A che punto siamo nella ricerca sulle esperienze pre-morte (EPM)?

Post date: 2-apr-2012 19.14.14

di: Piero Cassoli

Da circa diversi decenni e venuta all'osservazione degli studiosi una fenomeno­logia, che probabilmente preesisteva già ai primordi dell'umanità, ma cui si era dato scarso rilievo: tra le persone che entrano in grave pericolo di vita, alcune sperimentano una serie di esperienze, che chiameremo "vissuti", quindi sogget­tive, simili fra loro nonostante la estrema diversità dei soggetti. Il pericolo in cui versano è così grave che spesso viene interpretato come "morte apparente" per la sospensione temporanea dei segni vitali: attività cardiaca, respiratoria, perdita della coscienza e dei riflessi.

Questi fenomeni hanno indotto a pensare - troppo spesso incautamente -che il soggetto fosse morto, che avesse poi avuto un contatto con l'ai di là e fosse ritornato a riferire la sua meravigliosa esperienza. Le illazioni, poi, si sono estese e si è interpretato il rientro come se qualcuno dall'ai di là l'avesse rimandato indietro o perché "non era la sua ora" o perché un eventuale "mes­saggero" della morte avesse "sbagliato" data.

Lo scarso rilievo che fino a qualche anno fa è stato dato a questo fenomeno si può probabilmente attribuire al terrore della morte, al tentativo di rimuoverne l'idea, anzi di esorcizzarla.

Ricordo ancora quando negli ospedali, 40-50 anni fa - ma succede ancora anche nelle grandi città - il moribondo era isolato, abbandonato dietro ad uno squallido paravento bianco.

È forse per questa Tanatofobia" che, nei centomila testi di saggistica pubbli­cati dal 1962 al 1982, solo lo 0,2% affronta il problema della morte.

Arriveremo al giorno in cui potremo morire in casa, nel nostro letto, circon­dati dall'affetto e dalla sollecita comprensione dei nostri cari?

La morte: un fatto incontestabile, unico.

Si può dubitare di tutto, fuorché della Morte. E' un concetto che a qualcuno potrà sembrare ovvio, ma che colpisce.

L'ho tratto, come gran parte delle cose che andrò scrivendo, da un libro molto importante: "EPM: Esperienze di premorte" del prof. Aureliano Pacciolla, psicologo clinico e teologo, (Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1995). Una nota sempre interessante: i proventi di questo libro vengono devolu­ti in beneficenza.

L'A. si è ripromesso di mettere un po' di ordine nel vasto materiale, troppo spesso aneddotico, che è stato pubblicato dal 1970 in poi.

Prima di tutto una definizione: "Per EPM- scrive l'Autore - si intende il vis­suto di coloro che hanno esperimentato la soglia di quei processi, ordinariamen­te irreversibili, che spesso precedono la morte clinica."

Le cause possono essere le più varie: traumatiche, infettive, degenerative, tentati suicidi.

I "vissuti" che sono stati riferiti sono i seguenti:

1) Una sensazione di benessere e di pace.

2) Essere dentro, o muoversi velocemente entro un tunnel.

3) Una percezione di luce e/o di paesaggi luminosi, accompagnata da senso di gioia.

4) Visione panoramica della propria vita.

5) Una esperienza extracorporea (nota anche come OBE = out ofthe body experience).

6) Incontro con uno o più congiunti, o persone, defunti (soccorritori spiri­tuali, come li chiama Moody).

7) Visioni precognitive.

8) Desiderio di non rientrare nel proprio corpo o di riprendere la vita.

9) Una sensazione che ci sia una linea di frontiera invalicabile.

10) Un cambiamento, spesso drammatico di personalità, con un senso di conoscenza totale e unificatrice, un intensa spiritualità, un rapporto sereno con la morte, amore verso il prossimo.

11) Fenomeni olfattivi paranormali.

12) Capacità terapeutiche.

