Freud, Cassirer, Kandinsky l’inconscio, le parole, le immagini.

Post date: 24-dic-2011 0.02.55

di: Gabriele Pulli *

1. La pratica psicoanalitica si basa sull'ipotesi secondo cui la sfera più profonda della psiche è inconscia e sulla possibilità di comunicazione tra questa sfera e quella della coscienza.

Il senso della teoria psiconalitica non può che racchiudersi, quindi, nell'aspi­razione a definire sempre più compiutamente le condizioni di questa possibile comunicazione, a sintonizzarsi sempre più nitidamente sul confine che divide -ed unisce - coscienza e inconscio.

2.In un fondamentale saggio del 1915, L'inconscio, Freud definisce puntualmente, e al tempo stesso problematicamente, questo confine: "Tutto a un tratto pensiamo di aver capito in che cosa consiste la differenza tra una rappresentazione conscia e una rappresentazione inconscia [...]: la rappresentazione conscia comprende la rappresentazione della cosa più la rappresentazione della parola corrispondente, mentre quella inconscia è la rappresentazione della cosa e basta" (1).

La rappresentazione inconscia è priva di parola, è soltanto una rappresenta­zione della "cosa". Essa "consiste nell'investimento, se non delle dirette imma­gini mnestiche della cosa, almeno delle tracce mnestiche più lontane che deri­vano da quelle immagini" (2). Appartiene, quindi, alla sfera dell'immagine.

La rappresentazione della parola, essendo le parole costituite da suoni, appartiene - invece - alla sfera del suono.

E la coscienza, in quanto aggiungersi della rappresentazione della parola alla rappresentazione della cosa, appare come un sovrapporsi a qualcosa che appar­tiene alla sfera dell'immagine di qualcosa che appartiene alla sfera del suono.

3. Ma perché una rappresentazione della cosa può accedere alla coscienza solo in virtù del suo legame con una parola e non può farlo direttamente? In virtù di quale carattere, di cui l'immagine è priva, la parola può dare luogo alla coscienza? (3)

Anche a questa domanda, Freud da una risposta puntuale: "la congiunzione con parole può dotare di qualità anche quegli investimenti che non possono derivare qualità alcuna dalle percezioni stesse, in quanto corrispondono a mere relazioni fra le rappresentazioni degli oggetti. Tali relazioni, che diventano comprensibili solo per il tramite delle parole, sono una parte essenziale dei nostri processi di pensiero" (4). Le parole hanno la proprietà di mettere in rela­zione una rappresentazione con un'altra, di collegare tra loro le rappresentazio­ni che in se stesse possono riferirsi soltanto alle "cose", non alle loro relazioni. E questa proprietà di inserire le rappresentazioni in un contesto di relazioni è essenziale per il pensiero. Soltanto quando ciò avviene, un determinato conte­nuto può dirsi cosciente o almeno - come si vedrà - compiutamente cosciente.

4. Nel 1923, nel secondo capitolo di un altro fondamentale saggio, L'Io e l'Es, Freud ritorna su questo punto ridefinendo in termini meno drastici il rapporto tra coscienza e immagini mnestiche. In questa circostanza, attribuisce a tali immagini quella possibilità di accedere direttamente alla coscienza che precedentemente - in prima approssimazione - aveva escluso: "Non dobbiamo [...], per amor di semplificazione, dimenticare l'importanza dei residui rimestici otti­ci, quando essi si riferiscono a cose, né trascurare o negare la possibilità che il diventare cosciente dei processi di pensiero si realizzi attraverso il ritorno di residui visivi" (5).

La rete di relazioni istituita dalle parole resta tuttavia essenziale per il pen­siero cosciente, sicché questo divenir direttamente coscienti dei residui visivi risulta incompiuto: "Si costata allora che perlopiù soltanto il materiale concreto del pensiero diventa cosciente, mentre non può essere data espressione visiva a quelle relazioni che costituiscono le caratteristiche peculiari dell'attività di pen­siero. Il pensare per immagini è dunque un modo assai incompleto di divenire cosciente" (6).

