Piotr Zygulski - La kenosis di Dio nel suo amore di gallina

La kenosis di Dio nel suo amore di gallina

di Piotr Zygulski

«Inter scapulas suas obumbrabit tibi, et sub alis eius sperabis»

Il quarto versetto del Salmo 90 (che nella odierna numerazione ebraica corrisponde al 91) era letto in questa formulazione da Agostino d’Ippona, che lo esaminò all’interno delle sue Enarrationes in Psalmos. Nel suo commento il Doctor Gratiae paragona Dio ad una gallina, diversamente dalle più diffuse esegesi che, a partire da quel versetto, continuano a volare alto con paragoni più nobili; si pensi alla splendida aquila che descrive Jan Michael Joncas nel canto On eagle’s wings: un’aquila che rialza e risolleva, sino a farci brillare – come il sole – sulla brezza dell’alba. La metafora dell’uccello rapace è presente in molti altri testi; ad esempio in Deuteronomio 32:11 troviamo scritto: «Come un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali». Analogamente, in molti salmi si ritrova l’espressione bᵉtsêl kᵉnâphey (“all’ombra delle [tue] ali”, vedasi Sal 16:8, 35:8, 60:5, 62:8, nella numerazione CEI e LXX) e tante altre metafore volatili, dalla colomba (yonâh, Sal 54:7 e 67:14) sino al pellicano (qâʼath, Sal 101:7), che divenne un simbolo eucaristico così caro a Tommaso d’Aquino che lo inserì nell’Adoro Te devote.

Da dove Agostino invece tragga l’inusuale immagine della gallina da associare al Salmo 90 lo rivela lui medesimo, nel corso della sua esposizione: «È lo stesso Cristo nostro Signore e Salvatore che si paragona alla gallina» – citando testualmente Mt 23:27, che è praticamente identico a Lc 13:34, in quanto tratto dalla fonte Q – «Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho voluto riunire i tuoi figli come fa la gallina con i suoi pulcini e non hai voluto?». Se Gerusalemme non volle, e così «venne rapita dalle potestà aeree perché si fidava delle sue forze mentre era debole», al contrario Agostino invita l’uomo a riconoscere le proprie fragilità – umane, appunto – e a trovare rifugio «sotto le ali di Dio, che sarà per noi come la gallina che protegge i suoi pulcini».

Probabilmente la similitudine con la gallina è agevolata anche dalla traduzione che dispone Agostino, riportata in apertura; essa di fatto rendeva con scapula il termine μετάφρενον (lett. “parte dietro il diaframma”) presente nella LXX, che costituiva un libero adattamento dall’ebraico ʼebrah (penna, ala) e kᵉnâph (ala, estremità), quasi sinonimi che danno vita ad una sorta di variatio. Ma come la traduzione in latino dalla Settanta era letterale, parimenti Agostino adotta un’esegesi letterale del Salmo 90, osservando attentamente: «Puoi intendere che ti coprirà con la schiena e con il petto, dato che le scapole sono presso la testa. Ma poiché dice: Sotto le sue ali spererai, è manifesto che, proteggendoti lui con le sue ali aperte, tu verrai a trovarti tra le scapole di Dio, e sarai nel mezzo mentre le ali di Dio ti staranno da una parte e dall'altra». In questo circolo ermeneutico si rafforzano le sembianze della gallina, che con istinto – o amore? – materno protegge i suoi pulcini, che non possono temere alcun male, perché «nessun nemico osa avvicinarsi» alla covata, a detta di Agostino.

Se al giorno d’oggi alcuni accostamenti animali – dai cani ai porci, attorno ai quali continua a permanere un alone di impurità che il cristianesimo non è ancora riuscito a mondare – vengono utilizzati per pronunciare invano il Nome più Santo, ci si potrebbe domandare se parlare di un “Dio gallina” non sia una forma di bestemmia. Agostino lo nega in modo categorico: «Non è infatti ingiurioso chiamarlo gallina». Ad un paragone con tutti gli uccelli che accudiscono uova e nuovi nati, la gallina gli sembra quella che più di ogni altro si abbassa alla debolezza dei propri pulcini; è inoltre riconoscibile la sua maternità «dal tono della sua voce», mentre «se vediamo le rondini, i passeri, le cicogne volare al di fuori del loro nido, non sappiamo se abbiano figli».

