Gabriele Via - Cristologia della Vita

Cristologia della Vita

 di Gabriele Via

 

Su graditissimo invito di Stefano Sodaro, vorrei spendere qui una manciata di parole, non strettamente sottoposte ad un dettato puramente razionale, ma - è il mio auspicio - piuttosto innervate di uno spirito vitale, per metà umido ancora di mistero e amico della parola poetica, attorno ad un tema veramente colossale: la questione del maschile e del femminile in rapporto tra di loro, dentro alla questione teologica cristiana. Prego quindi il Signore di assistermi in quanto mi cimento a scrivere.

La questione teologica cristiana, si sa, è - in forma centrale e problematica - tutta traslucida fra mistero e opacità.

Ben presto, superata storicamente la Pasqua di Gesù di qualche generazione, ecco che si va elaborando la cristallizzazione del costituirsi dogmatico della Trinità.

È noto che in nessuna parte della Bibbia cristiana troveremo mai il concetto unitario, sintetico ed espresso di Trinità.

Troveremo il Padre, il Figlio e lo Spirito.

Li potremo trovare sparsi, come riuniti, ma mai esiste la loro riunione in uno stato di famiglia teologico dichiarato, mai ricadono sotto il nome di famiglia Trinità.

Eppure, oggi e da molti secoli, la Trinità è un dogma fondante della cristianità e la teologia trinitaria è al centro dalla comprensione del senso cristologico del nostro essere uomini e donne di Fede con Cristo, per Cristo e in Cristo.

Cosa intendo? Perché richiamo questa faccenda?

Intendo dire che la Cristianità nasce come un seme che nel corso della storia germina, sviluppa, cresce, mette foglie, fiorisce e dà frutto.

Siamo in cammino, da sempre e per sempre. Fino alla fine dei tempi, tutti.

Se dunque leggiamo e consideriamo come un dato reale e concreto della nostra storia l’elaborazione del concetto di Trinità, siamo chiamati (il Concilio Vaticano II a questo ci convoca) a meditare e ragionare su altre dimensioni dell’essere nostro che sono in cammino.

Certamente la questione di cosa è la Chiesa - forse il più straordinario specchio in cui individuare il movimento vivo del Volto in cui ritrovarci - rientra fra queste meditazioni sul buon seme di Cristo che lievita nella Storia. E al centro di questo mistero appare la questione della Beata Vergine e della Madre di Dio.

Il tema è vastissimo. Non potrò fare altro che richiamare articoli di ragionamento, che solo la vita, il confronto, la preghiera, lo studio e l’ascolto orante potranno illuminare con l’aiuto dello Spirito, che, come si sa, fa sempre quel che più gli piace senza dover rispondere a Nessuno. E in questa comune ricercata sintonia nello Spirito, auspico che ci possano essere risonanze in chi vorrà leggere questa manciata di parole.

Nel far ciò, rimandando al Concilio Vaticano II nel suo complesso, richiamo però un lacerto della Costituzione Lumen Gentium.

Dal suo capitolo VIII, al n. 54: «…il santo Concilio, mentre espone la dottrina riguardante la Chiesa, nella quale il divino Redentore opera la salvezza, intende illustrare attentamente da una parte, la funzione della beata Vergine nel mistero del Verbo incarnato e del corpo mistico, dall'altra i doveri degli uomini, e i doveri dei credenti in primo luogo. Il Concilio tuttavia non ha in animo di proporre una dottrina esauriente su Maria, né di dirimere le questioni che il lavoro dei teologi non ha ancora condotto a una luce totale. Permangono quindi nel loro diritto le sentenze, che nelle scuole cattoliche vengono liberamente proposte circa colei, che nella Chiesa santa occupa, dopo Cristo, il posto più alto e il più vicino a noi».

Se dunque siamo in cammino, non solo andiamo verso, ma indubitabilmente proveniamo da.

Arriva, nella vita, un’età in cui ti accorgi, in una maniera del tutto evidente, come e quanto il pensiero sia fatto di parole.

