Ru 3,1-18

Eccoci arrivati alla terza (e penultima) tappa del nostro viaggio alla scoperta di Rut. La storia va avanti, e parallelamente anche la nostra comprensione di quello che significa per noi. Non dobbiamo dimenticare che la Bibbia non va letta come un libro qualunque. È “Parola di Dio”, in essa Lui vuole comunicare qualcosa, a noi tutti insieme, e ad ognuno di noi singolarmente. La nostra vita deve essere illuminata dalla Parola, ma anche la nostra vita ci aiuta a capire la Parola. Quello che dobbiamo chiedere è il Suo aiuto, lo Spirito Santo. E anche imparare ad aspettare. Dobbiamo riscoprire il valore dell’attesa. Un’attesa fervente di fede e di amore.

Il racconto (Ru 3, 1-18)

1 Noemi, sua suocera, le disse: «Figlia mia, non devo io cercarti una sistemazione, così che tu sia felice? 2 Ora, Booz, con le cui giovani tu sei stata, non è nostro parente? Ecco, questa sera deve ventilare l’orzo sull’aia. 3 Su dunque, profumati, avvolgiti nel tuo manto e scendi all’aia; ma non ti far riconoscere da lui, prima che egli abbia finito di mangiare e di bere. 4 Quando andrà a dormire, osserva il luogo dove egli dorme; poi va’, alzagli la coperta dalla parte dei piedi e mettiti lì a giacere; ti dirà lui ciò che dovrai fare». 5 Rut le rispose: «Farò quanto dici». 6 Scese all’aia e fece quanto la suocera le aveva ordinato. 7 Booz mangiò, bevve e aprì il cuore alla gioia; poi andò a dormire accanto al mucchio d’orzo. Allora essa venne pian piano, gli alzò la coperta dalla parte dei piedi e si coricò. 8 Verso mezzanotte quell’uomo si svegliò, con un brivido, si guardò attorno ed ecco una donna gli giaceva ai piedi. 9 Le disse: «Chi sei?». Rispose: «Sono Rut, tua serva; stendi il lembo del tuo mantello sulla tua serva, perché tu hai il diritto di riscatto». 10 Le disse: «Sii benedetta dal Signore, figlia mia! Questo tuo secondo atto di bontà è migliore anche del primo, perché non sei andata in cerca di uomini giovani, poveri o ricchi. 11 Ora non temere, figlia mia; io farò per te quanto dici, perché tutti i miei concittadini sanno che sei una donna virtuosa. 12 Ora io sono tuo parente, ma ce n’è un altro che è parente più stretto di me. 13 Passa qui la notte e domani mattina se quegli vorrà sposarti, va bene, ti prenda; ma se non gli piacerà, ti prenderò io, per la vita del Signore! Sta’ tranquilla fino al mattino». 14 Rimase coricata ai suoi piedi fino alla mattina. Poi Booz si alzò prima che un uomo possa distinguere un altro, perché diceva: «Nessuno sappia che questa donna è venuta sull’aia!». 15 Poi aggiunse: «Apri il mantello che hai addosso e tienilo con le due mani». Essa lo tenne ed egli vi versò dentro sei misure d’orzo e glielo pose sulle spalle.

Rut rientrò in città 16 e venne dalla suocera, che le disse: «Come è andata, figlia mia?». Essa le raccontò quanto quell’uomo aveva fatto per lei. 17 Aggiunse: «Mi ha anche dato sei misure di orzo; perché mi ha detto: Non devi tornare da tua suocera a mani vuote». 18 Noemi disse: «Sta’ quieta, figlia mia, finché tu sappia come la cosa si concluderà; certo quest’uomo non si darà pace finché non abbia concluso oggi stesso questa faccenda».

