Stefano Talamini - Padre Andrea e Maestro Chang

Padre Andrea e Maestro Chang

di Stefano Talamini

Il sole, grandissimo e rosso, pareva indugiasse a tramontare sull’estremo profilo del Gange; il suo contorno, altre volte così nitido che si poteva dire disegnato con un pennino sottile, ora baluginava incerto nell’aria, conferendo a tutto il panorama i caratteri traslucidi di un sogno; l’odore intorno era quel misto di afrore umano, sangue animale ed essenze profumate a cui Padre Andrea era oramai avvezzo ma non già indifferente.

«Oggi è più grande del solito».

Seduto sui suoi talloni, quasi rannicchiato negli anni che aveva consumato, Maestro Chang accolse Padre Andrea con un sorriso.

Si erano conosciuti più di quarant’anni prima: il monaco taoista, esule in India dopo che il Grande Timoniere aveva dato fuoco e ridotto in ceneri il monastero in cui era entrato fanciullo; e il giovane gesuita, missionario in Oriente per volere dei superiori e per sua vaga vocazione.

Due naufraghi, che si erano subito piaciuti, con l’istintiva empatia che si accende tra stranieri in una terra ancor più straniera.

Sentimenti diversi, religiosità differente e un senso d’inutilità, quasi d’insipienza, che intrideva le ore quotidiane.

Poi, piano piano, confidenza dopo confidenza, le loro anime avevano dischiuso le ali per volare una verso l’altra e poi, dopo qualche tempo, ognuna verso i derelitti del Gange.

Ma loro due, il Padre italiano e il Maestro (lo chiamava così il gesuita, un po’ scherzando e un po’ no) cinese, avevano stabilito la consuetudine di ritrovarsi ogni domenica sera in riva al grande fiume, mentre il sole calava, per raccontarsi brandelli delle loro giornate, condividere speranze e preoccupazioni, ragionare di cose spirituali.

E più ancora, scambiarsi idee e riflessioni, ognuno sull’esperienza religiosa dell’altro, con un arricchimento reciproco che lustro dopo lustro li aveva resi simili e affini, pur lasciando a ciascuno il gusto di mantenere la propria identità.

E oramai, sazi di anni ma non di vita, discorrevano tra loro o di cose molto semplici (qualche giorno prima avevano discusso fino a sera inoltrata su quale fosse la procedura migliore per la cottura di un certo piatto locale) o di cose molto profonde, quasi raffinatezze teologiche, cui abitualmente dava l’abbrivio il gesuita.  Ma quella volta era stato il monaco taoista a proporre un inatteso argomento:

«Perché Gesù dice che lo Spirito Santo insegnerà ogni cosa agli apostoli?»

«Giovanni?»

«Sì, Giovanni 14, 26»

Padre Andrea tirò fuori lo sdrucito vangelo tascabile bilingue che portava sempre con sé; fece scivolare rapidamente i polpastrelli lungo il bordo destro fin quasi alla fine, sfogliò all’indietro un paio di pagine consunte e scovò la citazione: “Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto”.

Il sole sembrava veramente non voler tramontare.

Stettero in silenzio per qualche minuto, con lo sguardo di entrambi ramingo sulla linea dell’orizzonte.

«Perché» – opinò il  gesuita – «Anche dagli ultimi avvenimenti si era reso conto che la sua lezione non era stata appresa completamente… Ma tu hai in mente qualcos’altro, vero?»

Maestro Chang sorrise e annuì con un lieve movimento del capo.

«Sì, ci ho riflettuto molto su quel versetto. In un primo momento mi ero dato anch’io la tua stessa spiegazione, ma ripensandoci bene non mi convinceva. C’è dell’altro. Come insegnava Gesù?»

«Guarda che il gesuita che fa domande socratiche sono io!»

Risero complici, di tutto gusto.

«Parlando» – riprese Padre Andrea – «Raccontando fatti e parabole, fornendo spiegazioni in separata sede; e con gli esempi pratici e i miracoli».

«Esatto. E questo secondo me è il punto: tutto questo insegnamento è stato bello e perfetto, non c’è nulla da completare. Consummatum est»

Il grande sole era sceso per quasi metà nell’orizzonte e l’aria si era un poco alleggerita.

«Quindi» – proseguì Maestro Chang – «Non è quello l’insegnamento che dobbiamo aspettarci dallo Spirito Santo»

« Scusa se ti interrompo, ma quando abbiamo ragionato intorno al Tao abbiamo osato dire che era una rappresentazione trinitaria: il Padre nel Figlio e il Figlio nel Padre, in ciascuno una traccia dell’altro; e quel Generatore del movimento circolare – il Movimento stesso –  che attiva la compresenza del Padre e del Figlio… Lo Spirito Santo! Dicevi che può essere rappresentato proprio dal Generatore del movimento.»

«Sì, non lo smentisco. Ma…»

Maestro Chang si zittì e socchiuse per qualche istante le palpebre; congiungendo il pollice e l’indice fece un gesto come quello di chi coglie un fiore delicato.

Riaprì gli occhi e continuò:

«L’insegnamento di Gesù è prevalentemente razionale: parole, ragionamenti, metafore, esempi. Comunica all’emisfero cerebrale sinistro, al pensiero occidentale. Ma l’universo non termina nell’emisfero sinistro».

«Credo di cominciare a capire quel che vuoi dire».

«Gesù comprende che per trasmettere il suo insegnamento all’Uomo deve completarlo con ciò che le parole non possono esprimere.

E secondo me nel momento in cui comprende questo si rasserena, accetta che il suo compito sia perfetto proprio perché incompleto: accetta fino in fondo la condizione di umana incompiutezza».

Il sole rosso che aveva infiammato il tramonto del Gange, il cerchio abbacinante che aveva accompagnato mille e mille conversazioni, di quel gran sole rimaneva unicamente la luce, a illuminare le rughe sui volti pensosi dei due amici.

«E la Parola di Dio? » – propose Padre Andrea – «La Parola… Dio parla e ci dona parole. Crea con la Parola».

«È giusto quello che dici.

Anche a me è venuto in mente mentre riflettevo sul versetto.

Però tra la parola pronunciata e la luce, il mare, la terra che si creano c’è un ineffabile, uno iato che trasforma, anzi dà forma a quella parola pronunciata, che diviene Fatto e quindi – solo allora – Parola del Creatore. Altrimenti sarebbe vox clamantis in deserto. È lì, lo Spirito Santo!»

«Che ci insegna…»

«Che ci insegna a trasformare la parola pronunciata dal Figlio e dal Padre in Parola divina trinitaria».

«Ovvero a unire Yin e Yang nel movimento, così che l’uno e l’altro non siano più l’uno o l’altro ma il Tao » sussurrò sorridendo Padre Andrea.

 

Quaranta anni non passano invano se due anime sanno volare una dentro l’altra.

Maestro Chang lasciò abbassare le palpebre e si adagiò nella meditazione contemplativa.

Padre Andrea poggiò a terra le ginocchia, congiunse le mani intrecciando le dita e lasciò che sulle labbra fiorisse impercettibile un antico canto latino: “Veni, Sancte Spiritus…”.

La notte sul Gange non era mai stata tanto chiara.