Ayahuasca: La medicina dell'anima

Post date: 25-ott-2011 22.09.23

Antropologia di frontiera

Di:

Bruno Severi*

Viaggio ed esperienze tra gli sciamani Shipibo-Conibo del Perù

I pensieri muoiono nel momento in cui

si materializzano in parole

(A. Schopenhauer).

Introduzione

Questo articolo rappresenta la continuazione del precedente lavoro del Dr. Antonio Bianchi. Per tale ragione non mi soffermo su quegli argomenti che sono già stati trattati e cioè l'illustrazione delle singola­ri proprietà di una droga allucinogena, l'ayahuasca, derivata da una liana diffusa in tutta la foresta amazzonica. Ascoltando una conferen­za sul medesimo tema, che Bianchi tenne a Bologna nel maggio del '94, l'aspetto che mi era parso più rilevante è che Yayahuasca viene estratta da una pianta considerata una "pianta-maestro". Dietro questa definizione si cela la supposta capacità dello spirito della pianta di da­re agli sciamani della foresta insegnamenti di vario genere, da quelli di ordine pratico (come guarire le persone ammalate, come ritrovare oggetti smarriti o rubati, come fare una buona caccia, ecc.), a quelli che permettono allo sciamano ed ai suoi discepoli di ottenere una emancipazione spirituale. Il mio interesse si focalizzò principalmente su due punti: 1) verificare se veramente dietro alla pianta dell'ava/iwasca si cela un "maestro", o alcunché di equivalente, e 2) di capire, in caso affermativo del punto precedente, in che modo possano mai gli insegnamenti essere trasmessi ai discepoli. Non restava altro che fare le valige, partire per la foresta amazzonica e bere l'ayahuasca. E così feci. Trascorsi l'intero mese di ottobre del 1994 a Pucallpa, cittadina nel cuore della foresta amazzonica peruviana, in compagnia del sopra­citato Dr. Antonio Bianchi e di altri due amici ugualmente interessati a queste cose: Luigi Vernacchia e Fabio Ravanello. Ci spostammo an­che lungo il fiume Ucayali sino alla cittadina di Atalaya, visitando di­versi villaggi e, quando presenti, contattando gli sciamani e bevendo con essi l'ayahuasca.

La conoscenza che il Dr. Bianchi aveva sia dell'ambiente amazzonico, che di alcuni sciamani che utilizzano l'ayahuasca, rese notevol­mente più facile affrontare questa difficile esperienza. Esperienza che, tuttavia, non fu per niente immune da pericoli, fatiche e delusioni di vario genere e sui quali non desidero soffermarmi.

I preliminari

Dopo quasi un mese di permanenza in Perù e dopo almeno 9-10 se­dute nel corso delle quali bevemmo l'ayahuasca, non ero per niente soddisfatto. L'effetto dell'ayahuasca su di me era sempre stato al di sotto delle aspettative e, comunque, decisamente inferiore a quello ot­tenuto dai miei tre amici. Ci furono sedute interamente negative, ac­canto ad altre caratterizzate dalla presenza di visioni più o meno sem­pre uguali e prive, apparentemente, di qualsiasi significato. Avevo provato già con cinque sciamani diversi senza notare alcuna differen­za sostanziale, tranne che in una sola e limitata occasione. Don Pedro (il nome è stato cambiato), lo sciamano Shipibo di Pucallpa col quale avevo avuto precedentemente cinque sedute e che sembrava essersi preso maggiormente a cuore le nostre istanze, si era dimostrato inca­pace a togliermi quel blocco che lui sosteneva di avere individuato in me (mi ha parlato di un soffio, di una corrente d'aria nel mio corpo, o di uno spirito che impediva alle visioni di raggiungere la testa). Anche il suo comportamento si era fatto estremamente antipatico e deluden­te. Alla iniziale cortesia e disponibilità, si era sostituito un atteggia­mento che non riuscivo ad accettare. Aveva cominciato a chiedere, senza alcuna giustificazione, soldi ed altri regali con una faccia tosta che non ci saremmo aspettati da lui. Per queste ragioni, oltre che per lo sconforto che già avevo, associate al fatto che la nostra permanenza in Perù stava esaurendosi, avevo deciso di troncare definitivamente con lui. Volevo provare, come ultima volta, con un altro sciamano, don Laurencio, che godeva fama di provocare esperienze con l'ayahuasca molto più profonde e decise (forse anche troppo, da quel­lo che ho sentito in giro). "O la va, o la spacca!", come si dice quando si è decisi a tutto. I miei amici faticarono nel persuadermi a fare un ul­timo tentativo con don Pedro. Accettai con tantissime riserve e senza alcun interesse. Quella che segue è la relazione di questa seduta così come la scrissi al mio risveglio il mattino seguente.