Ognuna di queste voci viene prima o poi trattata nel libro di Pacciolla, che presenta inoltre una caratteristica di cui non dovremo mai essere grati abbastan­za all'Autore: ogni riferimento bibliografico è facilmente riscontrabile a pie di pagina, spesso con apporti ulteriori al testo, con riferimento spesso alle pagine del testo citato. Per documentarsi non c'è bisogno di andare alle pagine finali, tenendo impegnate più dita o più segnalibri.

* * *

Per quanto la storia sia ricca di episodi di EPM, il primo riferito da testimo­ni attendibili fu quello di William Barrett, docente di Fisica a Dublino, uno dei "Padri " della Società per la Ricerca Psichica. Siamo nel 1926. La moglie di Barrett, specialista in Chinirgia Ostetrica, gli racconta che una certa signora Doris, dopo un parto difficile, stava per morire, quando, improvvisamente, si era come illuminata e aveva detto di vedere degli esseri meravigliosi in una gran luce. Poi disse che vedeva il Papa e vicino a lui la sorella Vida. Questa era morta tre settimane prima e la cosa le era stata tenuta nascosta per la sua cagio­nevole salute. Qualcuno dei presenti le disse che sarebbe dovuta rimanere per il bambino, ma lei rispose che non poteva: "se vedeste quello che vedo io, capire­ste che non posso rimanere".

Nel 1937 un docente di Anatomia, Cleddes, comunica alla Royal Medicai Society di Edimburgo che un suo amico - ma poi dirà che si trattava di lui stes­so - aveva vissuto una strana esperienza mentre era gravemente intossicato per un infezione enterica.

"... Mi accorsi che la mia consapevolezza si staccava dalla mia coscienza ... ero come in una nuvola ... potevo fissare una persona per conoscerne i suoi pen­sieri ... potevo essere in qualunque parte del mondo e mi irritai quando mi por­tarono in vita".

Ma prima di avere una attendibile analisi clinica effettuata da esperti, dob­biamo arrivare al 1952, quando due psichiatri, F. Victor Frankl (ideatore della Logoterapia e della Analisi esistenziale) e O. Pòtzel riferiscono di due casi di persone che, cadendo da notevole altezza, rividero come in un film l'uno il decorso della propria vita e l'altro quello della propria figlia, che credeva di dovere abbandonare per sempre.

Negli anni seguenti sono diversi i ricercatori, quasi tutti medici, che avanza­no varie interpretazioni per spiegare questa fenomenologia, ma bisogna giunge­re al 1970 perché l'attenzione del pubblico e dei media si focalizzi su questa ricerca: una dottoressa americana, Elisabeth Kubler Ross, riferisce di centinaia di soggetti che in stato preagonico e agonico hanno vissuto alcune o molte di quelle fasi che abbiamo elencato poco fa.

Nel 1975 uno psichiatra, D. Rosaen di un Istituto Neuropsichiatrico in San Francisco (CA), effettua uno studio su una particolare classe di pazienti: i sopravvissuti al tentato suicidio per precipitazione dal famoso Golden Gate Bridge. Possiamo anticipare da questa e da altre ricerche posteriori, che questo tipo di soggetti vive raramente sensazioni di luce e di pace, ma in seguito muta spesso radicalmente il proprio atteggiamento verso la vita e verso la morte, e

anche verso la religione e la vita spirituale. Sembra anche che raramente ritenti­no il suicidio.

Nel 1975 siamo in pieno boom. Un libro di un medico americano, Raymond Moody (Vita dopo la vita), offre alla attenzione mondiale una casistica di ben 150 casi raccolti in 11 anni di ricerca. Si tratta a) di persone che ritenute morte sono "tornate a vivere", b) di persone molto vicine alla morte per gravi incidenti che si sono ristabilite e infine e) di agonizzanti che prima di morire (come nel caso della signora Davis di William Barrett) hanno riferito dei loro vissuti. Il libro non ha pretese di scientificità, ma diventa un best seller. Moody elenca ben 15 caratteristiche presenti nei suoi casi e afferma che più uno è vicino alla morte, più numerosi sono i vissuti.