E ti accorgi anche che l’evidenza è quella cosa che fa esplodere la parola lasciandoti, senza altra discussione, nel tuo procedere, col tuo camminare, per il tuo andare aldilà, concreto, più reale della realtà, proprio “oltre” quella parola, che esplodendo in te (potremmo dire “rivelandosi” a te), e senza altra parola alcuna, apre, potremmo dire “poeticamente” ad un’altra visione del mondo.

E che un vasto mondo della vita esiste, vive, opera, ama, partecipa pienamente, venendo a noi senza pronunciare oltre una sola parola, lo sappiamo. Ne abbiamo tutti esperienza.

E ogni volta che ce ne accorgiamo, ecco che ci sembra anche di averlo sempre saputo prima: ora è come se si fosse solo chiarito.

Ricominciamo allora a ragionare, tenendo conto di questo vastissimo, enorme, vivace e necessario campo dell’esistenza della vita, che è con noi, è per noi, è in noi.

Questa parte di noi che, solo che stiamo attenti, possiamo riconoscere amica, prossima, medesima, ovunque il misterioso disegno della vita ci voglia mostrare quel suo respiro silenzioso che permea tutto l’universo: unica vastità creata che coincide, meglio “combacia”, esattamente con il tempo, il tempo che tutto contiene, il tempo quando ancora lo ha toccato solo Dio col primo movimento del suo misterioso essere.

Diciamolo per bene e quanto più completamente siamo oggi in grado di fare: stiamo parlando del bacio, umido, vivo, fecondo, reale e concreto fra Creazione e Rivelazione. Questo è l’amore: scalda, illumina, nutre, sostiene: esiste e fa esistere nella gioia della pienezza. Ed è quanto di più contagioso esista in Natura.

Anzi, no: è la Vita che contiene la Natura.

Per tutta la vita siamo in vita, eppure la vita è un continuo stare per, una promessa vicina, un domani che sopraggiunge, ma anche una meditazione su ieri che va compiendosi, proprio ora, proprio qui, tra noi, adesso: più presente del presente.

Questo abitare cosciente che genera coscienza nel tempo, del tempo.

Questo lievitare continuo dell’essere che non ha fine.

Che non solo è amore, ma il cui movimento è amore.

Amore quindi come anatomia e fisiologia di tutto ciò che è.

Amore come érgon, amore come enérgeia.

Amore come “parola”, amore come “linguaggio”.

Ciò che stiamo qui proponendo, a parole, richiede di avere meditato veramente per molti anni su tre dimensioni del rapporto con Dio che la tradizione biblica ci offre: la dimensione Profetica, la dimensione Sapienziale e la dimensione Apocalittica.

Sono veri e propri stadi di una progressiva consapevolezza che le Nozze fra Umano e Divino arrecano quale contributo fecondo, nella coscienza di Israele, ma che per analogia possiamo trovare anche in altre tradizioni.

Nella tradizione Indù possiamo vedere evolvere la meditazione dai Veda fino al Tantrismo del Kashmir.

Nel cammino cristiano possiamo leggere il senso di questo meditare sul cammino spirituale della storia da Gioacchino da Fiore a Giambattista Vico, a Hegel, fino alle attuali visioni olistiche.

Il nucleo più denso e ricco della spiritualità cui attingo per questa meditazione, neanche a dirlo, si trova nella spiritualità del corpo Giovanneo del Nuovo Testamento. Il quarto Vangelo che si fonda nelle radici profetiche del battista, fino all’Apocalisse di Giovanni.

Per molto tempo abbiamo proseguito a insistere su un Dio Padre (nel senso di maschio regnante più che di genitore viandante).

Esistono però tradizioni pre-cristiane in cui a origine di tutto quel che c’è poniamo un femminile: l’Acqua, la Madre, la Notte, la Luna, la Dea.

Forse esiste in natura una verità che prende queste forme, che anima queste antiche strutture, ed è una forza silenziosa, appunto una linfa viva, che fino a che non arriva a proporre il suo fiore non sì dà pace.

