Stefano Sodaro - Ancora una volta

Ancora una volta

di Stefano Sodaro

 

La circolarità avvolgente di Piazza San Pietro – in cui il sottoscritto direttore ha passeggiato solo qualche sera fa –, con il suo colonnato, le sue statue ed il suo quasi portar per mano fin davanti alla Basilica dedicata al pescatore di Betsaida diventato Apostolo pur con tanto di suocera, rappresenta bene il carattere ad un tempo statico e dinamico, chiaro, perfino solare, eppure complesso sino ad essere spesso contraddittorio, dell’identità cattolica.

Ogni numero cento per il nostro giornale ha costituito uno spartiacque. E così è anche per questo numero 400, che esce il primo giorno dell’anno, di domenica, nell’Ottava di Natale.

Sono più di 8 anni e mezzo che continuiamo a scrivere qui, nonostante tutto e, certo – primariamente – nonostante noi stessi, anzi, precisiamo, nonostante me stesso.

“Il giornale di Rodafà”, specificato come “Rivista online di liturgia del quotidiano” dà ormai conto – devo ammetterlo, sebbene con un certo imbarazzo frammisto a pudore – di un percorso di vita, piuttosto personale e solitario sino ad un certo punto del tragitto ma da qualche tempo – qui sta il nuovo spartiacque – condiviso da amiche e amici, di provenienza la più diversa, che con storie e motivazioni molteplici hanno incrociato Rodafà e gli hanno fatto intensa compagnia.

L’odio verso tutto e tutti, la propensione all’ira e all’avversione, il dileggio come habitus etico sono le poderose barriere culturali su cui anche noi, più volte, ci siamo infranti provando tuttavia a reagire all’esito finale dello sbriciolamento.

Però ci sono, bisogna valorizzarne la presenza, anche il conflitto, la critica, in termini di spiritualità potremmo dire “la conversione”, la denuncia, che non sono dimensioni da render evanescenti per timore di rimanerne sporcati ma sono momenti imprescindibili di quel medesimo percorso esistenziale.

Rodafà mantiene in sé – non si sa per quanto, non si sa bene come e non si sa ce la farà – temi a lui assai cari: la laicità come contrassegno evangelico, la sconosciuta pluriformità orientale del cattolicesimo in cui albergano altrettanto misteriose figure come quelle dei presbiteri coniugati, la partecipazione ammirata e riconoscente all’elaborazione teologica delle donne nella Chiesa, la messa in discussione, serena ma convinta, di presupposti socioculturali assurti a dogmi – quale l’universalità umana del maschile divenuto appellativo neutro e totalizzante -, l’approfondimento delle coordinate propriamente giuridiche della vita ecclesiale.

Oggi scrivono su questo numero 400 diciannove autori – me doverosamente escluso – di cui non presenteremo profili e note biografiche ma che dapprima ringraziamo dal più profondo di noi stessi e dei quali, subito dopo, qualcosa pur ci viene chiesto di dire.

Abbiamo incentrato l’asse tematico di questo numero intorno al possibile ribaltamento del codice per cui Dio è pressoché sempre – anche quando assolutamente prossimo e tenero – un Lui e quasi mai una Lei, un volto ed un nome maschili e giammai femminili, pena, secondo alcuni, addirittura la bestemmia.

Ma si tratta, appunto, solo di un asse tematico, intorno al quale i contributi sono fioriti e si sono articolati con auspicata libertà e autonomia.

A partire dal luogo del nostro scrivere settimanale che ci permea intimamente e che segna la nostra stessa sensibilità antropologica, se possiamo definirla aulicamente così.

Trieste è donna.

Trieste sono le donne.

E non solo le sue donne, dal momento che di suo, inteso come qualità identitaria specifica, la nostra città ha assai poco, fecondata nella sua storia, che è ora cronaca contemporanea, da presenze altre, diverse, multilingui, multiconfessionali, eclettiche in interessi e frequentazioni.

Città della scienza e della letteratura, del commercio e della poesia, del piacere di vivere e dello scandagliamento psicanalitico.

E tuttavia Trieste sono le donne.

A Trieste tutto si tiene o tutto si perde.

E così, iniziando a pronunciare qualche parola, invero emozionata, su quei diciannove che oggi scrivono qui, siamo oltremodo onorati e felici, sin quasi alla confusione emotiva, di poter pubblicare l’intera opera teatrale, rimasta sinora inedita, dell’autrice ed attrice triestina, di fama internazionale, Sara Alzetta che ha scelto proprio il nostro giornale quale spazio di diffusione dei suoi testi scritti, di cui il primo già rappresentato scenicamente più volte ma sinora mai pubblicato, come gli altri due.

E tale opera teatrale, una trilogia dunque, è per appunto intensa storia di donne. Di donne di questi luoghi e di queste terre.

