Pesce d'aprile

In Italia il 'pesce d'aprile' esiste da quasi duecento anni, secondo quanto attesta l'Accademia della Crusca. Se ne trovano tracce in un giornale comico-politico napoletano del 1849 e in un testo dello scrittore Vittorio Imbriani del 1867. Lo storico siciliano Giuseppe Pitrè nella sua opera intitolata proprio Pesce d'aprile (1891) illustra le tradizioni legate a questa usanza. 

Secondo un’ipotesi, la tradizione del pesce d’aprile sarebbe nata pochi anni dopo l’adozione del calendario gregoriano. Prima del 1582 il Capodanno era celebrato tra il 25 marzo e il 1° aprile e il primo giorno di aprile era dedicato a banchetti e scambi di doni. Quando nel 1582 fu adottato il calendario gregoriano, il Capodanno cadde il primo giorno di gennaio, ma si continuarono a regalare pacchi anche all'inizio di aprile, però vuoti; oppure non tutti si abituarono al cambiamento  e vennero additati come gli “sciocchi d’aprile”. Altre ipotesi riconducono l'usanza alle feste primaverili dell'antica Roma, come gli Hilaria in onore della dea Cibele, che si svolgevano il 25 marzo e durante i quali erano consentiti mascheramenti e scherzi di ogni tipo, oppure i Veneralia, in onore di Venere, che si celebravano il 1° aprile

Molti detti delle città italiane fanno riferimento al 1° aprile. A Genova A-n primmo d'Arvi, / Unn-a barla a se poeu di ("Al primo d'aprile una burla si può dire"); nella zona di Parma Al prim d'Avril / A s’fa coror i pit (“Il primo d'Aprile si fan correre i tacchini”, cioè gli sciocchi), come a Bologna: Al prem d'Avrel / As fa côrer i mat. Pitrè racconta che in una piazza di Firenze erano raffigurati diversi pesci; se il primo di Aprile capitava in città un sempliciotto che non sapeva che in quella piazza non si vendevano pesci, gli si faceva lo scherzo di mandarlo lì per comprare dei pesci magnifici. Anche un proverbio calabrese ricorda i rischi che si correre il primo di aprile: A lu primu d'Aprili / Duvi ti mandanu nu nei jiri.

Svariati sono i modi in cui è chiamato il burlato: April-fool in Inghilterra, Aprilnarr, Aprillenbock o Aprilsgeck in Germania, cioè matto d’Aprile. In francese, Donner o Faire manger du poisson d'Avril vuol dire ingannare e On donne un poisson d’Avril ("Si dona un pesce d'aprile") quando si fa correre chi si vuol prendere in giro in un luogo lontano che non esiste o nel quale si viene beffati. 

Le burle classiche sono quella di trovare una fune per legare il vento od oggetti che non esistono, di inviare a comprare del sale sciapido (sal dessalé), del pane mangiato, due soldi di semenza d’aghi, una ruota quadrata. Nell'Alta Bretagna si accoglie il beffato con una padella in mano e col grido: Poisson d’avril! Poisson d'avril! e si fa finta di metterlo nella padella dicendo che lo si va a friggere. In alcune zone della Bretagna il pesce è sostituito dal gallo d'aprile. Nelle zone  a nord dell’Inghilterra il pesce d’Aprile si svolge in due giorni chiamati giorni del cuculo (gowk days). A Berlino un ragazzo è inviato a prendere alla farmacia sangue di cuoco o grasso di zanzara e quando va gli si grida April, April, April, / Man kann den Narren schicken, wohin man will ("Aprile, Aprile, Aprile, si può mandare lo sciocco dove si vuole”) e Lopen as ’n Aprilsgeck o Laufen als ein Aprilsgeck (“correre come un matto d'Aprile”).

