Alla ricerca di un’unità nella conoscenza: fisica, metafisica e spirito

Post date: 16-ott-2011 22.08.43

Gerardo Iovane[1]

Dipartimento di Scienze Fisiche "E.R.Caianiello"

Università degli Studi di Salerno

Se fossi uno scultore, nella nostra epoca, dovrei combattere tra scolpire o solo busti o solo gambe, ma mai tutto insieme; se fossi un pittore dovrei sconfiggere l’irrefrenabile desiderio di dipingere paesaggi o solo con mari senza monti o il viceversa; da musicista: uno, due o più strumenti per la mia musica, ma mai testi per intere orchestre; così, anche da fisico mi risulta difficile andare oltre le specializzazioni che mi competono.

Le ultime generazioni di fine millennio se vorranno davvero dare un contributo al progresso delle idee e non solo della tecnica dovranno cominciare a pensare utilizzando e facendo propria l’interdisciplinarità della conoscenza. Ma forse neanche tutto ciò basterà per comprendere che non ci sono più nature, ma una sola: la stessa forse che anima le nostre azioni, passioni, pulsioni.

Ci sono uomini particolarmente dotati nelle discipline scientifiche, autori spesso di entusiasmanti teorie, modelli e formalismi, altri invece più inclini a quelle arti liberali che portano alla speculazione filosofica-umanistica. Solo pochi hanno capacità di possedere un modus pensandi che è innanzitutto speculazione e poi formulazione e formalizzazione: questa attitudine, che potrebbe definirsi mistica prima e poi finirà col renderli immortali.

Gli scienziati, spesso, tentano di comprendere le leggi che governano l’Universo e che hanno regolato la sua origine; quando, però, collocano l’uomo su un piccolo pianeta, chiamato Terra, in un sistema solare alla periferia della Via Lattea si accorgono che a questo punto bisogna mettere da parte la scienza ed i suoi formalismi se si vuole capire qualcosa. In molti casi, infatti, le scienze, proprio per la loro natura di dare una formalizzazione, ci aiutano a capire particolari fenomenologie una volta che siano state scoperte le leggi che vi si trovano a fondamento. Quando, invece, non si ha ancora una chiara visione del fenomeno bisogna solo osservare, ipotizzare, speculare, pensare liberamente, senza preconcetti o limiti formali; in questi momenti la speculazione filosofica, più che la scienza, è in grado di porre quelle domande a cui solo col passare del tempo la scienza riuscirà a trovare delle risposte.

A volte si ha l’impressione che il mondo sia cambiato radicalmente rispetto a com’era quando eravamo fanciulli ed in realtà un reale progresso vi è stato, ma soprattutto sono cambiati i sogni e quelle fantasie che ci facevano credere di poter cambiare l’universo circostante, poiché avevamo un’intera vita davanti a noi e tante energie per farlo[2]. Non lasciatevi sopraffare dalle quotidiane insoddisfazioni che spesso accompagnano i vostri giorni, poiché adesso siete davvero voi i protagonisti di quel mondo che sta cambiando e siete voi gli artefici dei suoi cambiamenti[3].

Impegnatevi, quindi, affinché i cambiamenti siano grandi ed importanti e che possano segnare positivamente la crescita del vostro mondo e di voi stessi, non siate spettatori inermi; la forza di cambiare il mondo è nelle vostre mani e nella fiducia in voi stessi alberga la possibilità di renderlo migliore.

C’è chi crede nell’esistenza di un proprio destino, chi, invece, confida nel poterlo cambiare con le proprie azioni. Io credo che la vita possa essere paragonata ad una sagoma: si può scegliere di essere solo l’ombra, oppure di essere la figura che la genera.

