Il problema mente-anima e gli stati modificati di coscienza

Post date: 3-feb-2014 23.38.44

di: Corrado Piancastelli

Cenni introduttivi

La mente coincide con il cervello? Cos'è la coscienza? Per la maggior parte degli studiosi, la coscienza è la consapevolezza che l'uomo ha di sé e degli stadi psichici che percepisce in relazione al proprio schema corporeo e mentale. Ma non è solo così. Intanto la coscienza funziona in rapporto all'inconscio che costituisce il suo contrario. Infatti, esistono percezioni, impressioni e processi psichici che sono consapevoli e altri no e c'è una soglia che li separa. C'è poi una coscienza morale, vale a dire la guida o un orientamento interiore che ciascuno di noi ha rispetto alle azioni (indipendentemente se naturale o indotta, vera o falsa). Anche la coscienza morale è costituita da elementi emozionali, per esempio il comples­so di colpa, il pentimento, il senso del dovere, dell'onore e del disonore, del leci­to e dell'illecito, delle leggi, il senso di vergogna, di paura, ecc..

Le antinomie coscienza/inconscio si applicano sia alla coscienza psicologica sia a quella morale, ma esiste una seconda soglia tra l'inconscio e un mistero.

In questa circostanza per mistero s'intende ciò che non appare originato da facoltà psichiche conseguenziali a principi neuropsichici, per cui si deve parlare anche di coscienza creativa la quale nasce dall'inconscio stesso che, proprio in queste circostanze, diventa il crocevia di più possibilità, ovvero il territorio da cui promanano le vere radici della Persona, se per Persona intendiamo il soggetto creativo dotato di autocoscienza critica. E' in quest'area, quasi topografica, che si mostrano (e si determinano) le capacità astrattive più imponenti come l'intuizio­ne, i simboli, la libertà, la genialità, l'inventività, il bisogno di conoscenza e di subliminazione, l'appercezione e tutto il corredo della creatività dell'arte, fino alle percezioni extrasensoriali.

Per la filosofia, la definizione di coscienza è già più complessa. Essa, infatti, è quella di un rapporto dell'anima con se stessa e con le cose, una relazione intrin­seca all'uomo interiore o spirituale (Abbagnano, Dizionario di filosofia). Una concezione che dai primordi dell'età moderna comunque attraverserà tutta la filo­sofia, da Telesio a Campanella, fino a Cartesio e poi a Heidegger. E' chiaro che per i filosofi che trattano la coscienza, questa per forza di cose è ambivalente. Per Hume, ad esempio, la coscienza pur essendo incorporea (come per Cartesio), non è altro che un fascio di percezioni, mentre per Heidegger c'è il ragionevole inter­rogativo sull'incapacità di accordare la soggettività con gli oggetti. Heidegger sostiene che deve esistere una zona neutra entro la quale oggetto e soggetto si incontrano, e questa zona è l'Essere. Questo passaggio, sicuramente di gran finezza intuitiva, ci dice anche che l'Essere a cui stiamo alludendo non è una cosa o una sostanza come l'ha sempre intesa la tradizione, ma una realtà fuori dallo spa­zio-tempo, una condizione fuori dalla storia dei corpi. Com'è noto la tradizione cristiana accuserà Heidegger di aver distrutto l'Io soggettuale legato alla coscien­za del mondo. Ma la tradizione cristiana, non bisogna dimenticarlo, osteggia tutto ciò che in qualche modo costituisce uno stato di coscienza o di inconscio, collo­cato al di fuori del controllo del mondo sensibile. Saltano gli a-priori, perché è necessario il controllo e dunque l'oggetto non può essere collocato fuori, ad ecce­zione della divinità.

E' chiaro, a questo punto, che l'opposizione è preconcetta e non logica. Ecco perché con Heidegger è favorevole tutta la tradizione mistica di origine non cat­tolica e non può essere altrimenti. Il misticismo è con l'Essere fuori dal mondo, un'iperbole cioè che non parte dalla terra ma da quel ciclo utopico che è in cia­scuno di noi. Heidegger, infatti, non dice "Io", ma Ichsein, essere-io, cioè un altro modo di essere, una diversa modalità di autoesistenza. Il paradigma più evidente, del resto, nasce automaticamente dal comportamento della coscienza, la quale è continuamente controllata dall'inconscio, cioè da funzioni sotterranee che hanno un carattere invasivo sulla realtà. Né i riduzionismi sanno opporre altro se non un'indimostrabile correlazione fra stati cerebrali e stati mentali. L'esperienza sog­gettiva è ovviamente il centro, è il cuore della polemica, ma l'evidenza ci mostra una soggettività, specie se creativa, ben al di là delle possibilità (logiche) della neuro-biochimica cerebrale.

