Post date: 27-mar-2014 21.45.53
Di: A. Patrizia Caputo e Giovanna Marino
PASSAGGI ALL'ATTO COME
BARRIERA TRASFORMATIVA
IN PAZIENTI NARCISISTI
OGNI NOSTRA COGNIZIONE PRENCIPIA DA'SENTIMENTI
Leonardo da Vinci
Da alcuni anni l'obiettivo del nostro lavoro clinico è anche ricercare le modalità psicoterapeutiche adatte ad un mondo emotivo che attiene alla sfera del narcisismo, quel mondo in cui l'aggancio comunicativo non travalica i confini sferici del rispecchi amento ed il conflitto resta incapsulato ed inaccessibile all'individuo stesso. Ci riferiamo a quelle situazioni in cui la presenza del disagio sembra corrispondere nel soggetto rapidamente ad una soluzione agita che, il più delle volte, ingloba la persona in condotte ripetitive che ostacolano la possibilità di una trasformazione evolutiva. Come accade a Jack Nicolson, nel film "Qualcosa è cambiato", di alcuni anni fa, dove interpreta la parte di uno scrittore di romanzi rosa che vive isolato nel suo appartamento. Prigioniero delle sue condotte rituali, Jack è un individuo scontroso, egocentrico ed anaffettivo, quasi una superficie riflettente tutti gli stimoli che lo circondano e vivendo uno stato di immobilità quotidiana, in cui ogni cambiamento è reso impossibile, delega i sentimenti, le emozioni ed ogni imprevisto ai protagonisti dei suoi racconti. Sarà poi un incontro con una donna, il sentire un'emozione, a sgretolare lentamente la roccaforte, eterna ed immutabile, in cui si era occultato per anni. In un preciso momento della vita, come risposta a situazioni estreme, si creano soluzioni che diventano vere barriere alla trasformazione, simili a delle mura di cinta alte e possenti. Così come è accaduto ad Andrea, un giovane inserito ed attivo nel gruppo dei coetanei, con una vita sociale piena di esperienze di perfezione, impegnato politicamente, studente brillante ed intelligente al massimo dei voti dal liceo alla laurea, che ha conseguito con la lode. Un giorno inaspettatamente, muore Gianni, amico e compagno di avventura, da quel momento la vita di Andrea cambia, dorme di giorno ed è totalmente sveglio la notte, si chiude nella sua stanza, cui impedisce ogni accesso fisico; il suo alibi, giorno dopo giorno è che l'odore della sua pelle si è inselvatichito a tal punto, che è diventato inquietante e respingente all'olfatto degli altri. L'immagine è quella del lupo selvatico che detiene inespugnabile il dominio del suo ambiente. Andrea, di fronte al suicidio del suo amico, ha avvertito la presenza di un vuoto ingombrante, e dentro le mura della soluzione, tra le pareti della sua stanza, si sente protetto da un'angoscia di annientamento, ed ancora oggi, a distanza di quattro anni, per gli amici è solo la voce della notte.
Forse interiormente si vive la sensazione di subire un assedio psichico dove tutto sta per realizzarsi, dalle infezioni alla fame, ma è indispensabile erigere delle mura a difesa dell'assedio e, sincronicamente, si determina una situazione emotiva in cui il crollo di queste diventa impossibile: sono artefice e prigioniero dell'inevitabile soluzione narcisistica, che ho utilizzato per inglobare l'annientamento. Non si riconosce la qualità distruttiva del gesto, ma se ne vive il bisogno, il senso inevitabile, la necessità. Diceva Rita, un'adolescente, continuamente alla ricerca del suo Luca, fisicamente contenitore delle sue angosce, in una dimensione simile ad una tossicodipendenza... non posso farci nulla, a qualsiasi costo ed in qualsiasi momento devo raggiungerlo ...l'alternativa è essere un puntino. La soluzione agita appare, in quel momento, come vitale, una rinascita sulle macerie di una vita che altrimenti sembra che non si possa esprimere; Lidia, una giovane con un peso di trenta chili affermava, con sicurezza: quel giorno mi sono messa a dieta, una dieta che non ho mai smesso...mi piacciono le ossa scheletriche. Inglobarsi in una soluzione, ad esempio "mi metto a dieta", determina un'illusione ottica di trasformazione: ci si sente nel senso della vita, ma a discapito della totalità del mondo relazionale ed emotivo e la distruttività non è riconosciuta. Si usano la manipolazione, il controllo del corpo e la sofferenza per negarsi l'intimità di una vita sentita come propria. S'impatta con una deformazione che occulta tutti gli aspetti mortali. Non si ricordano i frammenti del proprio passato per attualizzare un protocollo di gestione che sembra una rinascita quotidiana, ma che incapsula il futuro in un presente sempre identico. Tutto è previsto, mentre l'incerto è eliminato.
