Serena Noceti - Chiesa in riforma: Francesco e il sogno del Concilio

Chiesa in riforma: Francesco e il sogno del Concilio

 

di Serena Noceti

 

 

 

1.      «Ecclesia semper reformanda»

 

«La riforma della chiesa poi – e la chiesa è semper reformanda – è aliena dal pelagianesimo. Essa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività. La chiesa italiana si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante». Così papa Francesco diceva alla Chiesa italiana al Convegno ecclesiale di Firenze, il 10 novembre 2015. Da allora più volte è risuonata l’espressione “ecclesia semper reformanda”.[1]

Merita riflettere su questo passaggio: è la ripresa di una parola - “riforma”- “dimenticata” nel post-concilio, in quanto visione tacciata di “ingenuità” ed in quanto prospettiva “svilita”.

Il Vaticano II è stato invece proprio un concilio di riforma – basti pensare alle finalità dichiarate dai pontefici all’inizio del primo e del secondo periodo -: Giovanni XXIII che ha

racchiuso nella parola “aggiornamento” questa istanza; Paolo VI che il 29.9.1964 indicava

tra le quattro finalità del concilio la riforma ecclesiale e parlava di “renovatio”.[2]

Bisogna riconoscere che i documenti conciliari mettono a tema la conversione e la riforma della chiesa: da Lumen Gentium capitolo 8. 48 a Unitatis Redintegratio, capitolo 2. 6, nel contesto ecumenico, laddove si parla della Chiesa che porta la figura fugace di questo mondo, che si confronta con il divenire e la storicità, che si orienta alla conversione, alla purificazione (semper purificanda) e alla riforma, con l’affermazione

proprio che “ecclesia indiget reformatione” (ricorrendo a parole di Lutero).

È vero: l’espressione “ecclesia semper reformanda” non c’è nei documenti conciliari, ma c’è la sua medesima prospettiva, seguendo un’espressione che ha una sua storia.

     

La chiesa è un “corpo inquieto” (seguendo la prospettiva di S. Xeres[3]), un corpo ecclesiale segnato da cambiamenti continui (talora molto lenti e quasi impercettibili) come anche da alcune grandi riforme (dalla riforma gregoriana a quella del Concilio di Trento).

Per quanto mi riguarda, cercherò di riflettere sulla “riforma” avvicinandomi al lemma dal punto di vista etimologico – cioè di “darsi una nuova forma”, configurarsi diversamente – indicando così il passaggio, il cambiamento, il rinnovamento che tocca la figura di chiesa - nel senso della configurazione storica complessiva

In questo senso penso a cambiamenti globali, ri/fondativi che investono il soggetto complessivo – la figura empiricamente rilevabile e la reinterpretazione delle istituzioni esistenti.[4]

Penso a momenti nei quali non bastano aggiustamenti, ma muta il paradigma di riferimento, cambia la figura ecclesiale.

Il Vaticano II si è pensato ed è stato un concilio di riforma, convocato non per dare risposta dottrinale a posizioni eterodosse, non per condannare errori o per affrontare problemi di scismi o eresie.

Anche oggi si colgono spinte e attese di riforma a 50 anni dal Vaticano II; l’elezione di papa Francesco si è posta in un clima di disagio, di lamento, di empasse, portando un “fresco vento del sud” e richiamando con forza alla riforma ecclesiale.[5]

E questo avviene in una stagione culturale il cui tratto distintivo è la legittimazione del cambiamento continuo unita alla rapidità dei cambiamenti e ciò su sempre più vasta scala, dal momento che «non abbiamo mai in modo chimicamente puro la sostanza centrale immutabile accanto a una determinata forma, ma abbiamo sempre la prima soltanto attraverso la mediazione storica del momento».[6]

Siamo dentro una società che contempla se stessa non più a partire dal proprio passato, ma quasi esclusivamente dal proprio presente e dal proprio futuro (sperato, desiderato, possibile); che pensa l’identità non come un permanere in un elemento acquisito una volta per tutte, ma come costruzione progressiva di un’identità, mai conclusa.

Vorrei riflettere sul modo in cui papa Francesco sta prospettando e animando il cammino conciliare, sulle sfide che questo comporta (per la nostra mentalità, la forma ecclesiale, le strutture e i processi).

Cosa è avvenuto in questi 50 anni? Perché la riforma indicata e auspicata in Concilio non ha raggiunto i suoi obiettivi? Perché la riforma liturgica è stata poi messa in discussione?