Il commento

Tra Noemi e Rut si stabilisce una gara di solidarietà, un aiutarsi a vicenda. Il profondo affetto reciproco e il fatto di essere nella stessa situazione di povertà e di solitudine fanno sì che Rut si sacrifichi per Noemi, che si leghi a lei sempre più. Ma Noemi da parte sua non si dà pace finché non abbia trovato una soluzione al problema del futuro per la giovane nuora. Ed è proprio per questo che le consiglia di avvicinare Booz, il parente che ha già incontrato nel campo su cui la nuora era andata a spigolare.

La saggezza e la lungimiranza di Noemi la rendono paragonabile alle grandi figure di donne che l’hanno preceduta nella storia di Israele, a Sara, a Rachele, a Rebecca. Donne piene della sapienza che viene da un cuore fervente di amore e compassione; capaci di intuire l’intervento di Dio, i suoi disegni sia su tutto il popolo che sulle singole persone; disponibili a dare il loro contributo e la loro adesione per il compimento della storia di salvezza.

E la fedele Rut viene educata alla sua scuola. Ad ogni consiglio della suocera acconsente con semplicità e fiducia. Quindi si adegua ai costumi del popolo d’Israele riguardo il “levirato”, cioè il diritto-dovere del parente più prossimo di sposare la vedova senza figli per dare una discendenza al defunto e anche per assicurare la conservazione dell’eredità. Per Rut questo parente è Booz, è lui il go’el, cioè il protettore, il riscattatore.

Il termine della mietitura è il momento della grande festa. L’inizio della mietitura è la gioia, che culmina proprio nella festa della fine del raccolto. È un’usanza tipica di tutte le culture contadine: finita la fatica del lavoro ci si ritrova tutti assieme per festeggiare il frutto dei campi, del proprio lavoro, per ringraziare Dio e stare assieme in allegria e gioia. Anche Booz alla sera, dopo aver mangiato e bevuto, ha il cuore contento e rimane a dormire sull’aia.

Ma nella notte si fa avanti, silenziosa, la nostra Rut. Cerca di non farsi riconoscere, di rimanere nascosta, si fa piccola. Tutti si addormentano, solo lei rimane a vegliare. Si può cogliere in questa notte un segno che va al di là, che ci richiama anche altre notti, altri sonni. Viene in mente il sonno di Adamo quando Dio conduce a lui Eva; ma anche la notte del Calvario, in cui dal corpo trafitto di Gesù nasce la nuova umanità, la Chiesa; e anche la notte silenziosa della nostra fede in attesa dell’alba della nostra risurrezione definitiva.

Il gesto di Rut di mettersi sotto il lembo della coperta di Booz richiama le parole che lui stesso le aveva rivolto (2, 12): le aveva riconosciuto di essersi posta sotto le ali del Dio di Israele, ed ora quello stesso Dio le invia un go’el sotto cui trovare accoglienza, riparo e protezione. E la richiesta di coprirla col suo mantello diventa una implicita richiesta di essere accolta come sposa. Ancora oggi in molte culture c’è l’usanza di coprire gli sposi, durante la cerimonia del matrimonio, con uno stesso velo. Rut agisce con audacia, ma soprattutto con un delicato riserbo, e Booz ne rimane sorpreso, anzi, direi turbato.

Anche qui i particolari sono molto indicativi, ricchi di significati spirituali: “Verso mezzanotte quell’uomo si svegliò, con un brivido, si guardò attorno ed ecco una donna gli giaceva ai piedi.” (v. 8). La mezzanotte è l’ora dell’arrivo dello sposo, ricordiamo la parabola delle dieci vergini (Mt 25, 1-13); è l’ora in cui, mentre tutto era immerso in un profondo silenzio (dum medium silentium teneret omia, diceva l’antifona d’ingresso della Messa di Natale), il Verbo discese e pose la sua tenda tra gli uomini. Mezzanotte è l’ora scelta da Dio per far sentire, attraverso i suoi interventi salvifici, la sua presenza amorosa tra gli uomini. Anche Booz percepisce che sta accadendo qualcosa che sfugge ai sensi, qualcosa che è più grande di quello che sembra, che Dio sta intervenendo per cambiare la sua vita. Questo incontro quindi non ha come protagonisti solo Rut e Booz, ma il protagonista principale è un altro, è Dio stesso.