Resoconto

Pucallpa, 25 ottobre 1994. Alle ore 20,30, Antonio, Fabio ed io ab­biamo raggiunto l'abitazione di don Pedro alla estrema periferia di Yarinacocha, villaggio distante pochi chilometri da Pucallpa. Ci sono, nella veste di curanderos, anche don Emanuel, sciamano probabil­mente Muraya (il massimo grado della gerarchla sciamanica), un altro sciamano parente di don Pedro, più un apprendista sciamano. C'è an­che una nutrita schiera di pazienti (dalle 20 alle 30 persone) tra indi­geni e meticci venuti a farsi diagnosticare i propri malanni e sfortune e a farsi prescrivere la relativa terapia: il tutto viene comunicato agli sciamani dagli spinti che si rivelano attraverso l'ingestione del-l'ayahuasca. Sono infine presenti alcuni bambini ammalati, in genere molto piccoli e per lo più dormienti tra le braccia dei genitori.

Don Pedro è già seduto al suo solito posto al centro di uno dei lati maggiori della capanna ed ha accanto a sé gli altri sciamani. Tutti gli altri sono stipati nel rimanente spazio sotto la capanna, ed anche fuori. Questa ha forma rettangolare, di circa 8 metri per 4, ed è formata da un tetto di foglie di palma sostenuto da pali di legno. Non ci sono pa­reti laterali. E' posta accanto alla abitazione di don Pedro, in uno spiazzo circondato da orti. La gente sta sdraiata o seduta per terra, go­mito a gomito. Pian piano i convenuti abbassano il tono della voce e le varie conversazioni si attenuano. Sono circa le ore 21 quando don Pedro inizia il canto (Icaro) che serve a richiamare lo spirito della "pianta-madre" dell'ayahuasca. Ad un certo punto mi chiama e mi or­dina di soffiare alcune volte all'interno di un bicchiere pieno a metà di ayahuasca e di bere un sorso ma, se volevo, aggiunge, potevo berne di più. Procedura insolita, riservata solo a me ed a Fabio. Bevo a fati­ca l'intero contenuto dal sapore orrendo ed amarissimo. Dopo di me chiama a bere, uno alla volta, Fabio, Antonio, gli altri sciamani e due o tre pazienti accompagnando la mescita con icari identici. Per ultimo beve lui stesso La luce viene poi spenta e ciascuno raccoglie in un si­lenzio interiore i propri pensieri e le proprie speranze: di guarire, di ri­solvere i più svariati problemi esistenziali, di avere visioni illuminan­ti, o si pone in semplice attesa che qualcosa di indefinito succeda. Do­po 20-30 minuti, mentre sono sdraiato per terra e con gli occhi chiusi, sento una pressione alla tempia destra oltre ad un senso di freddo che mi sale dai piedi. Queste sensazioni, che anche nelle precedenti sedute hanno preceduto il comparire degli effetti dell'ayahuasca, sono di lì a poco seguite da numerose visioni geometriche, vorticose, intense, sot­to forma di onde di tantissimi colori che si sovrappongono o si succe­dono l'una all'altra come in un caleidoscopio. Mi accorgo che l'inten­sità delle visioni è accresciuta dagli icari che gli sciamani cantano contemporaneamente e ciascuno per proprio conto. In questa fase questi canti servono a favorire la discesa dello spirito della pianta sul paziente che ciascun sciamano ha fatto sedere davanti a sé. Le visioni arrivano ad ondate e nei momenti di maggiore intensità mi trascinano in uno stato di semincoscienza. Di lì a poco perdo quasi ogni contatto con la realtà circostante e con la cognizione del tempo. Mi sembra di essere al centro di un vortice di onde e di colori che mi trascina verti­ginosamente in mille direzioni. Cerco di controllare un fastidioso sti­molo a vomitare. Mi si alternano, facendomi soffrire molto, un senso di grande calore e un senso di freddo intenso, per cui mi scopro e mi ricopro in continuazione con il sacco a pelo su cui sono sdraiato. Per­cepisco dapprima vagamente, in seguito con maggiore e crescente in­tensità (o intuisco), la presenza di una guida che identifico con, o in­tuisco essere, don Pedro. Se esprimo un desiderio o un'intenzione, essi falliscono quasi subito. Infatti mi accorgo di essere sempre più, man mano che il tempo passa, in balia della guida che fa di me quello che vuole e mi trascina lentamente da qualche parte o verso qualche espe­rienza sconosciuta infischiandosene dei miei desideri e timori. Ho paura e cerco di opporrai a farmi trascinare chissà dove, non sono si­curo che finirò bene. Il mio smarrimento e la mia paura ad un certo punto si trasformano in panico vero e proprio, specialmente quando mi sento solo. Infatti, le persone accanto a me sembrano statue morte, incapaci di portarmi aiuto. La percezione della presenza della guida è sempre e solo una impressione, a volte vaga e che talora perdo quan­do cerco di non abbandonarmi completamente per timore che dietro ad essa non ci sia veramente don Pedro, ma qualche cos'altro che vuo­le la mia rovina. Se apro gli occhi per prendere maggiore contatto con la realtà normale, vedo solo forme indefinite e scure sovrastate dalle solite visioni colorate in veloce movimento. Il mio senso di solitudine e di paura aumenta in modo vertiginoso e per un po' mi da sollievo trovare e stringere una funicella del mio zaino che era nei pressi, a portata di mano. E' l'ultimo punto di contatto con la realtà normale. Ma subito dopo vengo trascinato via e mi perdo di nuovo. Ho mo­menti di maggiore lucidità alternati a momenti di quasi o totale perdi­ta della normale coscienza. Nei momenti lucidi intuisco che gli icari servono a dirigere la forza della pianta, o quella dello sciamano, den­tro di me. La potenziano anche. Ad un punto indefinito di questa si­tuazione intuisco che presto vomiterò. Perciò mi alzo e, barcollando, esco dalla capanna; finisco anche con il piede nudo in un piccolo fos­so melmoso. Sento una forza che mi dirige (o trascina) in certe dire­zioni ed io mi lascio guidare. Non vedo distintamente le cose che mi circondano, però mi sembra di intravedere un albero e intuisco che è proprio lì che debbo vomitare. Mi avvicino e cerco di toccarlo non si­curo che ci sia realmente. Lo sento, mi appoggio con una mano e vo­mito. Finito questo, mi guardo attorno e sento gli i icari provenire da una direzione abbastanza definita. Ma non vedo la capanna. Mi giro verso tutte le direzioni e vedo sempre lo stesso quadro indistinto e scuro. Rimango appoggiato per un po' all'albero (non so quanto). Le visioni mi tornano, ho paura, non so dove andare e se sono in grado di muovermi, vorrei aiuto, non so che fare. Sento qualcosa che mi spinge a sedermi per terra. Dopo non so quanto tempo mi sdraio completa­mente. Ho una paura tremenda di non potere più uscire da quella con­dizione, di perdermi e di non potere prendere l'aereo per tornare in Italia. Arrivo al punto in cui credo di stare per morire. Infatti le mie forze sono allo stremo e si rivelano impotenti a fronteggiare una situa­zione così devastante e tragica. La morte, ad un certo punto e all'im­provviso, non mi fa più paura, mi sembra una cosa del tutto normale e accetto tranquillamente l'eventualità di morire in quello stesso mo­mento. La vedo accanto a me, posso quasi toccarla tanto la percepisco reale. E non mi sembra così brutta, anzi, nella sua indifferenza di ghiaccio mostra di avere un suo fascino ed una sua logica in rapporto a quel mio momento particolare. Non oppongo resistenza, sono pron­to a seguirla.