Cominciano studi che tentano una sistematizzazione della EPM e ne propon­gono varie interpretazioni: su queste ci fermeremo in seguito.

Uno dei vissuti su cui si soffermano spesso gli studiosi è la visione panora­mica della propria vita. Gli psichiatri R. Noyes e R. Kletti, pubblicano nel 76 e nel '77 ben 215 casi. Esaminano varie interpretazioni, ma ammettono che non tutti i vissuti dell'EPM sono spiegabili e che certamente non c'è un'unica teoria che possa spiegare tutta la fenomenologia.

Nel 1977 c'è un altro best seller di Moody, "Alcune riflessioni sulla vita oltre la morte "(1978, in Italia) con una sempre maggiore fecalizzazione sui contenu­ti mistici e spirituali delle esperienze.

Sempre nel 1977 due famosi parapsicologi, K. Osis e E. Haraldsson, que­st'ultimo professore di Parapsicologia all'Università di Reykjavik pubblicano un libro "At thè hour of thè Deat" che porta nuovi contributi alla ricerca: il primo afferma che i dati sperimentali sono sufficienti per dire che l'alcool, i farmaci, le droghe leggere e pesanti non producono fenomeni simili all'EPM (dato che vedremo molto controverso, almeno per alcuni vissuti). Il secondo contributo, che colpisce tutti profondamente, è il fatto che la loro ricerca è indirizzata sia a casi statunitensi che indiani. La correlazione interculturale ha dimostrato - con qualche perplessità nostra sulla correttezza della metodologia - che la variabile religiosa non influiva gran che sui contenuti delle EPM. Variano solo le figure religiose che compaiono nei vari vissuti: Gesù e gli Angeli negli occidentali, Yama - Ray (Dio della Morte) e i suoi messaggeri negli orientali.

Per quanto si sia dato poco valore a questa differenza a me personalmente appare piuttosto "conturbante".

Nel 1977 assieme a questa casistica che tende ad evidenziare anche se non chiaramente espresso, il fenomeno in loto come contributo ad una visione spiri­tuale della vita e come una iniziale dimostrazione di un distacco di "qualcosa" al momento della morte, assieme a questa casistica, dicevo, appare uno studio del famoso dr. S. Grof (uno dei luminari nel campo degli allucinogeni) unita­mente a J. Halifax, che a seguito della loro esperienza con l'LSD in pazienti ter­minali affetti da cancro, avanzano l'ipotesi che la EPM sia una riattivazione dei ricordi del processo di nascita.

In effetti la LSD riattiva molti ricordi supposti perinatali e da una soggettiva certezza di avere raggiunto una profonda intuizione sulla natura della morte e del morire.

Dagli anni '80 in poi scrive il prof. Pacciolla, è molto difficile seguire tutto ciò che viene pubblicato sull'EPM. Aggiungo io, sommessamente: "fra tanta spazzatura...".

Spicca, nel 1980, la relazione di un neuropsichiatra, E.A. Rodin che sul Journal of Nervous and Mental of Disease riferisce una esperienza personale: durante un intervento chirurgico ha un EPM che qualifica come "una esperienza unica". E dice: "E' stato uno dei momenti più intensi e felici della mia vita, rimasto immutato per un quarto di secolo. Non ho dubbi che le esperienze pub­blicate siano reali e che abbiano un profondo influsso, sul significato che si da alla vita e alla morte ...". Mi ha turbato quando ho letto che, nonostante questa esperienza, il Rodin resta convinto che si tratta di una "psicosi tossica".

