Post date: 17-giu-2012 22.34.32
Questo articolo - pubblicato nel n. 6-1999 di Uomini e Idee per gentile concessione di “ La repubblica” - riassume in breve alcuni interventi di quattro illustri ricercatori, sul tema mente-cervello e sulle ricerche neuro-scientifiche, che sono intervenuti ad un convegno organizzato quell’anno presso la facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. La sua datazione è interessante per chi avesse interesse a mettere a confronto le idee e le conoscenze di 10 anni fa con quelle attuali in una branca della ricerca che sembra fare interessanti passi in avanti in spazzi di tempo abbastanza brevi.
La redazione
Relatori al convegno: CHOMSKY / ECO / BONCINELLI / GALIMBERTI
Articolo a cura di: Giovanni Maria Pace
QUANTI MISTERI DENTRO LA TESTA*
II rapporto problematico e ancora misterioso tra mente e cervello è il tema scelto dal Convegno "Mente e Cervello" organizzato dalla facoltà di Psicologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, per un dibattito tra scienziati e filosofi realizzato in collaborazione con Repubblica nel giugno scorso. Hanno parlato il linguista americano Noam Chomsky, lo scrittore Umberto Eco, il biologo Edoardo Boncinelli e il filosofo Umberto Galimberti. Hanno partecipato inoltre il premio Nobel Rita Levi Montalcini e il cardinale Ersilio Tonini. Ha coordinato Massimo Piattelli Palmarini. La seguente summa è stata curata da Giovanni Maria Pace.
chomsky. "La relazione tra mente e cervello, o se si preferisce tra mente e corpo è salita alla ribalta all'inizio della rivoluzione scientifica, trovando in Cartesio il suo più lucido interprete. Secondo Cartesio il mondo poteva essere descritto in termini meccanicistici, come interazione di corpi e movimento. Ma a questa visione sfuggiva un elemento sostanziale: la creatività umana, e in particolare la creatività del linguaggio. A differenza delle macchine e degli animali, gli esseri umani possono essere soltanto invitati, incitati a compiere una determinata azione, ma non possono, in senso letterale, esservi costretti. A questo punto l'unica soluzione ragionevole per quel tempo era ammettere che esistono due tipi diversi di realtà: la "res extensa", cioè il mondo, e la "res cogitans", che noi oggi chiameremmo mente. Ebbene, la teoria di Cartesio, come molte altre teorie scientifiche, si è rivelata falsa. In particolare Newton ha mostrato, non senza rammarico da parte sua, che l'universo non può essere concepito come un dispositivo totalmente meccanico. Per citare le parole di uno storico della scienza, Alexandre Koyré, Newton ha mostrato che una fisica puramente meccanicistica è impossibile, e che è necessario introdurre all'interno delle scienze naturali fatti non spiegabili. Questa conclusione è apparsa una assurdità allo stesso Newton, che ha speso la maggior parte della sua vita per trovare una via d'uscita.
"Al giorno d'oggi è di moda prendersi gioco di coloro che vedono il fantasma nella macchina, ma è operazione scorretta. Newton ha esorcizzato la macchina ma vi ha lasciato il fantasma, un problema sostanzialmente insoluto anche oggi. Con l'eliminazione di qualsiasi nozione coerente di mondo materiale, il problema mente-corpo si dissolve. Ciò che rimane è il mondo, con tutti i suoi aspetti problematici: meccanici, elettromagnetici, chimici e di altro tipo. Noi possiamo soltanto provare a comprendere questi fenomeni e cercare di unificare le varie teorie che li descrivono, ma nulla di più.
"I fenomeni mentali sono del tutto simili. John Locke suggeriva che, se le forze gravitazionali non possono essere viste in termini di puro movimento, il pensiero può essere aggiunto alla materia. Alla fine del Settecento questo suggerimento fu riformulato da Joseph Priestley come una specie di tautologia. Le proprietà dette mentali sono, per il famoso chimico, il risultato, l'emergenza della struttura organica del cervello e del sistema nervoso in generale. Priestley non ha naturalmente idea di come queste proprietà possano emergere. Ma dice che le proprietà mentali devono essere postulate sulla base di prove sperimentali proprio come l'attrazione gravitazionale, l'affinità chimica e il magnetismo.