Nel Giorno della marmotta, un altro film di alcuni anni fa, il protagonista, che è un giornalista inviato a riprendere i festeggiamenti della marmotta di un paesino della provincia americana, è un uomo difficile e diffidente, intrappolato nelle sue condotte ostili e respingenti, ma che, tramite un incantesimo della radio sveglia che lo spinge a vivere sempre lo stesso giorno, acquista la consapevolezza che l'immobilità ti rinchiude nella torre di un narcisismo, impara giorno dopo giorno, nello stesso giorno, a partecipare ai drammi che lo circondano, di modo tale che il futuro torni ad essere imprevedibile. Nella pratica clinica, dunque, il confronto accade con una dimensione intrapsichica resistente in cui ogni dubbio è eliminato attraverso una soluzione narcisistica-vissuta dal paziente come una "ricetta" indispensabile alla sopravvivenza: l'evacuazione, il vomito coatto e le abboffate nella bulimia; l'ostinazione a maciullare il corpo nell'anoressia; il pensiero ossessivo di sviluppare i muscoli trascorrendo ore ed ore a sollevare pesi con una dieta ricca di proteine e di steroidi anabolizzanti, nella vigoressia (1); il senso d'involucro vuoto risolto dagli adolescenti nell'esistere come corpo aderente ad un video-game, ad un ragazzo virtuale, ad un buco, ad un piercing in più; il manipolare ed il plasmare la propria forma fisica con interventi di chirurgia estetica alla ricerca di un'identità fisica, considerata soggettivamente più valida e nella forma estrema, l'intervento chirurgico sui genitali nel transessualismo. Si utilizzano, al posto della mente, sempre più condotte, deprivate del loro significato emotivo relazionale: mangiare, vomitare, camminare, gonfiare i muscoli, ricorrere agli interventi chirurgici. Tali condotte, diventando ridondanti e coatte, pongono il senso della patologia, evidenziato anche dall'abbandono, in un eccesso deforme e malato, d'ogni attività sociale e dal misconoscimento ostinato della propria chiusura. L'isolamento, l'autarchia, diviene un'indipendenza desiderata e conquistata, un valore silenzioso e grande come lo spazio freddo e silente nel quale ruotano gli astri. Ci si sente stella tra le stelle, ma in realtà le condotte risolutive, dunque, che occupano l'intera dimensione intrapsichica e che esprimono la certezza assoluta di una trasformazione concreta e reale di sé, avvolgono il soggetto in un involucro isolante, in un bozzolo, avvertito come indispensabile. Diceva Carlo: mi sono costruito uno scafandro inaccessibile, per rendere inespugnabili i miei fondali.