C’è una differenza profonda tra uno scienziato ed un uomo che opera nella scienza: per il primo, la scienza rappresenta lo spazio di azione e meditazione, e la fantascienza quello dell’illusione; per coloro che operano nella ricerca questa seconda componente è completamente assente. Personalmente, ritengo che ciò che chiamiamo futuro rappresenti una parte di quella fantascienza che in molti immaginano, poiché quando un’umana fantasia trova una sua formalizzazione matematica e una sperimentazione scientifica si può parlare della scoperta e della comprensione di un nuovo tassello del manifestarsi della natura.

D’altra parte, però, l’uomo di scienza deve essere cauto per non confondere il riduzionismo metodologico con quello categorico. Il primo, infatti, opera positivamente nella scienza permettendoci di cogliere i limiti di una data teoria o modello facendoci andare oltre, estendendolo o superandolo.

Il riduzionismo categorico è, invece, antiscientifico poiché porta a ritenere una teoria, la teoria, un modello il modello; così tutto ciò che non rientra in esso o non fornisce risultati in accordo con esso è frutto di chissà quali mistificazioni, errori sperimentali o fatti inessenziali per la teoria in esame.

C’è, inoltre, ancora un altro interrogativo a cui bisognerà rispondere e cioè a cosa può servire una scienza se la maggior parte delle persone, cioè la Comunità, nella sua quasi totalità, non la conosce. Certo è che per vedere la televisione o utilizzare la telefonia cellulare a poco serve conoscere il funzionamento dei transitor che vi sono alla base, ma quando, invece, si parla delle leggi che regolano l’Universo o la vita sul nostro Pianeta, credo che rendere partecipe l’intera Comunità sia un imperativo.

Infatti, pur senza conoscere la formulazione matematica, la popolazione potrebbe partecipare consapevolmente e con quel naturale entusiasmo che ne può derivare, alle scoperte scientifiche e conquiste tecnologiche[4]. Pertanto la divulgazione scientifica dovrà diventare uno degli obiettivi principali dei ricercatori se vorranno continuare le loro attività.

Quando intrapresi gli studi delle scienze fisiche guardavo con diffidenza alla distinzione ed ai contrasti che a volte si rilevavano tra i fisici teorici e quelli sperimentali.

Durante la mia crescita scientifica capivo che non esistevano fisici sperimentali o teorici, ma solo fisici; pertanto i primi più che scienziati dovevano intendersi mercanti della scienza preoccupati più della commercializzazione delle proprie idee e degli indotti economici da esse generati che della fondatezza delle idee stesse.

Negli ultimi tempi comprendo che la scienza, la filosofia, la psicologia e gli altri saperi rappresentano solo la componente razionale di un pensare che si configura e si colloca su un gradino più alto rispetto alle diverse discipline. Infatti, sembra che quando la scienza non ricorra alle speculazioni di carattere più umanistico-filosofico, si risolva nella formalizzazione e produzioni di modelli capaci di rappresentare solo quelle fenomenologie particolarmente semplici. Viceversa, il pensiero umanistico-filosofico senza la possibilità di una qualche sperimentazione diventa sterile pensare. Ciò non significa che la speculazione filosofica debba sperimentare le proprie affermazioni, ma solo che sia passibile di prova, non importa che poi venga provata oppure no. Questo mio atteggiamento è, oggi, in contrasto con la frammentazione dei saperi e rappresenta una rivalutazione del pensare classico ed umanistico, quando una disciplina era di stimolo per un’altra. Non mi sento di criticare l’atteggiamento contemporaneo, poiché non conosco quale tra i due sia quello che conduce ad un più rapido progresso. Bisogna chiudersi, però, di quale progresso si stia parlando e cioè di un progresso scientifico-tecnologico da un lato o letterario-filosofico dall’altro. Contro questi progressi di saperi, personalmente preferisco quello di una sempre maggiore consapevolezza della realtà fenomenologica che circoscrivendo le nostre azioni ci stimola ad andare oltre, a superare le barriere del pensabile. Il futuro non è solo quello che si può prevedere, ma è soprattutto quello che è oltre questo, anche se può farci paura. Il problema è che quando questi modi di condursi, che definirei etici, si confrontano con una Società che deve produrre capitali allora non si ha scelta: si deve guardare al più “ad un palmo del proprio naso” se si vuole sopravvivere, poiché nessuno vuole investire sull’ignoto.