Booz domanda: “Chi sei?” (v. 9). È la domanda che sorge spontanea di fronte al mistero del “tu”, cioè dell’altro che si fa presente nella mia vita; è il mistero di un io che si incontra con un tu. Un tu che bussa alla porta del mio cuore domandando che gli sia consentito di varcare la soglia della mia solitudine. “Chi sei?”, cioè “In quale relazione vuoi entrare con me?”. E la risposta è semplice anche se impegnativa: “Sono Rut, tua serva; stendi il lembo del tuo mantello sulla tua serva, perché tu hai il diritto di riscatto”. Impegnativa perché è un volersi impegnare per tutta la vita, ma anche perché è un evocare tanti altri momenti della storia sacra. In questi incontri di grazia la persona umana entra in comunione non solo col tu umano, ma soprattutto col Tu divino, che toglie dalla sterile solitudine.

Alle parole di Rut, Booz risponde con una benedizione. Come già vi dicevo l’altra volta, il benedire non è altro che un riconoscere la benedizione del Signore, e questo perché sono evidenti agli occhi di Booz i segni di questa benedizione divina che fanno di Rut una “eletta del Signore”. È il tocco della grazia divina che ispira a Rut di non cercare facile realizzazioni, di abbandonare la sua terra. Rut non solo lascia il suo passato per seguire Noemi su di una strada di povertà, ma anche si mette sotto le ali del Dio di Israele, accettando le sue leggi e i suoi costumi, ed ora è anche disposta ad entrare nel solco delle generazioni di Israele per dare una posterità alla famiglia di Noemi. Lo fa accettando di sposare un go’el, un riscattatore che non è più giovane.

In questo modo Rut entra nel corso della grande attesa e della grande speranza di Israele. Ed è rimarchevole che la disponibilità non derivi dall’aver avuto, come tante altre figure bibliche, una chiamata diretta ed esplicita. Rut è del tutto ignara di quelle che saranno le conseguenze delle sue scelte. Agisce semplicemente seguendo la sua naturale bontà. Con la sua umiltà permette al Signore di farne una strumento delle sue mani. Nelle sua scelte Rut si rivela preoccupata solo di favorire gli altri, e proprio per questo si trova partecipe della misericordia di Dio.

Però dopo questo incontro in cui tutti sembra risolto, occorre attendere ancora: Booz infatti non è il parente più stretto, è in realtà il secondo (ritorna qui un tema molto forte: Dio sceglie non i primi, ma gli ultimi). L’incontro nel mistero della notte, che è mistero d’amore, impone un’attesa paziente: l’attesa del mattino, del sorgere del sole.

E al mattino ecco la ricompensa (la prima, quella più immediata): “«Apri il mantello che hai addosso e tienilo con le due mani». Essa lo tenne ed egli vi versò dentro sei misure d’orzo e glielo pose sulle spalle” (v. 15). Rut vive nella logica del dono, e il suo agire con gratuità suscita una ricompensa sovrabbondante da parte di Dio, suscita cioè quell’amore la cui unica misura è di non aver misura. Si compiono qui le parole di Gesù: “date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6, 38).

Vedete che Rut a poco a poco diventa sempre più come il simbolo dell’umanità, di ogni anima alla ricerca di una appartenenza fondata sull’amore, sulla bontà di un go’el, cioè di Uno che stenda su di lei il suo mantello di misericordia per proteggerla e custodirla. E tutta la Bibbia ci rivela che Dio è il go’el di Israele. Il popolo ebraico ne ha fatto esperienza in ogni momento della sua storia, ma particolarmente nel cammino dell’esodo, quando il Signore lo conduceva e lo proteggeva stendendo su di lui le ali della nube luminosa, che era per il popolo come il manto della gloria di Dio.

