Strage di Duisburg Parte 3

Una strage con troppi colpevoli e troppi innocenti

L’eclettico intellettuale calabrese Leonida Répaci scrisse le seguenti parole all’interno della sua opera saggistica del 1964 “Calabria grande e amara”:

La recente Operazione Marzano sbandierata dai giornali come un’operazione di guerra ha fatto credere all’Italia … che due terzi almeno dei calabresi siano affiliati all’Onorata Società, che i bambini escano dal grembo materno col pugnale tra i denti. Ora la verità è che ci sono banditi in Calabria come dappertutto. Se il fenomeno in Calabria appare più preoccupante è perché, messo in rapporto con la situazione politica e sociale che ne determina l’esistenza, non si vede come si possa risanare l’albero senza bonificargli la terra intorno.

All’interno di questo estratto, tanto breve quanto potente ed efficace, si intravedono al contempo le maggiori difficoltà per la popolazione locale e quella che sarebbe la strada maestra per uscire da una impasse che perdura da troppi decenni circa la risoluzione dell’annosa criticità mafiosa, ossia la necessità di interventi mirati a tutto sesto nei territori maggiormente toccati dalla sciagura chiamata “mafia”. Eppure, è sempre più visibile come sia piuttosto quest’ultima ad espandersi alle spese dello Stato (che sia esso italiano, tedesco, colombiano o altri ancora), andandone a rubare le prerogative più elementari di cura e premura verso la popolazione locale, arrogandosi con il passare del tempo sempre più diritti di difesa e priorità rispetto all’amministrazione centrale burocratica.

Per adoperare una similitudine a livello internazionale su quello che ogni organizzazione mafiosa aspira a divenire, permanendo esclusivamente su un piano materialistico, è d’uopo tracciare un breve sunto sul ruolo ricoperto dal Sendero Luminoso nella regione dell’Ayacucho in Perù. Fatte le dovute distinzioni circa le evidenti differenze tra un’organizzazione politica e paramilitare come il Sendero ed un’organizzazione criminale come la ‘Ndrangheta (o le altre mafie in genere), è bene ricordare come in alcune zone interne del paese sudamericano gli uomini del Sendero siano stati in grado di instaurare un sistema di controllo tale da rendere tali regioni pressoché simili a un microstato, seppur totalmente isolate dal mondo esterno. Economia, società, cultura, vita sociale: tutti i cappelli prima appartenenti al dominio esclusivo dei palazzi di Lima passarono in poche settimane nelle mani di sedicenti guerriglieri della libertà. E qual è l’obiettivo della mafia, se non quello di insediarsi là dove lo Stato è meno attento ai bisogni della cittadinanza? È d’altronde più che risaputo come le tre principali organizzazioni mafiose italiane siano sorte in contesti paurosamente arretrati e fatiscenti, condizioni in cui versava purtroppo gran parte del Meridione italiano ancora negli anni immediatamente successivi al secondo dopoguerra.

La Calabria, così come la Sicilia, la Campania e la Puglia, sono del tutto innocenti, così come la stragrande maggioranza della popolazione locale. Il titolo dello scritto odierno vuole a tal proposito tracciare un forte parallelismo tra la strage di Duisburg e la continua e quanto mai attuale ed interminabile strage dell’esistenza mafiosa sul territorio italiano. Da una parte, nella cittadina della Germania centroccidentale, abbiamo sei condannati in Cassazione (di cui uno rimandato alla Corte d’Appello): Giovanni Strangio, Francesco Nirta, Giovanni Nirta, Sebastiano Vottari, Francesco Vottari, Sebastiano Nirta. Nel secondo caso si trovano, invece, molti più responsabili, tra cui figura un nome decisamente ingombrante: lo Stato. Se questo è assente, la mafia si insinua presto o tardi per farne le veci, affermando di volersi prender cura della terra locale con fare materno quand’in realtà le facezie assunte son più simili ad un ingordo divoratore di anime. Lo Stato non è tuttavia solo colpevole di essere stato (in questo caso esserlo ancora) assente verso i milioni di innocenti che da questo si aspettano la sola considerazione, ma lo risulta altrettanto se il suo impegno nel contrastare chi illegittimamente s’è impossessato di un compito tanto necessario per la sopravvivenza di esseri umani risulta scarno, privo di iniziativa. Non è allora strano sentir sempre dire che a contrastare la mafia siano state diverse figure dall’infinito spessore morale, e non principio con l’elencazione per non far torto a qualchedunə, piuttosto che lo Stato in sé. La presenza delle leggi da sola non basta, d’altronde lo sappiamo sin dalla formulazione di Montesquieu che i poteri in seno allo Stato sono tre, necessari ed indissolubilmente indispensabili l’un l’altro (legislativo, esecutivo e giudiziario).

Quest’ultima pubblicazione in merito agli eventi del 15 agosto 2007 vuol essere tutto meno che un’esortazione a disertare lo Stato, anzi, questo necessita più che mai l’attività di supporto e spinta verso un’azione più decisa e costante nel contrasto alla mafia. Trovandoci in una repubblica democratica, se lo Stato sbaglia, l’errore non è solamente di chi ha il potere di “cambiare le cose dall’alto”, ma anche, e mi permetto di aggiungere soprattutto, di chi in tutti questi anni è stato in silenzio con la paura di voler cambiare qualcosa dal basso. Il vivere in comunità significa esserci sempre e comunque l’un per l’altrə, indipendentemente dalle circostanze e soprattutto nei momenti di difficoltà. Se ci si è dimenticati di cosa voglia realmente dire dare una mano a chi ha bisogno, allora ciò significa necessariamente che sin troppe persone si sono abituate al vivere bene e a pensare che “Tanto se io non ho bisogno di una mano, perché mai dovrei porgerla all’altro?”.

Richiudendo il filo del discorso con i “santi” e i “falsi dei”, sarebbe forse ora di imparare un po’ tuttə quantə il vero significato della vita umana, che null’altro è se non esistenza in comunità. L’aiuto del prossimo è alla base di una qualunque interazione umana, non solo il messaggio di fondo che leggiamo o sentiamo talvolta pronunziare a proposito di quel particolare credo religioso o quell’altro ancora. Lo Stato è la gente che lo abita, che lo plasma giorno per giorno con parole ed azioni dal significato percepito più o meno importante. Per prendersi cura di chi è in difficoltà non basta averne le risorse e le possibilità materiali, poiché c’è anche e specialmente bisogno di voler realmente aiutare coloro che arrancano: Questo è lo stato in cui versa lo Stato italiano nella lotta alla mafia. E nel caso di Duisburg, come ci si può sentire bene con sé stessə se il nostro primo pensiero a proposito di Tommaso Venturi (il 18enne festeggiato per il compleanno/rito di affiliazione alla ‘Ndrangheta) è “Non provo compassione per un mafioso morto” anziché “Provo compassione per un ragazzo che a 18 anni ha scelto di entrare nella mafia”?. Dispensare odio è una strada ben più facile che dare una mano, perché scaricare le responsabilità sulle azioni altrui risparmia enormi potenziali disturbi. Ma chi ha la forza di aiutare, e non solo l’opportunità, e sceglie la strada eternamente più complessa e dissestata ha sempre la meglio. E di esempi ne abbiamo, nuovamente, a iosa.

Essere un assassino per la mafia a Duisburg durante una sera di metà agosto del 2007 è una condanna tanto forte quanto la condanna di chi, sul selciato di una piccola cittadina della Vestfalia, ci ha lasciato la vita.

Fabio Nača