Post date: 27-mar-2014 21.12.40
di: Francesco Bruno Gnisci
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CRESCITA PSICO-ESISTENZIALE
DEL SOGGETTO CURANTE
A mio avviso il senso più importante di questo significativo seminario è il suo carattere multi ed interdisciplinare. Questa impostazione ci aiuta a essere consapevoli della esistenza di saperi così diversi. Nello stesso tempo siamo in grado di valutare quanto ognuno di essi rappresenti una certa sapienza, che ci consente di affrontare la diversità delle patologie psichiche. Ci consente inoltre di riconoscere l'esistenza delle diverse metodologie e strategie collegate col "male del vivere" o sofferenza dell'anima. Tutto questo ci permette ancora di capire la natura globale delle affezioni mentali.
Dagli ultimi sondaggi effettuati dall'OMS emerge un'inquietante realtà: i inalati riconosciuti di questo tipo di affezioni, sono circa un miliardo nell'intero pianeta, 600.000.000 nel cosiddetto mondo occidentale, 10.000.000 in Italia. Se consideriamo che la popolazione occidentale è di circa un miliardo di persone, la proporzione dei malati è del 60%, nel resto del mondo, al contrario, su 5.000.000.000 di persone, il disturbo mentale si aggira invece su di una cifra di 400.000.000, di persone, pari ali'8%. Tenendo conto di questi dati non mi sembra né azzardato né inadeguato parlare di "impazzimento dell'Occidente".
il sostanziale insuccesso delle psicoterapie occidentali
II primo approccio alle problematiche psicopatologiche fu quello di tipo magico-religioso. La malattia era attribuita alla malvagità intrinseca del malato. Nell'antica Grecia i fenomeni psichici erano direttamente collegati a processi di natura magico-filosofica, più precisamente il dualismo filosofico imperante stabiliva un'opposizione tra anima e corpo. Questo dualismo per Cartesio diventò opposizione tra mente e corpo. È solo nei due ultimi secoli che le malattie in genere e le psicopatologie in particolare , hanno cominciato ad essere associate a disfunzioni bio-fisio-psico-culturali. La medicina cominciò allora a rafforzarsi attraverso ipotesi prevalentemente empiriche, con premesse metodologiche che preludevano a quelle scientifiche attuali. Ritengo opportuno ricordare che lo sviluppo della medicina scientifica è andato di pari passo con le scoperte tecnologiche. Prima del microscopio, che ci ha consentito una conoscenza approfondita della vita cellulare, era ancora predominante il concetto che la vita fosse prodotta dalla "generazione spontanea". I successi della medicina scientifica, basata sul rigore delle sue ricerche analitiche, e su di una continua attenzione alla valutazione empirica e oggettiva dei dati, hanno avuto certamente un influsso su alcune scuole psicoterapeutiche. Le affezioni psichiche sono state considerate problemi di disfunzionalità di origine organica. Questa impostazione è ancora oggi fortemente predominante in campo psichiatrico. Nel campo della psicologia, invece, c'è stata una diversa impostazione: il concetto di continuità e coerenza, aspetto fondamentale nell'analisi delle dinamiche psico-comportamentali, fu travisato sia dalla impostazione pavlovniana dei riflessi condizionati, sia dal behaviourismo di Watson, dove i processi psichici vennero trattati come processi neurofisiologici.
La psicanalisi, collegata alla psicologia del profondo e dell'inconscio, in base alla impostazione di Sigmund Freud, ha subito diverse modificazioni, sia per opera dello stesso Freud che dei suoi seguaci. Gli apporti più significativi, li ricordiamo brevemente, sono stati quelli di Jung, Adler, M. Klein e, più recentemente, quelli della scuola francese di Jaques Lacan. Altre scuole importanti sono quelle della Gestalt, quella di Cari Rogers, e la recentissima corrente della terapia sistemica (scuola di Palo Alto).