Ma proprio in virtù di tale incompiutezza, il "pensare per immagini" appare come una forma in cui la coscienza è singolarmente vicina all'inconscio, come una forma in qualche modo cosciente che mantiene tuttavia le prerogative, le peculiarità dell'inconscio: "Un tale pensare è inoltre in un certo modo più vici­no ai processi inconsci di quanto lo sia il pensiero in parole" (7).

5. La fondamentale domanda sul perché esista una vita psichica inconscia si è appagata per lo più della risposta più immediata, che si risolve sostanzialmen­te nel concetto di rimozione. Secondo questa risposta, determinate rappresenta­zioni, corrispondenti a desideri o comunque a istanze psichiche, vengono rimosse, cioè allontanate dalla coscienza, perché - a vario titolo - risultano inac­cettabili per essa, e si rifugiano in un 'luogo' della psiche - appunto l'inconscio - al riparo dalla sua luce (8). A questa risposta è anche correlata una soluzione già definita del problema di come sia possibile la comunicazione tra l'inconscio e la coscienza: se il contenuto inconscio aveva già avuto la forma della coscien­za vuoi dire che è in grado di assumere questa forma e, dunque, che può farlo nuovamente.

Nel saggio del 1915, tuttavia, Freud riconosce ben esplicitamente l'esistenza di una sfera dell'inconscio che eccede il rimosso: "è nostra intenzione chiarire fin dall'inizio che il rimosso non esaurisce tutta intera la sfera dell'inconscio. L'inconscio ha un'estensione più ampia; il rimosso è una parte dell'inconscio" (9). E poco oltre, ancor più radicalmente, afferma: "i processi psichici in quanto tali sono inconsci" (10). All'inizio del secondo capitolo dell'Io e l'Es, arriva fino a riconoscere l'opportunità di dedicare maggiore attenzione a questa sfera dell'inconscio non rimosso: "La ricerca in campo patologico ha fatto sì che il nostro interesse si rivolgesse in modo troppo esclusivo al rimosso" (11).

Ciononostante, il rapporto tra la coscienza e l'inconscio, tra le parole e le immagini, è pensato in questi due saggi sostanzialmente in riferimento al proce­dimento della rimozione. La rappresentazione della cosa, propria dell'incon­scio, è intesa - infatti - come il residuo mnestico di una percezione che era stata cosciente e che poi, in un secondo momento, era stata allontanata dalla coscien­za (12). E la parola in grado di far risalire alla coscienza quell'immagine è intesa anch'essa come "il residuo mnestico di una parola udita" (13).

6. La determinazione a oltrepassare, nella "ricerca in campo patologico", i limiti di quell'interesse "troppo esclusivo al rimosso" lamentato da Freud, caratterizza gli orientamenti più avanzati della psicoanalisi contemporanea: "Da qualche tempo in analisi si tende a dare rilievo, più che a un testo 'latente', nascosto in un messaggio 'manifesto', a un testo da costruire, da parte della coppia paziente-analista, per contenere margini sempre più estesi al non pensa­to" (14). In questa prospettiva, la possibilità della comunicazione tra l'incon­scio e la coscienza si ripresenta nella forma di un problema radicalmente aper­to. In questo caso, infatti, non si tratta di riportare alla coscienza un contenuto che vi era già stato e che si sa già che è in grado di starci nuovamente, bensì di costruire ex novo un canale attraverso il quale la coscienza possa comunicare con qualcosa che non è mai stato in essa e che appare quindi come radicalmente diverso da essa: diverso per la sua essenza, o - se si preferisce - per la sua strut­tura (15).

E nel nuovo orizzonte, l'obiettivo è divenuto sempre meno quello di adegua­re l'inconscio al modo di essere della coscienza e sempre più quello di adeguare - in qualche modo - la coscienza al modo di essere dell'inconscio: "II compito che l'analista si prefiggeva una volta era quello di portare l'Io laddove era l'Es, ossia di trasferire l'irrazionalità dell'inconscio entro le coordinate della ragione. Con il passare degli anni tale approccio razionalistico si è mutato in un approc­cio relazionale, cioè in un impegno ad ampliare e arricchire il dialogo con 'l'al­tro', a cominciare dal dialogo con quell'attenta interiore che è l'inconscio" (16). 7. Ma alla luce di questo mutamento di prospettiva cosa si deve pensare della descrizione freudiana del divenir cosciente dell'inconscio? La si deve considerare inutilizzabile, in quanto pensata in riferimento all'inconscio rimos­so, o la si può riconvertire in riferimento all'inconscio non rimosso? Ed eventualmente, tale riconversione in virtù di quali mutazioni potrebbe compiersi?

