Sullo sfondo, la piccola Simonetta Lamberti con a fianco il padre Alfonso.
Fonte immagine: https://vivi.libera.it/storie-731-simonetta_lamberti
Nell'immagine, la targa alla memoria di Simonetta in una piazzetta presso il porto di Napoli.
"Ho una sorella con cui non ho mai giocato, non ne conosco la voce, non ho nessun ricordo di me e lei. Ricordo le sere di agosto, le rare sere in cui papà non lavorava ed era con noi in vacanza, in cui ero nel piccolo giardino all'ingresso della casa, dove c'era un tavolo bianco con due sedie e dove io e papà guardavamo il cielo cercando delle stelle cadenti. Chiedevo sempre a papà di farmi una grattatina sulla schiena, perché mi piaceva tantissimo. Appena smetteva, gli chiedevo di ricominciare ogni volta. E lui non poteva far altro che accontentarmi. È uno dei pochi ricordi dolci della mia infanzia difficile. All'epoca ancora non immaginavo né sapevo di aver perso una sorella a causa della camorra"
Testimonianza di Serena Simonetta Lamberti, sorella di Simonetta
Fonte: https://vivi.libera.it/storie-731-simonetta_lamberti
Il mese di maggio è centrale nella lotta contro la mafia in Italia perché si ricordano due degli attentati più commemorati a livello pubblico, ossia l’uccisione di Peppino Impastato, avvenuta il 9 maggio 1978, e la Strage di Capaci del 23 maggio 1992, nella quale persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, insieme ai loro tre agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Con la rubrica #èsempre21marzo vogliamo ricordare, insieme alle vittime 'illustri', quelle meno conosciute. In questo mese di maggio raccontiamo la storia di Simonetta Lamberti, ragazzina di appena 11 anni freddata dalla mano sanguinaria della Camorra, all’epoca conosciuta soprattutto con l’acronimo NCU, Nuova Camorra Unita, facente capo al boss Raffaele Cutolo.
Come in altri simili casi, anche la morte di Simonetta non era stata preventivata dal commando omicida, poiché l’obiettivo dei sicari camorristi, in quel caldo 29 maggio 1982 sulla strada di Cava dei Tirreni, era il papà della vittima, il giudice Alfonso Lamberti, impegnato in prima linea da diversi anni nella lotta alla criminalità organizzata. Nonostante l'efferatezza del gesto e il clamore della morte di una bambina, la giustizia è stata in grado di individuare i colpevoli solamente nel 2015: il pentito Antonio Pignataro (dalla cui dichiarazione partì l’ultimo decisivo filone di inchiesta nel 2011), Francesco Apicella, Geraldo Della Mura, Claudio Masturzo e Gaetano De Cesare.
La sorte, che ha colpito una vittima non designata, si è fatta beffa della famiglia Lamberti riservandole un finale possibilmente ancora più amaro di quanto non sia stato l’inizio di questa vicenda: tutti e quattro gli ultimi uomini individuati come responsabili dell’attentato erano già morti nel 2015. Trentatré anni ad attendere la verità, o quantomeno a intravederne un barlume, per poi rassegnarsi all’idea che essa non apparirà mai sotto la forma di sentenza giudiziaria completa.
Ma non per questo non si deve avere fiducia nelle istituzioni statali, che anzi, proprio come dimostra l’esempio di Alfonso Lamberti, svolgono un ruolo fondamentale nel contrastare e reprimere sul nascere episodi del genere. È difficile aver fiducia in un mondo dove bambinə come Simonetta sono vittimə di una guerra ideologica surreale come quella messa in atto dalla mafia, e cionondimeno è necessario stringere i denti e aggrapparsi all’idea che la morte di innocenti, come Simonetta, sia un motivo ulteriore per raggiungere la vittoria decisiva.
Fabio Nača