Cristiani e musulmani in dialogo per progettare "insieme" il futuro

Post date: 28-mar-2014 21.40.34

di: Diana Pezza Torrelli

"Allo straniero - suggerisce lo scrittore ebreo E. Jabès - non domandare il luogo di origine, ma il luogo del suo avvenire. Egli ti permette di essere te stes­so, facendo di te stesso uno straniero." Se chiedi allo straniero - a colui che avverti diverso da te per cultura, religione, provenienza - il luogo della sua ori­gine, cogli le distanze da lui, lo senti estraneo e altro da te. Se gli chiedi il luogo del suo "avvenire", potresti scoprire che egli va nella tua stessa direzione, che puoi fare con lui un tratto di strada insieme, che hai le sue stesse aspirazioni, che insieme a lui sei partecipe dell'umana avventura.

Appena ventenne ho incontrato la spiritualità dell'unità, una spiritualità indi­viduale e collettiva che ha dato vita al Movimento dei Focolari. Movimento fondato da Chiara Lubich, italiana nata a Trento che, nel veder crollare ogni progetto o sogno, sotto le bombe della seconda guerra mondiale, scopre con le sue prime compagne che la vita va vissuta subito e con totalità nell'incontro con gli altri, per gli altri, "perché tutti siano Uno" così come hanno scoperto seguen­do un nuovo volto di Dio: Dio Amore che chiede che tutti gli uomini siano uno tra loro; un Dio il cui sogno è la fraternità universale. Avendo scelto Dio come ideale della loro vita, Chiara e le prime compagne, pur sotto le bombe sono viste dai concittadini come ragazze serene, disponibili, pronte all'ascolto ed all'aiuto per tutti.

Finita la guerra l'esperienza di questo piccolo gruppo si diffonde a macchia d'olio tra persone di condizione diversa (Suore, coniugati e vescovi), di culture diverse (credenti e senza riferimento religioso) di religioni diverse (cristiani, ebrei, musulmani, buddisti, hindù...), del nord e del sud del mondo ed oggi è presente in 186 paesi del mondo con più di 6 milioni di aderenti, di cui 6000 sono musulmani.

Dall'incontro con culture e fedi diverse, nasce nel Movimento, l'urgenza di fare del dialogo uno "stile " di vita. Non c'è confusione, superficialità, approssimazione, sincretismo ma solo e sempre il desiderio di " incontrare" l'altro e di porsi accanto come fratelli per realizzare progetti comuni di giustizia e di pace perché: "tutti siano uno". Tutti e non solo tutti i cristiani o tutti i bianchi o tutti i credenti ma tutti gli uomini. Nasce e cresce fra i membri del movimento l'ur­genza di sviluppare una cultura di pace per l'unità dei popoli. In questi ultimi anni Chiara Lubich, fondatrice e Presidente del Movimento, ha sempre ribadito, nei suoi interventi in tutto il mondo, che bisogna realizzare la fraternità.

L'epoca contemporanea ha un suo punto di rinnovamento nella proclamazio­ne di tre principi, presenti in buona parte delle rivoluzioni sviluppatesi nei vari continenti: libertà, uguaglianza, fraternità.

I primi due sono attuati solo in parte e saranno sempre incompleti e in peri­colo, finché non nascerà in ogni regione del mondo la viva coscienza anche del terzo principio: la fraternità universale. O l'umanità intera si riscopre come una unica famiglia o è destinata a veder moltiplicare i conflitti religiosi ed etnici capaci di coinvolgere la stessa intera umanità.

Nell'incontro con donne e uomini di religione islamica, in tutti i paesi del mondo, ma principalmente in Algeria, USA e Pakistan, noi sentiamo l'urgenza di far leva sui tanti punti in comune che ci legano per poter dare al nostro vissu­to quotidiano, ma anche ai nostri incontri una dimensione di progettualità con­divisa per lavorare insieme per i più deboli, per la giustizia, per la fraternità e la pace.

Smantellare anni di ignoranza reciproca e di pregiudizi non è facile, noi spe­rimentiamo che lavorare insieme, ci porta alla stima ed alla scoperta di radici e riferimenti comuni. Presente in tutti i libri sacri delle grandi religioni c'è la cosiddetta "Regola d'oro" che recita: "Non fare agli altri ciò che non vuoi venga fatto a te - Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te". E' presente nella Torah degli ebrei, nel Vangelo dei cristiani, nel Corano, nel libro di Budda, degli Hindu, dei Sikh, in Tao, in Confucio ma è presente in tutte le culture, e sta al cuore di ogni sistema morale; fuori la sala dell'assemblea dell'ONU è scritta sotto un grande mosaico, a sintesi di codici etici universali.

Ma non solo; ogni mese noi cristiani del Movimento dei focolari scegliamo una frase del Vangelo commentata da Chiara Lubich e cerchiamo di "viverla", di metterla in pratica; già da qualche tempo, i nostri amici musulmani, per poter condividere con noi questa esperienza, commentano una sura del Corano corri­spondente al brano del Vangelo ed anche loro si impegnano a tradurla in vita.