Le grandi scoperte, però, non sono avvenute per rispondere alle esigenze del mercato; ciò dovrebbe far riflettere.

Sembra quasi che l’uomo del XX secolo abbia imparato a porsi correttamente le domande a cui con grande puntualità dà risposte sbagliate, poiché il suo punto di vista è troppo ristretto. C’è bisogno di più comunicazione tra saperi diversi, solo così può esserci vero progresso e maggior consapevolezza. Cosa facile è far valere le proprie idee tra le persone che la pensano allo stesso modo; più difficile è, invece, spiegare il proprio punto di vista a persone che hanno una diversa formazione. Così, da artefici siamo diventati succubi delle nostre ricchezze. L’uomo non deve preoccuparsi di essere sopraffatto dall’intelligenza artificiale o dall’ingegneria genetica quanto dalla propria dipendenza dal danaro.

Un libero pensare per essere davvero libero deve essere non condizionato dalle situazioni che rendono circostanziali quelle idee che sono forse molto più generali. Il grande pregio di Newton, fu comprendere che il secondo principio della dinamica era una legge “universale”, che a seconda delle condizioni iniziali e condizioni al contorno forniva un modello fisico-matematico per prevedere il comportamento ed il moto di corpi diversi in diverse condizioni locali e circostanziali.

Nella fisica, oggi, ci sono teorie che propongono modelli, cosiddetti supersimmetrici in cui per ogni particella ci sarebbe un partner supersimmetrico ancora non scoperto.

Detto in altre parole, le 4 forze conosciute salendo in energia sarebbero solo manifestazioni diverse di un’entità comune. Negli anni ’50 grazie all’intuizione di P.M. Dirac si capì che per ogni particella ci potesse essere un’antiparticella. Fenomeni di questo tipo che rappresentano una natura ed una tendenza al dualismo si trovano in ogni disciplina. Sembra quasi che sia una caratteristica fondamentale, un principio, insito nella psiche. Per gli antichi greci psiche, però, era sinonimo di anima ed allora se l'anima, o lo spirito o qualsiasi sostantivo indicante quella ignota e misteriosa componente che accompagna il nostro progredire, fosse il partner che accompagna le nostre azioni? Se ci fosse, cioè, una qualche attrazione fisica o biochimica tra il corpo e l’anima che porta all’esistenza della vita umana?

Nel campo delle neuro-scienze ci sono due tendenze diverse, ma che hanno una matrice comune nel riconoscere una duplice natura insita nella nostra attività del pensare.

Gerald Edelman (The Remembered Present. A Biological Theory of Consciousnes) ed altri sostengono la teoria dell’identità, cercando di analizzare la relazione mente-cervello, intesa come processo biochimico unitario che riconduce l’una all’altro come due aspetti distinti di un’unità. John Eccles (in The Self and Its Brain), viceversa, lascia intendere l’esistenza di psiconi, da non confondere con i neuroni, rappresentanti un sistema mentale speculare al cervello, di cui, si può dire, ne costituirebbe l’immagine in una diversa dimensione: un’ombra.

Mi rendo conto che è solo un’ipotesi, ma se quelli che, oggi, vengono indicati come psiconi fossero neuroni potenziali, allora avremo che l’interazione mente-cervello sarebbe qualcosa di analogo alla legge di massa di Einstein (cioè che la massa può trasformarsi in energia e viceversa). In altre parole, i psiconi sarebbero l’espressione o meglio la controparte energetica dei neuroni. Quindi, essi diverrebbero neuroni acquistando massa, materializzandosi in siti capaci di contenere informazione codificabile ed analizzabile attraverso forme di comunicazione sensoriale o linguistica.

