Intervista con Giovanni Impastato

Se qualche anno fa, quando ancora ero uno sbarbato studente di liceo classico, mi avessero detto che avrei avuto modo di incontrare e interfacciarmi direttamente con un testimone oculare di una delle pagine più importanti della storia del nostro Paese, non ci avrei creduto. Eppure, l’occasione mi si è presentata nelle ultime settimane, quando sono venuto a sapere che Giovanni Impastato sarebbe stato nel mio paesino di 7.000 anime a presentare il suo libro e a parlare con il pubblico di antimafia e legalità.

Durante l’introduzione alla serata, composta di un breve video realizzato dall’amministrazione Comunale di Buttigliera Alta, accompagnato questo dalle note e parole de I cento Passi dei Modena City Ramblers, avevo certo aspettative alte data la caratura del personaggio, eppure il suo portamento distinto, umile e ancora saggio ed energico sono riusciti nell’arco delle due ore successive a renderne la figura ancora più lucente ai miei occhi. Di seguito, riporto l’intervista con Giovanni Impastato a margine di tale occasione. A causa del ridotto lasso di tempo disponibile, non sono stato in grado di porre tutti i miei quesiti in maniera diretta all’intervistato, ma, a dimostrazione per l’ennesima volta delle straordinarie qualità umane di Giovanni Impastato, questi mi ha espressamente autorizzato a rielaborare i suoi interventi precedenti durante la presentazione del libro che avevano in qualche modo già risposto alle mie domande.

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Che sensazioni ha provato durante la stesura del volume e, in particolare, nel vedere così tanti momenti della vostra infanzia riaffiorare e concretizzarsi sulla carta?


Sofferenza. Il ricordo delle esperienze passate con Peppino, unito alla presa di coscienza intorno a ciò che realmente succedeva all’interno della famiglia, e che era sempre accaduto intorno a noi senza che ne avessimo realmente coscienza fino all’adolescenza, è sinonimo di un forte dolore interiore.


In testa al Suo ultimo libro, ha riportato una citazione di Gramsci in cui questi sottolinea l’importanza della gioventù e della sua inerente freschezza per apportare cambiamenti significativi nella società, sentiero d’altronde intrapreso anche da Peppino. All’interno della lotta contro la mafia, quale ruolo può e deve ricoprire la lettura?


Sicuramente la lettura è una risorsa centrale a qualunque età per formare una coscienza personale e critica. Basti pensare, come visibile nel libro, al differente approccio di nostro padre e di Zio Matteo alla lettura (zio Matteo fu un personaggio fondamentale nella coscienza antimafiosa di Peppino, prima, e quindi Giovanni, scagliandosi di fatto contro il cognato e papà di casa Impastato, NdA): papà non voleva che leggessimo giornali e libri, invece lo zio Matteo ci spronava a informarci sempre su quanto ci accadeva intorno. Nel mio caso, importantissimo fu proprio mio fratello, che con il passare degli anni mi accompagnava in letture sempre più complesse e con messaggi sempre più forti, tra le quali spicca indubbiamente Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia, che parla proprio di mafia.


Uno dei temi maggiormente associati ai contesti mafiosi è indubbiamente l’omertà. Avendo Lei vissuto all’interno di un paesino come Cinisi, località ahimè fortemente influenzata da simili dinamiche, Le chiedo: Quanto è difficile scendere a patti con la necessità di tranciare i rapporti con persone conosciute da una vita all’interno di un percorso intrapreso con la volontà di perseguire il sacrosanto ideale della giustizia?


La decisione di staccarci a poco a poco dalla realtà di nostro padre e dello Zio Cesare è stata più che sofferta, e ha sicuramente portato a grosse difficoltà da parte di tutti nel prendere le scelte che alla fine ci hanno separati. Tuttavia, la forza del nostro schieramento è visibile già dalla prima presa di coscienza sul che cosa potesse realmente essere la mafia, ossia nei giorni successivi alla morte di zio Cesare (assassinato con un attentato dinamitardo nei pressi della sua tenuta di campagna, presso la quale i fratelli Impastato erano ospiti in quel momento, NdA), quando Peppino, mentre ci dirigevamo insieme ad un gruppo di amici verso il cratere dell’esplosione, prese la parola e disse: “Se questa è la mafia, per tutta la vita io mi batterò contro”. Era il 1963, lui aveva appena 15 anni, e ciononostante aveva in quel momento già intrapreso la strada che lo avrebbe accompagnato per il resto della sua vita.


Come accennato in precedenza, la mobilitazione giovanile risulta centrale nella concretizzazione di reali cambiamenti sociali e civili. Prendendo spunto della Sua storia, quale messaggio vorrebbe passare alle generazioni studentesche dell’oggi e del domani?


Vorrei dire a tutti quanti, e specialmente ai giovani, che odio e vendetta non portano da nessuna parte.

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Rivolgo un ringraziamento speciale a Gilberto, Laura e Zsuzsanna per aver contribuito alla realizzazione di questa intervista.

Fabio Nača