La gallina è presentata quindi dal Doctor Gratiae come figura kenotica e parola di misericordia al tempo stesso; in questa luce, non è affatto un idolo come il vitello di metallo fuso di Esodo 32:4, anzi: è un animale anti-idolatrico, perché gli idoli sono rappresentati, nel commento di Agostino, dagli «avvoltoi» che rappresentano «il diavolo e i suoi angeli, i quali, essendo potestà dell'aria, volano attorno […] per rapire il debole pulcino». Volano alto, più degli uomini, ma con superbia. La topografia qui non è assiologica – l’alto non è il bene e il basso non è il male – ma è organizzata verticalmente sulla base del potere, che sconvolge soprattutto l’ordine morale; indispensabile è quindi la κένωσις, l’abbassamento di Dio che si fa carico delle debolezze umane. Sulla scia di Paolo che affermava di essersi fatto «debole con i deboli» (τοῖς ἀσθενέσιν ἀσθενής, si tratta del noto poliptoto di 1Cor 9:22), esso è l’atteggiamento cristiano par excellence, che evita le idolatrie degli egoismi e della prepotenza. Non a caso il Salmo 90 è quello menzionato dall’Accusatore nella seconda delle tre tentazioni che Gesù ha affrontato nel deserto (dalla fonte Q, in Mt 4:6 e in Lc 4:10-11), ed è quella più esplicitamente sul potere; è lo stesso Salmo però a rivelare una potenza emancipatrice che va ben oltre il letteralismo degli angeli che sorreggerebbero l’uomo dalla caduta fisica: «Egli ti libererà dal laccio del cacciatore», anche da quello che con i suoi fucili spara citazioni bibliche per creare un ritratto diverso dal volto di Dio, caldo e accogliente, da noi riconosciuto nel Cristo.

Se l’aquila può essere vista come troppo spavalda, è la gallina a mostrare il vero potere di Dio, che già in principio con la sua Parola compie un atto kenotico: «La Creazione è da parte di Dio non un atto di espansione di sé, ma un ritrarsi, un atto di rinuncia. Dio insieme a tutte le creature è meno di Dio da solo. Egli ha accettato questa diminuzione. Ha svuotato di sé una parte dell’essere. Egli si è svuotato già in questo atto della sua divinità», scriveva Simone Weil in Attesa di Dio. Per non parlare del mistero dell’incarnazione, menzionato da Agostino nella medesima Enarratio sul Salmo 90: «Il Verbo si fece carne e abitò tra noi perché noi potessimo sperare sotto le sue ali», o di Gesù Abbandonato che, spalancando le sue braccia come ali, attrae sulla Croce tutta l’umanità con la quale si è integralmente unito. La figura kenotica della gallina è allora, con il suo istinto di protezione trasfigurato in agape, la “gallinità” che si fa integralmente umanità: quel concentrato dell’umanità di un Dio il cui nome è Misericordia. Tornando alla Weil, la grande teologa afferma che «le religioni per le quali la divinità comanda ovunque ne ha il potere sono false. Anche se monoteistiche, sono idolatrie»; se Dio si incarna in un bambino – che ad oggi potrebbe suscitare sensazioni sdolcinate che potrebbero persino essere fuorvianti – l’offrirsi nell’immagine di una gallina sembra ancora più suggestiva – anti-idolatrica, si diceva – nell’economia di una redenzione cosmica.

Per questo motivo, protezione e liberazione sono assicurate non tanto da un uccello spavaldo, quanto da mamma chioccia. La quale – lo si può sottolineare – è un’immagine femminile. Solo oggi finalmente riusciamo a riscoprire quanta maternità è presente da sempre in Dio – come insegnano esplicitamente pure i papi, da Giovanni Paolo I all’attuale Francesco – e si accompagna alla sua viscerale misericordia.