Rodafà ha visto poi nascere, sempre secondo le regole di spontaneità e affinità di un trovarsi comunitario fuori dagli schemi consueti, una specie di “microcellula” di canonisti e liturgisti, di cui fanno parte, oltre al sottoscritto del tutto indegnamente, il Prof. Pierluigi Consorti ed il Prof. Andrea Grillo, che partecipano entrambi, con la consueta acutezza e cordialità appassionata del loro impegno, alla stesura di questo numero 400.

E scrive oggi l’amico, e membro di redazione, Emiliano Bazzanella, la cui riflessione filosofica, innestata nel rigore del confronto con la postmodernità, ha sempre aspetti unici di originalità ed intuizione di cui la storia di Rodafà è stata costante testimone.

Scrivono qui un papà, che è anche un nonno, Antonio Sodaro, e un figlio che è anche un nipote, Matteo Sodaro, di dodici anni.

Scrivono gli amici di un’altra esperienza comunitaria che Rodafà ha reso possibile, in un sabato pomeriggio di bolognese e settembrina periferia, incontrando il presbitero parroco di Villanova Domenico Cambareri e il maestro di arte e di pensiero Gabriele Via.

Scrive il caro amico, esperto giornalista e vaticanista di eccezionale talento, Gianni Di Santo.

Scrive la competenza professionale, ma calda e viva, non frigida e astratta, di uno psicanalista come Maurizio Montanari.

Scrive da Venezia Anna Petri, cara lettrice, assidua come non mai, del nostro settimanale.

E scrive Stefano Agnelli, appassionato indagatore – ciò che già fece nel numero 300 – dell’immagine che si fa cultura.

Parla in una registrazione, con file allegato in formato mp3 – siamo o non siamo una rivista online multimediale? -, l’amica Rita Torti, socia del Coordinamento Teologhe Italiane.

E ci onora di poter pubblicare il testo della sua relazione tenuta a Trieste lo scorso 17 dicembre la Vicepresidente dell’Associazione Teologica Italiana Serena Noceti, ecclesiologa di fama mondiale.

Sulle giornate triestine della presenza di questa insigne ed amica teologa scrive pagine fresche di condivisione e di commento Silvano Magnelli, già vicesindaco della nostra città.

Ma il “Lei” di Dio non può non interrogare l’esperienza della maternità, su cui scrive la teologa Annalisa Margarino, da poco tempo teologa fattasi mamma, e dell’avvicinamento alle icone più vivide e sconcertanti della narrazione evangelica, laddove Dio abbandona tratti maschili, scrive Piotr Zygulski, direttore del periodico “Nipoti di Maritain”, cui ci sentiamo vicini per comunanza di interessi e di passioni teologiche.

Ed il nostro giornale ha un’altra ragione di commosso compiacimento e di particolare vanto nel vedere il contributo della scrittrice Cristina Marginean Cocis che, madre di una bambina e di un bambino, ha da poco pubblicato il suo primo romanzo, “Zero positivo”, e che vive in comunione di vita con il marito presbitero cattolico di rito bizantino secondo quanto il diritto di quelle Chiese consente.

Rodafà ama le Dolomiti come propria terra matria, che coniuga silenzi e innamoramenti viscerali.

Le Dolomiti del Cadore, in particolare, e della Val di Zoldo, dove la scorsa estate l’amicizia con Stefano Talamini, poeta entusiasta e studioso attento, autenticamente schietto e delicato, ha avuto modo di tradursi in un abbraccio, quell’abbraccio che ora, qui, si traduce ancora in due testi scritti proprio da Stefano per tale occasione, con nostra gioia e, di nuovo, commozione.

Marinella Perroni, fondatrice del Coordinamento Teologhe Italiane CTI), così scrive a commento dell’odierna solennità che conclude l’Ottava del Natale: «Prima di ogni altra raffinata speculazione, credere nell’incarnazione del Messia significa affermare due cose: che è figlio di una donna e che appartiene al popolo della Legge. Una donna è condizione perché Gesù sia davvero uomo tra gli uomini. Si tratta di cristologia prima ancora che di femminismo. Tutte le volte che si separa Maria dalla sua carne di donna è a rischio la fede dell’incarnazione. Come, del resto, tutte le volte che si pensa l’umano senza ricordare che è stato «tessuto nel grembo di sua madre». Anche Gesù stesso.» (in M. Perroni, Vino nuovo in otri nuovi. Riflessioni sulle letture dell’anno A, Edizioni Messaggero Padova 2016, p. 36).

Quella che abbiamo chiamato Via Rodafà prosegue, non si ferma al numero 400.

Il 21 gennaio prossimo sarà sua ospite a Trieste Cristina Simonelli, Presidente del CTI, e la presenza di un vescovo di Roma come Francesco autorizza a pensare che, in fondo alla strada, c’è una luce, di case illuminate, riscaldate e aperte all’ospitalità.

Qualcosa a Trieste sta cambiando. Qualcosa a Trieste sta nascendo.

Auguri a tutte, a tutti, ad ognuno.

Buon Anno, Buona Domenica.

 

Stefano Sodaro