Una cosa chiamata anima

Post date: 25-ott-2011 20.17.46

di:

Gianni Baget Bozzo

Riproponiamo la nota di Baget Bozzo sulla questione dell’anima

Se vi è un punto in cui si misura la perdita della religione in Occi­dente, questo è la perdita dell'anima come dimensione reale dell'uo­mo: l'anima come metafora fiorisce in proporzione alla perdita dell'a­nima come realtà. Vi è in questo un paradosso: da quando c'è pensie­ro, il pensiero è stato interpretato come la differenza tra gli uomini e animali.

L'anima è stata vista prima come la sede della vita e delle passioni, poi, man mano che l'uomo capiva di pensare e intendeva la differenza tra pensare e sentire, l'anima è stata riconosciuta come sede del pen­siero. E il pensiero è stato inteso come la forza capace di pensare l'a­nima e di esprimere la sua natura; la pagina del Fedone ha dato forma alla cultura e alla religione in Occidente.

Da allora il concetto dell'anima come soggetto del pensiero si è im­presso nella cultura occidentale; e l'Occidente è essenzialmente pensiero, fiducia nella sua universale capacità a comprendere e trasforma­re il mondo. Per questa via l'uomo si è trasformato ed è divenuto sem­pre più altro dall'animale, altro dalla terra; sino a giungere al momen­to in cui può distruggere la vita sulla terra.

La differenza tra l'uomo, gli animali, il pianeta, è stata verificata in modo inatteso. L'uomo è l'Altro dalle altre forme di vita sulla terra, tanto che può distruggerne la possibilità. Abbiamo raggiunto la verifi­ca reale, materiale di quella differenza tra pensiero e natura che ha sempre costituito la base della dimostrazione della spiritualità dell'ani­ma, della sua differenza di natura, della sua differenza di natura dal mondo.

La tensione delle scienze occidentali è quella di dimostrare che tut­ta la vita mentale dell'uomo è riconducibile alla struttura cerebrale. La riduzione dell'anima al cervello mostrerebbe che l'uomo non è in sé differente dalla realtà animale se non per una più vasta e complessa organizzazione del cervello. Il riduzionismo ha la sua forza nelle strutture del pensiero scientifico occidentale, che tende a spiegare il tutto con le parti, il complesso con il semplice, il sintetico con l'anali­tico. Ma sarà mai possibile scoprire nel cervello la forma del pensiero, e fare di questo così una realtà non originaria, mistificata dalla sua forma universale e astratta? Cadrebbe il concetto stesso di verità. La verità del pensiero sarebbe la trascrizione di uno stato cerebrale, la sua universalità e assolutezza una sovrastruttura, una mistificazione.

Che l'ipotesi riduzionistica riesca a imporsi non sembra verosimile: la biologia del cervello e la struttura della coscienza e del pensiero fi­niscono con l'apparire irriducibili, segnate l'una dalla sua universalità, l'altra dalla sua funzionalità e determinatezza. Si può dimostrare che il cervello da realtà al pensiero, non che la struttura del cervello sia il contenuto del pensiero.

Questo è il paradosso innanzi a cui si trova ogni dottrina dell'ani­ma; essa presenta aspetti complementari e reciprocamente irriducibili. Tuttavia accertare i limiti del riduzionismo non ci dice nulla sull'ani­ma. Essa è una dimensione distinta dal cervello e immanente in esso, capace dì intervenire nei processi cerebrali? Ha una sua funzionale autonomia, che Bergson cercò di dimostrare in Matière et memoire? Esiste una cosa "anima"? In questa forma il problema non è più pro­ponibile nemmeno da coloro che riduzionisti non sono. Ma si può pensare che vi sia una saggezza presente in tutto il corpo umano e che essa non sia conchiudibile in una "cosa", in un "oggetto". Essa è una informazione che sfugge alla determinatezza delle cellule e da invece unità e forma all'insieme.

Ogni vivente ha un'anima, ma solo l'anima umana si manifesta co­me tale al vivente, anche se la connessione di ogni suo atto a un processo cerebrale impedisce di dimostrarla come una causa separata, ra­zionalmente certificabile nei suoi effetti propri ed esclusivi. L'anima può essere sperimentata, non può essere oggettivata. Come Dio nel mondo. Dio e l'anima sono pensabili nel medesimo modo: delle Pre­senze che non possono divenire oggetto ma che sono sperimentabili nelle loro azioni; inafferrabili nel loro essere, coglibili nel loro agire.

Il dibattito sull'anima è, per questa ragione, inesauribile. Non è possibile dimostrare né che l'anima è, né che essa non è. L'anima è fuori della potenza della ragione analitica. Dobbiamo usare il termine di mistero per esprimere l'anima? No, perché di essa facciamo espe­rienza ogni giorno come soggetti, anche se non possiamo afferrarla mai come oggetto. Ma ciò accade a tutto il mondo dell'individuo e della sua libertà. Anche questo indica che dell'anima ci sarà sempre discorso.

I teologi si interessano poco dell'anima. Dovrebbe essere il loro maggiore problema. Ma essi hanno assunto come principio che legitti­mo è solo quel pensiero che non contraddice le scienze occidentali. Con l'accettare questo limite, essi fanno della teologia una mera storia delle dottrine, annullano il fondamento del loro oggetto. E' questa una silenziosa rivincita dell'anima.