Qualche anno fa mi capitò di imbattermi in una frase molto intrigante, che ancora mi risuona in testa: “Tradurre è tradire”. Nel breve articolo che mi appresto a scrivere proverò a mettere ordine alle riflessioni scaturite intorno a questa idea, al suo significato e alle implicazioni che può avere nel nostro modo di fruire i prodotti artistici.
Nel mondo del cinema ad esempio, con “traduzione” si intende l’adattamento, il doppiaggio delle battute di un film in una lingua diversa da quella originale. Queste traduzioni talvolta aprono discussioni infinite.
Basandomi sul cinema e sulla letteratura si può affermare che tradurre è tradire, sempre e comunque? Io credo di sì. Come ripete spesso un mio caro amico: “Quando vediamo un film doppiato non stiamo guardando l’opera originale, ma un'altra opera”.
È proprio così. In un film le parole non sono meno importanti delle inquadrature e ci sono, infatti, vari tradimenti durante tutta la fase di traduzione. Il primo avviene con l’interpretazione personale del traduttore; il secondo consiste nell’espressione, in un linguaggio diverso da quello originale, di ciò che è stato interpretato. Qui si pone un ulteriore problema: nessuna lingua può avere le parole per tradurre ogni singolo pensiero in modo fedele e anche se le avesse sarebbero difficilmente conoscibili da una sola persona. Infine il terzo tradimento è quello compiuto dal lettore, che leggendo la traduzione interpreta a sua volta il testo.
E per quelli che ancora non sono sazi di tradimenti c’è quello che chiamo il “tradimento zero”: l’autore del testo originale lo compie quando traduce in linguaggio il suo pensiero nella fase embrionale dell’opera, quando essa non è ancora scritta ma è un miscuglio di idee ed emozioni.
“Basterebbe entrare nella mente dell’artista per trovare l’opera vera” dirà qualcuno. No, non proprio. Anche entrando nella mente dell’artista (ammesso che sia possibile), l’esperienza che noi faremmo di quell’opera sarebbe mediata dai nostri sensi che creerebbero, per quanto poco, una nuova interpretazione dell’opera. Quindi concludo dicendo che non è possibile conoscere un’opera come la conosce il suo creatore: solo Dante può conoscere la vera Divina Commedia, solo Virgilio la vera Eneide e solo Shakespeare il vero amore che lega Romeo e Giulietta. Ma in fondo l’opera d’arte non è di chi la scrive, ma di che la fruisce: patrimonio per chiunque si avvicini ad essa.