 

2.    papa Francesco e la sfida della riforma

 

L’Esortazione Evangelii gaudium - il suo scritto programmatico per il pontificato – è stata elaborata, come dice il papa stesso, per mobilitare il popolo di Dio per un processo di riforma missionaria (come si legge anche in Laudato Si’, n. 3), impregnata di istanze di riforma.[7]

Possiamo osservare nel processo di recezione (incompiuta) del Concilio che, con il 13 marzo 2013 si è aperta una quarta fase – o meglio ancora, l’11 febbraio (data della rinuncia di Benedetto XVI) -, dopo i primi due decenni di sperimentazioni, cambiamenti, ricerca inesausta, dopo parziali e talora fallimentari realizzazioni, una fase che ha coinvolto le chiese locali e gli episcopati nazionali.[8]

Dalla metà degli anni ’80 abbiamo assistito a una fase di necessario consolidamento, ma anche di ridimensionamento delle istanze conciliari (Chiesa universale di nuovo al centro, ripensamento in chiave sacerdotale e sacrale del ministero ordinato, fortemente individualistico, centralizzazione romana e sempre più forte potere alla curia, collateralismi politici, etc.), con l’ermeneutica magisteriale pontificia al centro.

Dal 2000 fino al 2013, l’ermeneutica magisteriale ha tentato di orientare la stessa recezione complessiva, da parte della chiesa, del Concilio (ermeneutica della continuità/discontinuità; motu proprio Summorum pontificum, etc.), mentre la teologia si è fatta ripetitiva, oppure silente, e l’obbedienza ha a volte compromesso la capacità di inculturazione.

Papa Francesco si è posto fin dall’inizio nell’orizzonte dell’ecclesiologia del Vaticano II. La sua è una relativa novità.

La visione ecclesiologica (e antropologica) è quella dei documenti conciliari: Lumen Gentium, Ad Gentes, Gaudium et Spes; la prospettiva complessiva va in questa direzione. Si tratta di concludere la stagione tridentina e post-tridentina per intraprendere la riforma di una figura di chiesa sotto due aspetti:[9]

 

1. ripresa di alcune pagine dimenticate su soggetti e forma ecclesiale quali snodi qualificanti dell’ecclesiologia del concilio divenuti marginali nella ricerca teologica e nel magistero (pontificio) post-conciliare.

E queste pagine sono: la categoria di “Popolo di Dio” (Lumen Gentium, n. 9), il concetto di “Chiesa povera” (Lumen Gentium, n. 8) che non si riferisce solo ai mezzi materiali, bensì rapporto con il potere, logiche di influenza politica e sociale); la realtà teologica della chiesa locale (rivoluzione copernicana dimenticata); l’articolazione sensus fidei/consensus fidelium (Lumen Gentium n. 12); la nozione di “coscienza” (Gaudium et Spes, n. 16).

Nel post-concilio si è passati alla valorizzazione della Chiesa universale, ad una riflessione sui fedeli laici quali collaboratori della gerarchia, non più riconsiderati come corresponsabili, e così via.

 

2.   ripresa di prospettive interpretative basilari, che sono poi essenzialmente tre:

            ° essere chiesa nel mondo (Gaudium et Spes),

            ° verità e storia (Dei Verbum),

° che si incarica della lettura dei segni dei tempi (Gaudium et Spes, al n. 4.11, parla dei grandi fenomeni sociali e culturali nei quali l’avvento del Regno di Dio è dato nella storia dell’umanità, e Gaudium et Spes, n. 44, parla dei linguaggi necessari per comprendere il vangelo, ponendo una chiara istanza di inculturazione della fede e andando oltre il codice del religioso “sacro-profano” che risale al IV-VI secolo, mentre ora avviene un recupero del sacerdozio comune).

 

Papa Francesco (in Evangelii Gaudium, in Amoris Laetitia) si fonda su questi presupposti: non esiste una essenza immutabile di chiesa, chimicamente pura, da applicarsi ovunque, ma siamo davanti a un processo di realizzazione storica, di un soggetto storico collettivo – per questo il Papa chiama a riforma la chiesa e i soggetti ecclesiali. Il nome stesso da lui scelto è denso di questa suggestione – Francesco d’Assisi –, quasi evocando un confronto tra profezia e istituzione.

 

3.                l’eredità del Vaticano II: passi per una riforma significativa ed efficace

 

La disamina critica di questi 50 anni dal Concilio ripropone una domanda basilare su ciò che è avvenuto e sul perché: quando una riforma è significativa ed efficace?