Particolare importanza, per poter comprendere la dinamica psicologica dei processi intellettivi, ce l'offre la psicologia cognitiva, di cui J. Piaget e H. Wallon furono i padri. Quest'ultima ci ha dotato di una precisa metodologia che può consentirci di stabilire con precisione le diverse tappe e le diverse dinamiche presenti nello psicogenesi umana.
A mio avviso, nonostante il fatto che tutte queste diverse teorie e scuole abbiano raggiunto un certo successo psicoterapeutico, per nessuna di esse si può dire che si sia raggiunto un riconoscimento unanime. D'altronde il dilagare eclatante dei disturbi mentali e psico-fisici, sembrerebbe proprio un chiaro segno dell'impotenza, e della confusione di questi approcci psicoterapeutici, inefficaci nell' affrontare esaustivamente la realtà drammatica del "male del vivere".
Consentitemi a questo punto una piccola riflessione. Nel 1980 per affrontare in modo più efficace quello che era allora il pericolo dell'olocausto nucleare, la I.P.P.N.W. si è avvalsa di una delle ultime affermazioni del grande genio della fisica Albert Einstein, il quale prima di morire ci lasciò un grande avvertimento: "Se l'umanità vorrà sopravvivere, dovrà modificare il suo modo di pensare." L'Associaz. Internaz. di Medici per la Prevenzione della Guerra Nucleare, creata da un gruppo di medici preoccupati per la terrificante corsa agli armamenti nucleari, intuirono che l'unico modo di evitare le nefaste conseguenze di un olocausto nucleare, era di evitare lo scontro con la prevenzione. A tal fine gli aderenti a tale movimento modificarono completamente l'atteggiamento medico che si limitava, fino ad allora, a sviluppare metodiche e tecniche in grado di assistere i feriti dello scontro nucleare. Nel nuovo paradigma di prevenzione la risposta medica divenne più attiva e ampia, spezzando i margini degli ospedali e degli obitori. L'azione medica cioè si produsse in spazi politici non partitici.
Fu così allora che i medici cominciarono a promuovere numerosi studi e ricerche volti a dare chiarezza al grande pubblico, sensibilizzando politici e capi di stato su di un pericolo incombente che non avrebbe avuto né vincitori né vinti. L'efficacia di queste azioni preventive si fece rapidamente apprezzare per l'impatto che ebbe sulla coscienza dell'umanità. Per far capire la vera realtà del pericolo nucleare, il movimento ebbe un'influenza determinante per la produzione e la diffusione del film "The day after". Il movimento creò inoltre l'occasione di dibattiti in tutto il mondo, sulle conseguenze fisiche e psico-sociali di un eventuale scontro, fece capire cioè cosa sarebbe stato realmente 1'"inverno nucleare". La denuncia fatta da medici di tutto il mondo, sotto la co-presidenza di B. Loow (medico personale dell'ex-presidente Carter) e E. Chasov (medico personale di Bresniev) ebbe una risonanza tale da riuscire ad avere un consenso superiore a tutte le precedenti iniziative politiche. Nel 1984 l'UNESCO ritenne opportuno assegnare all'IPPNW il premio UNESCO "Educazione alla Pace". Nel 1985 il comitato Nobel della Norvegia, ritenne opportuno concedere loro il premio Nobel per la pace. Nel Capodanno dello stesso anno Gorbacev ci accolse la richiesta, fatta appunto dal nostro movimento di medici, di bloccare i tests nucleari sotterranei. Poco tempo dopo, l'incidente nucleare di Cernobyl sconvolgeva l'Europa, ed era una sola nuvola radioattiva. Questo incidente spinse Reagan ad accettare l'inizio della trattative per il blocco degli armamenti nucleari. Fu questo l'inizio dei successivi accordi per il disamo nucleare. Nel 1996, nell'incontro di Camberra, fu accettata la proposta della messa al bando degli armamenti nucleari.