"Il problema di come queste proprietà emergano rimane tuttora largamente irrisolto nonostante i progressi delle neuroscienze. Ciò non sorprende se pensiamo alla chimica. La chimica è stata unificata alla fisica in epoca recente e non si è trattato di una vera fusione bensì di una revisione radicale della fisica che ha permesso di lasciare sostanzialmente intatta la chimica. Attualmente lo studio del linguaggio e di altre facoltà superiori procede più o meno come la chimica nel passato. Si cerca al più di capire i fenomeni mentre l'eventuale unificazione rimane un fatto non decisivo. È importante ricordare come domande che pure hanno ispirato la ricerca scientifica moderna come quelle attinenti al tema della volontà o della capacità di scelta - temi alla radice del problema mente-corpo - non siano neppure all'ordine del giorno. Il mistero permane esattamente come ai tempi di Newton. In tutti i campi l'uso quotidiano del linguaggio, la grammatica di tutti i giorni, considerata agli albori della ricerca scientifica la più importante illustrazione di questo mistero, resta tuttora tale. Il lavoro che resta da fare per comprendere gli aspetti mentali del linguaggio umano è molto".
ECO. "La filosofia ha sempre studiato la mente. Platone, con la teoria delle idee, non si occupava d'altro e così pure Aristotele, quando cercava di spiegare come conosciamo le cose. La filosofia invece non ha mai studiato il cervello. E per una ragione molto semplice. Per lungo tempo si credette infatti che il pensiero risiedesse nel fegato, nel cuore o in qualche altra parte del corpo. La prima rappresentazione di aree cerebrali è del Millecinquecento o ancora più tarda, diciamo dell'epoca positivista o pre-positivista, quando il frenologo Franz Josef Gali studiava le bozze cerebrali e Hegel si irritava per questo genere di studi. All'inizio del nostro secolo la filosofia ha poi subito una specie di ukase: la mente non va studiata - si disse - perché è qualcosa che non si vede e quindi è simile all'anima. Neppure il cervello va studiato dai filosofi perché è qualcosa su cui si può eventualmente intervenire col bisturi e quindi va lasciato ai medici. Così gran parte della filosofia del nostro secolo, specie la filosofia analitica, non si è più occupata delle ragioni, ad esempio, per cui riconosciamo un cane per un cane e lo chiamiamo "cane". Anzi, aderendo alle sue forme più estreme, vedi la teoria della designazione rigida, noi chiamiamo un cane "cane" e basta.
"La filosofia non si è dunque più posta il problema che affaticava Locke (perché riconosciamo un cane come cane e lo chiamiamo "cane"), diventando teoria verofunzionale del linguaggio, occupandosi cioè delle funzioni di verità delle nostre frasi ma non del perché noi conosciamo le cose. E tuttavia lavorare sul linguaggio come in realtà ha fatto molta filosofia del nostro secolo, tanto che si è parlato di un "linguistic turn", di una svolta linguistica della filosofia, ha prodotto risultati interessanti anche per l'indagine sulla mente e, si badi, persino sul corpo, o almeno sul cervello. Perché bisogna ammettere che il rapporto tra il cervello e la mente è, anche per chi sostiene che la mente non c'è ed esiste solo il cervello, questione scientifica molto seria".
"Noi possiamo lavorare sul cervello perché abbiamo una mente. È lo stesso rapporto che c'è tra le gambe e il camminare.
