Strage di Duisburg Parte 2

In bilico tra santi e falsi dei

Come accennato nella pubblicazione di ieri, il file rouge che collega la ‘Ndrangheta alla strage di Duisburg è rappresentato dalla “faida di San Luca”, ossia il conflitto tra le famiglie dei Nirta-Strangio contro altre due ‘ndrine, ossia i Pelle ed i Vottari. La presenza ‘ndranghetista in terra tedesca è accertata da ormai alcuni decenni, con le stesse autorità della ex Repubblica Federale Tedesca prima, e quindi dell’odierna Germania unita a partire dai primi anni Novanta, a riconoscere ad alcune famiglie affiliate alla criminalità organizzata calabrese un ruolo di primo ordine nella gestione del traffico di armi e droga sul proprio suolo, specialmente nella zona occidentale. A partire dagli anni della ricostruzione post-riunificazione, durante i quali numerosi furono i progetti e gli investimenti predisposti da Berlino per far sì che le regioni precedentemente appartenenti alla Germania Est potessero raggiungere gli standard economici, politici e sociali dell’Ovest, le opportunità di investimento per le organizzazioni criminali aumentarono a dismisura.

Prima di procedere al racconto della strage di Duisburg in sé, è ritenuto necessario rimandare ad un tanto breve quanto importante ragguaglio circa la base del funzionamento delle organizzazioni criminali simili alla ‘Ndrangheta, perlomeno per quanto concerne la struttura narrativa di queste pubblicazioni. Tralasciando dal seguente discorso le armi per meri motivi di spazio, qualunque gruppo criminale che si immischi con il traffico di droga viene a contatto con strabilianti quantità di denaro in cartamoneta, dal momento che questa rappresenta il mezzo di pagamento e finanziamento del mercato sommerso per eccellenza. Tuttavia, trattenere simili accumuli di soldi è controproducente per simili organizzazioni per due motivi precipui: in primis, avere la possibilità di reinvestire quel denaro in altre attività illegali può essere particolarmente fruttuoso nel prendere le redini commerciali o geografiche di altri traffici, e costituisce pertanto un vantaggio competitivo non indifferente rispetto a chi non possiede tale possibilità; in secondo luogo, nascondere simili quantità di denaro liquido (si parla di molte decine di milioni di euro in cartamoneta, spesso in taglio piccolo dato che la quantità di droga venduta al dettaglio difficilmente attrae banconote sopra i 100€) si prospetta particolarmente difficile, richiedendo un aumento dell’esposizione al rischio di vedersi sottrarre un nascondiglio durante un’operazione delle forze dell’ordine, andando di fatto a sperperare un guadagno ottenuto. Pertanto, principalmente per queste motivazioni, molte organizzazioni criminali ricorrono al cosiddetto riciclaggio, ossia l’investimento di denaro proveniente da attività illecite per finanziare altrettante attività, questa volta lecite, in modo da dare un senso all’investimento ricevuto e, soprattutto, diminuire il rischio di essere soggetti a sequestri di cartamoneta. Si badi infine a due considerazioni conclusive: negli ultimi decenni si è visto un forte incremento dei controlli anti-riciclaggio, con nuove legislazioni sempre più restrittive; quindi, il riciclaggio non è assolutamente un fenomeno strettamente associato alle mafie, dal momento che vi sono numerosi altri mondi criminali che vi entrano in contatto, primo tra tutti il terrorismo internazionale che, come nel caso dei proventi di al-Qaeda, reinveste tali guadagni in organizzazioni no-profit che finanziano programmi sociali a supporto delle famiglie musulmane meno abbienti nel mondo.