Si determina un passaggio all'atto, che costituisce una barriera ad ogni trasformazione, in cui una parte della mente è incapsulata nel funzionamento dell'organo anatomico. Corpo uguale cervello, uguale mente, uguale scafandro. Attualizzando la propria soluzione narcisistica, la persona in una parte di sé mostra un pensiero logico, coerente, comprensibile, ma utilizza l'agire come dimensione concreta e coprente, per questo diventa difficile avvertire la presenza del disagio, del dubbio e del conflitto; la parte astratta della mente è asservita all'organo. L'individuo aderisce ad una formula astratta, organizzando virtualmente la sua esistenza, si occulta in un enunciato, solo se sarò, quello che io so d'essere, sarò. Quest'enunciato aperto, "funzione preposizionale", collegato ad un'ambiguità, che rimanda all'appartenenza ad una classe, serve ad abbracciare porzioni sempre più grandi di realtà pensabili (Matte Bianco, 1985) ed è l'esplicitazione di un livello concreto che, utilizzando il pensiero logico, diviene astratto, ma non simbolico. La cognizione che indissolubilmente include un'emozione, un sentimento, come aveva intuito Leonardo da Vinci, distaccandosi dal sentito nel massimo livello di astrazione, diviene atto. Così accade la tragedia: devo continuare a vomitare, devo percorrere chilometri, e nella fase estrema di queste dimensioni di narcisismo di morte, diceva Gaia: mi devo operare al più presto possibile, anche se è la settima volta, avrò il seno che voglio, non posso aspettare, finalmente comincerò a vivere. Individui intrappolati in una mente sovrapponibile con il concetto di organo anatomico, l'azione precede l'azione e agire su di un organo equivale ad agire sulla mente. Per approfondire la comprensione sul narcisismo di morte abbiamo aderito ad una ricerca-intervento sul transessualismo (2), non solo per quanto riguarda gli aspetti teorici e la partecipazione ad un gruppo di supervisione con gli operatori dell'area psicologica, ma anche vedendo personalmente pazienti inseriti in un iter collegato alla riattribuzione chirurgica. Ci siamo confrontate con la richiesta di adeguamento chirurgico come unica possibilità alla risoluzione della propria inadeguatezza, quindi con la forma estrema di soluzione narcisistica, avvertita come vitale dal paziente transessuale, ma inesorabilmente demolitiva. La nostra esperienza, nell'ambito della ricerca-intervento, ci ha fatto comprendere che quanto più il lavoro clinico, sia di sostegno sia di psicoterapia, si confonde con protocolli risolutivi, tanto più l'attività di contenimento e di pensiero è messa a dura prova e finisce con il colludere ed il sostenere un programma che, invece, rafforza il vincolo all'onnipotenza. Gli interventi strutturati specificamente ed esclusivamente sulle singole categorie diagnostiche, l'anoressia, la bulimia, la vigoressia, il transessualismo, potrebbero colludere con la soluzione narcisistica portata dal paziente, creando situazioni fortemente investite in cui la persona aderisce ad un centro di gravita esterno al proprio esistere. Già nella diagnosi è contenuta l'affermazione che elimina l'incertezza, che in questi casi è l'unica possibilità per accedere al contenimento di una propria storia emotiva. Così la categoria dei disturbi alimentari finisce con lo spingere alla perfezione di una vita senza corpo, di un'identità priva di luogo e, la categoria dei disturbi dell'identità di genere, paradossalmente, spinge alla visione estrema di una donna perfetta, un uomo virile ed un trans mutante. Quello che maggiormente ha inciso nella nostra riflessione è la difficoltà riscontrata nella relazione con il paziente transessuale, già inserito in un protocollo di intervento o pronto a chiedere la certificazione del tribunale, giacché l'esistenza stessa dell'iter come percorso da seguire, controlla la presenza del dubbio e rafforza la certezza della soluzione. Difatti, l'appartenenza all'altro sesso, diverso da quello biologico, diventava l'unica affermazione possibile. Momenti di dolore, tragedie ripetute, sparivano, occultate da una ricerca di bellezza e perfezione morale, una dimensione emotiva in cui l'unica sofferenza possibile era concentrata sulla presenza di un sesso biologico sbagliato, mentre lo psicoterapeuta era costretto a vivere nella relazione: angoscia, conflitto e dolore, evacuati dal paziente, una situazione emotiva di allarme, che minava di continuo la capacità di contenimento.
