Paolo Rumiz, Maschere per un massacro
L’attacco al cuore pulsante degli Stati Uniti negli ultimi giorni dell’estate 2001 ha portato, e porta ancora con sé a più di vent’anni di distanza, un mantello oscuro sulle sorti del mondo. La vicenda si svolge nella mattinata dell’11 settembre 2001. Nell’arco di poche ore, quattro aerei di linea vengono presi in ostaggio da commando di estremisti islamici e dirottati su altrettante destinazioni. I primi due bersagli ad essere colpiti sono le Torri Gemelle, simbolo di New York e del mondo occidentale. In seguito, anche il Pentagono (cuore pulsante della sicurezza militare USA) viene colpito, mentre il quarto velivolo si schianta prima di arrivare all’obiettivo prestabilito che, al giorno d’oggi, rimane ancora ignoto. L’ammontare delle vittime si ferma poco al di sotto delle 3000 persone.
Dal punto di vista della narrazione contenuta sul Nostro blog, l’aspetto certamente più rilevante concerne l’applicazione del cosiddetto "Patrioct Act", ossia la legge introdotta negli Stati Uniti il 26 ottobre 2001 in risposta agli attacchi dell’11 settembre da una prospettiva civile. All’interno del testo legislativo si possono rintracciare diverse sezioni, tra cui il miglioramento generico delle infrastrutture, delle procedure e della prevenzione in materia di sicurezza interna. A fare da cappello all’intera legge, campeggia la Sez. 102 con cui si condannano le discriminazioni contro la popolazione araba e musulmana residente negli USA.
La battaglia sui diritti, che la Nostra redazione porta avanti con il cuore in mano da diversi mesi ormai, si sofferma in questo caso proprio sull’introduzione di nuove misure di controllo e sorveglianza sulla popolazione. Certo, non si può dire che le tattiche di vigilanza previste prima dell’11 settembre fossero perfette, anzi. Tra le misure più intensamente adottate per contrastare la nuova ondata di terrorismo si trovano le intercettazioni e un rinnovato sistema di sorveglianza e controllo, anche e soprattutto a livello istituzionale.
Il quesito che viene qui posto riguarda i limiti che tali espedienti dovrebbero trovare per non rischiare di violare la riservatezza personale di cui tuttƏ quantƏ, nel mondo occidentale, godiamo. Ad esempio, in Italia la privacy individuale è tutelata a livello costituzionale, più nello specifico dall’art. 13 che prescrive:
“La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa alcuna forma di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra forma di restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”
La difficoltà nel trovare un giusto bilanciamento tra le due fazioni, libertà e sicurezza, può ovviamente prendere una piega differente a seconda del contesto sociale, politico, militare, economico, religioso e/o emotivo presente in un dato momento storico all’interno di una data porzione geografica. Il revanscismo all’americana del 2001 ha sicuramente influito sull’orientamento fortemente contrassegnato da uno spirito di controllo e, per quanto si giustifichino le misure intraprese anche nel contesto odierno, è innegabile che gli scandali esposti al pubblico mondiale negli ultimi decenni (a partire da Wikileaks di Assange, passando per le rivelazioni di Snowden, fino alle intercettazioni a danno di milioni di cittadinƏ europeƏ da parte della stessa NSA statunitense) non abbiano fornito sufficienti rassicurazioni dal punto di vista della sicurezza metodologica, contribuendo a farci sentire un po’ tutti di esser senza una reale privacy individuale.
L’11 settembre ha insegnato al mondo intero che bisogna sempre stare all’erta per prevenire qualsivoglia evento spiacevole e, al contempo, ci ha comunicato che nessunƏ può definirsi totalmente al sicuro dal fanatismo più estremo. Tuttavia, le misure a tutela della sicurezza non dovrebbero mai trascendere i confini dell’effettiva utilità ai fini di salvaguardia degli interessi collettivi, poiché nel caso contrario la difesa preventiva rischia di divenire niente meno che un attacco ingiustificato e potenzialmente più dannoso dello status quo ante.
La condanna agli attacchi terroristici vive presente nel cuore e nelle menti di chi ama la pace e la felice coesistenza sulla Terra, esattamente come il ricordo di quanti hanno, volenti o nolenti, messo la propria vita in gioco durante gli eventi dell’11 settembre 2001. La speranza per un mondo migliore passa anche e soprattutto attraverso la sana relazione tra libertà e sicurezza, senza permettere che l’una o l’altra finisca per annichilire la corrispettiva avversaria/amica, come invece accaduto prima, durante e dopo gli eventi qui narrati.
Il destino dell'Afghanistan
Nella foto in basso, soldati e soldatesse dell'esercito statunitense si imbarcano sul volo di ritorno verso casa dopo la decisione di ritirare le truppe dal suolo afghano. La battaglia contro il terrorismo è stata dichiarata conclusa, ma è effettivamente così?
A 20 anni di distanza dal lancio dell'operazione "Enduring Freedom", inaugurata per liberare il Paese asiatico dal governo talebano, reo di aver ospitato e favorito la proliferazione del terrorismo di al-Qaeda e formazioni simili, le amministrazioni Trump e Biden hanno siglato e portato a termine la guerra più lunga della storia stelle-e-strisce.
Nonostante i migliaia di mortƏ, feritƏ, dispersƏ e profughƏ, senza contare l'enorme quantità di denaro spesa, la guerra sembra tutt'altro che vinta da parte delle forze occidentali come, purtroppo, le cronache degli ultimi tempi ci riportano.
Allo stesso modo, il terrorismo islamico non sembra essersi fermato, ma anzi pare abbia trovato nuova linfa nei gruppi satelliti di al-Qaeda, tanto in Occidente (con l'azione del Daesh) quanto in altre parti del mondo (es. Boko Haram nella zona nigeriana, al-Shaabab in Somalia e così via).
Il sentimento di rivincita ha infine portato le forze armate di numerosi Paesi occidentali a sprecare energie e risorse (e soprattutto vite umane) per inseguire un obiettivo che, con il senno di poi, non solo non è stato raggiunto, bensì è stato addirittura perso di vista. I pochi e sparuti abbagli di speranza, come la morte del luogotenente in Iraq di al-Qaeda (Al-Zarqawi) e soprattutto di Osama Bin Laden (durante l'assalto alla sua residenza ad Abbottabad nel maggio 2011), non hanno minimamente scalfito la corazza del terrorismo estremista islamico, il quale si fonda su una complessa organizzazione tanto a livello gerarchico quanto a livello economico.
Fabio Naca
Foto di Laura Rauch/Stars and Stripes