Antonio Sodaro - Liturgia del quotidiano di un nonno

Liturgia del quotidiano di un nonno

di Antonio Sodaro

 

 

Che giornate!

Si esce di chiesa, fai passare il signore che ha qualche capello bianco più di te, magari gli sorridi, ma, dopo avergli stretto la mano, prima, in segno di pace, adesso manco lo saluti, non sai chi è, dove abita questo fratello - ci chiamiamo così dentro chiesa -, che scuole ha fatto.

Del resto il diacono stasera mica ha detto «andiamo», ha detto «andate in pace», lui da un’altra parte, non insieme magari per qualche metro e gli altri se ne vanno alla loro giornata o serata con la consapevolezza di avere fatto quello che si doveva fare, ma di non avere un amico in più.

Magari puoi tentare l’approccio, certo è che una cosa è «...seraa», altro «buona sera», altro «Le auguro una buona serata», un po’ come «...ngiorno», «buongiorno», «buona giornata».

Se allunghi, mi sembra che stabilisci almeno il presupposto di una voglia di fermata, di una relazione da dieci secondi invece che di tre: conta?

Beh, possiamo anche provare a salutare tutti, ogni persona che incontriamo: il rischio c’è, perché più di qualcuno si gira per identificare il furbetto che gioca presupposti di aggancio.

Però può anche succederti che uno si fermi, faccia due passi indietro e ti dica: «Ma lei non è Sodaro, quello che 50 anni fa scriveva sul settimanale cattolico?» e tu resti impalato a dire si e lui ti racconta che da tanti anni non vive più a Trieste, che ha lavorato all’estero e adesso risiede a Madrid, ma ogni tanto viene... ma guarda che combinazione!

Poi c’è la signora che, se saluti ma hai la camicia troppo aperta e i capelli, pochi, arricciati senz'ordine, allunga la mano per darti un euro, povero vecchio!

Ma, insomma, quello che volevo dire è che avverto urgente il bisogno di avvicinarci, di guardarci e se ci scambiamo un segno di pace che sia una stretta, ma proprio una stretta di mano e non un rasentare le pelli quasi per evitare un’infezione.

Mi piacerebbe anche sentire il nome di quella mano, magari il dircelo insieme e anche infrangere quella specie di norma che ci vorrebbe inibire movimenti eccessivi fra i banchi, mi piacerebbe indugiare un po’ di più per accendere un’atmosfera di condivisione, di scoperta di altri volti più che di ossequio a una rispettabile ritualità conosciuta.

Ma lo vogliamo intonare questo canto nuovo, magari anche un po’ stonarlo all’inizio, ma sentirci accolti, riconosciuti, chiamati per nome perché è triste che tutto finisca senza saluti, senza uno sporadico abbraccio fra persone che hanno appena finito di fare i fratelli nella condivisione e nel rendimento di grazie per essere assieme a Lui popolo in cammino.

Noi viviamo così con una costante nostalgia di un di più, dentro un amore che si raffredda ed inciampa in una quotidianità che ci prenotiamo quando facciamo i rassegnati al peggio, all’ “inchinatevi per la benedizione” e non siamo capaci di sorridere alla grande al giorno che viene.

Non una quadratura rassicurante, non un percorso asfaltato ma il rischio dell'amore messo alla prova al semaforo rosso di un attraversamento pedonale.

Se diamo un euro all’angolo della strada va tutto bene, ma se diamo cinque euro, il giorno dopo, passando di là faremo fatica ad evitare un inseguimento, la richiesta di un seguito al discorso di ieri.

E se ci vien voglia di andare più a fondo e scambiare qualche parola in più con il giovane che chiede l’elemosina alle porte della chiesa non facciamo che infastidirlo perché gli mandiamo all’aria i momenti decisivi della raccolta e gli facciamo più male che bene, come si dice.

E allora?

Ma è quando siamo deboli che siamo forti e possiamo dire che siamo fuori strada, perché, grazie a Dio, la strada la conosciamo.

Un bicchiere d’acqua, un sorriso alla fermata dell’autobus, magari, un giorno, un piatto di pasta in più in un piatto a tavola perché, come diceva mia madre, qualcuno potrebbe bussare alla tua porta.

È vero che le nostre giornate ci confermano la voglia di cose grandi e belle e lo smarrimento serale dinanzi all’ambiguità dei gesti, alle difficoltà che incontriamo per fare le scelte giuste.

Ma perché scoraggiarci?

Domani riproveremo a tentare di essere santi e ci accorgeremo che Qualcuno sta facendo nuove tutte le cose.