L'articolo di Rodin ebbe una vasta eco negli ambienti scientifici. Moody, Sabom, Schnaper, J. Stevenson, Kenneth Ring, docenti di psicologia all'univer­sità del Connecticut, intervengono con interpretazioni, statistiche, controlli che il lettore può leggere nel libro del Pacciolla, ma che complessivamente lasciano una impressione molto forte sulla realtà del fenomeno, sulla sua frequenza -anche se varia da un Autore all'altro - sul fatto che molte variabili esaminate non sembrano influire sul fenomeno: l'età, la cultura, il lavoro, il luogo di resi­denza, la religione di appartenenza, il tipo di crisi vitale che ha colpito l'organi­smo, la privazione sensoriale, etc.

Greyson e Stevenson concordano che nulla può spiegare o riprodurre la globalità del fenomeno. I lettori potranno leggere, di questo periodo, le ricerche e le osservazioni del cardiologo M. Sabom in un libro tradotto in Italiano: "Dai confini della vita: un'indagine scientifica" (Longanesi, 1983).

E arriviamo al 1983 anno in cui si viene a sapere che anche in Malesia sono stati raccolti casi di EPM e OBE. La data comunque è storica, perché George Gallup Jr. fonda la Gallup Poli Organisation e con un sondaggio su scala nazio­nale in USA, constata che ben 8 milioni di americani hanno vissuto una EPM. Il dato mi lascia molto perplesso sulla possibile grossa discrepanza che ci può essere fra una vera EPM e una presunta. Il caso personale che riferirò in appen­dice può essere paradigmatico di questa probabile confusione di idee.

Storico è il 1983 anche perché - e viene proprio a proposito, tenendo pre­sente quello che scrivevo poco fa - lo psichiatra B. Greyson elabora una NDES (New Death Experience Scale = un questionario per valutare le esperienze di premorte) che molti ritengono sia "uno dei mezzi tecnicamente più appropriati per un approccio scientifico al problema". Greyson, con Stevenson ( lo psichia­tra che ha studiato così a fondo anche casi di cosiddetta reincarnazione) aveva già dato un grosso contributo alla EPM nel 1980.

Sono d'accordo con l'autore che ritiene la Scala insufficiente. Oltre a ciò che propone il prof. Pacciolla, come già fecero Noyes e Kletti, porrei ai soggetti, come prima domanda, quella sulla consapevolezza di essere stati o meno in punto di morte. Poi in calce al questionario porrei ben evidente una domanda sulla diagnosi che è stata effettuata dai medici relativa anche alla gravita. Inoltre avrei da chiedere agli esperti se non ritengono necessaria, perché si possa ammettere allo studio un certo caso (la famosa "prova di ammissibilità" che sì adotta per i trial clinici), che ci debba essere una perdita di coscienza. Non sono convinto che un caso come quello di Heim (1871) che cadde da venti metri rimanendo cosciente e vivendo una visione panoramica della propria vita, lo metterei nella casistica.

Comunque credo che si debba concordare che se oggi uno studioso effettua una ricerca su questo argomento, con intendimenti scientifici e non consolatori o, peggio, di cassetta, non può non usare questo questionario.

Dal 1985 all'88 ed oltre si afferma una certa tendenza ad affrontare lo studio dei cambiamenti che l'individuo subisce dopo una EPM e le capacità paranormali che si manifestano. Moody ancora una volta da il suo entusiastico contri­buto con "La luce oltre la vita" e afferma: "in vent'anni di intensi rapporti con questi soggetti, non ne ho trovato uno che, in seguito ad una EPM, non abbia avuto una trasformazione profonda e positiva".

Siamo ormai agli anni '90. E' attorno a questi anni che in Italia compaiono le prime pubblicazioni di una certa importanza. Paola Giovetti è la studiosa che maggiormente ha divulgato la conoscenza dell'EPM ("Qualcuno è tornato", 1990). A. Pacciolla e A. Sodare hanno cominciato a interessarsi di EPM fin dagli anni '80. E. Liverziani e E. Tiberi hanno pure contribuito a questi studi. Sono state discusse anche alcune tesi di Laurea presso Cattedre Italiane.