Dall'altra parte, senza addentrarci nello specifico, desideriamo ricordare che il transessualismo esprime, in modo concreto, l'impossibilità emotivo-relazionale a differenziarsi, ad identificarsi, giacché, come dice Safuan (1977), consiste nella credenza di appartenere all'altro sesso con l'implicita domanda che il corpo sia corretto e sia modificata, di conseguenza, l'appartenenza al genere. Diceva un paziente: sono malato di essere un uomo, non potete lasciarmi così; voglio essere una donna e dimenticare il passato, solo così potrò guarire. L'idea di aggiungere, al concetto di identità, un'identità di genere sessuale appartiene a Stoller, e si basa sull'esistenza di un nucleo primitivo che si forma nel primo anno di vita, in collegamento con il sesso genitale. L'identità della persona, associata al genere sessuale, diventa, così, un punto di partenza dello sviluppo dell'individuo e non di arrivo. Questa teoria è stata rivista negli anni dallo stesso Stoller anche perché, nel transessualismo, l'esistenza di un genere mentale, collegato alle prime esperienze di vita, diverso dal sesso biologico, sembra colludere con un discorso di tipo sociologico esistenziale e sembra negare la presenza di una situazione emotiva, distanziata, percepita, ma non sentita, in cui emerge evidente solo la convivenza disastrosa con il proprio sesso biologico e la nascita è sentita come imperfetta, "ho il pene e sono nata donna ". La ricerca psicoanalitica ha ipotizzato, mettendo insieme e sintetizzando i vari punti di vista, che la dimensione transessuale sia l'espressione di un'angoscia travolgente non gestibile, ma tollerata solo se racchiusa nel bisogno-desiderio di cambiare il proprio sesso biologico, ed indichi inoltre la presenza di un deficit nella relazione primaria, dovuto a carenze profondissime, collegate ai primi anni di vita, come se il bambino vivesse, nella relazione primaria con la madre, un vuoto depressivo privo e collegasse il desiderioall'assunzione di un'altra identità sessuale, quell'imposta dal mondo emotivo materno. Dunque, l’inquilino del proprio corpo, la transessualità, potrebbe essere il risultato di come la madre ha investito i genitali del figlio fin dalla nascita, ma, anche, potrebbe indicare l'assenza di investimento da parte dell'io sul corpo.
L'idea della presenza di un'angoscia polverizzante e quella di un deficit nella relazione primaria, collegato ad una mancanza di investimento, ci ha portato a formulare un'ipotesi che vede il transessualismo come una soluzione narcisistica, che ingloba la persona in una barriera trasformativa: l'inevitabile evolversi in un corpo superficie di intervento, poiché il corpo-sesso originario, non investito, è inadeguato ad accettare la propria nascita, collegata ad un accoppiamento sentito come difettoso. L'atto chirurgico sul proprio corpo è l'attacco alla scena del rapporto sessuale tra i genitori, all'atto sessuale originario, e la barriera trasformativa, il passaggio all'atto, diventa l'unico anelito possibile. L'angoscia è polverizzante ed il risultato è una figura asessuata che crea una classe in cui contenere una rivoluzione ontogenetica e filogenetica. Il transessuale esprime una situazione in cui è ostacolata ogni identificazione ed il movimento mentale accade con una "proiezione intrapsichica" (3), in cui il soggetto, eliminando il fantasma, è nell'atto mimeticamente la madre ed elimina l'accoppiamento genetico, penectomizzando il padre, in una dimensione mentale esteriorizzata. Infatti, l'agire trasformativo sul corpo, sentito come inevitabile, per modificare il pene in vagina, è la realizzazione dell'immagine-corpo desiderata, come se questa neo-formazione potesse dare la possibilità di una vita sentita come propria, in cui trovare magicamente bisogni e desideri, prima evacuati, o forse subiti.