È in questo contesto di riciclaggio monetario che la storia di Duisburg inizia, più precisamente nel piazzale antistante il ristorante “Da Bruno”. Secondo le indagini coordinate dalla Questura di Reggio Calabria, dall’Interpol e dalla polizia criminale tedesca (Bundeskriminalamt, BKA), lo stesso proprietario del ristorante Sebastiano Strangio sarebbe stato affiliato alla ‘ndrina Pelle-Vottari, aprendo di fatto numerose speculazioni riguardo la reale natura del locale stesso. Secondo la ricostruzione ufficiale, la notte a cavallo tra 14 e 15 agosto 2007 sarebbe stata dedicata al festeggiamento del diciottesimo compleanno di Tommaso Venturi presso il medesimo ristorante. Intorno alle 2:24 di notte, un commando di uomini facenti riferimento alle famiglie Nirta e Strangio si scagliò efferatamente contro sei persone: Sebastiano Strangio (titolare del locale, 39 anni), Marco Marmo (che si pensa essere stato l’obiettivo primario, 25), Francesco Pergola (22), Marco Pergola (20), Tommaso Venturi (18), e Francesco Giorgi (16). Il titolo di questa seconda di tre pubblicazioni riguardo la strage di Duisburg richiama in maniera volontaria un verso della canzone “Estate” dei Negramaro. Ma perché parlare di “santi” e “falsi dei”? Riguardo al primo collegamento, è importante ricordare come numerosi siano stati i dubbi degli inquirenti riguardo la reale natura della riunione al “Da Bruno”, poiché sul corpo del festeggiato Venturi era stato ritrovato un santino bruciato ai lati di San Michele Arcangelo. Già, lo stesso San Michele cui Mastrosso aveva deciso di far voto, e sempre lo stesso San Michele Arcangelo che si ritrova costantemente all’interno di ogni cerimonia di affiliazione alla ‘Ndrangheta. Per conoscerne l’iter procedurale, basti sapere che ogni nuovo adepto è richiamato a pronunciare il rituale di affiliazione tramite un giuramento che avviene con un santino bruciante di San Michele tra le mani, o, in alternativa, tramite la bevuta del proprio sangue da un dito precedentemente ed appositamente tagliato (spesso questa seconda versione è ritrovabile in carcere, dove il santino può non essere presente). Insomma, per farla breve, l’aver ritrovato un’effigie bruciata secondo il rituale dello stesso santo cui tutti gli ‘ndranghetisti hanno fatto voto addosso ad una delle vittime, appena uscita da un locale che la stessa Procura di Reggio Calabria avrebbe di lì a poco indicato come centro di riciclaggio delle ‘ndrine, lascia più che qualche sospetto riguardo la vera motivazione dell’incontro al “Da Bruno”. Ciò non toglie ovviamente che l’uccisione a sangue freddo di sei persone sia senza se e senza ma ingiustificata.

Oltre che a sangue freddo, questi omicidi si possono categorizzare anche come vere e proprie esecuzioni, dal momento che, nonostante l’enorme quantità di proiettili ritrovati sulla scena (più di 70), tutte le vittime sono state giustiziate con un colpo alla testa alla fine della sparatoria, secondo preciso metodo mafioso. Ed è qui che arrivano i “falsi dei”, che sarebbero in questo caso rappresentati dagli stessi esponenti di spicco delle famiglie, anche a livello locale. Con la promessa di una vita interamente dedicata alla difesa di presunti valori quali onore, rispetto e fedeltà (a che cosa di positivo, ancora non è dato saperlo), sono proprio questi falsi dei ad ingabbiare in una spirale maledetta la vita di giovani e non, condannandoli di fatto al medesimo destino che ha abbracciato i sei di Duisburg. L’accecamento prodotto da questi falsi dei porta ad un inebriamento confusionario, all’interno di una sorta di revival della caverna platonica in senso contrario. Nelle mafie, gli adepti passano da un possibile futuro fatto di libertà e spensieratezza ad un tragico destino guidato a mo’ di burattinaio da simili individui, che prospettano due possibilità: uccidere o essere uccisi. Già, perché a Duisburg le vittime fisiche dell’attentato furono sei, ma quelle morali ben di più. Quale redenzione può mai prospettarsi per tutti quanti?

Fabio Nača