Consentitemi perciò di rivelarvi la grande perplessità che oggi sento. Negli anni '80 i bambini, i giovani e il grande pubblico, nonostante fossero stressati dal pericolo nucleare, manifestavano pur sempre un forte desiderio di vivere. I bambini e i giovani soprattutto, reclamavano il loro diritto a vivere e diventare adulti. Oggi invece la situazione è diversa ma non per questo meno allarmante, ed è rappresentata dall'acuirsi dei conflitti sociali e di quelli esistenziali. Possiamo dire che è emersa un'altra drammatica verità: il nucleare non rappresenta più l'arma più micidiale. Dobbiamo ormai riconoscere che il risentimento e l'odio sono diventati il pericolo più inquietante per l'umanità. Queste particolari forme di violenza, insieme alle numerose manifestazioni di "normale follia", sono presenti nell'individualismo, nell'accanita competitivita, nel narcisismo esasperato, nello stravolgimento dei valori, nel lassismo. Se a questo aggiungiamo l'escalation dei fatti di violenza autolesionista della tossicodipendenza, le stragi del sabato sera, la crescita allarmante dei suicidi (seconda causa di morte giovanile in Occidente), ci sembra proprio di assistere agli spasmi finali di una dantesca società caotica, di improbabile futuro.
È per questo che ritengo assolutamente urgente capire che questa situazione che sta colpendo soprattutto i nostri giovani, non è solo una loro responsabilità. In questo mondo la loro vita viene gestita e fortemente manipolata da manipolazioni provenienti sia da potenti interessi economici, che fanno dei giovani una preda facile per avere sempre più profitti, come anche da settori e istituzioni ideo-politiche che mirano a gestirli in modo tale da impedirne un libero e maturo processo di crescita.
È per questo che ritengo opportuno pensare ad una metodologia psico-terapeutica capace di creare delle condizioni nuove che favoriscano un profondo cambiamento.
A tal fine le diverse discipline umanistiche e in particolar modo le scuole psico-terapeutiche, dovrebbero impegnarsi a voler ricercare delle premesse chiare su quello che è il compito fondamentale della ricerca umanistica: stabilire cioè quella che è l'identità essenziale dell'essere umano. Un compito immediato nella formazione dello psicoterapeuta, dovrebbe essere quello di stabilire una integrazione delle diverse scuole, oltre all’acquisizione del necessario background tecnico-umanista. Ritengo parimenti indispensabile chiarire quali siano le vere cause che generano la crescita permanente della violenza perversa, e favoriscono il dilagare dei comportamenti psicopatici: a mio avviso, esse sono strettamente collegate all'attuale concetto per cui la salute mentale viene inclusa nel concetto di normalità. Questo concetto dal punto di vista clinico diventa confuso perché la normalità in una cultura inquinata giustifica i "normali" comportamenti di sopraffazione.
Tenendo conto di quella che è la natura sociale dell'essere umano, bisognerebbe cercare di stabilire quali siano le cause e i fattori che non consentono un processo di sviluppo armonico del neonato, del bambino, del giovane e dell'adulto.
A supporto dell'importanza di quanto detto, potremmo riflettere sul contenuto dell'ultimo rapporto Asper, sui ragazzi del 2000.
Quando ai giovani dai 15 a 25 anni è stato chiesto un parere riguardo ai valori nei quali credono la loro risposta è stata:
Vediamo adesso che cosa rispondono in riferimento ai loro disagi psichici (vedere tab. 2).
Alla luce di queste risposte è evidente la correlazione tra i loro valori e i loro disagi psicologici. La valutazione dei valori rispecchia una personalità predominantemente sana e armonica. Il secondo questionario invece evidenzia una sofferenza incoerente con i valori. Le donne sono le più colpite dal disagio psichico. Forse la risposta chiara a questo paradosso ci verrà da altri dati dello stesso rapporto Asper. Nelle domande sull'avvenire e su che cosa li preoccupa di più,
rispondono, nell'ordine esposto nella tab. 3. Queste risposte sull'avvenire ci fanno capire che i nostri giovani hanno una precisa e chiara preoccupazione per un futuro minacciato dalla disoccupazione. E importante vedere, che col crescere dell'età, la preoccupazione è in aumento. Ma forse quello che è più inquietante è la loro precoce preoccupazione per il futuro della società. Il prossimo futuro, per loro, esprime l'evoluzione di cui alla tabella 4.
