Annalisa Margarino - Dio mamma

Dio mamma

di Annalisa Margarino

Pensare a un Dio madre è diventato possibile da non molto, da quando la teologia si è aperta alla dimensione materna di Dio a partire dall’affermazione di Giovanni Paolo I durante l’Angelus del 10 settembre 1978: “È papà; più ancora è madre”. Per molti questa frase è diventata storica, finalmente viatico per una visione di Dio svincolata dal concetto unico di paternità.

            Se Dio è papà, ancor più è mamma!

            Non occorre accedere al pensiero di Giovanni Paolo I e ad un filone teologico antecedente e successivo per scoprire il volto materno di Dio. Basta aprire la Bibbia, ma ancora più basta soffermarsi sul primo attributo di Dio.

Qual è il primo tratto che si attribuisce a Dio, se non la misericordia? E la parola misericordia ha un’origine inequivocabile. In ebraico misericordia si dice rahamim, termine che indica il plurale di raham, utero, o più genericamente viscere. Per questo motivo spesso si parla di ‘viscere di misericordia’. Dio è una mamma con tutte le caratteristiche proprie di una mamma. Possiamo dire, senza timore di eccedere, che il Dio ebraico-cristiano è un Dio uterino.

            Affermando che Dio è mamma e che ha in sé viscere uterine, bisogna fare riferimento ai due passi biblici in cui emerge questa dimensione di Dio, ovvero in cui si usa l’espressione rahamim per descrivere Dio e in cui la misericordia viene associata alla non dimenticanza di Dio: Is 49,15 e Is 54,10.

Dio non ci dimentica perché è mamma.

In Is 49,15, in particolare, leggiamo: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”.

            Il riferimento qui è diretto, in quanto si parla di “figlio delle sue viscere”. Per Dio siamo tutti figli delle sue viscere! In altri versetti Isaia parla di Dio come madre: “Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò” (Is 66,13).

            Il Dio mamma non si dimentica dei figli delle sue viscere, si commuove per loro e, come una mamma, li consola. Questi tre sono i tratti tipici della maternità. Una mamma non può dimenticarsi del suo bambino, può trascurare le faccende domestiche, persino dimenticarsi di se stessa mentre è alle prese con una creatura, ma è certo che naturalmente non può dimenticarsi di colui o colei che ha tenuto dentro di sé per nove mesi e che ha generato. Si commuove e prova emozione a ogni sorriso, gesto, movimento, sussulto e pianto del figlio. L’indifferenza non è dell’essere madre. E, ancor prima, una mamma sa consolare il figlio, attaccandolo al seno, accarezzandolo, guardandolo negli occhi, prendendogli le manine, stringendolo a sé e, soprattutto, sa quando il figlio ha bisogno di essere consolato.

            Sono state scritte ormai diverse pagine sul volto materno di Dio e Isaia è diventato il riferimento per incontrare questo Dio mamma nella teologia ebraico-cristiana. Eppure il rischio è che rimanga teoria.

            Non è facile accettare un Dio mamma per una cultura che ha sempre focalizzato un Dio padre, autore di ogni cosa, guida dell’uomo, protettore e pastore, custode e amministratore responsabile della vita, proprio come fa un papà. Si potrebbe continuare negli attributi propri della paternità.

            Un Dio mamma però sconcerta ancora. Una mamma mette al mondo.

Significa che Dio rende disponibile le sue viscere più interne per la nostra vita.

            Una mamma allatta e accudisce.

Significa che Dio ci nutre con la sua esistenza stessa e si fa cibo per noi. Forse la riflessione teologica e spirituale ha trascurato un po’ troppo il fatto che la mensa eucaristica ha un’origine più femminile che maschile.

            Una mamma consola e abbraccia, ma soprattutto è capace di gesti di tenerezza.

Significa che Dio ci tiene tra le sue braccia piene d’amore e come una mamma sa di cosa abbiamo bisogno prima che glielo domandiamo.

            Una mamma desidera vedere crescere i suoi figli e gioisce nel vederli prendere il volo.

Significa che il Dio mamma, come il Dio papà, non è un Dio del possesso, ma un Dio della cura, perché diventiamo anche noi, madri e padri capaci di amare, accudire, accogliere.

            Il Dio mamma della Bibbia ci vuole svezzati, come recita bene il Salmo 130: “Io sono tranquillo e sereno, come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia”.

Questo salmo, ancora più di altri testi, dice un’importante caratteristica di Dio. Ci vuole liberi e autonomi, capaci di cogliere l’amore della mamma fuori da logiche di dipendenza, ma dentro a logiche di amore e cura vissuti.

            Un Dio mamma ama, perché un giorno, crescendo, amiamo anche noi.

Sono tante le caratteristiche che si possono attribuire alla maternità di Dio, leggendo i Salmi e Isaia e sono tratti tipici della maternità che forse si possono comprendere appieno solo nel momento in cui si vive questa dimensione.

            Non amo scrivere note personali, in genere, ma nulla è stato vissuto ed esperito come questo testo. Gioele, il mio bambino, ha sei mesi e scrivendo mi sono interrotta più volte per consolare il suo pianto, dargli il latte, prenderlo in braccio, calmarlo, farlo sorridere, accarezzarlo e cullarlo.

            Questo è Dio, pronto in ogni istante a prenderci in braccio, nutrirci, consolarci, cullarci e piano piano, come fa una mamma con il suo bambino, svezzarci per renderci liberi nell’amore.