Se questo principio in biologia lo indichiamo come la forza originaria di prosperità propria della vita, che esprime il mandato di riprodursi e perpetuarsi nel suo ciclo continuo, ecco che osserviamo come nella coscienza umana ciò sia (possiamo dire così?) protetto da un sistema guaina, di desiderio, piena partecipazione, e piacere.

Se è vero che l’essere umano è un essere razionale, vediamo che a cemento della sua socialità non c’è nulla di razionale, ma una esperienza sconvolgente di desiderio, passione, piena partecipazione, e piacere.

I nostri tentativi millenari si razionalizzare l’amore sono falliti, come quelli di rendere amorevole la ragione.

Siamo questo Dramma irriducibile, pare.

Dio ci ha fatto così.

Ma forse siamo belli per questo; e molto probabilmente ci ama e ci vuole proprio così.

E questo dramma è tutto spirituale e sessuale insieme.

Com’è possibile che abbiamo mantenuto la vecchie idea medievale del nostro essere cenere, peccato, schifezza e insieme l’idea che Dio ci ami? Cosa ama Dio? Chi siamo noi?

Il cristianesimo, se pure nato alla luce del sole, in una zona di massima evoluzione del suo tempo (la millenaria cultura biblica già incultura nell’alveo dell’ellenizzazione, a sua volta dentro l’amministrazione imperiale di Roma) non si fa bastare il nudo insegnamento di Gesù di Nazaret, che pure non fece poco, a quanto si dice, essendo risorto e fuori dall’amministrazione liturgica di una religione ufficiale che lo potesse adoperare. Due cose che combinate - e storicamente lo sono - rappresentano un potenziale incredibile. Ma a un certo punto, (e chi sa spiegarci il perché?) ecco che questa novità cristiana produce il concetto della Madre di Dio! Strano davvero!

La madre di Dio, è quanto di più assurdo possa esistere.

Specie se consideriamo che quel nostro Dio ci ha liberato dal male, vincendo infine anche la morte.

Davvero ora potremmo dire: “Non manco di nulla, il Signore è il mio pastore”.

Invece no! Eccoci che siamo orfani! Eccoci che cerchiamo una Madre divina!

Se Dio è Dio non può esserci la Madre di Dio!

Se Dio ha una madre, almeno per lei, non è Dio.

Un Dio che diventa, dunque?

Certo Dio non può essere Dio con eccezioni. “Sono Dio, ma.” Dio non ha virgole, né ma. Se no, non è Dio.

Come fa ad avere una Madre?

Qualcuno dirà che Dio, in quanto Figlio, ha una Madre. Quella Madre è la Madre di Dio.

Insomma: fino a che Dio è Dio (neanche occorre dirlo che quel Dio di cui parliamo è maschio! Lo è! Se ti avvicini lo senti dal sudore e lo tocchi dal pelo e anche dalla barba! E se guardi bene avrà uno scettro, e certamente starà col culo sudato su un trono! Non lo vedi? Sei cieco?) ci va tutto bene! Se Dio è maschio ci va bene! Fatto strano e irriducibile, ma è così. Soglia critica bassissima davanti a un Dio Re, maschio.

Accettiamo ogni aggregato, derivato, processione e attributo!

Del resto ce lo abbiamo certamente scritto nel DNA dell’inconscio: un Re può fare tutto! Anzi potremmo arrivare a capire che è Dio che deriva la sua onnipotenza dal Re e non viceversa!

Secondo voi, dal momento che Dio è Dio, non gli basterà essere Dio?

Vuole “anche” venire davanti a noi a mostrarci quanto è potente la sua onnipotenza?

In altre parole: avete mai indagato a fondo quanto è imbecille l'idea di Dio che abbiamo?

Senofane fu forse il primo che ce lo indicò: era un poeta, non ebbe molto seguito allora, meno ancora oggi. Ma di Senofane e della sua critica all’antropomorfismo ce ne freghiamo. Accettiamo dunque il Dio assoluto, maschio e Re!

Ma non appena al suo posto volessimo mettere una Dio-Madre, ecco che iniziano i Ma!

Assoluto maschile e Femminile relativo.

Pare proprio che il linguaggio stesso sia prigioniero di questo meccanismo positivo.

