci mette in guardia dalla “fatue verbosità” (cfr. 1Tim 1,6) quindi si può legittimamente dire che tante volte la dottrina malata, o anche solo sofferente, tende a nascondersi dietro un linguaggio complicato, spesso molto distante dalla vita quotidiana.

Certo non è un discorso da banalizzare, perché non tutto si può esprimere in modo semplice, e poi un conto è il linguaggio comune e un altro il linguaggio ‘tecnico’, un conto è il linguaggio filosofico o teologico e un altro quello della poesia o della liturgia. Anche la Bibbia ha diversi linguaggio: un conto è il libro di Giobbe e un conto sono le parabole di Gesù. Come un conto è se dobbiamo parlare ad un congresso di teologi e un conto se dobbiamo parlare ad una vecchietta o ad una classe di catechismo.

Però se un linguaggio è vero deve poter essere comunicato con semplicità e dobbiamo guardarci dalle complicazioni inutili che spesso mascherano un pensiero confuso.

Non dimentichiamo che “Carità è chiarità

Spunti di meditazione per noi

[ Abbiamo vista che la “sana dottrina” è quella che ci dona salute spirituale, che ci dà vigore e forza. Fino a che punto la nostra visione della fede ci allarga i polmoni, ci fa respirare meglio, ci dona energia per affrontare i problemi quotidiani, dai più piccoli ai più grandi? Quanta speranza e gioia profonda ci dona?

[ Se la base della sana dottrina è il primato di Dio su di ogni altra cosa, contiamo realmente solo su di Lui, sul Suo amore, per la nostra salvezza? Per noi umiltà, mitezza, sono solo parole, o sono un essere, o almeno cercare di essere, conformati a Gesù.

Cioè, riusciamo ad esprimere la nostra dottrina non solamente a parole, ma anche con tutta la nostra vita?

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