Traggo un insperato sollievo quando Sonia, la nuora di don Pedro ed ella stessa apprendista sciamana, inviata da don Pedro giunge in mio soccorso, mi parla e mi chiede come sto. Rimane in ginocchio ac­canto a me per non so quanto tempo. Le visioni ed il mio smarrimento a tratti sembrano toccare il limite massimo ma, aprendo gli occhi e vedendo ancora Sonia, mi rincuoro. Per un paio di volte la vedo trasfi­gurarsi contro lo sfondo scuro della notte in un vecchio sciamano ve­stito di pelli. Ha il viso incartapecorito e coperto di fango o di cenere ed i capelli sono lunghi ed arruffati. Forse guarda nella mia direzione, ma con distacco e indifferenza. Sembra in meditazione. Arriva anche don Pedro che mi soffia l'Agua Florida (un profumo rituale) sul capo e sulle mani giunte. Sonia mi porge un fiore secco invitandomi ad odorarlo. Ha un profumo molto intenso che mi da energia. Con il fiore in mano e con l'aiuto di Sonia, barcollando ed inciampando più volte, raggiungo il mio posto nella capanna. Guardo verso don Pedro e vedo tanti don Pedro quante sono le persone presenti alla seduta. In seguito le riconosco una ad una e sento che sono presenze amiche e che anche nel loro silenzio ed immobilità emanano solidarietà per la mia difficile situazione. In questi momenti in particolare sento che l'Icaro che sto ascoltando è quanto di più appropriato ci sia a sostenere ed a svilup­pare la trasformazione che sento avvenire dentro di me. Mi sembra anche che dietro a tutta questa mia esperienza ci sia sempre don Pedro. La mia coscienza appare ancora abbastanza vigile, anche se tal­volta la sento come sospesa a mezz'aria.

Ho una gran sete. C'è una borraccia con dell'acqua sul tavolo ac­canto a me, quasi a portata di mano. Capisco che non riuscirei a pren­derla e lascio perdere.