Ma è stato notevolissimo lo sviluppo internazionale di questa ricerca. Fin dal 1977 si è costituita una Associazione, la IANDS (International Assoclation far Near - Death Studies) che ha sede in Londra (P.O. Box 193, London SW1X9IZ). Nel testo di Pacciolla c'è un lungo elenco delle nazioni che hanno fondato Associazioni, allestito Corsi, indetto Congressi. Nel Nord Europa, dopo un primo Congresso, che si è tenuto in Svezia, è stato tale l'interesse che si è costituita una Associazione delle Nazioni Nordiche: IANDS - NORDEN. Lo stesso Pacciolla ha contribuito con una ricerca che si è svolta fra il Maggio e il Febbraio 1990. I risultati sono stati anche oggetto di una tesi di Laurea all'Università di Padova. E' stata applicata la scala di Greyson. L'indagine ha coinvolto 157 soggetti, 89 maschi e 68 femmine, che negli ultimi anni sono stati ricoverati nel reparto di Rianimazione dell'Ospedale di Savigliano. Nel lasso di tempo contemplato 32 erano deceduti. Dei restanti, ben 64 persone hanno risposto alla indagine epistolare: una cosa straordinaria se si pensa che indagini di questo tipo - cioè epistolari - hanno una media del 20 - 30% di risposte. Anche questo dato dimostra il coinvolgimento di queste persone. Dei 64 che hanno risposto 24 hanno ottenuto un punteggio alla Scala Greyson supe­riore a 7: segno questo che i 24 pazienti hanno avuto con grande probabilità una EPM. Le malattie che avevano provocato il ricovero erano tutte gravissime.

Riferendoci sempre al Test di Greyson, le voci (o item), le voci che hanno dato i risultati più interessanti sono quelle che riguardavano la percezione di una luce brillante e la sensazione di essere arrivati a un "limite", a una barriera al di là della quale non era permesso andare. Le voci riguardanti il paranormale hanno conseguito un modesto risultato, mentre importanti sono i risultati che riguardano la sfera trascendentale: la sensazione di entrare in un mondo ultra­terreno.

L'Autore giustamente solleva qualche dubbio sul valore del test applicato e si chiedeva se vi sono compresi tutti i vissuti che abbiamo individuato nell'EPM. Sono pienamente d'accordo con lui.

Da parte mia credo che la mancanza nel test di voci che chiedano al soggetto quali cambiamenti ha portato quell'esperienza nella sua vita, nel suo modo di pensare riguardo al problema della morte, sia una incomprensibile omissione. Anche se c'è una diciassettesima voce "libera" per eventuali osservazioni perso­nali. Non basta. Cosa si ricava da questo ottimo studio del prof. Pacciolla? Questi vissuti sono indipendenti da sesso, età, razza, cultura, stato sociale. Anche i bambini possono avere una EPM e nel libro sono riferite alcune ricer­che in tal senso.

Afferma l'Autore: "La attendibilità e la genuinità della EPM non potrà costi­tuire un dimostrazione dell'ai di là, né dell'esistenza dell'anima, né della immor­talità, né della reincarnazione (un capitolo del libro è riservato a questo pre­gnante argomento). Ciò che è oggetto di fede non può essere dimostrato scienti­ficamente".

La mia posizione è al quanto più "soft" e si avvicina a quella del mio scom­parso Maestro, Emilio Servadio. Egli diceva che questi fenomeni come tanti altri paranormali sono "frecce indicative" poste sul nostro cammino: ad ogni uno di noi la scelta dell'uso e della interpretazione.

Per finire cercherò di mettere a fuoco, sinteticamente, le interpretazioni che sono state avanzate: Pacciolla ne elenca 13. Di queste alcune sono difficilmente accettabili, altre proponibili. Per esempio che il vissuto del tunnel e la sensazio­ne di benessere siano riconducibili al trauma della nascita, quando non siamo neppure sicuri se il neonato abbia le strutture necessarie per fissare simili ricor­di, mi sembra difficilmente sostenibile. Glenn Roberts e John Owen, psichiatri, sul "British Journal of Psychiatry", distinguono tre tipi di teorie interpretative. Organiche, psicologiche e spirituali. Mi sembra un buon inizio. Come al solito in questi casi aggiungerei una quarta categoria: parapsicologiche.

