Cervello e mente

Post date: 6-nov-2011 19.52.46

Discussioni e opinioni a confronto

Di:

Carlo Loeb*

Il dualismo cartesiano mente-cervello, la concezione di una netta separazione tra pensiero o mente o anima da un lato, e corpo e materia dall’altro, ha ripreso vigore in questi anni specie con le opere di Popper e Eccles (1977) ed Eccles (1986, 1989, 1993). Il tema è stato, naturalmente, affrontato anche da filosofi con orientamenti diversi, identificabili secondo Bunge e Ardiles (1987) in due gruppi principali: dualismo psicofisico, per cui la mente è una entità separata dal cervello, e monismo psicofisico, per cui le funzioni mentali sono espressione dell’attività nervosa a livello cerebrale.

Appare necessario, prima di proseguire, indicare che cosa si intende per “mente”, termine che per alcuni deve essere scartato (Bellone, 1992), ma che utilizzo per adeguarmi all’uso che ne viene fatto dalla maggioranza di chi scrive su questo argomento, anche se, per noi neurologi, può essere sostituito dal classico e antico “funzioni intellettive “, più attuale; ‘funzioni cognitive “, termine ampiamente utilizzato dalla.neuropsicologia e dalla neurologia, oppure dalla usuale denominazione neurofisiologica, che dall’inglese “higher brain function”, ha derivato “funzioni cerebrali superiori”. La “mente” comprende il linguaggio, l’apprendimento e la memoria, il pensiero, ma anche, contrariamente a quanto ritenuto nel passato, le emozioni e gli affetti, tanto che le neuroscienze emozionali sono la prossima frontiera di ricerca nelle relazioni tra mente e cervello (Le Doux, 1995). Ma le funzioni ora indicate, possono essere prese in esame e valutate solo in un soggetto in cui l’attività di coscienza sia integra per cui anche lo studio della funzione di coscienza deve essere incluso.

Attualmente il problema viene affrontato, adeguandosi ai risultati delle moderne ricerche, in maniera solo apparentemente diversa. Ad esempio, Chalmers (1995) distingue, nell’indagine dei processi mentali, “problemi facili” e “problemi difficili”. I problemi facili sono o saranno risolvibili con le neuroscienze, mentre i problemi difficili riguardano l’antico dilemma, sempre attuale per Chalmers, consistente nella difficoltà di comprendere e spiegare come un processo fisico, che interviene a livello cerebrale, possa dare origine a eventi o funzioni mentali. Il problema espresso in questi termini è, a mio giudizio, malposto, o comunque espressione di un predeterminato orientamento di pensiero, e per chi desidera le etichette, di un orientamento dualistico. Supporto alla enunciazione dualistica è la credenza dell’immortalità dell’anima e la tradizione religiosa o, talora, forse solo l’orgogliosa difesa delle “alte” prerogative della specie umana rispetto agli altri esseri viventi. Ritengo che colga nel segno Searle (1992), affermando che l’apparato dottrinale filosofico di matrice cartesiana con attaccamento a categorie e terminologie classiche, sia responsabile della postulata opposizione tra fisico e mentale, tra corpo e mente. Ancor oggi vengono utilizzate, suscitando sorpresa e un poco di sgomento in un ricercatore di neuroscienze, terminologie quali: dualismo interazionista, dualismo di proprietà, materialismo eliminativo, materialismo radicale, materialismo personalistico, monismo materialistico, funzionalismo, olismo, fisicalismo e altri ancora fino a raggiungere l’elenco di trentatrè “ismi” riportati da Edelman (1992), elencazione, peraltro, ancora incompleta.

Certamente esistono nell’ambito della valutazione delle funzioni mentali una serie di interrogativi di cui forse il principale è quello della “soggettività” cioè il fatto che una serie di funzioni mentali abbia una connotazione soggettiva che sfugge all’indagine. L’esperienza e il riconoscimento delle proprie funzioni cognitive, del proprio corpo, e del mondo esterno come esperienza personale appare uno degli aspetti più rilevanti e un reale ostacolo alla comprensione dei processi utilizzati dalle funzioni mentali. Non voglio naturalmente affrontare il tema della soggettività, né opporre l’ontologia dell’osservazione alla sua epistemologia. Sono convinto che il problema delle funzioni mentali non può primariamente essere posto in termini speculativi e filosofici e the l’opposizione mente - corpo non può essere accettata a priori. Bisognerebbe forse ritenere che un evento mentale non possa essere contemporaneamente fisico? In questo caso, quale potrebbe essere la valutazione degli stati di confusione mentale e di ideazione patologica derivati dall’assunzione di alcool o di farmaci psicoattivi, oppure un approccio di questo tipo deve essere considerato sul piano filosofico un rozzo atteggiamento mentale?

Oggi forse si potrebbe dire che i problemi facili sono quelli che si riferiscono alla funzione del cervello per l’attività mentale e i problemi difficili quelli che sono in relazione con i meccanismi e i processi utilizzati dal cervello per realizzare le funzioni mentali. L’approccio neuroscientifico appare l’unico possibile e la comprensione del funzionamento del sistema nervoso risponderà ai quesiti essenziali. Successivamente e solo quando i problemi che Chalmers definisce facili avranno la loro risoluzione, il pensiero filosofico valuterà ed elaborerà i dati derivati dalle ricerche delle neuroscienze.

