Papa Francesco e il mito della cristianità

di

Massimo Faggioli

(Docente nel dipartimento di teologia e direttore dell’Institute for Catholicism and Citizenship della University of St. Thomas in St. Paul/Minneapolis - USA)

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            Nonostante tutto quello che è cambiato dal marzo 2013 ad oggi nello stile e nelle parole che vengono da Roma, papa Francesco non è sicuramente un papa liberal.

Ma di certo è un papa che si è liberato dalla schiavitù verso una certa cultura borghese di riferimento per quello che Vittorio Messori, in un articolo fortemente critico verso papa Francesco pubblicato sul Corriere della Sera il 24 dicembre 2014, ha chiamato “il cattolico medio”.

Le antipatie che vengono a Francesco dai cattolici tradizionalisti hanno infatti poco a che fare con quello che il papa dice e fa, ma con il quadro teologico e storico di riferimento: un papa tradizionale ma non tradizionalista. Jorge Mario Bergoglio non ha alcuna nostalgia del “mito della cristianità” (per citare il titolo del giustamente celebre libro di Giovanni Miccoli).

            Di recente ha dato testimonianza delle tensioni provocate da questa svolta l’intervista del cardinale Christoph Schoenborn di Vienna alla rivista tedesca Herder Korrespondenz.

Nell’intervista, il cardinale e teologo domenicano (che in quel dialogo si definisce un “conservatore liberale o un liberale conservatore”) ha riferito della tentazione trasparente in alcuni padri sinodali al Sinodo del 2014 di risolvere il problema pastorale di matrimonio e famiglia con il ricorso alla protezione del potere politico. Questa tentazione è espressione di una tentazione ancora più sorgiva nella chiesa (in tedesco il cardinale ha usato il termine Urversuchung, “tentazione primigenia”), quella di detenere il potere in quanto chiesa. Schoenborn ha citato espressamente l’esempio della “Action Française” (condannata da Pio XI nel 1926) come il sogno che anima la psicologia di quei cattolici tradizionalisti che vedono il pontificato di papa Francesco come illegittimo: “Papa Francesco sta liberando la chiesa da queste idee. La questione è come essere una chiesa in una società laica e pluralista”. 

Nello specifico, Schoenborn ha parlato di “cardinali che sono estremamente preoccupati quando pensano che il potere del papa si stia indebolendo e che il papa sia sceso dal trono”.

            Un certo tipo di idea del rapporto tra chiesa e storia moderna è al cuore del pontificato di papa Francesco: un papa che ha a cuore la tradizione ma che non la identifica con un modello culturale, storico e politico datosi del passato.

È per questo che l’anticlericalismo di papa Francesco ha una credibilità che altri non hanno: è fondato su una ecclesiologia intellettualmente onesta che parte dalla chiara coscienza del fossato che separa l’esperienza di Gesù e ogni modello storicamente realizzatosi di chiesa.

Nel suo bel libro (da poco pubblicato da Carocci) Della fede. La certezza, il dubbio, la lotta, Giuseppe Ruggieri non cita mai papa Francesco.

Ma leggendo il libro è difficile che il pensiero non corra all’attuale momento di chiesa quando, verso la conclusione, l’autore parla del mandato ricevuto dai cristiani tramite il racconto di Gesù: sperare “per tutti gli uomini e le donne che gli è dato di incontrare, e per tutte le cose che gli è dato di sperimentare, la pace, la gloria, la bellezza della creazione trasfigurata, che accetta quindi, facendosene carico, di portare la loro diversità rispetto al regno” (p. 148).

La rivendicazione della misericordia come attitudine ispiratrice di ogni azione di chiesa è non solo un atto di conversione, ma anche la rivendicazione della primazia della memoria di Gesù Cristo di fronte a tutti i possibili modelli culturali e storici – christianitas europea inclusa.