Scrive l'Autore: "La Scala di Greyson è clinicamente utile per poter diffe­renziare inequivocabilmente una EPM da qualunque sindrome organica cere­brale ... i veri collaudi che ha avuto confermano ... l'alta attendibilità scientifi­ca". Se il valore sopra il quale "con molta probabilità" si è dinanzi a una EPM è 7, personalmente dubito molto che si possa con quel valore escludere una sin­drome organica.

Una sindrome organica sarebbe alla base delle teorie che invocano una sca­rica abnorme di neuroni nel corpo limbico a seguito di un forte stress. Durante una anossia agonica vi possono essere segni di una attività epilettica (senza "scosse") nell'ippocampo, aumento di benessere, diminuzione del giudizio criti­co, allucinazioni, senza contare che "la visione panoramica della vita" fa pensa­re alla scoperta di W. Penfield e P. Perot che osservarono che la stimolazione elettrica di certi punti del lobo temporale richiamavano alla memoria immagini di esperienze dimenticate.

Credo che difficilmente un esperto di EPM accetterebbe queste interpreta­zioni che possono solo spiegare alcune manifestazioni: e direi la minor parte.

E veniamo alle molte più consistenti ipotesi psicologiche. Già Oskar Pfister nel 1930 - era un amico e seguace di Freud - aveva interpretato la EPM come un meccanismo di difesa contro la minaccia di morte. In tal modo l'individuo compensa una realtà spiacevole con fantasie piacevoli. Quando l'individuo si rende conto della inutilità della sua lotta all'ansia, cede il posto a una impotenza tranquilla nella quale il soggetto ha la sensazione di essere uno "spettatore pas­sivo". Qualcuno ha chiamato questo stato "depersonalizzazione", ma il termine è stato usato in questo contesto in modo ambiguo e ben osserva il Pacciolla che in questo campo, tra l'altro, necessita anche una chiarificazione di termini. Aggiungo io: che non ci si può aspettare da tanti "amatori" che, speriamo sem­pre in buona fede, si sono gettati sull'argomento.

Fra le teorie psicologiche è particolarmente gradita all'Autore quella che si appella agli archetipi di Jung. La EPM potrebbe essere allora interpretata come un viaggio della coscienza verso una condizione di luminosità, di maggiore consapevolezza, in altre parole come un apporto al processo di individuazione del soggetto.

M. Grosso nel 1984 aggiunge: "Possono essere degli "spiragli" (le "frecce indicative" di Servadio?), cosi come avviene per i sogni, le favole, i miti, i sim­boli attraverso i quali si può intravvedere una realtà che trascende il singolo individuo".

Personalmente non vedo come possa inquadrarsi in questa teoria la compo­nente paranormale OBE con conoscenza di realtà sconosciute al paziente, (realtà anche contemporanee) e vedo mal inserita anche la evoluzione post -EPM. Per quanto qualcuno potrebbe dirmi che è proprio tale evoluzione una conseguenza della raggiunta realizzazione del processo di individuazione di un soggetto.

L'Autore presenta 13 ipotesi interpretative "cliniche" e non ho nulla da ecce­pire. Però, seguendo altri Autori, penso che sia giusto avanzare un'ulteriore ipo­tesi. Il paziente, entrato in un profondo stato di coscienza alterata, vive dappri­ma sensazioni di benessere, di luce, di gioia, ed entra in contatto con una realtà "altra" che mette in movimento le sue facoltà paranormali: ricordiamo che una percentuale dei soggetti in esame dichiarano di avere avuto esperienze diverse, mistiche e paranormali, anche in precedenza.