Sento che negli icari, tra loro sovrapposti e indirizzati ai pazienti, c'è una componente rivolta a me. Essa mi sembra ricca di insegna­menti e comprendo che mi proviene in un qualche modo da don Pe-dro. Le visioni sono più controllate, mi sento leggermente meglio, so­no più tranquillo e mi abbandono con crescente fiducia alla guida interiore che identifico con quasi assoluta certezza con don Pedro. Le visioni e gli icari mi stanno ora insegnando qualcosa, in modo chiaro, tranquillo. E lo fanno in modo ripetuto, tornando come ad ondate a ri-propormi gli stessi tipi di insegnamento. Per prima cosa mi viene in­segnato (non chiedetemi come - comunque intuisco, capisco, talvolta mi sembra di vedere) ad eliminare ogni desiderio e volizione. Ogni volta che esprimo un desiderio o l'intenzione di fare o pensare a qual­cosa, intuitivamente mi viene fatto notare che il pensiero appena for­mulato contiene il verbo volere o un altro verbo similare ed io subito cerco di cancellarlo. Mi riesce abbastanza bene, probabilmente perché sono aiutato.

Poi mi viene insegnato a concentrarmi e a pormi in una condizione di meditazione. Ma qui i miei ricordi sono vaghi. Segue un'altra fase in cui si cerca di farmi cancellare il senso dell'io. Anche in questo ca­so, quando formulo dei pensieri personalizzati, vale a dire dei pensieri il cui soggetto sono io o è in qualche misura legato a me, mi viene fat­ta notare la cosa ed io cerco di rimediare o eliminando l'intero pensie­ro, o modificando quella parte di esso dove compare la mia presenza. Ad un certo punto capisco, o intuisco, che occorrerebbe far sparire ogni verbo dal linguaggio della mente per raggiungere uno stato di perfetta assenza dell'io che, a tratti, mi sembra di realizzare. Questi processi sono ripetuti più volte ed ogni volta provo meno sforzo e dif­ficoltà ad apprendere quanto mi viene insegnato. Sono processi che sperimento visivamente sotto forma di cerchi concentrici che si fanno sempre più piccoli sino a ridursi ad un punto. Quando ho realizzato la cancellazione del mio io, mi sono visto, o ho visto qualche parte di me, non so bene, affondare e sparire in uno stagno di melma scura. C'era anche un caimano che, con la testa che emergeva dalla melma, assisteva indifferente alla scena. Gli icari e le visioni intanto cominciano a veicolare insegnamenti di tipo concettuale. Certe domande che nella giornata o nei giorni precedenti mi ero posto trovano, per in­tuizione interna, una risposta che si incastra esattamente con la rispet­tiva domanda. Percepisco per un attimo la risposta, oserei dire che la vedo, e la riconosco come corretta e logica. Subito dopo essa entra in un piccolo scrigno (tipo cofanetto per anelli) incastonato su una parete verticale. Lo scrigno all'improvviso si chiude e io non vedo e non ri­cordo più il suo contenuto.

A questo seguono insegnamenti su argomenti non legati a nessuna mia domanda precedente, ma che sono stati scelti direttamente dalla fonte che me li invia. Anche in questo caso mi rendo conto del loro elevato valore ma, dopo un attimo, spariscono anch'essi nello stesso modo di prima. L'unico insegnamento che mi ricordo è che l'ayahuasca serve anche per ridurre la distanza tra la nostra cultura occidentale e quella indigena al fine che anche noi possiamo cogliere appieno i frutti che gli sciamani ci possono dispensare. Forse serve anche agli stessi Shipibo che si sono allontanati dalle loro tradizioni. Ma proba­bilmente non si limita solo a questo. Intuisco che gli insegnamenti non sono perduti, ma sono entrati in qualche angolo della mia niente e mi guideranno nei momenti opportuni. Intuisco che in futuro non avrò, ai miei occhi e a quelli degli altri, più potere, sapienza ed altre capacità positive, ma che anche dopo questa esperienza sarò, tutto sommato, quello di prima, ma con un piccolo tesoro nascosto da qual­che parte. Esso mi potrà essere utile o mi guiderà senza che io od altri se ne accorga. La cosa mi verrà confermata da Sonia una volta alla fi­ne della seduta. Il mio stato è tale che mi accorgo di non percepire quasi per niente il mio corpo. Mi chiedo più volte se per caso mi sono vomitato addosso o se quello che mi sembra di sentire al tatto sulla mia camicia non sia invece fango. Sarebbe imbarazzante una situazio­ne del genere davanti a tanta gente, ma subito dopo mi viene da pen­sare e da dire che non me ne frega un... e ci rido sopra. La stessa cosa si ripete con il sospetto di essermela fatta addosso. Dapprima grande imbarazzo ma poi, all'improvviso, qualcosa scatta in me e mi viene da pensare - forse lo dico anche - che non me ne frega assolutamente niente, la cosa mi fa ridere (anzi, rido di gusto) e mi lascia del tutto indifferente, se non soddisfatto. Tanto - penso - sono tra amici (tutti quelli presenti alla seduta, anche quelli che non conosco) che mi capi­scono e comprendono il mio difficile momento. Alla fine della seduta tutte queste mie preoccupazioni, apparentemente così banali ed anche un pò buffe, si sono rivelate infondate. Nulla del genere mi era suc­cesso. Tuttavia, ho intuito che anche questo ulteriore piccolo dramma personale faceva parte degli insegnamenti e del programma di rico­struzione del mio io sopra descritti.