I.         alcune suggestioni per aprire un percorso di ricerca ed eventuali, parziali, risposte ci possono venire dalla sociologia delle istituzioni e dalle scienze politiche.[10]

Esistono diversi approcci al tema del cambiamento/riforma-e; il modo di interpretare il cambiamento dipende dalla teoria generale adottata – si può richiamare il confronto con la teoria di Berger Luckmann (costruzione sociale della realtà)[11], altri spunti vengono dal neoistituzionalismo (March) e dalla pedagogia di Gardner.[12]

Le istituzioni sono costruite e ricostruite dai loro membri attraverso interazioni mediate simbolicamente e comunicate, tenendo presente che è in gioco una rete di significati.

Le strutture (e le istituzioni) non sono cose/entità già date ma sono frutto di un processo aperto di costruzione sociale.

In questo senso “le riforme differiscono dal cambiamento per il fatto che comportano descrizioni esplicite dello stato verso il quale operare/adoperarsi”.[13]

 

Si tratta di agire sempre su tre livelli compresenti di riforma:

-         contenuto di coscienza collettiva,

-         forma delle relazioni,

-         strutture, istituzioni.

Bisogna tenere conto di trasformazioni che toccano i riti/miti/simboli – le strutture, le relazioni, le azioni, e delle strutture che sono investite di significati (hanno una funzione oggettiva assieme ad una dimensione simbolico-comunicativa).

 

La riforma deve toccare tutti questi livelli in forma coerente, sapendo che in ogni caso una data comprensione di coscienza collettiva è veicolata da una data forma relazionale e da una data struttura, ma anche che queste hanno bisogno di essere suffragate da una data “teoria condivisa” di Chiesa.

Le istituzioni hanno a che fare con processi intersoggettivi di elaborazione di significati attraverso cui gli attori si riconoscono reciprocamente come membri dell’organizzazione, poiché l’identità è frutto di dinamiche aperte (non è un presupposto dato).

Sono indubbiamente fondamentali processi di apprendimento, ma non basta la formazione dei soggetti sul piano intellettuale, deve esserci cambiamento nelle relazioni e nella istituzionalizzazione di tali relazioni.

Si pone allora una domanda chiave:

come promuovere/governare la riforma sul piano della trasformazione dei paradigmi e sul piano delle strutture?

Il Concilio Vaticano II: ha previsto una riforma (quella liturgica) e ha dato orientamenti per la catechesi e la riscoperta Bibbia (riforma abortita, che non ha coinvolto, in particolare, gli adulti), ma è mancata una riflessione sulla riforma delle istituzioni necessarie per attuare il cap. II di Lumen Gentium (sul “Popolo di Dio”).

C’è un’opera di decostruzione.

C’è una domanda sulle condizioni per cui il cambiamento può essere sostenuto – dopo la fase di entusiasmo –, nella coscienza che vanno cambiate le logiche di azione, di comunicazione, di rapporto (come mantenere la speranza durante il processo di riforma), onde individuare le condizioni per la riforma.

È questione di rischio, di motivazioni, di speranza; la riforma richiede e produce elaborate spiegazioni e iniziali tentativi di prassi alternativa (i discorsi devono essere logici, chiari, consistenti, ma anche appassionanti).

     

Ed ulteriori percorsi si intravvedono alla luce della sociologia.

II.        Ci si deve chiedere come cambino le idee:

la Chiesa è una istituzione/organizzazione eterogenea ed il cambiamento deve avvenire in rapporto alla tipologia di istituzione.

La Chiesa è un’istituzione per certi aspetti omogenea (c’è un elemento di fondo, la fede, che unisce i soggetti; c’è una leadership la cui autorevolezza è riconosciuta), allo stesso tempo si tratta di una istituzione grandissima, che raccoglie soggetti che vengono da culture diverse e questo connota di per sé il soggetto secondo tratti di eterogeneità.

Se per le istituzioni omogenee è essenziale che il cambiamento venga operato attraverso il ricorso a “teorie”, cioè a spiegazioni complessive di un dato orizzonte – le teorie che possono favorire – attraverso un processo formativo condiviso a diversi livelli e giocato fondamentalmente sul piano dell’intelligenza logica - la nascita di una nuova coscienza collettiva postulano

-         concetti nuovi che vengono diffusi,

-         sistematizzazioni organizzate che vengono condivise.