Tab. 3
Cosa li preoccupa di più: 15-17 anni 18-20 anni 21-25 anni
L'analisi delle risposte date, quelle collegate alle loro preoccupazioni e alle loro previsioni per l'avvenire, riferite soprattutto alle travagliate dinamiche sociali, ci consente di poter apprezzare la loro sofferta maturità. Tutti siamo però consapevoli del mito di una pretesa perversità dei giovani. E invece io direi che questi ragazzi, sia nelle loro scelte di valori (famiglia, amore, amicizia, libertà, democrazia, giustizia ecc.), sia nell'additare i pericoli futuri (mancanza di lavoro, aumento delle tendenze egoiste, razziste, violente, riduzione delle libertà democratiche, della solidarietà, degli aspetti positivi e piacevoli dell'esistenza) , sono ben svegli e chiari nell'intuire quelli che sono i tratti più veri e le prospettive
Tab. 4
del nostro tempo. Ma quello che a mio avviso è il dato più importante è il numero estremamente esiguo di giovani che non hanno opinioni al riguardo.
Un compito molto importante attende tutti gli operatori coinvolti nelle problematiche psicologiche, l'individuazione cioè dei fattori che colpiscono l'integrazione armonica negli ambiti familiari e istituzionali. Consentitemi di riflettere su due grandi fenomeni conflittuali che colpiscono di solito l'universo giovanile. Il primo riguarda i cambiamenti profondi prodotti dalla crescita evolutiva, i quali modificano profondamente le strutture bio-psichiche. Questo delicato stadio di transizione si accompagna ad un senso di fragilità che colpisce sia l'io che l'autostima del giovane stesso. Una volta il contesto socio-familiare, cioè famiglia, scuola e istituzioni sociali, stabili e più o meno ben amalgamati, equilibravano gli effetti conflittuali dei cambiamenti evolutivi; oggi invece queste stesse strutture stanno subendo una profonda crisi etica e sociale, che pone il giovane in una doppia situazione di instabilità. La sua transizione diventa pertanto ancora più acuta e difficile.
Il secondo fattore critico lo individuiamo nello scontro tra l'allungarsi dei tempi necessari all'acquisizione delle competenze professionali richieste, basi indispensabili per il suo inserimento nel mondo del lavoro, cimento che richiede già di per sé una forte concentrazione di energie e di volontà, e le permanenti tentazioni dispersive provocate dai bisogni indotti da una società che stimola un senso di vita centrato nella soddisfazione immediata dei bisogni e dei desideri. Queste tentazioni, come abbiamo potuto verificare nei sondaggi, sono favorite dalle incertezze che i giovani dovranno affrontare nel loro futuro. Inoltre i giovani sono sommersi in una serie di particolari tensioni ed esigenze, talora difficilmente risolvibili.
È per questo che essi vivono in uno stato di stress, che alle volte colpisce le loro resistenze psichiche, collocandoli in situazioni rischiose le quali favoriscono il loro cedimento morale.
Sarebbero queste le cause per le quali sono preda di tentazioni trasgressive. L'evasione ai loro problemi talora viene perseguita attraverso la droga, la voragine del consumismo, l'avidità del possesso, l'edonismo sfrenato, l'onnipotenza del potere ecc.
E questo il motivo per cui alcuni sono spinti a soddisfare quanto sopra citato, rendendosi capaci talora perfino delle peggiori atrocità, come pure di prostituirsi fisicamente e/o moralmente.
La minaccia sociale che si esprime attraverso la predominanza di una gioventù frustrata e disperata, è una realtà indubbiamente inquietante. Questo lo possiamo verificare nei numerosi episodi di violenza e perversione di cui è piena la cronaca dei giornali. Per questo l'antica idealizzazione giovanile viene oggi oscurata da un cliché che rappresenta i giovani come creature perverse e violente, e si sta creando così un immaginario di insicurezza che colpisce ogni livello della popolazione.
