Pierluigi Consorti - Due canonisti nel bosco

Due canonisti nel bosco

di Pierluigi Consorti

Un bancario canonista

mi ha proposto di scrivere qualcosa per il suo giornale di liturgia del quotidiano.

Siccome me l’ha chiesto perché sono un canonista,

più o meno professionista,

ho pensato che bisogna celebrare il numero 400 della Rivista

senza nemmeno un svista.

La cosa più bella da ricordare è l’Amoris laetitia.

Eco della gioia del vangelo,

che dovrebbe fare innamorare persino i canonisti.

Però, come accade nelle favole più belle, mentre tutti vivono le loro giornate, prima di essere per sempre felici e contenti, incontrano un lupo cattivo che vuole spaventosamente rovinare la giornata. 

E così è successo anche adesso.

Un piccolo branco di lupacchiotti ha provato a metterci paura digrignando i loro dentini e sibilando che la letizia non è nell’amore, ma nell’obbedienza a se stessi.

La legge dell’amore lieto e fecondo, che più si regala e più cresce, si spegne in dubbi pretestuosi che vorrebbero far trionfare la legge della ripetizione, sempre uguale, di se stessi.

«Filautia» (parola antica, che piaceva ai padri del deserto), soffia nel bosco come una sfida.

«Filautia» scorre nell’assemblea e cerca di mettere le redini ad Eros mentre gioca lieto con Agape.

La legge di io sfida quella di Dio, rinnovando un eterno duello.

Qua e là il leone, che sempre ruggisce accovacciato alle porte del cuore, s’alza imponente.

Veste lunghi mantelli di porpora e di bisso.

Entra ed esce dal tempio; come un liturgista del passato, alza la legge vuota sulle teste del popolo.

Il lungo mantello di porpora striscia sul suolo e sibila («filautia»); sibila prima sottovoce e poi quasi grida.

Pare dica «Figlio dell’uomo, che hai da spartire con me?». 

Nel bosco si sparge la paura.

Tutti si nascondono dietro ai propri cespugli.

Qualcuno occhieggia, altri giungono le mani sugli occhi per non vedere. Uno si tappa le orecchie per non sentire.

Si sente una voce: «Dove sei? Perché ti nascondi?».

Qualcuno avverte un suono delicato, come di chi parla con dolce autorità.

Altri non sentono.

Quello che aveva le orecchie tappate ode benissimo.

Uno zoppo salta.

Il leone inciampa nel suo mantello, ma subito si riprende e si rialza imponente.

«Aspetto che passi la festa, e poi ti farò la festa» ruggisce ghignando.

Per reagire decide di predisporre un nuovo piano pastorale dal titolo «Prima che tutti vedano, stenderò un velo».

Quel leone la sa lunga.

Nulla meglio di un piano pastorale aggiornato può allontanare Eros e Agape dal loro gioco.

Nemmeno la legge ci riuscirebbe.

Cerca perciò le citazioni giuste.

Scava nel passato.

Si guarda indietro e poi ancora più indietro; perciò inciampa ancora nel mantello di porpora, ma questa volta Eros esce allo scoperto e gli fa uno sgambetto, un piccolissimo sgambetto.

Sufficiente perché il leone perda l’equilibrio.

Agape ride lieto.

La piccola risata corre verso il leone che si volta atterrito.

Fissa Agape negli occhi e riflette una luce strana.

Un bagliore risplende improvviso. Il mantello si accorcia progressivamente e mette a nudo un leone senza criniera.

Che, aprendo l’immensa bocca, sbadiglia e subito svanisce. Scompare, nemmeno fugge.

Ognuno torna sereno al proprio quotidiano lavoro e Eros e Agape vissero per sempre felici e contenti.