In questo modo, i due filoni neuroscentifici non sarebbero in contrasto, sarebbero solo due diverse interpretazioni e manifestazioni di un pensare comune. Va aggiunto, inoltre, che questo non è l’unico principio unificatore, infatti neuroni e psiconi potrebbero essere riletti come partner speculari o simmetrici di un’attività riconducibile al pensare in potenza o manifesto.

Allo stesso modo in cui nella fisica delle particelle elementari si postula l’esistenza di partner supersimmetrici delle particelle ordinarie e note, così, i psicomi potrebbero essere così i partner dei neuroni in cui mente-cervello non è più da intendersi come funzione – corpo (pensare-materia), ma come un tessuto in continua trasformazione energia-materia. Chissà, quindi, che quella legge fisica della trasformazione dell’energia in massa non valga anche per un organismo così evoluto, capace di fare una tale ipotesi, quale è l’uomo.

La scienza, oggi, non è in grado di provare una tale teoria, ma neppure di confutarla; pertanto è saggio dubitare e cercare di comprendere e osservare quello che sembra non avere senso, poiché è in quei non sensi che si cela la verità.

Se è vero che il mio punto di vista non è dimostrabile è altrettanto vero che esso è costruttivo, poiché permette una ricostruzione “all’indietro” verso principi unificatori di base; proprio come accade per i cosmologi nello studio dei primi istanti della nascita dell’Universo dopo il big bang partendo dalle fenomenologie attuali.

In tal modo, la ricerca dei fondamenti, quelli che per Popper erano nel Mondo 3, nell’universo delle idee e dei libri, non sarebbe legata alla mente del singolo cervello, ma fluirebbe in autonomia attraverso la comunicazione e grazie all’interazione con altri campi del sapere, nella fattispecie quelli scientifici, avrebbe il metodo per procedere attraverso una sempre più “calzante” comprensione di quella naturale trasformazione – interazione energia-materia o equivalentemente mente-cervello.

Prima di concludere ritengo, anche, necessario analizzare brevemente il rapporto che vi è in questo contesto tra scienza e religione.

C’è una differenza profonda tra religione e scienza che dovrebbe invogliarci a non confondere ed intrecciare più i nostri discorsi: la religione rappresenta un modo di sentire la vita e pertanto si rivolge ad una sfera sensoriale che guarda all’interno dell’uomo, i cui input sono, cioè, da ricercarsi nell’uomo e non nell’habitat circostante; viceversa, le scienze sono una sempre più fine rappresentazione della realtà e perciò derivano da quei cinque sensi ordinari che si rivolgono all’esterno dell’uomo per raccogliere informazioni, osservazioni, fatti. Cosa siano, poi, le idee è un discorso diverso poiché esse derivano da un complesso mente-cervello che riceve informazioni sia dalla sfera sensoriale ordinaria che da quella interiore o ultrasensoriale; pertanto, non conoscendo in che modo operi questa interazione è difficile stabilire l’origine delle intuizioni. E’ chiaro, quindi, che la religione e la scienza, intese come modi di sentire, pensare e sperimentare, sono completamente distinte. Quando, invece, ci si interroga sulla natura dell’uomo e sulle sue idee ed azioni allora esse divengono proiezioni in spazi diversi di un’unica realtà. Che qualcuno voglia non considerare una di queste dimensioni è solo una questione di scelta personale. Non c’è una teoria esatta, oggettivamente accettata, ed una sbagliata; si tratta solo di voler analizzare un evento, la vita intera o l’evoluzione ed il progredire di una collettività in uno spazio le cui dimensioni sono quelle relative ai cinque sensi o aggiungerne a queste i partner corrispondenti che osservano, sentono e toccano l’uomo dal suo interno.

L’errore che purtroppo molti commettono è quello di considerare le diverse proiezioni della realtà come la realtà stessa; è questo processo di riduzionismo categorico che ha creato, in passato, le più profonde fratture tra scienza e religione e che, oggi, conduce alla frammentazione dei saperi.