Nonostante tutto dovremmo però, essere fortemente convinti che i giovani sono la potenzialità più vera e bella dell'espressione umana. Forse è per questo che riteniamo una sfida morale la creazione di premesse psicoterapeutiche in grado di canalizzare pienamente e liberamente le loro potenzialità. È per questo che ritengo che il ruolo della psicoterapia non dovrebbe limitarsi in un angolo clinico e ambulatoriale, ma dovrebbe attivare maggiormente gli spazi della prevenzione. Prevenire vorrà dire proteggere soprattutto bambini e giovani dall'inquinamento culturale, vorrà dire proteggerli dall'individualismo, e dal risentimento che ci spinge verso l'abisso della conflittualità, fino agli orrori del cannibalismo sociale.
A questo punto della disamina sarebbe opportuno fare un appello alla responsabilità dei mass-media e dei settori economici e politici che li gestiscono, speculando sulla fragilità e sulle debolezze delle popolazioni. Il fenomeno è particolarmente grave e palese nell'uso strumentale dell'affettività, in cui l'amore è smerciato come pura sensualità, fine a se stessa. A mio avviso bisognerebbe comprendere che lo sviluppo delle nevrosi trova terreno fertile in situazioni di vita disagiate e difficili, tali da non consentire all'essere umano di disporre di quelle premesse di stabilità fisica, affettiva e culturale, necessarie per consentirgli l'acquisizione delle sue potenzialità essenziali. Alludo soprattutto al poter disporre di una sensibilità socio-solidale in grado di permettere ai giovani quei rapporti di mutuo rispetto che sono fondamentali per acquisire il consolidamento della loro socialità positiva. Il giovane dovrebbe inoltre poter disporre di un senso di libertà sufficiente a fargli acquisire la pienezza delle sue potenzialità. Una libertà dove la sua autonomia, dotata di senso di responsabilità, gli consenta di vivere in armonia con la libertà degli altri.
Vorrei ora invitarvi a riflettere sui risultati di uno studio interdisciplinare che mira a stabilire nuove metodiche analitiche nella determinazione delle interrelazioni che esistano tra violenza e natura umana.
Non è questo ovviamente, il momento per un'analisi esauriente ed approfondita del problema, esporremo perciò in modo schematico i punti salienti, quelli che cioè sembrano a noi punti essenziali di chiarimento, sia pure frammisti a tanti nuovi interrogativi. Il nocciolo della questione è infatti il mistero dell'uomo, la sua identità essenziale.
Questo è certamente uno dei fenomeni umani più paradossali e misteriosi. I diversi punti di vista storici sono conosciuti. Il nodo del dissidio è tra l'uomo, quale espressione divina, buona, arbitra del suo destino, e il concetto darwinista dell'uomo prodotto ultimo di una evoluzione animale, gestito da istinti di sopravvivenza, coinvolto in una dura lotta dove sempre i più forti prevalgono.
Altra grande contrapposizione storica vede le idee di Russeau (l'uomo è buono, la società lo perverte"), a quelle di Hobbes che vedeva la violenza come connaturata alla specie umana, intrinsecamente perversa. Questa controversia è ancora viva e presente nella cultura del nostro tempo, figlia ancora della teoria freudiana che, attraverso la sua finestra psicanalitica, concepiva una stabilità dinamica tra istinto di vita e istinto di morte, laddove l'istinto di morte veniva considerato come un'espressione della perversità congenita dell'essere umano.
Prima ancora di analizzare le diverse posizioni con rigore scientifico ritengo opportuna una distinzione preliminare tra violenza funzionale, al servizio della vita, che coinvolge tutta la biosfera, e la violenza perversa, che è peculiare della specie umana.