Se si prende in considerazione il sovrapporsi non più di rappresentazioni di parole ma - semplicemente - di parole a rappresentazioni di cose, ciò che ne risulta non può definirsi altrimenti che come il costituirsi del linguaggio verba­le. Il riferirsi della descrizione freudiana all'inconscio rimosso implica che essa intenda tali parole appunto come rappresentazioni, cioè come residui innestici di parole già udite, come parole che precedentemente - prima della rimozione -erano già state associate alle rappresentazioni di cose, intese anch'esse come residui mnestici. In sostanza, ciò che Freud descrive attraverso questi termini è il ripristinarsi del linguaggio verbale, il ristabilirsi di un nesso tra parole e rap­presentazioni di cose che era già esistito e che la rimozione aveva interrotto. Ora, se si vogliono riconvertire i termini di questa descrizione mirando alla comunicazione tra la coscienza e l'inconscio non rimosso, è necessario - e suf­ficiente - coniugarli riferendoli non al ripristino ma piuttosto alla costituzione del linguaggio verbale: non al ripristino del nesso della rappresentazione della cosa con una parola già udita, ma all'originario costituirsi di una parola inaudita chiamata ad evocare una "cosa" non ancora rappresentata.

L'atto del comunicare con l'inconscio non rimosso, infatti - in quanto avvi­cinamento della coscienza al modo di essere dell'inconscio - appare come il ripercorrere a ritroso il procedimento attraverso il quale si costituisce il lin­guaggio verbale (17).

8. Nel 1959, nel sesto capitolo di Linguaggio e mito, il filosofo tedesco Ernst Cassirer configura quella che probabilmente deve considerarsi la defini­zione più acuta e profonda dei passaggi di tale procedimento. In essa, peraltro - in virtù del diverso, più originario contesto - si possono riconoscere gli elementi costitutivi dei termini della descrizione freudiana (18).

Cassirer distingue innanzitutto due modi di essere della fondamentale nozio­ne di metafora: la metafora com'è comunemente intesa, che è una funzione del linguaggio verbale, e una più "radicale metafora" (19), che è ciò che da luogo alla costituzione di tale linguaggio. La prima "dispone del patrimonio di voca­boli [...] come di un materiale già pronto" (20), designando "un certo contenuto rappresentativo mediante il nome di un altro contenuto, il quale in qualche trat­to è simile al primo oppure presenta certe mediate 'analogie' con esso" (21). La seconda, è "una condizione della formazione linguistica" (22).

Mentre la prima, sostituendo parole con altre parole, opera con elementi situati su di uno stesso piano, la seconda assolve l'originario e ben più arduo compito di creare ex novo un nesso tra elementi che appartengono a piani diversi: "già la più primitiva manifestazione linguistica esige la trasposizione di un determinato contenuto di intuizione o sentimento in suono, dunque in un mezzo estraneo a questo 'contenuto stesso, anzi addirittura disparato" (23). La metafora "radicale", costitutiva del linguaggio, non deve sostituire una parola con un'altra parola ma deve costituire una parola non ancora esistente traducen­do "un'intuizione" o "un sentimento" in qualcosa che appartiene a un altro ordine, esprimendoli in virtù di quel mezzo ad essi "estraneo" e "addirittura disparato" che è il suono della voce. E per far questo, essa deve superare la dif­ferenza di natura tra questi ordini, istituire un'analogia tra queste sfere radical­mente diverse.

Ora, in queste sfere si possono riconoscere gli elementi costitutivi delle rap­presentazioni di parole e di cose di cui parla Freud. II suono della voce è, evi­dentemente, l'elemento sensoriale di cui è costituita la parola. Ma anche, l'in­tuizione e il sentimento devono essere intesi come gli elementi di cui è costitui­ta la rappresentazione della cosa.