Durante questa fase finale delle mie allucinazioni, intuisco che tut­to quanto è successo in questa mia vacanza così ricca di imprevisti, fatiche e delusioni, comprese la mia sfiducia e la mia irritazione per don Pedro arrivate quel giorno stesso al loro apice, facevano parte di un programma. In altre parole, sono stato ripetutamente messo alla prova prima di essere sottoposto al rito finale di questo che in quel momento ho capito essere un vero e proprio processo di "Iniziazione" Inoltre, mi sono reso conto che don Pedro ha voluto darmi una dimo­strazione del fatto che lui non era da meno di don Laurencio (lo scia­mano con cui volevo fare l'ultima seduta con Vayahuascd) e che le stesse cose che si attribuiscono a quest'ultimo, lui le poteva fare anche con maggior forza ed in modo più drammatico, come per volermi pu­nire per la mia mancanza di fiducia. Quando credo di essermi ristabi­lito a sufficienza, accendo una sigaretta, esco dalla capanna, mi siedo accanto a Sonia che mi rivolge delle domande e mi confida, ma lo sa­pevo già dal giorno precedente, che era un'apprendista sciamana. Mi spiega anche che il fiore secco e profumato che mi aveva precedente­mente dato era un fiore "sagrado" (sacro) avuto in dono da suo mari­to, sciamano anche lui. Vengo poi chiamato da don Pedro che mi can­ta un icaro e mi soffia per la seconda volta l'Agua Florida sul capo e sulle mani e mi dice che ora sono forte e posso uscire dalla dieta (No­ta 2). Dice anche che ora ho un arcana (una specie di scudo protetti­vo) contro i pericoli ed i mali del mondo e che posso andare tranquil­lo.

Parlando con i miei amici ed alcuni altri fra i presenti, mi rendo conto che quella sera la seduta è stata molto forte per tutti coloro che hanno bevuto l'ayahuasca, sia in positivo che, ancor più, in negativo (in diversi hanno vomitato o hanno avuto violenti attacchi di diarrea o, ancora, hanno avuto visioni terrificanti). Nessuno, però, tra quelli che si sono dichiarati più soddisfatti della loro personale esperienza, ha riferito d'avere avuto alcunché di simile a quello che ho sperimen­tato io.

Alle cinque del mattino faccio ritorno al mio albergo in discrete condizioni di lucidità mentale e di forze.

Tipologia delle visioni

Le visioni che ho avuto hanno sempre evidenziato la presenza di alcune costanti. Non ho notato sostanziali differenze qualitative delle visioni tra uno sciamano e l'altro ed anche il loro contenuto, pur es­sendo variato all'interno di una stessa seduta, tendeva a ripetere certi temi e schemi fissi. L'andamento più tipico è così articolato: dopo 20 30 minuti dall' assunzione do[\'ayahuasca, periodo durante il quale mi metto in uno stato rilassato e di attesa con gli occhi chiusi, le visioni sono costantemente precedute da alcuni segnali che anticipano di po­co il loro arrivo. In particolare avverto una sensazione di freddo che mi parte dai piedi e si diffonde a tutto il corpo. All'improvviso il fred­do sparisce per tornare di nuovo nel giro di pochi minuti. Questa sen­sazione è accompagnata da un senso di pressione alla tempia destra, come se qualcuno vi premesse sopra con un dito. Entrambe le sensa­zioni inizialmente vanno e vengono e, ad ogni loro ritorno, appaiono più intense delle volte precedenti. La pressione alla tempia può, in al­cuni casi, estendersi a più ampie aree della testa. E' nel corso di questa fase che le visioni arrivano, in modo impetuoso ed improvviso. All'i­nizio si presentano ad ondate, rimangono un po' per poi sparire. Nei casi in cui l'effetto dell'ayahuasca è particolarmente intenso, esse pos­sono durare a lungo, anche alcune ore ed hanno come sfondo una rete a maglie piuttosto fini. La loro forza d'impatto e la loro intensità sem­brano aumentate notevolmente dagli icari degli sciamani, come se questi fossero in grado di canalizzarle e focalizzarle all'interno della mente dei partecipanti. Di solito sono costituite da immagini geome­triche dai mille colori che si trasformano in altre immagini simili ad una velocità vertiginosa. Non sono mai ferme ed è difficile descriverle adeguatamente perché di solito non hanno alcun riscontro con alcun­ché di reale e di definito (immagini caleidoscopiche). A volte si presen­tano come una miriade di luci colorate che si accendono e si spengono cambiando di colore. In questo caso mi ricordano quelle di un Luna Park, anzi mi sembra proprio di essere in un Luna Park.