Così si articola la ricerca di se stessi quando c'è un difetto di partenza, sentito come una mostruosità da eliminare. Questo difetto mostruoso, l'essere immersi costantemente nel rifiuto dell'accoppiamento sessuale originario, procura la sensazione di essere in due, io ed il corpo dato, con una convivenza impropria che non diviene mai di proprietà, da cui deriva tragicamente la trasformazione di una delle due parti e l'inevitabile risultato sarà vivere un corpo superficie di intervento. Si crea un legame riflesso con il proprio corpo di tipo mutante, con un passaggio all'atto che diviene barriera trasformativa (4). Non si riconosce il valore emotivo-relazionale del gesto devastante, che è occultato nel progetto di trasformazione corporea e si afferma unicamente l'esistenza di un legame mutante che, fino a quando regge, rende adeguati e forti.
Da ciò si comprende l'inefficacia di includere la psicoterapia all'interno di protocolli ufficiali e standardizzati, diventa difficile incontrare la persona, come invece accade ai due protagonisti dei film citati, ma più facilmente si scivola insieme verso un baratro che sembra inesorabile ed inevitabile, una barriera trasformativa per l'operatore ed il paziente.
Nella nostra ricerca, per procedere da un punto di vista clinico, abbiamo utilizzato vari modelli di teorie psicoanalitiche, per comprendere il funzionamento mentale, all'interno della patologia transessuale. Ad esempio, per il caso di Luca è stato molto utile la riflessione di Green sul narcisismo (La madre morta), quando descrive quelle situazioni in cui l'esperienza infantile è collegata ad una depressione materna ed il padre resta costantemente disattivato nella sua funzione. La madre disinveste bruscamente il figlio, a seguito di un evento traumatico improvviso e questo disinvestimento è vissuto dal bambino come una catastrofe: è un trauma narcisistico, una disillusione anticipata priva di spiegazione. È insieme perdita di amore e perdita di senso. I pazienti, descritti da Green, vivono forme depressive atipiche, nel senso che provano un benessere sentito come reale, nel loro ricorrere ostinatamente all'isolamento o a condotte che sembrano autodistruttive. Il loro Io funziona, ma periodicamente cercano un bozzolo isolante, per contenere un'esperienza emotiva di vuoto, collegata alla madre sentita come morta, come se in quel bozzolo ritrovassero la presenza viva e continua della propria madre. Questa situazione ci è sembrata molto simile all'idea di una soluzione narcisistica, avvertita dal soggetto come vitale, ma collegata tragicamente alla demolizione.
Dice Green: alla presenza di una madre sentita come morta, il figlio compie contemporaneamente il disinvestimento della madre viva e l'identificazione inconscia con la madre morta. Il disinvestimento è un'uccisione psichica senza odio, come il gesto di spegnere la luce con un interruttore, ma questo movimento genera un buco nella mente e le relazioni, per quanto siano vissute intensamente dal soggetto, esprimono una posizione di bordo, di superficie. L'unione con la madre si ristabilisce in una sorta di abbraccio con la madre morta, si ha la sensazione nel proprio sentirsi disattivati, riproducendo mimeticamente la depressione materna, di possedere dentro la propria madre, una modalità cannibalica, inconscia fin dall'inizio.