Le gambe sono un oggetto la cui funzione è il camminare, e si ha un bel dire che il camminare non esiste ed esistono solo le gambe. Camminare, al contrario, esisteva gente cammina. Se cominciamo a pensare il rapporto cervello-mente in questi termini, recuperiamo il punto di vista di un personaggio che sacerdoti e cardinali stanno dimenticando, oppure leggono su testi apocrifi. Questo personaggio si chiama San Tommaso d'Aquino. Tommaso dice una cosa rivoluzionaria, che non viene quasi mai citata. Il problema della conoscenza è trovare l'essenza delle cose, l'essenza del cavallo, del cane, dell'uomo. L'essenza sta nella definizione. La definizione di uomo è: "animale razionale mortale". Che cosa è dunque la definizione? È: genere più differenza specifica. La differenza specifica è l'attributo che possiede solo quella determinata specie, la differenza specifica dell'uomo è la razionalità, cioè l'anima. San Tommaso deve allora chiedersi: dov'è la razionalità? come la vediamo? con quale microscopio - se avesse avuto il microscopio - possiamo esplorarla? Ebbene, la razionalità non la vediamo mai. Ne inferiamo l'esistenza dal comportamento razionale, dal fatto che l'uomo agisce e parla in modo sensato. L'unico modo che abbiamo di osservare la mente è analizzare il linguaggio. Ecco perché la svolta linguistica ha in un certo senso obbligato la filosofia a occuparsi del funzionamento della mente, quasi senza che i filosofi se ne accorgessero. Fino al momento in cui uno dei più grandi linguisti del nostro secolo, Roman Jakobson, maestro di Chomsky, scrive un saggio fondamentale in cui postula due tipi di linguaggio e due tipi di afasia. Jakobson parte da una ipotesi linguistica: noi, per parlare - quindi per manifestare la razionalità, nostra differenza specifica -lavoriamo, da un lato, sull'asse della selezione e, dall'altro, su quello della combinazione. Quanto alla selezione, abbiamo un repertorio, possiamo ad esempio dire "il microfono sta sul tavolo" oppure, con altra scelta, "l'amplificatore di voce è posato sul banco". E come prendere da uno scaffale questa o quella parola e poi combinarle - ecco l'asse della combinazione - in un certo modo: "il microfono sta sul tavolo".
"Grazie ai due assi di linguaggio, possiamo creare le figure retoriche. La metafora è una sostituzione sull'asse della selezione: al posto di "musicista" dico "il cigno di Busseto". La metonimia lavora invece sull'asse della combinazione: il vino sta di solito nel bicchiere e quindi dico all'amico: "andiamo a bere un bicchiere", e tutti capiscono che non vogliamo ingoiare un oggetto ma usiamo il contenente per il contenuto. Jakobson si è accorto che al gioco della metafora e della metonimia corrispondono due forme di afasia: c'è l'afasia sull'asse della selezione, per cui uno afferma che un tale è celibe ma poi non sa dire che "celibe" significa "non sposato"; oppure chiama "coso" una persona o un oggetto di cui non ricorda il nome. I fumetti dei Puffi sono un bell'esempio di afasia poetica sull'asse della selezione. L'afasia sull'asse della combinazione è invece quella che porta a non produrre frasi complete, o agrammatismo. Come si vede, attraverso il comportamento verbale la linguistica scopre fenomeni cerebrali. A un certo punto le scienze del linguaggio e le scienze cognitive (che a loro volta sono scienze della mente se coltivate dagli psicologi o scienze del cervello se coltivate dai neurofisiologi) si incontrano.
"Una volta mi è capitata una mirabile epifania. Sono solito girare per gli scaffali delle librerie americane perché dalla distribuzione dei libri capisco dove andrà a parare la cultura americana. C'è stato un periodo in cui negli stessi scaffali trovavo Marx e Freud (come dire: la stessa cosa, roba europea) e insieme i testi di linguistica e semeiotica. Poi un periodo in cui gli studi di semeiotica convivevano coi "gay and lesbian studies" (come dire: cose di frontiera). Recentemente da Barns & Noble ho visto la semeiotica insieme con Adorno. Fa eccezione uno stanzone di Harvard in cui trovo studi di psicologia, linguistica, semeiotica, intelligenza artificiale, tutti sotto l'unica etichetta di "scienze cognitive". Questa riunione sotto la tematica comune della cognizione ci riporta, se volete, agli albori della filosofia, da Aristotele fino a Kant: un fenomeno interessante che vede uomini di scienza incontrarsi con linguisti e con filosofi.