I sostenitori di una natura umana perversa si sono basati su credenze mitiche e soggettive, del tipo "uomo e guerra sono andati sempre di pari passo" oppure hanno fatto riferimento alla congerie di episodi di violenza perversa. Oggi in effetti, la violenza è fenomeno ampiamente diffuso, trasversale, predominante in tanti rapporti umani. Le sue forme di espressioni sono essenzialmente tre: violenza fisica, psichica ed esistenziale.
Attingendo però a recenti ricerche scientifiche a carattere bio-filo-onto-psi-cogenetiche, ci imbattiamo in altre evidenze.
Se prendiamo in considerazione l'eredità filogenetica espressa nell'evoluzione diretta scimmia-uomo (specie che condividono il 99% del patrimonio genetico), notiamo che l'eredità biologica e culturale delle scimmie è collegata al bisogno delle dinamiche di gruppo, in armonia con i loro bisogni nutrizionali e affettivi molto stretti e prolungati (sette anni), senza le cariche aggressive dei predatori carnivori. Dal punto di vista dell'eredità filogenetica, cioè, non troviamo una memoria genetica di aggressività. C'è poi un secondo fattore che è venuto fuori in questo tipo di ricerche: lo sviluppo fisiologico della struttura anatomica umana evidenzia, nella trasformazione-evoluzione scimmia-uomo, il fatto che l'essere umano non si è direzionato verso lo sviluppo di strutture proprie di un essere aggressivo, quali ad es. artigli o canini, prediligendo invece, specie nell'ultimo secolo, un'accentuazione dello sviluppo di strutture atte alla destrezza e alla abilità dei movimenti, verso una maggiore raffinatezza, soprattutto interiore, tese cioè ad una migliore convivenza. Senza un'arma, un comune essere umano, difficilmente può uccidere un suo simile.
C'è un terzo fattore ancora, e riguarda le caratteristiche dello sviluppo ontologico-antropologico. Come si sa, fino al neolitico superiore, all'incirca 10.000 anni fa, tutti gli uomini vivevano in piccoli clan o in tribù, cioè la loro esistenza, la loro espressione ontologica, era possibile solo all'interno di tali gruppi. Un Robinson Crusoe, per intenderci, è soltanto una fantasia possibile nell'uomo di oggi, possibile comunque soltanto dopo aver acquisito, in società, le sue capacità simboliche. Studi recenti ci confermano che anche la stazione bipede, eretta, ad es. , non è soltanto un fenomeno bio-fisiologico, ma è essenzialmente un fenomeno socio-culturale: se un bambino non vede camminare un adulto, non sarà mai in grado di farlo. Il bisogno che l'uomo ha del gruppo, insomma, contraddice l'affermazione che uomo e guerra vanno di pari passo. Le guerre d'altronde, non venivano fatte all'interno del gruppo di appartenenza, al contrario era tutto un gruppo ben compatto a contrapporsi ad un altro gruppo altrettanto compatto. Le guerre erano solo finalizzate alla sopravvivenza, e alla continuità storica del gruppo. Il guerriero di una volta, abile, forte e coraggioso, era l'eroe, all'apice della gerarchia sociale, poiché era disposto e deciso anche a morire per la difesa del gruppo. Non era, in altri termini, uno strumento di dominio e di sopraffazione.
Il grande problema della violenza dei nostri giorni, è che questa si manifesta invece all'interno del gruppo stesso, a livelli macro-sociali in guerre fratricide, a livelli micro-sociali nelle violenze in seno allo stesso nucleo familiare. Parricidi, fratricidi, uxoricidi, sono fenomeni sempre più frequenti e allarmanti.