Questo buco narcisistico, quantitativamente, è ancora più evidente nei pazienti transessuali, dove il disinvestimento materno diviene il non investimento del pene ed il trans recupera la madre, che non ha investito i suoi genitali, diventando mimeticamente una madre cannibalica, ma non c'è riconoscimento della dimensione distruttiva e non c'è nessun riferimento ad una modalità mimetica e cannibalica nel rapporto con la madre. Al contrario, si costruisce un'immagine idealizzata del femminile, priva di ogni attributo violento, i cui canoni sono armonia e bellezza, ima visione di una donna perfetta, a volte persine angelicata che, come madre, diviene addirittura una santa. La richiesta di intervento chirurgico di riattribuzione servirà, dunque, ad evacuare, controllandolo, l'odio incorporato e le interpretazioni collegate alla presenza di una pulsione distruttiva cadono nel vuoto, nell'attesa del tempo in cui sarà possibile epurare ogni male dal corpo. La "soluzione narcisistica" diviene così, una struttura del dentro. C'è eccitamento autoerotico, un godimento cutaneo, ma anche una dissociazione precoce tra corpo e mente, coperta da un delirio di involucro, un'indissolubilità dalla propria soluzione sintomatica. È come se l'intervento chirurgico desse la possibilità di evitare un lutto, eliminando tutti gli aspetti di odio ed esaltando quelli imitativi, una sorta di mimetizzazione finalizzata all'esaltazione degli aspetti più leggeri del femminile.
Secondo Green, la ricerca di un senso perduto sviluppa capacità intellettuali, coazione ad immaginare e a pensare, ma tutto ciò, in questi casi, ostacola maggiormente il coinvolgimento emotivo. Si crea un posticcio, per ricoprire il buco, un "brandello di stoffa cognitiva" e nel soggetto transessuale, una perfetta soluzione chirurgica maschera il buco del disinvestimento, mentre odio secondario ed eccitamento erotico si diffondono sui bordi della voragine.
Luca è un giovane di ventisette anni che si dichiara trans, veste in modo maschile, ma con movenze femminili. Racconta di sé sempre la stessa storia, non accetta variazioni sul tema, nel racconto tutto comporta immobilità ed inerzia, una sorta di mimetizzazione passiva, in cui tutto ruota intorno ad un inganno magico: è nato in casa della nonna e l'ostetrica quando lo vide notò che aveva una "rosa" sul pene, e sua madre, a detta di tutti, è una santa. Luca si sente un figlio speciale e da donna vuole chiamarsi Rosa, un buono, un inviato del Signore, so che Lui mi vorrebbe femmina e non maschio; egli vive con intensità il sentimento religioso e non ha mai avuto rapporti sessuali, quelle cose non le faccio, non le ammetto e poi, fino a quando sono così le storie con gli uomini, che futuro mi possono dare, preferisco morire piuttosto che essere omosessuale. È il secondo figlio, nato a distanza di tre anni dalla sorella. Tra queste due nascite il padre costringe violentemente la madre ad abbandonare il lavoro. Luca vive sentimenti di paura nei confronti del padre. Nei suoi racconti è centrale la morte di una sorella della madre, la secondogenita, e quel sant'uomo del nonno desiderava un figlio maschio, accaduta nove anni prima della sua nascita, zia Giuseppina. Luca porta da sempre due ciondoli al collo, uno è un "crocifisso" e nell'altro c'è la foto della zia morta, so tutto di lei, anche se non la ho mai conosciuta, per me è viva, mi protegge e mi fa compagnia. Ha sempre con sé, riposta nel portafoglio, la foto della madre ed afferma, è così bella in questa foto, porta il lutto per la morte di zia. La .zia e la madre avevano un forte legame, e Luca, come la madre, ha un'acconciatura dei capelli identica a quella della zia. La volontà evidente di Luca è la richiesta di una sparizione di tutto ciò che è accaduto fino al momento in cui ha pensato all'intervento chirurgico, mi sembra di andare al patibolo, la morte di Luca e la nascita di Rosa gli sembra l'unica soluzione possibile. Luca chiede la perdita dei propri tratti e la perdita dei propri ricordi. Per lui è impossibile vestirsi da donna; questo comportamento è un'imitazione che lui condanna e delega ai travestiti, cioè all'atto immorale di sedurre un uomo, voglio affetto e voglio dare affetto. È una donna nata per rendere felice un uomo, certamente non per fascinarlo con i tessuti con cui cuce l'abito da sposa alla sorella. Luca è molto abile manualmente, cuce, fa merletti e ricami. È il sostegno economico della famiglia. È un uomo che vuole annullare il peso della sua storia.