Le istituzioni eterogenee però cambiano laddove vengono proposte nuove “storie”, intendo per “storia” un insieme di elementi che descrivono un passato felice al quale uniformarsi o richiamano un futuro possibile verso il quale camminare e che possono così animare il sentire comune e la coscienza collettiva intorno ad alcuni punti fermi essenziali, da tutti condivisi e che tutti possono riconoscere come essenziali.

Per favorire il cambiamento la “storia”:

-         deve essere semplice e le persone devono identificarsi in essa,

-         deve essere emotivamente risonante,

-         deve evocare esperienze positive (già vissute o per lo meno desiderate),

-         deve essere narrata in una molteplicità di forme (adeguate ai diversi soggetti di cui è composta la società o l’organizzazione a cui ci si rivolge) e con una molteplicità di simboli e di mezzi comunicativi

Le storie – ci dicono sociologi delle organizzazioni – sono tanto più efficaci

-         quanto più i leader (cioè coloro che promuovono i processi di rinnovamento) le incarnano nella loro vita quotidiana (le testimoniano di fatto, noi diremmo),

-         quando vengono tradotte in strutture e veicolate attraverso atti, esperienze significative vissute dalla collettività,

-         quando cioè alimentano non solo un pensare comune, ma una vita vissuta insieme come vita comune.

Esse sono importanti, dunque, non solo per il loro valore assertivo, ma per il loro valore performativo. 

Le narrazioni diventano centrali (per il messaggio e per il narratore che le propone), anche attraverso canali paralinguistici (come insegnano Geertz e Ellen O’Connor)

 

Papa Francesco percorre così passi di riforma[14] che stanno dentro alcune direzioni quali:

I.    leggere il tempo: stare in questo tempo.

La (seconda) secolarizzazione (pensando a Ch. Taylor) non afferma la scomparsa del senso religioso o delle appartenenze o della funzione pubblica delle religioni, ma richiede scelte personali, forme plurali in divenire, accompagnate da:

            ° fine del sistema

            ° urbanizzazione

            ° senso del tempo e dello spazio

            ° disuguaglianza e ingiustizie che appaiono insostenibili;

 

II.  una decostruzione sul piano simbolico. [15]

Ed il papa effettivamente pone segni e gesti che ci riportano quotidianamente al vangelo. Essi infatti interrompono e sorprendono.

Sono spiegati e motivati, ma comportano anche un appello alla coerenza di vita e ciò in linguaggio nuovo, per appunto sorprendente, comprensibile per tutti.

La vita quotidiana è al centro, con un approccio sapienziale (per cui Dio è da scoprire nascosto nelle nostre vite, parla e si fa trovare attraverso la valorizzazione dell’umano);

 

III. una denuncia delle mancanze (quell’autocritica finalmente presente – ad esempio in modo chiarissimo in Amoris Laetitia! –), così proponendo una vera e propria reinterpretazione delle strutture esistenti (nella dialettica riforma/riforme).

 

IV. un processo a più livelli che si struttura contemporaneamente attraverso un contenuto di coscienza collettivo, la forma delle relazioni ecclesiali e il ripensamento delle strutture.

Il Papa rimanda continuamente al gioco tra conversione – di ognuno – e la dialettica riforma/e.

Francesco ha scelto una idea chiave - la misericordia (suo motto, non solo derivato da Kasper) –, corrispondente ad un amore che si confronta con il negativo (tramite il perdono o l’aiuto all’altro nel suo limite e bisogno).[16]

Ma le istanze allora diventano pure quelle di:

°° una Chiesa adulta (coscienza, progressività),

°° superare il legalismo, anche predicando un culto fine a se stesso ed un giudizio senza appello,

°° una Chiesa inclusiva;

 

V. non la sostituzione di strutture, ma un’azione per un cambiamento nei processi, puntando a:[17]

** il ritorno al principio (l’annuncio del Vangelo), così come avvenne al Concilio (il passaggio dall’impostazione tridentina è su questo prima di tutto, transitando dal principio di autorità che costituisce la societas al principio di evangelizzazione).

E così il ritorno al principio si attua con quattro caratteristiche chiave:

-         evangelizzazione come compito di tutti – del Popolo di Dio –, e dunque anche dei laici,

-         evangelizzazione incentrata sull’essenziale – nucleo del vangelo di Gesù – non sulla dottrina (così pure il Convegno della Chiesa Italiana a Firenze è ricorso ad un’espressione pregnante: “la carne di Gesù”),

-         dimensione missionaria come tratto caratterizzante tutte le attività ecclesiali,

-         evangelizzazione inculturata: tensione ad evangelizzare le culture (Evangelii Gaudium, n. 118), evangelizzazione come inculturazione (Evangelii Gaudium, n. 122), dove diventa centrale la questione dei linguaggi.