Altre volte sembrano animaletti o pupazzi tratti dai cartoni animati per i più piccini. Più spesso mi ricordano motivi decorativi geometrici degli Indiani del Nord e del Sud America, sempre senza una forma ed un significato precisi. Più raramente, insieme ad esse, ho la sensazio­ne di immergermi nella giungla, sommerso dalla sua esuberante vege­tazione. In almeno un paio di esperienze ho notato particolari enorme­mente ingranditi di oggetti comuni (una spalliera di una sedia, una penna biro, parti del corpo di insetti, etc.). In questa nuova prospettiva mi sembrava di entrare in un mondo nuovo, ancora inesplorato, in cui i più minuti particolari si animavano ed acquisivano una ricchezza straordinaria di forme e di colori. Era come se mi fossi trasformato in un microbo così da poter vedere con nuovi occhi una realtà che a noi, esseri macroscopici, è preclusa. Era, in definitiva, come entrare in una nuova dimensione esistenziale. Talvolta i colori apparivano così evi­denti da sembrare di possedere una consistenza solida. Ma queste de­scrizioni colgono solo parzialmente il modo di percepire le visioni. Il vedere era fuso al pensare anzi, ad un modo nuovo di pensare e di vi vere le cose che mi comparivano d'innanzi. In definitiva^ non erano solo immagini, ma molto di più. In una occasione in particolare (una delle prime volte con don Pedro ma, in misura molto minore, è suc­cesso anche con un altro sciamano), le visioni hanno lasciato il posto, o si sono accompagnate, a modificazioni della mia percezione senso­riale. C'è stato un momento in cui ho sentito una parte di me sollevata di alcuni centimetri dal corpo. Mi sembrava che questa parte corri­spondesse alla mia mente, almeno a quella che in qualche misura ra­gionava e percepiva queste sensazioni. Anche l'intensità delle mie percezioni tattili e dolorifiche oscillavano vistosamente. A tratti mi sentivo leggero o come adagiato su di un comodo materassino che non mi faceva sentire eccessivamente le asperità del terreno su cui ero disteso. Altre volte il mio contatto con il terreno era doloroso, molto più del normale. Sentivo il mio corpo pesantissimo che si schiacciava, sotto il proprio peso, contro il suolo. Se poi tenevo una mano lieve­mente appoggiata sul collo, all'improvviso ne sentivo forte la pesan­tezza e quasi mi sembrava di soffocare; se invece la mano era appog­giata sul petto, la percepivo pesantissima al punto di provare dolore e di non riuscire a respirare. In altri momenti, se avevo necessità di grattarmi, lo dovevo fare con grande forza, altrimenti non sentivo il contatto e la pressione delle dita. Anche la coperta che mi serviva a proteggermi dai momenti di freddo, talvolta la sentivo pesantissima sul mio corpo ed ero costretto a liberarmene. Mi sono reso conto che, come regola, non dovevo avere nulla che appoggiasse sulla parte del mio corpo al di sopra della cintola. Nella medesima occasione la mia attività mentale ha incontrato un grosso ed inaspettato ostacolo. Nel formulare un pensiero qualsiasi notavo un sensibile ritardo tra la deci­sione di pensare a qualche cosa e vedere quel qualche cosa che si con­cretizzava in pensiero. Normalmente i due processi sono pressoché contemporanei, ma in quell'occasione, tra il decidere di pensare a qualche cosa e pensarlo effettivamente, il tempo intercorrente si dila­tava in modo innaturale. Questo inconsueto sfasamento mi disorienta­va e non mi permetteva di dar forma a pensieri anche non particolar­mente complessi.