Il padre è alcolista e da anni vive solo e non lavora. La madre è un'anoressica ed ultimamente ha tentato il suicidio procurandosi un profondo taglio alla gola, con un coltellaccio da cucina. Dei cinque mesi di accudimento continuo alla madre, tra ospedali ed un controllo vigile ed estenuante in casa, dirà Luca, ero diventato carne ed ossa, espropriando così la madre della malattia. In questo periodo, pensa alla soluzione chirurgica, anche se sa di essere donna dalla nascita, con la rosa che rappresentava il futuro della sua identità, devo eliminare tutta questa sofferenza, al fine di conseguire un'identità epurata da ogni male. Ogni giorno che passa, la richiesta diventa sempre più pressante e, con l'intervento di riattribuzione, sembra voler fare al suo pene quello che la madre ha fatto alla sua gola; questa madre, che lo ha sempre visto come un bambino particolare, portatore di un messaggio divino, di quella rosa che è il fiore di maggio, mese della Madonna. Da donna ruba alla madre l'identità, e così ne conquista una presenza eterna, ma, perdendo i suoi tratti, annulla anche il padre. L'attacco al corpo è l'attacco al corpo dei genitori, all'accoppiamento sessuale che determinò la gravidanza non accettata, è alla coppia sessuale; il fantasma diviene atto, i genitori sono annullati per realizzare un'autogenerazione in cui c'è catarsi e realizzazione di un destino divino, così che lui può dire e sentire... "io sono una persona buona". C'è la necessità di evacuare gli aspetti distruttivi, il vantaggio è una donna innocente, libera dalle brutture della sessualità. Una donna che evoca immagini di bellezza e delicatezza... "Una cosa che non sopporto è di dovermi fare la barba ogni giorno ...ho una pelle delicata, quella di una donna"...Il buco si occulta, cucendo il vestito sulla sua pelle, finalmente fragile e delicata, priva di impurità.
I nostri incontri si sono bruscamente interrotti e, dopo una lunga pausa, ho rivisto Luca da poco, è venuto a chiedere un certificato, da portare al suo avvocato per accelerare i tempi; mi racconta che è morta sua nonna, quella nella cui casa nacque il bambino speciale, il portatore della rosa ma, nel morire, la nonna gli ha detto una verità scomoda: Luca tu sei solo un omosessuale. Luca ha sofferto molto, non è andato al cimitero, ha impedito il lutto alla madre e non porta con sé il medaglione né le solite foto, non mi restava che buttarmi giù, o sono una donna o muoio, ho trascorso tanto tempo chiuso in casa... poi ho rivisto l'endocrinologo ed ho ripreso la terapia ormonale; mi sono cresciuti i seni ed ho cominciato a vivere di nuovo; i seni mi assicurano che sono donna. Me li mostra con molta fierezza. Provo un profondo dolore. Reggerà tutta questa sicurezza esibita, alla distruttività negata? La sua vita è legata inesorabilmente ad una condanna: solo se troverò un pò ' di amore, potrò farcela. Mi avete visto così come sono e mi avete accettato, se trovo chi mi ama io posso negare tutto questo, mi potrei fidanzare con il dottore, il primo che mi ha visto, ma poi è meglio avere subito il certificato, così non ci pensiamo più. Luca non regge la speranza di un'attesa: è meglio espellere funzioni a livello corporeo, invece di sperimentare la sua drammatica inadeguatezza. Scivola nel corpo spostando altrove la speranza e poi purtroppo anche per lui il protocollo continua, avvicinandolo all'intervento...