Tuttavia, se assumiamo il paradigma di funzioni della coscienza non correlate all'attività cerebrale in senso deterministico, la conseguenza non può essere che quella dell'Essere che si adatta ad un Io e non l'Io che determina l'Essere. Il pas­saggio ad un secondo stato di coscienza, o stato modificato dell'unica coscienza che conosciamo, entro questo paradigma appare scontato e quindi assume valen­za probatoria l'intero campo degli stati modificati. Ma a loro volta l'esistenza degli stati modificati (peraltro dimostrabili anche con l'EEG) è dimostrativa anche del dualismo e delle teorie antiriduzionistiche. Negli stati modificati è il soggetto che li determina o con la volontà o con l'uso di sostanze chimi che, o finanche con la creazione di uno stato silente del pensiero e della coscienza, dimostrando in tal modo che è la mente (o ciò che sembra essere mente) a modificare l'elettroence­falogramma e non le onde cerebrali a determinare lo stato modificato. Dov'è, in questi casi, l'identità fra stati mentali e stati cerebrali? Ancora una volta il centro del problema non è tanto la presunta opposizione di stati mentali e stati cerebrali, quanto quello della soggettività dell'evento (ovvero la possibilità di ridurre l'e­vento allo stato di soggettività). Parlando di eventi elettrofisiologici, noi comun­que parliamo di un tipo dell'energia. Ma non dovrebbe esserci alcun dubbio che, comunque stiano le cose, anche la mente è energia e anche l'Essere, se rendiamo l'Essere la substanzia che regge il paradigma dell'anima, vista questa nella sua esistenzialità ontologica. Forse dobbiamo imparare a leggere nella complessità della realtà universale e nel principio di unità che permea e pervade tutte le cose e di cui il principio (e concetto) dell'energia è solo un primo passo unificante. Se mi è concessa l'analogia, dovremmo cominciare a parlare di globalizzazione del pensiero filosofico e della coscienza ontologica.

Se il processo di modificare la coscienza rappresenta il passaggio da uno stato mentale definibile convenzionalmente lucido ad uno stato di coscienza soggettivo non attentivo e pre-linguistico, con la caduta della spazio-temporalità l'apparizio­ne di una seconda coscienza è veramente emblematica e fa sorgere numerosi importanti interrogativi sulla vera natura umana.

Basta osservare la quotidianità per restare sconcertati. Entriamo nel sonno fisiologico e perdiamo la consapevolezza senza averne coscienza, risvegliandoci con eguale assenza di partecipazione. Tra il risveglio ed il successivo sonno, tutti sperimentiamo, inoltre, vari stati crepuscolari ai quali non prestiamo attenzione e durante i quali percepiamo - come usciti dal nulla - intuizioni, fantasie, creatività, emozioni astratte, simbolizzazioni, alte forme espressive che alcuni definiscono alterazioni di coscienza, ma il cui significato deve essere ricondotto a quello di modificazione, perché l'alterazione presuppone un evento patologico. La civiltà è stata enormemente favorita e accresciuta dagli stati modificati di coscienza e tutta la storia umana lo dimostra contro ogni evidenza. Il sogno ha poi un ruolo tutto particolare all'interno di questo discorso, ma non di meno è interessante anche il sogno o visione o ispirazione ludica in un contesto di modificazione dello stato cosciente vissuto come intensa natura espressiva, che invece deriva da una coscienza alterata non sempre riconosciuta.

Il fisico Niels Bohr sognò il sistema planetario come modello per gli atomi, Sir Frederick Grant Bauting scoprì, in sogno, il procedimento di laboratorio per pro­durre l'insulina, Tartini sognò il celeberrimo "Trillo del Diavolo", il premio Nobel Otto Loewi, sognò la teoria della trasmissione chimica dell'impulso nervoso. Una delle basi chimiche, la teoria della struttura molecolare, fu un sogno di August Kekulè, per non parlare di Einstein, del matematico Poincarè, del fisico Mendeleew, di Ciajkovsky, di Beethoven, di Shelley, di Goethe ( "Scrissi Werther in uno stato di quasi incoscienza, come un sonnambulo, e mi meravigliai quando mi resi conto di ciò che avevo fatto") e altre centinaia di grandi autori che rac­contano lo stato di sospensione della coscienza attraverso la quale (o per mezzo o a causa della quale) realizzarono le loro maggiori opere. Scrisse il poeta William Blake: "Ho scritto questo poema (II Milton) sotto dettatura diretta, dodici e anche venti o trenta versi per volta, senza premeditazione e perfino contro la mia volontà". Dichiarazioni più o meno simili hanno pronunciato altri. Richard Strass: "Mentre le idee scendevano su di me, la musica intera, battuta per battu­ta, ebbi l'impressione che mi dettassero due entità onnipotenti del tutto diver­se. .. ". Puccini: "La musica di quest'opera (Madama Butterfly) mi fu dettata da Dio, io funsi semplicemente da strumento nel metterla nero su bianco e nel tra­smetterla al pubblico ".