Il mio atteggiamento mentale ed emotivo nei confronti delle visio­ni è stato duplice, probabilmente perché rifletteva la minore o mag­giore intensità dell'azione dell'ayahuasca. Spesso mi sentivo come un semplice spettatore che osservava, sempre ad occhi chiusi, le diverse visioni che si succedevano davanti allo schermo della sua mente. Era­no percepite, pertanto, come qualcosa prodotto da qualche agente esterno e che non mi riguardavano direttamente. Il mio coinvolgimen­to emotivo era scarso o nullo, spesso perfino pieno di delusione e di noia per il fatto che non vi riconoscevo alcun significato ed importanza. Non ero quasi mai soddisfatto da questo tipo di visione. In altre circostanze, più rare, le cose erano completamente diverse. Ero come rapito, immerso o trascinato dalle visioni. La mia coscienza spesso veniva quasi annullata, mi sentivo un tutt'uno con le visioni, non più uno spettatore inerte ed indifferente. Non esisteva più nulla al di fuori del connubio fatto da me e dalle visioni, mentre il mondo esterno non esisteva più. La mia coscienza, o quel poco che rimaneva, era leggera e trasparente, impalpabile, a volte inconsistente e seguiva, adeguando­si perfettamente, l'andare e venire ciclico delle visioni. Talvolta, per intuizione (non trovo altra definizione migliore) capisco che le visioni sono in qualche modo l'espressione visiva di un lavoro minuzioso di forgiatura (più volte mi si presenta alla mente questo termine quando cerco di decifrare il senso delle visioni). Forgiatura di qualcosa di in­terno (l'io?), come se avvenisse dentro di me un modellamento ed una correzione di una struttura che deve essere modificata o ricostruita se­condo nuove regole. A volte le visioni quasi si fermano ed entrano in uno stato di intensa e finissima vibrazione accompagnate da una spe­cie di sibilo molto acuto, leggero e penetrante. Capisco che in quei momenti la forgiatura diventa cesello. Sono momenti che percepisco essere molto importanti per la trasformazione profonda e sottile del mio io o di qualcosa di correlabile ad esso. Ogni volta ho percepito questi attimi come quelli rappresentativi della fase più profonda e pre­gnante dell'esperienza. Spesso, in questi momenti, la rete che costan­temente fa da sfondo alle visioni, entra anch'essa in vibrazione, per poi avvicinarsi lentamente a me sino ad avvolgermi. Fabio mi ha detto che anche lui ha vissuto questa situazione ed ha aggiunto che se si rie­sce a saltare al di là della rete, si entra in un altro livello esperienziale molto più pregnante e ricco di contenuti. Del mio "rapporto" con don Pedro ho già trattato. Alcune volte ho intuito che nelle visioni, o na­scosto dietro ad esse, ci fosse qualcosa di vivo ed intelligente, anche se indefinito, con una propria consistenza fisica, che era lì perché ave­va un compito da svolgere che forse mi riguardava.

Conclusioni

Questa è solo una breve relazione di un'esperienza assai complessa durata diverse ore e che, da una grossolana valutazione, credo di ri­cordare solo per il 20-30 per cento. Vorrei puntualizzare che l'intero processo si può compendiare in alcune significative fasi, di cui le principali sono: quella delle visioni; quella della solitudine; quella della paura che si tramuta in terrore panico; quella dell'incontro con la morte; e quella degli insegnamenti. Nel complesso, l'intero processo sembra corrispondere molto da vicino, se non coincidere, con un vero e completo processo di iniziazione. I significati ed i messaggi conte­nuti in queste varie fasi sono stati recepiti da me per intuizione (non saprei trovare un termine più adeguato), anche se spesso essi erano accompagnati o completati da una componente visiva molto intensa e vivace. Ho anche intuito, verso il termine della seduta, che tutto quan­to era successo era stato voluto e condizionato dallo sciamano che aveva scelto il tempo ed i modi più opportuni per condurmi sino a quel punto, per poi istruirmi secondo un preciso programma. E tutto questo trovò una piena realizzazione proprio quando avevo deciso di abbandonare ogni cosa e tornarmene a casa.

Questa esperienza, sia per i contenuti che per le modalità con cui si è svolta, è stata veramente impressionante e complessa e, a mio pare­re, ben al di là delle mie capacità creative ed immaginative. Non ho mai assunto prima di allora droghe di alcun genere e ritengo di avere sempre dimostrato una condotta sufficientemente critica e razionale. Ora mi accorgo di avere un atteggiamento ambivalente verso il signi­ficato di questa mia esperienza. Da una parte sento ancora molto forte il convincimento che don Pedro sia stato la causa ed il regista di tutto. In altre parole, egli avrebbe agito su di me per via forse paranormale sottoponendomi a numerose e difficili prove preliminari prima di per­mettermi di affrontare la prova finale, quella dell'iniziazione. Infatti, una mia impressione raggiunta durante le fasi finali di quella seduta è stata che queste prove coincidessero con le numerose traversie e delu­sioni che hanno costantemente caratterizzato la mia permanenza in Perù sino a quel momento oltre, naturalmente, alle difficilissime situa­zioni che ho dovuto superare durante quell'ultima seduta. Si tratta di un'interpretazione coincidente con la visione sciamanica delle popola­zioni amazzoniche e che fa risalire ogni trasformazione interiore a forze e ad entità esterne all'individuo che le vive.

Naturalmente, all'interpretazione strettamente sciamanico-iniziatica che si può attribuire a questa mia esperienza, se ne può contrapporre un'altra molto più razionale. Ovvero, che io abbia soggettivamente raggiunto un livello molto profondo e nascosto della mia psiche. In­fatti, è opinione largamente diffusa ed accettata che, entro le inesplo­rate profondità del subconscio, esista un'area di consapevolezza supe­riore che solo molto di rado raggiunge il livello conscio. Grazie all'ef­fetto dell'ayahuasca ed al particolare contesto rituale in cui mi trova­vo, mi è stato possibile rimuovere gli ostacoli tra me e questa miste­riosa dimensione e raggiungerne in modo molto selettivo e chiaro i contenuti. In questo caso don Pedro, da vero psicoterapeuta, con un opportuno rituale e tecniche appropriate, avrebbe favorito la mia di­scesa entro quella inesplorata realtà, senza essere però lui a determi­narla concretamente. Solo da quella realtà interiore, e non da don Pedro o dallo spirito dell'ayahuasca, avrei ricevuto gli insegnamenti di cui ho riferito.