Se esistono un cervello e una mente, occorre ricordare, a questo punto, le minacce che incombono sull'uno e sull'altra. Non posso parlare delle minacce sul cervello sia per incompetenza professionale sia perché mi trovo sotto l'influsso delle "bufale" che ci ha rifilato in proposito la stampa. Prendiamo la clonazione. I "mass media" ci fanno credere che si prende una cellula di Hitler e si producono diecimila Hitler. Ma non è vero. Al più si fa un bambino con lo stesso programma genetico di Hitler, che potrebbe finire in una famiglia di ebrei israeliani e venir fuori tutto diverso dal dittatore, o al massimo con la vocazione per la pittura. Dal canto suo la pecora Dolly sta già morendo e il problema di un universo di gente donata mi sembra lontano. Lo stesso per la realtà virtuale: ci hanno fatto credere che si potesse andare nella foresta, cacciare il Icone, far l'amore con Marilyn Monroe ma in realtà i relativi cd-rom sono delle "ciofeche". Quindi delle minacce al cervello non mi interesso. Quelle alla mente, invece, sono antichissime perché filosofi ed educatori sono sempre stati consapevoli del fatto che possiamo essere condizionati da una educazione sbagliata, ovvero approssimata per difetto: un difetto di informazione. Oggi con la Rete e l'informatica ci troviamo però di fronte a un attacco uguale e contrario, a una minaccia per eccesso d'informazione. Difetto ed eccesso d'informazione sono le due aggressioni alla mente che oggi ci troviamo di fronte. Sventarle è la battaglia che andrà combattuta nel prossimo Millennio".
BONCINELLI. "Diversamente dal passato oggi siamo finalmente in grado di studiare il cervello, analizzare come si forma, entro certi limiti, come funziona. In un futuro lontano si potrà anche studiare, perché no?, come modificarlo. Queste indagini, queste conoscenze sono basate sull'esperienza. L'esperimento non è sostituibile. Se c"è una lezione che questo secolo ci ha impartito è che le chiacchiere non vanno mai a segno. Quando uno scienziato fa una ipotesi brillante su come funziona per esempio un organo, in genere sbaglia. La verità sta racchiusa in una serie di strutture e meccanismi che con infinita pazienza noi possiamo solo analizzare. Questo però è anche il bello della scienza. Quante cose imprevedibili, e a volte nemmeno digeribili, abbiamo imparato in questo secolo! Chi poteva immaginare che in ciascuna delle nostre cellule ci fosse un lungo nastro materiale che contiene l'informazione per montare e mantenere in vita l'organismo? Chi poteva immaginare che quasi gli stessi geni controllano lo sviluppo di un uomo, di un ranocchio, di una libellula? Nessuno. Chi poteva immaginare che nella retina di una rana ci fossero delle cellule nervose che si eccitano soltanto quando passa un moscone e restano passive qualsiasi altro oggetto si muova davanti a loro? Chi poteva immaginare che nella nostra corteccia visiva ci sono delle cellule che si eccitano solo quando vedono una barretta verticale e altre che si attivano solo di fronte a una barretta orizzontale? Nessuno. Ma l'uomo a poco a poco ha imparato e ha strutturato questo sapere in una dottrina che si può anche insegnare. A poco a poco, direi inesorabilmente, l'uomo si sta avvicinando alla comprensione di quello che è indubbiamente il gioiello dell'evoluzione biologica: la corteccia cerebrale. Non abbiamo capito tutto ma se paragoniamo quanto sappiamo oggi con quello che sapevamo trenta o vent'anni fa vengono i brividi. Ci sono macchine con un nome funesto perché usate in genere quando uno sta male - come quella per la Risonanza magnetica nucleare o per la Tac, che, con l'aggiunta della Pet (per lo studio dei positroni), consentono di guardare dentro il cervello di una persona sveglia mentre compie
un'operazione, pronuncia parole, moltiplica cifre. Ciò è bello per ciò che ci ha insegnato e sconvolgente per quanto ci saprà dire su questioni fondamentali alla mente".