Regole psicogenetiche dell 'aggressività umana
C'è un quarto fattore che è venuto fuori in questo tipo di ricerche. Gli studi di Watson, behaviorista, di Winnicot, psicanalista infantile, di Spitz, psichiatra infantile, di Bolwy, psicoterapeuta infantile, e quelli recentissimi di Ivan Ghotier, presidente dell'ICAP (Associaz. Internaz. degli Psicoterapeuti Infantili), non hanno evidenziato alcun elemento di aggressività nel neonato al momento della nascita. Al contrario, le espressioni di rifiuto alle diverse forme di violenza che il piccolo subisce, sono pianto, paura, irritabilità, disagio. Un esempio ci viene dalla dinamica chiara della sindrome da ospitalismo, che colpisce acutamente i bambini trascurati dalla madre. Essi vivono questa situazione come un tradimento. Solo allora la reazione è attiva e si evidenzia attraverso la violenza psicologica del risentimento. Il bambino, ormai incapace di tollerare il distacco, rifiuta la madre.
Nell'incontro di Siviglia nel '91, a cui parteciparono rappresentanti istituzionali e studiosi di tutte le discipline umanistiche, si sancì, quale bilancio di migliaia di ricerche, la assoluta evidenza di una totale assenza di fattori aggressivi congeniti nel neonato.
C'è un altro aspetto psicologico importante che vorremmo aggiungere, invitandovi a fare un piccolo esercizio di riflessione insieme a noi: pensate di essere in grado di aggredire chicchessia senza averne motivo alcuno? Come è noto, coloro che aggrediscono senza una motivazione, oggettiva o soggettiva che sia, o sono malati, o sono sadici, o soffrono di paranoia. Nei conflitti macrosociali troviamo questa stessa fenomenologia .
Attualmente nelle culture più avanzate, l'evoluzione della coscienza comune non accetta più un coinvolgimento in guerre di conquista. Gli ultimi scontri che hanno coinvolto l'ONU e la NATO (rispettivamente nella guerra del Golfo, nel '91, e del Kossovo, nel '99) hanno dovuto essere giustificati da una difesa della pace, la prima, e dei diritti umani la seconda a tutti i livelli il rifiuto dell'ingiustizia è in grado di mobilitare energie potenti, capaci perfino di farci diventare brutali e feroci.
Evoluzione delle premesse giuridiche
C'è un punto ancora, e riguarda l'evoluzione delle premesse giuridiche. Il codice di Hammurabi applicava la cosiddetta legge del taglione, "occhio per occhio, dente per dente". E qui se non altro, la punizione era commisurata alla trasgressione. A quei tempi la responsabilità del delitto sociale era attribuita totalmente a chi trasgrediva. Ai nostri tempi noi, in concordanza con i valori cristiani della nostra cultura, condividiamo il fatto che non si debba tagliare la mano a chi ruba e riconosciamo una responsabilità attenuata del colpevole. I nuovi codici penali dei paesi più evoluti (che respingono la pena di morte) ritengono che il compito del carcere non sia punire, ma recuperare. Questo concetto del recupero è direttamente collegato all'idea che l'uomo non nasce delinquente, ma lo può diventare sia per fattori contingenti, quali difficoltà obbiettive di sopravvivenza, come nel delitto famelico (chi ruba per fame non viene punito), sia per ragioni di degrado socioeconomico (delinquenti comuni) o degrado morale (delinquenza dei colletti bianchi).
L'esperienza insegna che persone che avevano scelto la sopraffazione come "stile" di vita, messi in situazione adeguate, di recupero socio-morale, sono riusciti a liberarsi dalla coazione, dalla loro dipendenza alla sopraffazione e alla violenza sugli altri. Altro aspetto che è opportuno sottolineare, dal punto di vista giuridico, è che mai nessuno è stato punito per il fatto di essere uomo, cioè, se la aggressività perversa della specie umana fosse davvero connaturata al nostro essere, ogni essere umano dovrebbe essere messo al bando, in quanto tale.
Considerazioni filosofiche
Essendo l'uomo un essere di "natura" sociale, (la vera socialità è collegata al senso di convivenza positiva), l'aggressività perversa dovrebbe essere un fattore estraneo e contraddittorio alla sua essenza. Nelle centinaia di piccole tribù ancora presenti in zone vergini del pianeta (soltanto in Europa non ne esistono più) la bugia, il furto, lo stupro, l'incesto, l'inganno e qualsiasi altra forma di sopraffazione perversa, sono fenomeni inesistenti, impensabili.