Infine, ci può essere un'altra logica spiegazione dei fatti: che l'inte­ro processo iniziatico sia derivato interamente da processi legati alla mia mente ed alla mia immaginazione. Una sorta di sogno allucinato-rio con caratteri psicotici. La mia immaginazione, per un complesso processo inconscio favorito dalla droga, avrebbe prodotto allucinatoriamente questa iniziazione facendomela apparire come reale. Tutto questo in risposta a mie personali e molto particolari istanze ed aspet­tative più o meno consapevoli.

Quest'ultima interpretazione è quella che sento a me più lontana, in quanto i sentimenti provati durante la seduta mi sembrano completa­mente estranei ad essa. Ma forse, come mi hanno consigliato alcuni amici, è del tutto inutile volere trovare un'interpretazione ad ogni co­sto. L'importante, secondo loro, è avere vissuto di persona questa esperienza che è unica e probabilmente fondamentale per quel proces­so di recupero delle proprie potenzialità che il più delle volte è impos­sibile realizzare con le nostre sole forze.

Ora, dopo diversi mesi da allora, sento di essere sempre lo stesso di prima e che nulla è cambiato in me in maniera evidente. O forse credo che sia così.

Mi dispiace che le parole, che così faticosamente riesco a racco­gliere per comporre questo racconto, non possano esprimere compiu­tamente ciò che ricordo di quella seduta. I miei ricordi dei particolari di questa esperienza non sono legati a parole, a discorsi o a fatti con­sueti facilmente descrivibili con i normali mezzi comunicativi. Essi, al contrario, sono fatti di pensieri che non si possono pensare, di im­magini chiare ma fugaci, di sentimenti e di intuizioni mai provati pri­ma. Bisognerebbe inventare un linguaggio nuovo per riferire in modo soddisfacente i contenuti delle esperienze di questo genere. Anche se mi è difficile comunicarlo, ora so, o credo di sapere, come Vayahuasca opera e come può dispensarci i suoi insegnamenti. Anche se a volte mi viene da pensare di avere vissuto un fantastico sogno che con il tempo lentamente si scolora, un mio intimo sentimento mi suggeri­sce che, con quell'esperienza, mi è stata indicata una strada e che di­pende solo da me se seguirla o meno.

Note:

* Bruno Severi, biologo, Istituto di Microbiologia Elettronica Clinica, Facoltà di Medicina, Università di Bologna.

1 - Chi desiderasse maggiori informazioni riguardo Vayahuasca ed il contesto sciamanico in cui viene impiegata, si consigliano le seguenti letture:

- Andritzky, W.: (1989) Sociopsychotherapeutic functions ofAyahuasca healing

inAmazonia. i. Psychoactive Drugs, 21(1), 77-89.

- Bianchi, A.: / mistici del vegetale: Piante psicotrope e stati alterati di coscien­

za nella selva amazzonica. Quaderni di Parapsicologia, 25, 43-58, 1994.

- Bianchi, A.: Gli allievi delle piante maestro. I Fogli di Oriss, n. 3, 81-96,

1995.

- Cardenas, C.: Los Unaya y su mundo. CAAP-IIP, 1989. Lima.

- Dobkin de Rios, M.: A modern-day shamanistic healer in thè Peruvìan Ama-

zon: Pharmacopoeia and Trance. J. Psychoactive Drugs, 21, 91-99,1989.

- Harner, M.: La via dello sciamano. Ed. Mediterranee 1995.

- McKenna, T.: // nutrimento degli dei. URRÀ, Apogeo 1995.

Significativi, per alcune strette somiglianze con la mia esperienza, sono i reso­

conti tratti dai seguenti articoli:

- Samorini, G.: L'iniziazione alla religione Buiti. Metapsichica, Numero Unico,

19-25, 1994.

- Slotkin, J.S.: La via del peyote. Luce e Ombra, Anno 60, N. 3, 161-168, 1960.

2- La dieta è un tipo di regime alimentare e di comportamento richiesto a chi si

accinge a fare sedute con l'ayahuasca. In particolare essa è richiesta agli aspiranti sciamani per i quali può durare da alcuni mesi ad un anno o più. Noi stessi doveva­mo conformarci ad un regime alimentare piuttosto stretto evitando di mangiare e di bere una ampia varietà di cose. In particolare, il giorno in cui dovevamo bere Vayahuasca, dovevamo digiunare.