Si attualizza una donna asessuata, priva di sangue mestruale, il più delle volte perfetta nella forma, guida e riferimento di un unico sesso: quello degli angeli. L'inganno diventa un'imitazione continua, per mantenere un contatto con se stesso, una possibilità di relazione, in cui una sorta di sparizione magica dei propri tratti iniziali, fenotipici, conduce ad un nuova visibilità. Cancellando la propria sagoma, adeguandola esternamente ad un'altra, nel passaggio si ottiene la visibilità, all'insegna di un piacere irrefrenabile, provocato dall'atto: il vestito pelle, fatto dal chirurgo. Queste soluzioni estreme, che agiscono sul corpo, sono fisse ed irreversibili, l'atto risolve la presenza dell'angoscia ed in più evacua la distruttività. Dov'è il senso del limite, dov'è il dolore?
La verità cieca di essere in un corpo estraneo che non è proprio, dovrebbe collegarsi, nella relazione psicoterapeutica, ad un sentire vuoto, disperazione, dubbio, incertezza e perplessità, prodromi di un conflitto. E l'evento, concretamente biologico, dovrebbe essere pensato come inadeguatezza, per confluire nella narrazione di una storia sentitamente tragica.
Non è così semplice, l'ombra del delitto offusca ed eclissa la vista... mentre il tempo del protocollo avanza verso l'intervento, eliminando ogni incertezza.
L'atto non solo è compiuto, ma è esibito in uno stato di drammatica inconsapevolezza.
Quando ci siamo trovate a riflettere sulle conclusioni, la nostra discussione si è focalizzata sul significato dell'ineluttabilità del comportamento agito e ci siamo chieste che cosa spinge a non approdare alle sponde libere del pensiero. Come mai non si può accogliere la possibilità di accettare una pausa, rispetto alla richiesta pressante di eseguire un atto devastante. Infatti, quante volte nel nostro lavoro, con questi pazienti, abbiamo chiesto un tempo per riflettere e quante volte ci siamo trovati di fronte al fatto che il conflitto era intollerabile e la frustrazione era evitata, mentre l'intervento chirurgico era richiesto, come una sorta di vestito eterno, quasi come se ci fosse una sovrapposizione tra una certificazione di identità e il momento in cui il vestito è indossato sul tavolo operatorio. Ma quanto dura quest'eternità? Un giorno; un anno, dieci, cento! Forse, quando tutto è collegato ad un'unica soluzione possibile che, essendo unica, dovrà concedere il permesso di vivere, si crea una trappola inesorabile, un'ineluttabilità fenomenologica in cui gli investimenti sono rinviati ad un dopo e solo questo dopo è sentito con potenzialità relazionale.
Nella mente si creano situazioni vissute come affascinanti, una fascinazione dell'atto che avviluppa l'immaginare in un fantasticare iterativo che, inevitabilmente, produce azioni devastanti. Si determina un'obbedienza cieca ed istantanea, che assume un valore di presenza dispotica nell'esperienza.
La strada è incontrare un sentimento che, mattone dopo mattone, abbatta il muro di cinta dell'assedio.
Note
1) La vigoressia è stata individuata dal dott. Pope U.S.A.
2) Presso l'Un. di Psic. Clin. e Psicoanalisi Appi., Prim. prof. Paolo Valerio, Dip. Neuroscienze Univ. Napoli "Federico II".
3) Matte Bianco (1995) II paziente osserva il suo interno come se appartenesse ad
un 'altra persona... in altre parole egli era allo stesso tempo distante da se stesso: una
proiezione intrapsichica, che indica simultaneamente un diniego ed un riconoscimento
della realtà interna. È la difesa che consente di negare ed accettare contemporaneamente
eliminando il conflitto tra le parti.
4) II legame mutante fa riferimento alla teoria di Bion, in una dimensione di relazio-
ne tra contenuto e contenitore si verifica l'amalgama emotiva (L, H, K, - K) ed il con-
tenimento può essere commensale, simbiotico (che contiene il conflitto) e parassitario.
Il legame mutante sintetizza l'uso esclusivo dell'azione al posto del pensiero, si agisce s
ull'organo per acquistarne la funzione, e si distanziano tutti i possibili legami.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1) Bion W.R. (1963): Gli elementi della psicoanalisi, Armando, Roma, 1979
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Press, London