"Personalmente sono interessato al problema della conoscenza, che già Kant espresse in maniera geniale: l'uomo conosce il mondo imprimendogli una serie di scaffalature, di forme a priori che si sovrappongono agli stimoli chimici e fisici provenienti dall'esterno. Quando si sale nella scala si arriva alla realtà mentale precostituita dell'intelligenza, della categorizzazione, dei nomi da dare alle cose. I più giovani di noi assisteranno al trionfo dell'impresa che darà risposta alle domande più interessanti su come conosciamo, in definitiva, su chi siamo. È una scoperta degli ultimi anni che nel cervello esiste un certo numero di cellule nervose rimaste bambine, ovvero ancora a disposizione.
Gli scienziati le chiamano cellule staminali, modo complicato per dire che possono ancora moltiplicarsi e venire persuase, all’occorrenza, a differenziarsi in cellule adulte. Perché esistono? C'è chi sostiene che sono lì per rimpiazzare certe cellule del bulbo olfattivo del cervello che si consumano. Noi umani moderni non diamo grande importanza all'odorato e all'olfatto ma per gli antenati si trattava di un senso fondamentale, come dimostrano appunto le cellule pronte al rimpiazzo.
I neuroscienziati le hanno scoperte, le hanno addirittura coltivate e hanno aperto una strada interessante: la possibilità di rifare, per così dire, pezzi di cervello. Naturalmente i pezzi rifatti non nascono "imparati".
"Si tratta di puro materiale edilizio che va rieducato, riconnesso, infarcito delle informazioni che una cellula priva di esperienza, cioè di una biografia, non può avere. Ma ho voluto citare questa novità per le prospettive che apre. Mentre siamo qui riuniti, in qualche laboratorio del mondo sta sicuramente accadendo qualcosa di imprevedibile. Quello che è prevedibile o meglio auspicabile è l'espansione massima delle conoscenze e il loro uso per il bene e non per il male. Personalmente sono un ottimista, sono portato a vedere più le prospettive che i pericoli, e finora non mi sono sbagliato".
GALIMBERTI. "Mente e cervello: la prima osservazione riguarda il nesso tra queste due figure e la seconda la leggera preoccupazione che lavorando sul cervello si tocchino, per l'appunto, zone nevralgiche. Finché la scienza indagava il mondo, tutti erano con lei plaudendo al progresso. Quando la scienza ha cessato di essere fisica per diventare biologia e quindi ha cominciato a studiare non il mondo esterno ma il mondo quasi interno dell'uomo, allora sono sorte preoccupazioni. Per quanto riguarda il rapporto tra mente e cervello mi pare che Chomsky abbia detto in sostanza tutto. Prima di lui Edmund Husserl aveva messo in guardia sugli errori seducenti in cui sono caduti Cartesio e i suoi successori. Cartesio ha fatto un'operazione geniale che imitiamo. Non potendo noi avanzare scientificamente se non nell'ordine della quantità, del numero, dell'estensione dobbiamo ridurre il corpo a organismo, a sommatoria di organi. Dobbiamo cioè rivoluzionare l'idea di corpo e assumere il corpo come una cosa: un corpo-cosa. Solo come cosa il corpo è sperimentabile, indagabile, curabile. La scienza nasce attraverso la riduzione del corpo a organismo, nonostante la regina di Svezia avvertisse Cartesio dicendogli: guarda, io del corpo ho una nozione diversa da quella che stai descrivendo oggettivamente e organicisticamente. Il corpo del mondo e della vita sparisce dallo scenario scientifico, tant'è che di fronte a episodi morbosi senza riscontro organico, non disponendo la medicina di sapere che non sia organistico, nasce quella scienza che oggi conosciamo come psichiatria, ovvero la scienza che studia il "morbus sine materia".