Infine, non si può concludere senza affermare che infinito è il potere della storia. Essa, infatti, attraverso paesaggi, scenari e stati d’animo prova ad insegnarci il giusto condurci e come evitare gli errori di un pensare troppo superficiale e soggettivamente opportunistico. Il problema è che spesso, però, gli uomini confondono il riferimento con l’immagine, il contenitore con il contenuto, commettendo, così, esattamente gli stessi errori del passato in ambiti o situazioni diverse, ma pur sempre gli stessi errori. Con mani troppo frettolose, ingenue e troppo spesso poco ricche di conoscenza gli uomini del XX secolo usano più la gomma per cancellare pagine di storia e di successo che la penna per scriverne di nuove. Ci sono tradizioni senza le quali non può esserci futuro, anche se spesso alcuni vedono nella perdita di identica collettiva il consolidarsi della propria posizione in un futuro prossimo. Purtroppo questa considerazione vale anche per coloro che definiamo scienziati.

Il futuro è in ciò che ancora non è , ma soprattutto è attraverso la conoscenza ed il recupero di ciò che fu.

Forse gli scienziati non comprenderanno mai l’origine dell’universo, poiché essi la considerano una condizione iniziale, mentre potrebbe essere una condizione finale di un disegno a noi ignoto. Chissà che questo capovolgimento del punto di vista non possa portare a qualche risultato.

Ciò che possiamo augurarci è che gruppi di persone comprendano la necessità della condivisione di saperi diversi per progredire, poiché credo che questa sia l’unica accezione per la quale abbia davvero senso parlare di progresso.

Bibliografia Essenziale

1) P.Angela, Viaggi nella scienza, Ed.Garzanti, 1987.

2) F.Crick, La scienza e l'anima, Ed. Rizzoli, 1994.

3) F.de Felice, spazio, tempo e relatività, Quaderni Le scienze n.97, Ed Le scienze, 1997.

4) P.Davies, Il Cosmo Intelligente, Ed. Mondadori-DeAgostini.

5) F.Dyson, Mondi Possibili, Ed. McGraw-Hill, 1998.

6) S.Hawking, inizio del tempo e fine della fisica, Ed.Mondadori, 1992.

7) F. Hoyle, l'Origine dell'universo e l'origine della religione, ed. Oscar Monadori, 1993.

8) C.Jung, psicanalisi o psicologia analitica, Ed.Newton, 1998.

9) I.Kant, Critica della ragion pura, Ed.Bur,1998.

10) S.Moravia, L'enigma dell'esistenza, Ed. Feltrinelli, 1996.

11) C.Piancastelli, Uomini e Idee n.1-2/'97 pag.12-39 diretta da C. Piancastelli, A.Guida Editore.

12) F.Voltaggio, Uomini e Idee n.1-2/'97 pag.89-107 diretta da C. Piancastelli, A.Guida Editore.

13) S.Weimberg, I primi tre minuti, Ed.Mondadori-DeAgostini, 1994.

14) G.Zukav, Una sedia per l'anima, Casa editrice Corbaccio, Milano, 1998.

[1] GERIOV@PHYSICS.UNISA.IT

[2] Ciaikovskij, Rimpiangere il passato, sperare nell'avvenire, non essere mai appagato del presente: ecco tutta la mia vita.

[3] Beethoven, Spesso ho maledetto il Creatore e la mia esistenza. Plutarco mi ha insegnato la rassegnazione. Voglio, se possibile, sfidare il mio destino.

[4] G.Bruno, Solo con l'uso della matematica è possibile conoscere l'universo fisico.

L'autore ha sicuramente ragione riferendosi all'universo fisico, così come chiarisce, ma forse nell'Universo c'è qualcosa in più della sua componente fisica, visto che è in grado di emozionare anche coloro che poco capiscono della fisica o della matematica.