Violenza perversa e socio-solidarietà sono espressioni contraddittorie, espressioni di un doppio discorso impossibile da poter gestire psichicamente. Come sappiamo, il doppio discorso è una delle componenti della schizofrenia funzionale.
In conclusione vogliamo citare quello che a noi sembrano gli argomenti più determinanti per sostenere questa ipotesi sulla vera identità umana. Nell'ultimo Congresso internazionale di cardiologia, tenuto a Buenos Aires nel settembre del 1999 si riscontrò che le patologie cardiache rappresentavano quasi il 50% di tutte le patologie croniche e di tutte le cause di exitus nel mondo occidentale. Il killer per eccellenza è l'infarto. Tre sono i suoi principali fattori causali: l'ira, l'angoscia e la solitudine. Se l'ira uccide l'organismo stesso che la produce, come è possibile accettare che l'aggressività, la ferocia, elementi necessari ai veri predatori, siano davvero così connaturati alla specie umana? L'aggressività perversa non è un atteggiamento normale, fisiologico, del nostro essere. L'angoscia è la risultante ultima e paralizzante di situazioni anomale ed avverse, è espressione del fracasso, del fallimento della persona. Se la solitudine, terzo fattore in causa, uccide l'uomo, come è possibile credere che l'individualismo, virus molto attivo in occidente, sia un fattore normale del comportamento umano, quando invece è l'espressione dell'handicap della convivenza umana? Già cento anni fa il grande sociologo Durkeim aveva evidenziato statisticamente l'alta percentuale di suicidi tra i vedovi. Tutti gli studi più recenti sembrano convergere su di un dato innegabile: la solitudine è un fattore psicopatogeno.
Il grande paradosso che ci sconvolge, avviene dunque proprio in forza di queste anomalie della cultura sociale.
Cos'è allora che perverte il cammino dell'uomo, che, come abbiamo visto, nasce con grandi potenzialità socio-solidali, e pertanto etiche? È questo uno degli enigmi più urgenti da risolvere. A nostro avviso non abbiamo ancora risposte definitive per risolvere il paradosso, ma una cosa è certa: la violenza è sempre figlia della violenza. Solitamente nell'essere umano la violenza fa questo percorso: 1) situazioni di grande difficoltà creano inizialmente disagio e frustrazione. 2) fattori socio-culturali reprimono la reazione immediata. 3) l'accumulo di queste tensioni, mal comprese e processate in un bambino, genera risentimento. 3) reiterazioni di tali fenomeni possono produrre il trauma del vittimismo, con evoluzioni di tipo depressivo, autolesioniste, fino al suicidio per cariche affettive troppo forti per poter essere gestite, o al contrario, come abbiamo visto con le vittime dell'ospitalismo, il risentimento evolve verso il blocco degli affetti, fino a creare personalità gelidamente e perversamente razionali, psicopatie cioè paranoidi, proprie degli assassini spietati, dei "serial killer", fino al baratro del sadismo, che non è più sfogo vendicativo, ma piacere morboso della sofferenza altrui. C'è una terza via, ancora più pericolosa, in cui possono evolvere queste reattività patogene: è quella del giustizialismo "fai da te". Con l'alibi della legittima difesa, in risposta a situazioni di minaccia personale o di gruppo, la dinamica evolve in una caccia alle streghe, al diverso, allo straniero ecc.. La gravita di questi fenomeni sta nel fatto che si fomenta un risentimento odioso di taglio razzista, adatto ad una catarsi paranoica, che tende a giustificare la vigliaccheria e la ferocia inconscia. Sono fenomeni ad alto potenziale distruttivo, che sono in grado davvero di destrutturare, di falciare il meglio dell'uomo. L'immagine stessa dell'uomo viene annichilita. Nostro compito invece, come professionisti della salute, è proprio quello di disinnescare la forza distruttiva di questa follia che è "malattia del disamore".