In effetti le neuroscienze hanno già oggi raggiunto risultati che appaiono importanti, anche se ancora la risoluzione del problema non è raggiunta. La neuropsicologia e le neuroimmagini hanno portato la dimostrazione, come ho cercato di evidenziare in un recente libro scritto con Gian Poggio, e che vedrà la luce nei primi mesi di quest’anno, per i tipi della Società Editrice Universo di Roma, che il cervello funziona come organizzazione modulare distribuita in diverse aree. Cerchiamo, brevemente, di chiarire questa terminologia e quello che sottende. Le osservazioni sperimentali di questi ultimi 30 anni hanno dimostrato che formazioni corticali e sottocorticali sono costituite da piccole unità, denominate “moduli”, la cui identità funzionale è stata individuata da Mountcastle (1957). D’altra parte le osservazioni sui primati e i dati sull’uomo delle tecniche di neuroimmagine (risonanza magnetica funzionale, tomografia ad emissione di positroni, magnetoencefalografia), e i dati desunti dalle osservazioni neuropsicologiche sull’ uomo hanno profondamente modificato le nostre conoscenze e pongono prepotentemente in campo il rilievo che le funzioni cognitive emergano dalla interazione di un notevole numero di processi unitari semplici (moduli) organizzati in un sistema distribuito. In particolare, le osservazioni neuropsicologiche dimostrano che alcuni soggetti presentano alterazioni isolate di determinate funzioni fasiche: ad esempio alterazioni fasiche che si riferiscono esclusivamente ai nomi propri o ai nomi comuni, ad aspetti fonologici o ortografici o al significato e non alla denominazione.

Anche la memoria ha tipi diversi (memoria a breve termine, memoria a lungo termine, che comprende la memoria riflessiva e la memoria dichiarativa) con coinvolgimento di aree cerebrali abbastanza bene individuate. Le neuroimmagini suffragano queste vere acquisizioni con la dimostrazione che le aree interessate a funzioni del linguaggio e mnesiche sono distribuite in aree diverse anche distanti tra loro. Anche le attuali osservazioni riguardanti il pensiero, le emozioni e gli affetti portano ulteriore conferma che le aree coinvolte sono molteplici e distribuite nell’ambito cerebrale. Per quanto si riferisce alle funzioni di coscienza il modello clinico appare un utile approccio permettendo di presentare alterazioni isolate del sé corporeo (identità, continuità temporale e confini), delle funzioni cognitive, del mondo esterno e del riconoscere la propria attività cognitiva.

Sono state individuate le diverse aree cerebrali che intervengono per la realizzazione di queste funzioni, aree che si ritrovano spazialmente distribuite a livello cerebrale.

Molto ancora è il cammino da percorrere per identificare i meccanismi cerebrali responsabili delle funzioni cognitive ma la strada è stata imboccata e non mancano dati sperimentali per evidenziare i meccanismi utilizzati da aree distribuite per una funzione complessiva.

Ritengo che l’antica enunciazione di Claude Bernard (1865), che mi accingo, in parte, a riportare, sia ancora attuale per chi si occupa di ricerca scientifica e non di filosofia. “Lo studio di problemi biologici, non ha bisogno di risalire ad alcun problema filosofico e lo sperimentatore vuole conoscere la verità per sé stessa e non perché possa servire di controllo a questo o quel sistema filosofico. Ogni forma di sistema deve essere evitato perché i sistemi non esistono in natura, ma solo nella mente degli uomini, per cui anche il positivismo che, in nome della scienza, rigetta ogni sistema filosofico ha il torto di essere anch’esso un sistema. Il sistema filosofico migliore è quello di non averne alcuno, ma non si deve respingere quello spirito filosofico che, senza essere in nessun luogo, è dappertutto e senza appartenere ad alcun sistema regna non solo in tutte le scienze ma in ogni parte di conoscenza umana”.

Se un approccio filosofico dovesse esser realizzato sulla base delle attuali conoscenze, un cultore di neuroscienze può sentirsi attratto dal “materialismo emergente”, cioè dalla constatazione che una serie di componenti di un sistema possono dar origine a un risultato funzionale che, considerando isolatamente le singole componenti, non sarebbe possibile prevedere. La funzione mentale farebbe parte di questo tipo di attività, ed oggi la neuropsicologia e le neuroimmagini dimostrano che esistono singole attività da definire subcategoriali, rispetto all’attività categoriale complessiva per quella determinata funzione cognitiva. Non saremmo in grado di valutare la durezza dei diamanti se considerassimo solo lo studio di atomi di carbonio isolati e la loro interazione, poiché l’insieme è differente dalle caratteristiche delle singole parti (Rumelhart e McClelland, 1986).

Il problema sta nel fatto che, in rapporto alla carenza di conoscenze biologiche l’elaborazione filosofica interviene, come è spesso accaduto nel passato, e sembra sostituirsi allo studio dei processi biologici. Si può facilmente obbiettare che questa affermazione appare generica, poiché ovviamente nessuno conosce le future acquisizioni scientifiche.

Tuttavia, si può, oggi, affermare che le neuroscienze sperimentali e cliniche sono in grado di affrontare i quesiti posti dalle funzioni cognitive e che l’elaborazione filosofica non potrà che avvenire in tempi successivi. In conclusione la posizione di Chalmers (1995) è ovviamente da me condivisibile per quanto si riferisce ai “problemi facili”, mentre il riconoscimento della opposizione mente-corpo, dato per scontato, non è dimostrato ma solo postulato.

Note:

*Professore emerito di Neurologia dell'università di Genova

Bibliografia

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