Quaresima 2008

Prima domenica

C’è una domanda che raramente ci poniamo in modo cosciente, ma che viviamo molto concretamente nella vita di ogni giorno: “Ma io, chi sono?

La risposta concreta che diamo, non quella che diciamo a parole ma quella che viviamo, è triplice: “Sono ciò che faccio, sono quello che gli altri dicono di me, sono ciò che possiedo“. Questo significa che io sono il mio successo, la mia popolarità, il mio potere. Cioè, da come ci comportiamo, dalle scelte che facciamo, noi siamo quello che il mondo ci dà, quello che il mondo fa di noi.

Gesù è venuto per dirci che un’identità basata sul successo, sulla popolarità, sul potere non è nient’altro che illusione. E ce lo dice con tutta la sua vita, ce lo dice molto forte: “Voi siete i figli di Dio“.

Quest’anno la Pasqua viene molto presto, per cui la festa del Battesimo di Gesù non è molto lontana. Però nel vangelo le Tentazioni vengono immediatamente dopo il Battesimo. Quello stesso Spirito che sotto forma di colomba aveva proclamato “Tu sei il Figlio prediletto“, lo ha subito dopo condotto nel deserto per essere tentato.

Satana gli chiede di provare che è realmente ciò che lo Spirito ha affermato. Ma Gesù resiste alle tentazioni del potere, del successo e della popolarità (perché il succo delle Tentazioni è proprio questo).

Noi ci ritroviamo ogni giorno non nel deserto, ma in un mondo che ci urla che noi non siamo amati, che dobbiamo conquistare l’amore, che non siamo degni di essere amati, che solo se abbiamo successo, solo se siamo popolari, solo se siamo potenti, saremo amati.

E in mezzo a questo canto delle sirene facciamo fatica a sentire la dolce voce dello Spirito che ogni giorno, ogni istante ci dice: “Tu sei il figlio prediletto

Seconda domenica

A volte capita che “scopriamo” una persona. Una parola, un gesto, magari piccolo, ci fanno scoprire che quella persona che fino ad allora avevamo considerato poco o niente, in realtà è molto migliore di come pensavamo e soprattutto di come appariva.

Tutti noi siamo sempre pronti ad appiccicare addosso agli altri un’etichetta: “quello è uno che vale poco“; “a quello non si può chiedere niente“; “con quella è meglio non aver a che fare” e così via. Solo che a poco a poco finiamo per non vedere più la persona ma vediamo solo l’etichetta.

Dimentichiamo un’esperienza che una volta, quando si usava la stufa a legna, era molto comune, ma adesso si può fare solo quelle volte che in campeggio si fa un falò: dopo che si è fatto un falò alla sera, la mattina dopo, rimestando tra la cenere, possiamo trovare delle piccole braci. E con queste possiamo, con l’aggiunta di nuova legna, fare di nuovo un fuoco.

In ognuno di noi, al di sotto della cenere e dei legni bruciacchiati, c’è una brace ardente. La cenere è brutta e morta, ma la brace è viva e ardente. Ed è questa brace che è il nostro vero volto. È questa brace che dovremmo andare a cercare in ogni persona, ma anche in noi. È questa brace che Dio vuole svelare in noi, e Gesù, con la sua Trasfigurazione, ci dice anche che ognuno di noi può, affidandosi all’amore infinito di Dio, scoprire sia il proprio vero volto che quello degli altri.

Terza domenica

Spero proprio che i pubblicitari non leggano la pagina del vangelo di oggi, perché se no oltre all’acqua liscia, gassata, Vera, Finta, Blu, Santa, quella che fa fare tanta “din din”, quella dove puoi chiacchierare con la particella di sodio quando ti senti solo, quando andiamo al supermercato ci troveremmo anche l’acqua viva.

Noi siamo abituati, quando abbiamo sete, ad aprire o il rubinetto, o una bottiglia, ma in realtà non sappiamo cosa significhi realmente avere sete. Questo vangelo sicuramente è più comprensibile a quelli che l’acqua non ce l’hanno, e non hanno neanche il rubinetto, e non hanno nemmeno il dilemma dell’acqua da comprare… perché in vendita non ce n’è. Per noi che dobbiamo solo alzare un miscelatore, è una cosa che non riusciamo neanche ad immaginare. Ma l’acqua viva è una necessità per chi a fatica può procurarsi dell’acqua. E Gesù, veramente più furbo di tutti, sfrutta quest’occasione e questo bisogno per parlare al cuore, per trasmettere la bella notizia del suo vangelo e di sé stesso, figlio di Dio venuto a salvare. In questo caso, è venuto a salvare dalla sete. Ma che tipo di sete? La sete esteriore, che a fatica la puoi calmare perché bene o male, vicino o distante, un pozzo lo trovi, o quella sete che hai dentro, che niente e nessuno te la può placare?

Sete di giustizia, sete di verità, sete di onestà, sete di Dio, sete di lavoro, sete di serenità, sete di vita eterna, sete di senso della vita. E chi ce le dà oggi come oggi?

Viviamo in un mondo che ci mette dentro delle false seti: sete di automobili sempre più nuove, sete di telefonini che fanno di tutto di più e forse ci si può pure telefonare, sete di vacanze all’ultimo grido, sete di tutto di più!

Capiamo allora cosa Gesù è venuto a darci? Capiamo allora qual è l’acqua viva che disseta? È proprio Lui l’acqua viva, quell’acqua spesso rifiutata, rinnegata, non considerata, non di moda!