Questa pratica crea naturalmente condivisione, empatia, fraternità.

Non siamo solo noi cristiani ad essere distinti in tante chiese, anche tra i musulmani ci sono differenze, tra sunniti e sciiti, tra etnie e tradizioni diverse e questo naturalmente crea difficoltà, contrapposizioni, perfino lotte. La spiritua­lità dell'unità è preziosa anche per loro come per tutti gli altri gruppi.

Qualche tempo fa alcuni amici musulmani pakistani, che condividono con noi l'impegno a vivere tale spiritualità, furono chiamati a parlare in una moschea a Lussemburgo dove musulmani di diverse etnie erano sempre in con­trasto tra loro; uno dei relatori pakistani pose l'accento sull'urgenza di una con­vivenza armoniosa anzitutto tra i musulmani per poter realizzare poi anche una più armoniosa convivenza all'esterno e concludeva :" se volete imparare a con­vivere fraternamente nonostante le differenze, andate in focolare".

Proprio in questi giorni si è inaugurata una cittadella in Pakistan dove vivranno insieme cristiani e musulmani nello spirito dell'unità.

Nel maggio 1997 Chiara Lubich è stata chiamata a parlare nella moschea di Malcom X di New York e, prima donna bianca e cristiana, ha parlato dell'unità a più di 3000 musulmani afro-americani che in convegno pubblico nel novem­bre 2000 a Washington D C la riconoscevano loro leader al fianco dell'imam W D Mohammed.

Dopo i tragici giorni di settembre 2001 tale dichiarata volontà di fraternità rappresenta un punto fermo allo smarrimento che ha colpito tanti.

Da anni in Algeria fanno insieme esperienze di condivisione cristiani e musulmani di quelle terre. E, da una recente intervista in tv, emergeva come sia forte a livello popolare l'ansia di giustizia, nonostante i gruppi di fondamentali­sti che, pur numericamente meno numerosi, gridano e si impongono all'atten­zione dei media e come proprio le donne algerine siano le più convinte sostenitrici di una fraternità e democrazia popolare.

In un tempo di profondi e "accelerati" mutamenti sociali come quello attua­le, ma anche di tendenza alla omogeneizzazione ed all'appiattimento delle cul­ture, mi pare urgente la scelta, personale oltre che istituzionale, di essere donne e uomini del dialogo.

Il dialogo è un'esigenza e un segno dei nostri tempi. Nei rapporti sociali e politici suscita speranza, nelle relazioni familiari e scolastiche produce armonia, negli scambi culturali e religiosi evidenzia la comune fraternità umana.

Non camminiamo verso una società multiculturale, multietnica e multireligiosa, già siamo una società multiculturale, multietnica e multireligiosa. Non possiamo aspettare né tantomeno pensare di alzare muri, nuovi muri, e filo spi­nato per difenderci.

Facciamo delle nostre città luoghi aperti ove ospitare il dialogo ed il con­fronto reciproco nella convinzione che la diversità è una ricchezza per l'umanità e che l'unità è una ricchezza per la diversità; l'unità nella diversità passa attra­verso la valorizzazione di apporti diversi, piccoli o grandi, senza voler appiatti­re o omologare alcun contributo, senza rinunciare alla fatica dell'incontro e del dialogo, senza perdere, anzi valorizzando la propria cultura, fede o tradizione.

Partiamo dalla convinzione che nessuna cultura può essere considerata pre­minente o superiore alle altre e che ognuna ha bisogno delle altre e per questo è necessario puntare sulla conoscenza, sull'ascolto reciproco, sul dialogo.

Stiamo avviandoci a passi da giganti verso l'Unione Europea e certamente questa Unione passa attraverso l'incontro ed il rispetto di culture e fedi diverse, di tradizioni ricche ma distanti di popoli con lingue diverse che dovranno insie­me progettare il futuro di questa nuova realtà che sarà L'Europa. Ma intanto, e non dopo, i processi migratori ci portano all'incontro con culture ancora più lontane, ad una convivenza ricca di diversità culturali e religiose e non possia­mo aspettare, né possiamo sottrarci all'unica via possibile per una convivenza pacifica e fruttuosa: la via del dialogo interculturale ed interreligioso.

Promuovere il dialogo deve essere impegno di tutte le chiese, di tutte le reli­gioni, di tutti gli uomini che credono in una convivenza di pace. Impegno degli Stati ma anche delle società e di tutte le agenzie educative che si devono far cari­co dell'educazione al rispetto delle diversità e della conoscenza di tali diversità.

La vicenda dell'11 settembre ci ha dimostrato che non c'è muro, filo spinato o armamento che tenga di fronte alla violenza; o salviamo insieme questo mondo, che è uno solo, o periremo tutti insieme. E' un problema di civilizzazio­ne, di prospettiva planetaria, ed allo stesso tempo un problema semplice e da tutti vivibile, perché ad incontrarsi non saranno entità astratte e altre da noi, ma uomini, persone, donne, bambini con il loro bagaglio di sogni, speranze, debo­lezze, limiti, progetti concreti. Dobbiamo essere noi a riscoprire questa meravi­gliosa ma faticosa arte del dialogo, dell'incontro con l'altro diverso e fuori da me. E' la sfida che il nostro tempo ci lancia.