Ma da dove deriva il simbolo del 'pesce'? Forse da una beffa attuata da Cleopatra ai danni dell'amante Marco Antonio. Durante una gara di pesca Antonio, per non essere sconfitto, aveva incaricato uno schiavo di attaccargli di nascosto le prede all'amo, ma Cleopatra scoprì l'inganno e fece attaccare all'amo un gigantesco pesce finto rivestito di pelle di coccodrillo. Oppure si riferisce al fatto che spesso i pescatori non trovavano pesci sui fondali nei primi giorni di primavera e, tornando in porto a mani vuote, erano scherniti.

In ogni caso, vale sempre il detto del pesce che abbocca all'amo... e allo scherzo del primo giorno di aprile!

Violenza sulle donne, proteste in Turchia: lo strappo del Presidente Erdogan.

Anche la Polonia e l'Ungheria mettono in dubbio la Convenzione

La Turchia abbandona la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Con un decreto presidenziale del 20 marzo la Turchia si allontana ancor di più dall’Europa dei diritti. Proprio la Turchia nel 2011 aveva firmato per prima nel 2011 la Convenzione, entrata in vigore nel 2014 per prevenire e combattere la violenza contro le donne, lo stupro coniugale e le mutilazioni genitali femminili. “Un enorme passo indietro che compromette la protezione delle donne”, dichiara il Consiglio d’Europa, promotore del testo firmato finora da 45 Paesi e dall’Ue

Le donne turche sono scese in piazza a migliaia contro la decisione, sventolando foto e manifesti delle vittime di femminicidio in Turchia,  suscitando allarme e indignazione in tutto l’Occidente

Ankara conferma il decreto, garantisce “tolleranza zero” verso la violenza contro le donne, giustifica la scelta per un testo accusato di mettere in dubbio i valori della famiglia “tradizionale”, favorire il divorzio, promuovere la cultura lgbt+ e  alimentare tensioni sociali.

Anche l'Ungheria e la Polonia aprono il varco ad una possibile sospensione della Convenzione.

Fabio Faccilongo

Foto di Andrei Kovalenko/Al Jazeera

Nell'immagine, la palestra della scuola n.1 di Beslan, teatro del massacro di intere famiglie, tra cui numerosi bambini, occorso nel settembre 2004 in occasione dell'inaugurazione dell'anno scolastico. Ad oggi, le cause della morte di oltre 300 persone rimangono al più ignote, con numerosi dubbi sulle responsabilità delle forze speciali russe.

"Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare"

Perché il destino di ogni bambin* e ragazz* nel mondo riguarda tutt* noi

Negli ultimi decenni, numerosi sono stati gli attacchi, anche da parte di forze militari legali, a persone innocenti, tra cui molt* bambin* e ragazz* (a Beslan nel 2004, alla Columbine nel 1999, a Chibok nel 2014, a Kabul e Kazan solo qualche giorno fa). La società civile di oggi dispone di una gran fortuna di cui i nostri antenati erano sprovvisti, ossia la possibilità di mantenersi costantemente informati e, nei Paesi civili, di far sentire la propria voce al mondo intero grazie al peso della libertà d'opinione e dell'opinione pubblica.

Ciononostante, talvolta sembra che la nostra fortuna si riduca in un cumulo di ipocrisie e silenzi, quasi ad aver paura di puntare il dito contro le ingiustizie ed i mali che attanagliano il presente. Salute, sicurezza e diritto allo studio di bambin* e ragazz* sono e devono continuare ad essere un caposaldo di ogni persona che si reputi civile. Non ci si può permettere che situazioni come quelle sopra elencate passino inosservate, soprattutto dove la mano militare occupa buona parte della quotidianità, spesso a causa dell'onnipresente trade-off tra "sicurezza" e "libertà", con la prima che si rifà al kalashnikov e la seconda ai libri (e ciò non avviene solo in realtà geograficamente ed ideologicamente distanti da noi).

E allora, la suddetta considerazione trova pieno ristoro nelle sempreverdi parole di Benjamin Franklin, il quale affermò che "chi rinuncia alla libertà per la sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza".

Fabio Naca