E' interessante fare una panoramica degli Autori che hanno rilevato espe­rienze extracorporee.

Nel 1980 Greyson e Stevenson rilevarono che il 75% del loro campione aveva avuto una OBE:

Ring nel 1980 riscontrò che nel suo campione il 37% dei casi sperimentava la separazione dal proprio corpo fisico con la possibilità di osservare ciò che avveniva nelle vicinanze, fra cui anche cose o avvenimenti che non sarebbero stati visibili se l'osservazione fosse partita dal corpo fisico stesso.

Nel 1981 Gobbard pubblica su "The Journal of Nervous and mental Disease" una relazione su due inchieste che hanno coinvolto 1500 persone. Di queste 339 hanno dichiarato di avere avuto un'OBE e 33 una, EPM. L'Autore osserva: "La confusione di questa ricerca è che l'EPM ha caratteristiche analo­ghe ad altre esperienze, ma è unica soprattutto dal punto di vista della separa­zione della mente dal corpo, che sembra essere il fattore chiave che più di ogni altro influenza il cambiamento di credenze".

Nel 1982 è la volta del cardiologo Sabom. Si dice "tirato per i capelli" ad interessarsi dell'argomento spinto da una sua collega dell'Università Emory di Atlanta. Inizia con il solito scetticismo. Ma sui 1090 pazienti che hanno avuto una crisi quasi fatale con perdita di coscienza (dato per me molto importante) il 30% ha avuto una OBE.

Nel 1983 George Gallup Jr. trova che tra i suoi soggetti il 28% ha una OBE.

Nel 1983 Greyson applica la sua Scala o questionario a 89 casi: il 35% riporta un OBE.

Nel 1988 Moody riporta sul suo "La vita oltre la vita" una tabella di con­fronto fra i vissuti riscontrati fra K. Ring e P. Freidmann all'Università di Northridge in California: Ring riscontra il 35% di OBE e Freidmann il 66%.

Nel 1989 un parapsicologo molto noto, ma di affidabilità scientifica incerta, Scoti Rogo, asserisce che per lui due sono le caratteristiche fondamentali per­ché si possa sostenere che un vissuto è una EPM: essere realmente vicini alla morte fisica e percepirsi fuori dal corpo.

Nel 1990 Paola Giovetti riferisce di aver trovato nel suo campionario 10 casi di OBE.

Nel 1990 Owens, Cook e Stevenson su "The Lancet" pubblicano una ricerca su 58 casi: il 68% riferisce una OBE.

È interessante che anche nella ricerca del prof. Pacciolla i 14 soggetti che nella Scala di Greyson hanno raggiunto valori più alti (oltre 10) hanno mag­giormente evidenziato la voce che si riferisce alla "separazione dal corpo".

La mia conclusione quindi è che delle quattro classi di interpretazioni -organiche, psicologiche, trascendentali o spirituali, parapsicologiche - quest'ul­tima soddisfa di più il mio interesse e la mia curiosità, pur comprendendo che quella preferita dall'Autore è ragionevole e valida e sempre ammettendo un po' a malincuore che "tutti gli studiosi concordano che la ricerca sull'EPM non dovrà né potrà mai servire a dare una risposta definitiva o scientifica su un pro­blema metafisico la cui soluzione spetta alla propria fede religiosa" .. anche se poi lo stesso Autore scrive: "Al di là di tutto, l'approfondimento della EPM può rassicurare e confortare tutti. Le EPM ci pongono di fronte a domande uniche alle quali si può rispondere in modo personale ma non rispondere che è una fuga dalla realtà". D'accordo.

Questo libro, fondamentale in Italia sull'argomento, contiene altri interessan­ti capitoli sulla Tanatologia, la Reincarnazione, sui rapporti con la Ufologia e uno straordinario esame statistico (solo per iniziati!) del prof. J.P.Benzècri e del prof. M Miravalle, docenti di statistica.