E tutto questo riporta una Chiesa divenuta mondiale al principio che l’ha generata e che solo la può rigenerare (l’annuncio del vangelo) e allo stesso tempo invita alla riforma della Chiesa a partire dalla “eterna novità del vangelo” – o, come dice Francesco, da “la freschezza originale del vangelo” (Evangelii Gaudium, n. 11);

 

-         e dinamiche comunicative pluridirezionali che non attingono più alla figura gregoriana e tridentina di Chiesa (secondo dinamiche comunicative unidirezionali), ma si fondano intorno a sinodalità e ad una nozione di Chiesa quale “comunità ermeneutica”.

 

Ne risultano quattro “tensioni” riconciliate (senza che la riconciliazione avvenga per esclusione):[18]

-         il tempo (per creare un popolo) che appare superiore allo spazio occupato (occupato dalle strutture),

-         l’unità che prevale sul conflitto, poiché è richiesta una specifica capacità di affrontare i conflitti senza sublimarli, senza negarli,

-         la realtà come più importante dell’idea (attuando un superamento del platonismo diffuso e ponendo un rapporto diverso tra teoria e prassi nella Chiesa);

-         il tutto come superiore alle parti.

 

Di alcuni primi passi di una riforma strutturale (curia romana, economia ….) si può dar conto e si possono così citare gli approfondimenti in corso su “ministero ordinato e sinodalità” ed il seminario tenutosi nell’autunno dello scorso anno presso la redazione di Civiltà cattolica e confluito nel volume appena edito su “La riforma e le riforme nella Chiesa”.[19]

Ci si domanda: ma quali sono allora i soggetti della riforma?

Si deve rispondere che c’è un potere dei riformatori, ma esso è limitato, perché fortemente legato al quadro culturale.

La riforma nasce da un diffuso sentire comune, ma di fatto le riforme avvengono perché c’è un gruppo che le governa e le anima (e appaiono allora strategie da pensare, contenuti avvertiti); le riforme devono “descrivere e rappresentare il futuro desiderato” nel rapporto tra idee e pratiche insieme (di solito nelle istituzioni si separa chi lavora e chi pensa, nella riforma tale separazione non avviene).

 

La riforma, in particolare, deve coinvolgere tutti gli attori sociali e deve alimentare in loro la speranza.

 

Bisogna prendere atto che esistono ad un tempo le resistenze e le risorse (nella teologia, nel Popolo di Dio, nei media, nelle donne, nei poveri).

 

Davanti alla leadership di papa Francesco, ci si chiede: ce la farà papa Francesco?[20] Ce la farà la Chiesa di Francesco?  Ce la farà la Chiesa del Concilio?

La risposta è rimessa alle nostre menti, alle nostre mani, al nostro sentire più vivo.

 

[1] A. Cozzi - R. Repole - G. Piana, Papa Francesco. Quale teologia?, Cittadella, Assisi 2016.

[2] Giovanni XXIII, Allocuzione Gaudet mater ecclesia, in Enchiridion Vaticanum (EC) 1/1976, EDB; Paolo VI, Discorso apertura del secondo periodo conciliare, in Ivi.

 

[3] S. XERES, La chiesa, Corpo inquieto. Duemila anni di storia sotto il segno della riforma, Ancora, Milano 2003. cf anche XERES S., Ecclesia semper reformanda. Un itinerario storico, in Teologia 2 (2004) 152-179, ID., Una chiesa da riformare, Qiqajon, Bose 2009.

 

[4] K. RAHNER, Trasformazione strutturale della chiesa come chance e come compito, Queriniana, Brescia 1973 [or. 1972]; J.J. VON ALLMEN, Una riforma nella Chiesa: possibilità – criteri – attori – tappe, AVE, Roma 1973 [or. 1971]; H. KÜNG, Riforma della Chiesa e unità dei cristiani, Borla, Torino 1965 [or. 1960]. Cf. anche Y.M. CONGAR, Vera e falsa riforma nella chiesa, Jaca Book, Milano 1972 [or. 1950].