Brahms sottolineò: "Per conseguire tali risultati, debbo essere in uno stato di semitrance, uno stato in cui la mente conscia è temporaneamente in sospeso e la mente inconscia prende il comando.

Il preludio "L'oro del Reno" fu letteralmente sognato da Wagner in una specie di torpore che aveva preso il posto del sonno. Shelley dichiarò: "Uno dopo l'al­tro i più grandi scrittori, poeti e artisti confermano il fatto che la loro opera giun­ge loro da oltre la soglia della coscienza ".

Per gli antici, si sa, la creatività era un dono del cielo poiché, come diceva Socrate, ciascuno di noi ha il suo daimon. Apuleio (125 d.c.) poteva così sostene­re, in "II demone di Socrate" che "gli dèi sono separati da noi ed estranei alla nostra esistenza" ed ammetterà che effettivamente esistono funzioni mediatrici per correlare la natura divina alla natura umana.

Oggi non crediamo più agli dèi, ma che queste funzioni mediatrici tra la realtà e l'irrealtà interiore esistono realmente e si realizzano attraverso stati modificati di coscienza e che tutto ciò si svolge nella trama dell'inconscio, il quale finisce col non poter essere considerato solo quale risultato esclusivo del rimosso, ma anzi quale misteriosa funzione germinatrice dell'uomo superiore e creativo. Vorrei sottolineare che tutto ciò rientra legittimamente nel quadro di riferimento di quan­to stiamo ri-definendo come discorso laico intorno al paradigma dell'Anima la quale potrebbe rappresentare "l'altro me" o secondo stato di coscienza inapparen­te, probabilmente costruita sul principio simmetrico dell'inconscio di cui ampia­mente ha trattato Matte Bianco. Devo ricordare che il principio simmetrico in base al quale dovrebbe funzionare la seconda coscienza è regolato sul linguaggio del­l'inconscio e dunque è senza grammaticalità e sintatticità ed è privo delle catego­rie spazio-temporali.

Non sono queste le caratteristiche dell'intuizione, della simbolizzazione, della metaforicità, dell'ispirazione artistica e scientifica, della cosiddetta illuminazione mistica e non mistica? Non viviamo determinate situazioni creative o realistiche, come se non fossimo noi, come se provenissero da un punto "che non è ricono­sciuto come Io " ?

Il caso di Dimitrj Ivanovic Mendeleev ci appare un esempio significativo e probante per la tesi della struttura parallela all'inconscio. "Un giorno - scrive B.M. Kedrov (On thè question of Scientifìc Creatività, in Voprosy Psikologii, voi. Ili, 1957) - nel 1869, Mendeleev andò a letto sfinito dopo aver cercato con tutte le forze di concepire un modo di classificare gli elementi in base al peso atomico. "Vidi in sogno", raccontò poi, una tavola in cui tutti gli elementi si mettevano nel posto necessario. Al risveglio presi nota immediatamente su un pezzo di carta. Soltanto in un punto, più tardi, sembrò necessaria una correzione ".

Si potrebbero scrivere molte pagine di citazioni, ma mi fermo qui. Andrei, comunque, più avanti dell'opinione di Tart secondo il quale il punto di vista radi­cale (secondo il quale la coscienza proviene dal di fuori dell'attività cerebrale) offrirebbe "prove scientifiche che la coscienza può esistere temporaneamente in un modo che sembra indipendente dal corpo fisico, con prove sufficienti da auto­rizzare a concedere all'idea una seria considerazione e fare della ricerca su di essa".

Sarei dell'avviso che bisognerà parlare in modo più preciso e circostanziato di coscienza creativa e morale per distinguerla dalla coscienza psicologica e, quindi, dalla mente computazionale. Ed essere più coraggiosi nel sostenere le ragioni del dualismo, non per questioni di principio, ma perché vi sono fondati motivi, filo­sofi e scientifici, per una visione globalizzante del mondo che tenga presente anche la trama invisibile di una coscienza sotterranea che tanta parte occupa della nostra vita esistenziale quotidiana.

Riferimenti:

G. Lapassade, Saggio sulla trance, Feltrinelli, 1980 W.Barman e H.Rheingold, Creatività superiore, Astrolabio, 1986

C. Tart, Stati di coscienza, Astrolabio, 1975

C. Piancastelli, Conferenze varie