APPENDICE

Mentre leggevo e studiavo la Scala di Greyson non ho potuto non ricordare una mia esperienza vissuta a 18 anni, che mai ho dimenticato, che spesso rac­conto e che ho sempre giudicato “importante” per me. Ma che non avevo mai ricollegato alla NOE come siamo usi noi chiamare la EPM.

A causa di un incidente ciclistico - mi era rimasta la punta dell'indice della mano destra fra la catena e la moltiplica della bicicletta - ero stato ricoverato e operato d'urgenza. Allora l'anestesia era a base di etere. Devo premettere che in quegli anni studiavo ed ero intimo amico di un coetaneo che faceva delle profonde indagini, fra il filosofico e lo psicoanalitico, sulla vita e relativi pro­blemi. Io lo seguivo con interesse e cominciavo a pormi quei problemi che forse mi hanno poi condotto a scegliere Medicina e poi Parapsicologia. E che, seguendo il pensiero di Victor Frankl, direi che hanno dato "un significato" alla mia vita. Come mi svegliai dall'anestesia ripetevo: Lorenzo ho capito tutto! Di anni ne sono passati tanti, ma le immagini di quello allora giudicato come un "sogno", sono rimaste impresse chiaramente nel mio ricordo. Mi trovavo dentro un immenso imbuto, una specie di cono rovesciato e lo discendevo (o lo risali­vo?) percorrendolo circolarmente come se fosse stata una scala a chiocciola, ma senza gradini ... forse scivolavo, volavo. E mentre le percorrevo, ogni due o tre giri vedevo delle facce amiche e affettuose che dicevano "ecco, ora si sveglia e ci vede ... ecco, ora rientra". L'atmosfera era amica e quasi gioiosa e io sapevo che il mio uscire e rientrare era riferito a vite precedenti. Cioè mentre percorre­vo un determinato giro, mi trovavo in uno stato particolare per cui vedevo e "capivo"; quando percorrevo il giro, o i giri seguenti, "rientravo" (nella vita eterna'?) e la conoscenza finiva.

Credo, ma non ne sono sicuro, di non aver mai sentito parlare fino a quel momento di reincarnazione.

Ho preso in considerazione questo mio sogno studiando la Scala di Greyson. Non ci avevo mai pensato prima nonostante i numerosi, numerosissimi libri e articoli letti sull'argomento. E secondo i valori di questa Scala, il risultato otte­nuto è per lo meno 10: una quasi sicurezza di una EPM. Ma per me non lo è certamente. Non saprei concepire una EPM senza rischio di morte. Credo che dovremo ripensare i "limiti e oggetto" delle cosiddette Esperienze pre-mortali. Comunque grazie al prof. Pacciolla per aver ricondotto in Italia questo studio entro un alveo di correttezza e dignità scientifica.

Nota redazionale

La domanda che un filosofo della mente può porsi è quale relazione esiste fra il fenomeno descritto da Piero Cassoli (EPM) e quell'area, finora astratta e metaforica, che rappresenta il nucleo profondo della nostra soggettività. Fino ad oggi abbiamo cam­minato su strade separate: da una parte le cosiddette visionarietà delle droghe, ma anche gli esperimenti con LSD sui malati terminali con vissuti singolari ed esistenziali, le visioni dei morenti, quelle mistiche, ma anche certi sogni creativi; dall'altra i contenuti e le teorie su cui si fonda la metafisica scientifica. C'è un nesso fra i due processi? Noi riteniamo di si. Noi pensiamo che dall'osservazione di questi e numerosi altri approcci scientifici, la filosofia della mente possa trarre motivazioni e giustificazioni per una impostazione dualistica e metafisica, con alto grado di probabilità che la mente umana non è tutta un epifenomeno dei neuroni e che il nostro dovere è quello di entrare nel mistero senza sfuggirlo come se fosse la peste.

* P. Cassoli, medico, è Presidente del CSP di Bologna e autore di centinaia di pub­blicazioni e ricerche sugli stati borderline di coscienza.