"Ci sono soggetti che mostrano comportamenti anomali e analizzando il corpo come ci ha insegnato Cartesio, cioè vedendolo solo sotto il profilo della quantità, accade che non si riscontri nulla: e senza riscontro anatomico che cosa possiamo dire della malattia? Niente. Nasce dunque questa scienza stranissima che è la psichiatria, e nasce la psicologia, che è in un certo senso il frutto dello stesso errore metodologico".
"Ridotto il corpo a organismo, per tutte le risposte che l'organismo non sa dare quando viene interpellato come corpo vivente è necessario costruire uno scenario alternativo, più spirituale, che chiamiamo psiche. Forse della psicologia potremmo fare a meno se tornassimo dal corpo scientifico al corpo vivente, come il buon Husserl segnalava a proposito dell'errore di Cartesio, invitandoci a superare il dualismo che ha percorso un po' tutta la storia della filosofia dell'Occidente. Errore che non è cominciato con Cartesio ma con Platone, e che oggi le neuroscienze, con le loro splendide parole "mind and brain", non fanno altro che riprodurre in modo più raffinato. L'errore di Cartesio si è rivelato fruttuoso in quanto ha consentito alla medicina di diventare se stessa e si è mostrato disastroso per la comprensione dei corpi umani. Quando ti ricoverano in ospedale e ti lamenti perché i medici non ti guardano ma guardano soltanto i tuoi guai, ti stai lamentando in realtà dell'errore di Cartesio, che però è anche quello che ti salva la vita".
"Tornando alle preoccupazioni per l'invasività delle neuroscienze, la divaricazione grave che vedo è la seguente: la scienza non ha sguardo puro, non guarda il mondo per contemplarlo bensì per trasformarlo; l'intenzione manipolatrice è nello stesso atto di nascita dello sguardo scientifico. E la tecnica, lungi dall'essere il momento applicativo della scienza, è in realtà ciò che condiziona la qualità dello sguardo scientifico, è l'anima prima della scienza e non la sua conseguenza. Bene, gli scienziati seguono un'etica che potremmo sinteticamente così definire: si deve fare tutto ciò che si può fare, si deve scoprire tutto ciò che si può scoprire. Questa è l'etica della scienza, indipendente da qualsiasi scopo. Perché scienza e tecnica non hanno finalità, hanno solo metodi e procedure. Quelli che chiamiamo fini scientifici non sono altro che gli effetti di quelle procedure".
"Tra le scoperte degli scienziati capita che ce ne siano di quelle per le quali le attrezzature etiche esistenti sono insufficienti. Allora nascono i comitati bioetici, che andrebbero probabilmente aboliti subito. Primo, perché non riesco a capire come possa un biologo dialogare con un filosofo morale intendendosi sul linguaggio; secondo, perché non vedo a quale etica si fa riferimento: se cristiana, che misura, sì, le buone intenzioni ma non si fa carico degli effetti; se laica, diciamo kantiana, che rivolge attenzione all'uomo ma lascia in secondo piano la natura, sulla quale invece scienza e tecnica incidono potentemente; se weberiana o della responsabilità. Max Weber dice che noi siamo responsabili anche degli effetti delle nostre azioni, ma a una condizione: che gli effetti siano prevedibili, l'imprevedibile è lo specifico dell'accadere tecnico. In conclusione non disponiamo ancora di un'etica all'altezza della scienza e gli scienziati si comportano secondo quella loro etica del fare indipendente dagli esiti e dalla responsabilità di ciò che accade. Un'etica che male si concilia con la capacità nostra di metabolizzare le loro scoperte e inserirle in questo mondo umano. Il problema mi sembra abbastanza serio".
* Per gentile concessione di "La Repubblica".