 

[5] Cf. A. Melloni – G. Ruggieri (edd.), Chi ha paura del Vaticano II?, Carocci, Roma 2009; G. Lafont, Immaginare la chiesa cattolica. Linee e approfondimenti per un nuovo dire e un nuovo fare della comunità cristiana, San Paolo, Cinisello B. 1998 [or. 1996]; M. Kehl, Dove va la chiesa? Una diagnosi del nostro tempo, Queriniana, Brescia 1998 [or. 1996]; J.B. Libanio, Scenari di chiesa, Messaggero, Padova 2002 [or. 1999]; C. Duquoc, Credo la chiesa. Precarietà istituzionale e Regno di Dio, Queriniana, Brescia 2001; F.X. Kaufmann, Quale futuro per il cristianesimo?, Queriniana, Brescia 2002; G. Lafont, La chiesa. Il travaglio delle riforme, S. Paolo, Cinisello B. 2012; S. Dianich, La chiesa cattolica verso la sua riforma, Queriniana, Brescia 2014.

 

[6] W. Kasper, Zum Problem der Rechtgläubigkeit in der Kirche von morgen, in Aa.Vv., Lehre der Kirche – Skepsis der Gläubigen, Herder, Freiburg i.Br. 1970, 79, cit. da F.X. Kaufmann, Sociologia e teologia, Morcelliana, Brescia 1974, 179.

 

[7] H.M. Yañez (ed.), Evangelii gaudium: il testo ci interroga. Chiavi di lettura, testimonianze, prospettive, Gregoriana Biblical Press, Roma 2015; A. Spadaro, Evangelii gaudium: radici, struttura, significato della prima esortazione apostolica di papa Francesco, in La Civiltà Cattolica (2013) IV 417-433; A. Spadaro, Il disegno di papa Francesco: il volto futuro della chiesa, EMI, Bologna 2013; J.L. Segovia et al., Evangelii gaudium y los desafíos pastorales papa la Iglesia, PPC, Madrid 2014.

 

[8] G. Routhier, Il Concilio Vaticano II. Recezione ed ermeneutica, Vita e Pensiero, Milano 2007; Ch. Theobald, La recezione del Vaticano II, I. Tornare alla sorgente, EDB, Bologna 2011; M. Vergottini (ed.), La chiesa e il Vaticano II. Problemi di ermeneutica e di recezione conciliare, Glossa, Milano 2005, 3-45.

 

[9] S. Noceti, Papa Francesco, misericordia, riforma della chiesa, in Studi ecumenici 34 (2016) 27-47; Ead.,  La riforma della chiesa. Quanto è indispensabile, quanto è possibile (relazione tenuta al seminario di Noisiamochiesa, 2016).

 

[10] M. Archer, Realist Social Theory. The Morphogenetic Approach, Cambridge Univ. Press, Cambridge 1995; N. Brunsson, Reform ad Routine. Organizational Change and Stability in the Modern World, Oxford University Press, Oxford 2009; M. Ferrante – S. Zan, Il fenomeno organizzativo, Carocci, Roma 200711, 214-250; J.G. March – J.P. Olsen , Rediscovering Institution. The Organizational Basis of Politics, Free Press, New York 1989; J.G. March, Explorations in Organizations, Stanford University Press, Stanford 2008, 191-296; D.C. North, Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell’economia, Il Mulino, Bologna 2005.

 

[11] P.L. Berger – Th. Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna 1969 [or. 1966].

 

[12] H. Gardner, Cambiare le idee. L’arte e la scienza della persuasione, Feltrinelli, Milano 2005.

 

[13] N. Brunsson, Reform ad Routine, 6.

 

[14] A. Grillo, Le cose nuove di Amoris Laetitia. Come papa Francesco traduce il sentire cattolico, Cittadella, Assisi 2016; R. Repole – G. Piana – Op. cit., Cittadella, Assisi 2016; G. Semeraro, La riforma della curia, in Il Regno Attualità, 14/2016.

 

[15] D. Viganò, Fratelli e sorelle, buonasera.Papa Francesco e la comunicazione, Carocci, Milano 2016

 

[16] Cf. W. Kasper, Papa Francesco. La rivoluzione della tenerezza e dell’amore, Queriniana, Brescia 2015; K. Appel – J.H. Deibl (edd.), Barmherzigkeit und zärtliche Liebe. Das theologische Programm von Papst Franziskus, Herder, Freiburg I.Br. 2016 (è prevista traduzione parziale in italiano).

 

[17] Evangelii gaudium, 221-237.

 

[18] Evangelii gaudium, 221-237.

 

[19] Cf. A. Spadaro – C.M. Galli (edd.), La riforma e le riforme nella chiesa, Queriniana, Brescia 2016.

 

[20] Cf. R. d’Ambrosio, Ce la farà Francesco? La sfida della riforma ecclesiale, La Meridiana, Molfetta 2016