Non c’è via di uscita.

Dicevamo, prima, della metà muta della realtà.

Muta, però, solo in riferimento ad una certa qualità del dire: una qualità della parola positiva.

Abbiamo invece già potuto apprezzare una qualità della parola che rivela ed esplode un oltre sé; ed anche abbiamo fatto cenno di una parola che non pone la cosa in cui celebrarsi come suo nome e identità, ma è per contro quella parola necessaria, che si fa matrice, terra, sostanza, clima, nutrimento, ambiente, affinché ogni altra cosa che è in quanto cosa, abbia e trovi il suo proprio spazio, il suo essere in relazione con tutte le altre cose e in ciò, con ciò, e perciò, sussistere, entrando in una rete formidabile di reciproca vitalità in atto, capace così di produrre effetti considerevoli.

Ditemi se non c’è cosa più concreta di questo essere e avvenire della parola: che è proprio la vita, a cui addirittura la parola (ancora) può giungere adoperandosi come ancella, e non facendosi re di questo sconvolgente mistero che permea tutto l’universo.

Meditiamo: una parola che SERVE e non una parola che REGNA.

Un simile ribaltamento lo possiamo appunto apprezzare nella proposta di Gesù. Lo stesso ribaltamento degli ULTIMI che saranno PRIMI.

Sospetto che la funzione principale dei RIBALTAMENTI che Gesù ci propone non sia quello di RIBALTARE le cose per DISPORLE al contrario di come sono, ma di VEDERE come sono proprio RIBALTANDOLE.

Poi, credo, ci lascia alla nostra intelligenza del cuore, per amministrare secondo coscienza le cose. “La tua fede ti ha salvato”. Una fede che risuona nella volontà del Padre. Ancora una relazione di amore.

Io credo che la questione del Dio maschio o femmina sia destinata a rimanere per sempre irrisolta.

È come un cortocircuito controllato, fa luce, è una tensione: se viene bene adoperata può essere utile.

Per i cristiani, invece, può essere sconcertante ragionare non tanto sulla madre di Dio in quanto Dio, ma sull’essere figlio, che è maschio solo storicamente, ma che può essere femmina, madre, donna, figlia, proprio in senso cristologico.

Noi possiamo provare ad adoperare lenti apocalittiche per cercare di vedere se anziché esaurirsi in un costato ferito da lancia che versa acqua, o nel pane e vino offerti per tutti noi, non possa invece il Cristo avere anche un seno che ci nutre di latte, un abbraccio materno che ci sostenga fino a che non sapremo camminare, e occhi di madre buona che ci ama e ci perdona?

Non è forse Gesù quello di cui è scritto: molte altre cose fece…

Se Gesù nella sua storia carnosa ha veramente corso il rischio fino all’esito fatale che ha confermato, alla sua storia appunto, il suo formidabile errore, poiché i giudici, i sacerdoti, e il popolo del suo tempo lo hanno voluto mettere a morte secondo la legge, e anche Dio lo ha voluto morto, perché nessuna ordalia, e nessun prodigio, o segno - che dà liberamente testimonianza di Dio - lo ha salvato dalla fine di tutti gli uomini nati dal ventre di donna, e per succo di sperma di uomo generati secondo il destino di Adamo, significa che così è piaciuto, è stato voluto e stabilito dalla Divina generazione del Signore: lo stesso Signore che un giorno ci ha chiamati perché ci voltassimo a vedere la voce.

D’altronde, se è stato usato per secoli, questo povero Cristo, mettendo il suo vessillo sulle armi dei soldati benedetti da vescovi e papi nel loro andare a uccidere, non daremo tutto questo scandalo pensandolo, con cautela di buona ipotesi, anche come madre che dà la vita, no?

E se ci è dunque chiaro che ci proclamiamo discepoli di questa bestemmia che è stata inchiodata su una croce fino a che la morte non sopraggiungesse, cosa può o deve impedirci di frequentare convintamente l’ipotesi di questa dimensione cristologica tutta materna, tutta femminile, tutta semplicemente naturale, nella divinità che la natura contiene, tutta donna, tutta figlia, tutta tutto, proprio come solo una madre, nella esperienza di vita di ciascuno, sa e può essere veramente per la propria creatura?