Quarta domenica

Succede a volte che quando chiediamo al Signore con insistenza qualcosa nella preghiera, ci sentiamo delusi se non la otteniamo subito, ci sembra che lui non ci voglia accontentare. E così ci dimentichiamo di tutti gli infiniti miracoli che ci accompagnano ogni giorno e che prendiamo come dovuti, come ovvi.

C’è una cosa che colpisce nel vangelo di oggi: al contrario delle altre volte, Gesù per fare il miracolo non aspetta che ci sia una richiesta da parte di qualcuno. Anzi, qui sembra che tutti, più che chiedere un miracolo, siano impegnati a trovare delle colpe. E allora è Gesù che deve prendere l’iniziativa.

Anche noi forse siamo un po’ ciechi perché non ci accorgiamo di tutti quei miracoli che non abbiamo mai chiesto ma che pure abbiamo! Quanti sono i miracoli che non abbiamo mai chiesto ma che rendono incredibilmente bella la nostra vita!

Al risveglio di Tommasino, la mamma gli chiede: Hai fatto una bella ninna? Sì, è la risposta. E che hai sognato? Baci, coccole e carezze, risponde Tommasino. Il commento della mamma: Che cosa si può volere di più dalla vita?

I sogni non li programmiamo, ci vengono e basta. Anche noi, come Tommasino, ogni giorno siamo colmati da Dio di baci, coccole e carezze: il sorriso di una persona cara, l’incontro con un amico, una bella canzone che sentiamo alla radio, qualcosa di bello che vediamo inaspettatamente, ma anche il solo essere vivi, il poter vedere il giorno che avanza, il poter cantare, ridere Sono davvero tantissimi i miracoli che non abbiamo chiesto mai ma di cui possiamo gioire ogni giorno!

Dobbiamo imparare a riconoscerli, ad accorgerci di quanto siamo amati da Dio, di quanto immensamente ci vuol bene, per regalarci così tanta bellezza, così tanta felicità! Sarebbe bello se ogni sera, insieme all’esame di coscienza, facessimo anche una specie di inventario dei tanti miracoli non richiesti che ci sono capitati durante la giornata.

Quinta domenica

Sono andato a controllare, e ho notato che in tutto il vangelo, Lazzaro non dice mai niente, non apre mai bocca. Al contrario di Marta e Maria, sue sorelle, di lui sappiamo solo che era molto amico di Gesù, ma dei motivi di questa amicizia, di cosa parlassero, non sappiamo niente.

E poi per lui è arrivato il momento della malattia, della morte. Sono momenti in cui si avrebbe piacere di avere attorno le persone care, gli amici più intimi e sinceri. Però in quel momento, il suo grande amico Gesù non c’era.

Ci siamo mai chiesti quale potevano essere i pensieri di Lazzaro prima di morire? Bella domanda! Io credo che forse avrà pregato proprio con il salmo che usiamo in questa domenica: è “dal profondo” di una malattia che non lascia scampo; anche le speranze di guarigione, normale o miracolosa, sono ormai spente, eppure può confidare nel Signore: spero nel Signore, l’anima mia spera nella sua parola, sono come una sentinella che attende il mattino, perché il Signore usa misericordia e offre il perdono, redime Israele da tutte le sue colpe. Parole imparate, parole sussurrate in punto di morte e proprio per questo fatte profondamente personali. Parole gridate a tutti nel giorno che doveva essere solo il quarto dalla sua morte e invece è il primo del ritorno alla vita. Parole stabili anche per noi, perché vere!

E penso che proprio alla luce, al calore di quelle parole si sia accorto che anche se il suo amico Gesù non era fisicamente presente, lo era però in un modo particolare, forse più forte ma senz’altro più vero: era lì col cuore ardente d’amore e d’affetto.

Domenica delle Palme

Anni fa vi proponevo di andare a lezione di teologia dagli asini, invece quest’anno vi propongo di andarci da un uomo: Simone di Cirene, più conosciuto come il Cireneo.

A tutti noi, quando capita qualcosa di brutto, viene da esclamare: “Ma guarda cosa mi è capitato!“. Il Cireneo ci insegna che ci è captata l’occasione di essere contemporanei alla Passione di Cristo.

Quando scopriamo, viviamo, questo allora la croce, da sofferenza personale e faticosa, diventa sofferenza partecipata. Allora ogni circostanza dolorosa da qualcosa che “mi capita” diventa qualcosa che “ci” capita. Questo perché non siamo più noi a portare la nostra croce, ma ci scopriamo ad essere coloro che aiutano Gesù a portare la sua croce.

Perché a Gesù è capitata nello stesso nostro momento la stessa nostra cosa. Quando c’è di mezzo la croce, ogni croce, Lui c’è già, Lui è già sotto quel peso, l’ha già portato e lo porterà fino alla fine del mondo.

Una sola cosa gli manca: la mia presenza accanto a lui.

Ma il Cireneo ci insegna anche che ogni croce la posso, la debbo portare per un tratto più o meno lungo, ma poi alla fine è Lui che ci sale sopra e mi sostituisce. E sale sulla mia croce. Gesù mi chiede di sollevare e di portare la mia croce e di andargli dietro fino al momento in cui Lui ne prenderà possesso con i chiodi, e la farà sua definitivamente.

È proprio per questo che noi non siamo dei condannati, ma dei graziati.

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