E nel vangelo scopriamo che Gesù è il go’el dell’umanità. Egli è il nostro go’el, il protettore e il riscattatore della nostra vita, di ognuno di noi e di noi tutti insieme.

Gesù Cristo è colui nel quale questa pagina trova la sua piena realizzazione perché in Lui l’umanità, che era nelle tenebre e nella notte della morte e del peccato, viene visitata, riscattata e chiamata alle nozze eterne.

E quelle sei misure d’orzo possono essere viste come la caparra, cioè il dono di Dio nel tempo presente: sei, come sei sono i giorni della creazione, i giorni della fatica. Il settimo giorno, quello del riposo, sarà il giorno delle nozze, il giorno in cui Dio non ci darà più dei doni, perché ci donerà tutto sé stesso.

Bisogna però imparare ad aspettare. Aspettare pazientemente, con amore, con fiducia, nella perseveranza della fede, finché non sorga l’alba del mattino, il giorno in cui il Signore si manifesterà in tutta la sua gloria e ci renderà per sempre “sua proprietà”

Messaggio per noi

Viviamo in un periodo in cui l’assioma comune è che “attesa” equivalga a “perdita di tempo”. Il calendario ha voluto che questo incontro avvenisse proprio nel tempo liturgico caratterizzato dell’attesa, cioè l’Avvento.

Ma aspettare, in senso biblico, non significa certamente sedersi su di una sedia sfogliando distrattamente una rivista; o pensando ai fatti propri o a quello che avremmo potuto fare se fossimo stati da un’altra parte. Insomma l’attesa non è stare in una “sala d’aspetto”. È prendere anche una parte attiva nel tempo in cui stiamo vivendo, è un farsi avanti, è un chiedere che il lembo del mantello sia steso su di noi.

Aspettare richiede sì una fiducia, una fede, ma richiede che anche noi operiamo, per quello che ci è concesso, per quello che siamo in grado di fare. Non è fatalismo, ma fede vissuta.

Ma siccome ci stiamo avviando alla conclusione della storia di Rut possiamo iniziare a trarre anche delle conclusioni generali.

Una considerazione che possiamo fare è sul comportamento di Rut. A parte all’inizio, quando fa di tutto per rimanere con la suocera, non cerca mai di imporsi. Si è affidata a Noemi e fa tutto quello che lei le dice, prima di fare qualcosa le domanda sempre il permesso. È sempre umile e ubbidiente. Vengono in mente tante storie dei Padri del deserto.

La fede non è un fatto privato, che riguarda solo noi stessi. Come non ce la siamo dati da soli, ma l’abbiamo ricevuta in dono per mezzo di altri, così non si cresce nella fede e nella conoscenza di Dio da soli. La presenza di un “padre (o madre) spirituale” è importantissima, fondamentale. Come Rut, che conosceva poco o niente gli usi degli ebrei, si è affidata ai consigli e alle direttive di Noemi, che ne sapeva più di lei, così dovrebbe essere anche per noi. Dobbiamo affidarci a qualcuno che è più “avanti” di noi, che è più esperto, che sia un tramite per lo Spirito Santo.

Il tema della GMG di Colonia era quello dei Magi. Il loro insegnamento si collega a ciò che ci insegna Rut: il credente è uno che cerca. Non conosce in anticipo la strada. Deve chiedere, interrogare, affidarsi a qualcuno. Non sa in partenza dove si trova il Signore. La strada che conduce a Lui non è mai la stessa, e comunque non è uguale per tutti. Ogni strada però presenta dei “segni”, delle “tracce” (chi ha fatto lo scout può capire meglio) che indicano se si è sul cammino giusto o meno, e che una persona illuminata dallo Spirito può aiutare a riconoscere e identificare.

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