Un padre senza madre è un deserto senza acqua, un giorno senza il sole, un albero senza un frutto, una parola senza senso.

Se alla maniera maschile possiamo arrivare a stabilire un decalogo, elaborare una formula, stabilire un credo lapidario, ecco che, quanto più compiutamente volessimo incarnare e vivere la parte femminile, dovremmo accettare di camminare nella libertà dello Spirito, nella forza creativa dell’amore, nella fede luminosa e misteriosa insieme del miracolo dell’incontro, proprio come avviene nella vita di ciascuno di noi che non sa oggi chi lo salverà domani.

Non esiste un femminismo positivo che oppone alle forme positive del Dio maschio le forme positive di un Dio femmina, nel mio ragionamento, vorrei che fosse chiaro. Ma una ipotesi che Dio (Padre/Madre, Figlio/Figlio, Spirito Santo) la smetta possibilmente di tornare ad essere quel delirio di antropomorfismo che, se non esaminato a fondo, ci porta dritti dritti dentro una visione di Dio da super eroe, che ha generato i più grandi disastri della storia umana.

Ci sono ancora molte, molte, molte cose che vorrei dire attorno al rapporto maschio-femmina nel cuore dell’essere Dio del Cristo, che è divina e santa umanità di carne, sangue e Spirito.

Riferendomi alla lezione di René Girard sono ben convinto che possiamo credere che la Natura e il Bene possono cavarsela anche senza il coltello sacrificale che offre col sangue (concreto e metaforico) un ruolo all’antico sacerdote.

Sapete: il cordone ombelicale, dopo un po’ smette da solo di pulsare.

Forse tutta la storia tragica dell’antropologia cristiana (abbiamo idea di quanti nostri fratelli abbiamo ucciso per zelo teologico?) si potrebbe risolvere in ansia.

Abbiamo ansia di fare prima della Natura. Forse se la lasciamo fare, ci insegnerà come essere cavalcata. Nessuno ha mai detto che non dobbiamo servircene.

Più grazia, più ascolto, e cercare di vedere veramente Dio in ogni creatura. Semplicemente. Anche nel desiderio, anche nelle secrezioni e nelle erezioni, anche nel flusso mestruale, Dio sta palpitando.

Se diciamo e abbiamo detto con fede (ma talora anche con foga di fanatici) che il nostro Dio è vero uomo, perché non siamo capaci di vedere la forza teologica di un Dio che assume tutta la sessualità in sé e in essa si offre e si dà?

Forse che venga meno l’istanza morale?

Forse che venga meno la sete di conoscenza?

Forse che venga meno la meraviglia che ci fa poeti e pellegrini?

Forse che venga per ciò meno la carità?

Secondo me, no.

Anzi abbiamo dolorose e tristi prove di come, in diversi casi, sia tragicamente fallito il tentativo istituzionale e dogmatico di negare la natura sessuale dell’umanità entro la cornice sacerdotale, e ciò, unito forse a determinati aspetti educativi  locali non brillanti, ha anche prodotto vere e proprie mostruosità, causando un’eco di dolore enorme, cui solo di recente, e solo gli ultimi due pontificati, hanno iniziato a riconoscere la malata verità storica.

Quando invece abbiamo enormi e luminose dimostrazioni di santità non impedita dall’essere genitori di carne, oltre che nello spirito.

Per altro la dimensione monastica esiste prima e oltre la cristianità e non è in opposizione alla realtà sacerdotale.

Forse siamo ancora in tempo di rimetterci in sesto, pentirci di questo inciampo medievale che abbiamo protratto nei secoli, chiedere perdono a Dio, e pacificarci nella Natura e nello Spirito, che Dio, non altri, ha voluto sposi nell’umanità, per l’umanità e con l’umanità. Pensiamoci, meditiamo questa ipotesi spirituale naturale.

Secondo me può esserci di aiuto.

E che Dio ci protegga e ci benedica tutti.