Perché funziona il metodo della buona fede

Perché funziona il metodo della buona fede.

O meglio perché è possibile cambiare i settaggi nel corpo emozionale del corpo senziente e di conseguenza cambiare i settaggi del corpo razionale o mentale e di conseguenza cambiare la risposta dello strumento di percezione alla stessa situazione di partenza.

Funziona per il semplice motivo perché applicando questo metodo si considera il proprio ego (somma degli schemi emozionali o convinzioni proprie) come il proprio strumento di percezione.

Infatti noi percepiamo attraverso di esso o meglio noi percepiamo tramite ciò che lo strumento di percezione ha esperito (creazione degli schemi emozionali e delle convinzioni) sia nel proprio interno che nel proprio esterno che a loro volta diventano la base del comportamento dello strumento di percezione cioè del nostro ego.

Tutto questo processo non è consapevole e conscio e pertanto difficilmente monitorabile.

Seguendo quanto Patanjali ha enunciato e accettando come vera la genesi dell’incarnazione dello spirito nella materia e ciò la teoria dei Klesa si giunge alla conclusione logica che raggiungendo psichicamente tramite un metodo come lo Yoga o anche metodi alternativi come potrebbe esser il metodo della buona fede con la possibilità del condizionamento della mente si ha in mano uno strumento per cambiare i comportamenti dello strumento di percezione e di conseguenza della sua risposta alla stessa situazione.

Quindi considerare il proprio ego come un prodotto che è malleabile e modificabile per risolvere le proprie eventuali difficoltà di percezione o distorsioni cognitive sembra essere una conclusione probabile , se si assume che si sia capaci di staccarsi dal proprio ego facendo propria la frase di Patanjali : Il malinteso dell'IO è il ritenere uguali il percepente con lo strumento della percezione (corpo senziente).

Considerando , infatti, questa frase si può valutare l’ego come quell’edificio che è stato costruito automaticamente dal nostro corpo senziente , per permetterci di sopravvivere nell’ambiente relativo alla cultura , alla famiglia e ai valori in cui siamo cresciuti e maturati ma che non è la nostra natura più intima .

Per intenderci :Noi che percepiamo non siamo la stessa cosa con il nostro ego (inteso come la somma delle nostre convinzioni e dei nostri schemi emozionali) che è il nostro strumento di percezione. Per essere chiari qui si intendono i mezzi tramite cui percepiamo e la loro programmazione avvenuta tramite l’esperienza fatta nell’ambiente.

Usare il metodo della buona fede permette di considerare se stessi e gli altri nelle stesse condizioni perché si presuppone che l’altro strumento di percezione funzioni e sia programmato secondo le esperienze del singolo e di conseguenza non può che funzionare che il quel modo e che quindi ciò che l’altro strumento di percezione fa', e' giustificato da tali esperienze.

Noi non possiamo conoscere le esperienze dell’altro strumento di percezione, ma possiamo , scendendo nelle esperienze del nostro strumento di percezione , capire cosa ci fa soffrire.

Con l’adeguata tecnica di sostituzione della convinzione (che è la causa della sofferenza ) con una convinzione magari più matura e adeguata alla propria età si può attenuare se non addirittura eliminare la fonte della sofferenza che ci attanaglia.

Non solo , ma una volta acquisita pratica con questo metodo si può pensare persino di modificare la propria risposta emotiva alla stessa situazione recuperando il recuperabile.

Importante rimane però la consapevolezza che quando si va ad applicare questo metodo su se stessi bisogna rendersi consapevoli del fatto che l’oggetto della nostra contemplazione è la struttura del nostro strumento di percezione e quindi anche delle sue vicissitudini che conosciamo bene ma che non abbiamo mai considerato possano essere il prodotto di convinzioni che possono essere cambiate e adattate alle situazioni in cui siamo e all’età che viviamo.