La capacità di vivere la nostra identità in un contesto di pluralità.

In questi ultimi tempi le varie reti televisive hanno sfornato decine e decine di programmi che si proponevano di far incontrare le diverse culture. Ben poche volte ho assistito ad un confronto serio, costruttivo, di riferimento e modello per gli spettatori. Si assiste in realtà ad un "match", i contendenti ven­gono aizzati, incalzati, contrapposti, fatti salire sul " ring" ed il povero spettato­re, spinto a patteggiare per l'uno o per l'altro, matura la convinzione che non ci può essere incontro, dialogo, non dico tra culture e fedi diverse ma addirittura tra generazioni, tra coniugi, tra tifosi di squadre diverse, tra le "due Italie" e così via.

C'è un divario abissale tra parole e vita quotidiana.

"Diverso" è una parola ma bisogna riempirla di contenuto, di "vissuto" altri­menti alla fine restiamo tutti spaventati, feriti, sgomenti, senza speranza e pro­getti per il futuro.

Perché non proporre e valorizzare le tante e tante esperienze positive di incontro che si realizzano tra singoli, gruppi e comunità ?

Perché non fare progetti a lungo termine iniziando dalla scuola?

I bambini si incontrano con i "diversi" senza pregiudizi, senza difficoltà, perché guardano alla persona, vivono il rapporto. E' con gli anni e l'influenza dell'ambiente e dei più grandi che cominciano a distinguere ricchi e poveri, bianchi e neri, cristiani e " altri".

A Napoli lavoriamo da anni per diffondere il rispetto delle diversità e quindi la conoscenza di culture e fedi diverse. Per il dialogo islamo-cristiano andiamo a parlare io cattolica e Mahad Hassan Ali musulmano, dove siamo chiamati, per testimoniare anzitutto il nostro rapporto di stima e affetto reciproci e poi la comune tensione ad una società più giusta e più in pace. Il "luogo" per eccellen­za dove andiamo sono le scuole, di ogni ordine e grado, e ai giovani annunziamo l'unica appartenenza alla famiglia umana, i punti fondamentali di contatto tra le nostre fedi, l'urgenza di porsi in dialogo con chi è diverso, a cominciare da ogni forma di diversità del loro quotidiano (famiglia, scuola, quartiere), per poter incidere in futuro nelle scelte fondamentali che ogni cittadino è chiamato a fare.

II 14 dicembre scorso, giorno di digiuno e preghiera per la pace, la città di Pomigliano d'Arco promosse un incontro dal titolo: "Tre religioni per un solo ideale: la pace"

In qualità di vicepresidente dell'Associazione Amicizia Ebraico-Cristiana di Napoli rappresentavo l'ebraismo, un parroco il cristianesimo e Mahad l'islam. Dopo una tavola rotonda sulla pace nella sala consiliare, con le istituzioni cittadine, ci fu una fiaccolata per le vie della città culminata con la posa a dimo­ra di tre alberi per la pace: un ulivo, un abete ed una palma, simboli delle cultu­re e delle terre delle tre fedi abramitiche.

Poi una veglia-digiuno partecipata da tutta la città.

Domenica 16 dicembre scorso terminò il Ramadan, mese di digiuno e di preghiera per i musulmani. Il delegato diocesano di Napoli per l'ecumenismo ed il dialogo, P. Paolo Gamberini ed io, abbiamo condiviso con le due comunità islamiche di Napoli questo momento di preghiera e di festa.

Abbiamo consegnato all'Imam Abdullah ed al responsabile della moschea di Piazza Mercato la lettera del Card. Arinze (Presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo Interreligioso). Lettera rivolta agli amici musulmani di augurio per la fine del Ramadan e di appello a lavorare insieme per la difesa dei valori umani.

L'Imam Abdullah comunicò a tutta la comunità islamica raccolta in preghie­ra nella Galleria Principe Umberto di Napoli il titolo della lettera del Card. Arinze e l'invito a partecipare ad un convegno all'Ist. Italiano per gli studi Filosofici di Napoli, palazzo Serra di Cassano promosso dall'Amicizia Ebraico-Cristiana dal titolo : "Federico II: la tolleranza tra ebrei, cristiani e musulmani, un esempio per il mondo di oggi".

Piccoli segni, un sottobosco di rapporti e di collaborazione che non fanno il rumore dei grossi tronchi ma che crescono e si diffondono. Perché è vero: come è diffusiva e contagiosa la violenza così è diffusiva la pace, ma fa meno notizia.

Nel gennaio '89 a Melbourne Chiara Lubich inviava un messaggio alla Conferenza Mondiale delle religioni per la Pace e, tra l'altro diceva: "Alla fine di questo millennio e all'approssimarsi del terzo, l'amore dovrebbe diven­tare sempre più costume nostro e di molti. L'amore, la forza più potente, feconda, sicura, che può legare ogni società. Diffondere l'amore. Insegnare ad amare per insegnare a dialogare."