Per intuizione, infatti, Cassirer intende (24) l'intuizione sensibile: "[la metafora costitutiva del linguaggio è un] atto caratteristico [...] di concentrazione e potenziamento della semplice intuizione sensibile" (25). Ed evidentemente la percezione di cui la rappresentazione della cosa è l'immagine mnestica non può essere che costituita, appunto, da intuizioni sensibili. Mentre per sentimen­to intende una "tensione interna [costituita da] emozioni ed eccitamenti spiri­tuali [...] provocata nel mondo esterno da un essere che ci viene incontro" (26), da un essere, quindi, che non può esser colto se non in virtù di intuizioni sensi­bili. Il sentimento, in sostanza, appare come il riflesso interno, fatto di emozio­ni, dell'intuizione sensibile di un oggetto esterno. E altrettanto si deve ritenere della rappresentazione della cosa, dal momento che è un'immagine mnestica, dunque anch'essa un riflesso interno di una percezione esterna.

9. Si è visto come Cassirer definisca la metafora costitutiva del linguaggio verbale come una trasposizione in suono di un'intuizione sensibile e di un sen­timento. Poco oltre, egli definisce questa trasposizione come uno "scioglimento di una tensione interna" (27) e, sviluppando l'analogia tra linguaggio e mito che è il filo conduttore del saggio, descrive il modo in cui si perviene ad esso: "Linguaggio e mito [...] sono germogli diversi che provengono da una medesi­ma germinazione dell'attività formatrice simbolica [...] [costituita dalla] concentrazione e [dal] potenziamento della semplice intuizione sensibile" (28). E più avanti, "La metafora [costitutiva del linguaggio] sorge, insomma, da quel­l'atto di concentrazione, di contrazione di ciò che è intuitivamente dato, che costituisce il presupposto imprescindibile già per la formazione di ogni concet­to linguistico" (29). Il linguaggio si costituisce attraverso un concentrarsi e potenziarsi dell'intuizione sensibile che danno luogo a un'intensificazione della corrispondente tensione interna così acuta da risolversi necessariamente in una catarsi, la quale si manifesta a sua volta come uno sciogliersi in suono.

Questa concentrazione dell'intuizione si compie attraverso un procedimento determinato che Cassirer riconosce all'origine del linguaggio come del mito e che consiste nel principio di equivalenza tra la parte e il tutto: "Ogni parte di un tutto sembra equivalente al tutto stesso, ogni esemplare di una specie o genere sembra equivalente al genere in quanto tale. Non già che la parte rappresenti soltanto l'intero, che l'individuo o la specie rappresenti soltanto il genere, ma essi sono l'una cosa e l'altra [...] contengono immediatamente in sé la forza del­l'intero, il suo significato e la sua efficacia. Qui conviene anzitutto richiamare quel principio che si può designare come il vero e proprio principio fondamen­tale tanto della 'metafora' linguistica quanto di quella mitica: il principio che si esprime di solito come la 'parsprò tota'" (30).

Poco oltre, Cassirer individua anche il modo in cui si instaura questo princi­pio: "al linguaggio tutto ciò che è caratterizzato in modo uguale, deve apparire senz'altro come omogeneo. L'uguaglianza del momento fissato nella parola fa passare vieppiù in seconda linea ogni altra eterogeneità del contenuto intuitivo e la fa infine scomparire completamente. Così anche qui la parte si pone al posto della totalità, anzi è e diviene essa la totalità" (31). La parte assume il valore del tutto attraverso un processo di omogenizzazione, in virtù del quale una determinata caratteristica di un oggetto si autonomizza da quell'oggetto, dunque dal contesto in cui è inserita, e si afferma di per sé. In questo modo, essa può ergersi non semplicemente a rappresentare bensì ad essere, tutti gli altri oggetti in cui sia presente: "Ogni segno distintivo caratteristico [...] può adesso servire ad unificare immediatamente gli oggetti che da quella designa­zione vengono espressi. Quando l'immagine intuitiva del fulmine [...] è con­densata nell'impressione della 'forma serpentina', con ciò il fulmine è divenuto il serpente" (32). In sostanza, nell'esperienza del costituirsi del linguaggio, non esistono primariamente gli oggetti - il fulmine o il serpente - e secondariamente le caratteristiche che li accomunano - la forma serpentina - ma esistono prima­riamente queste caratteristiche, in se stesse e solo secondariamente gli oggetti a cui si riferiscono. E nel momento in cui si affermano di per sé queste caratteri­stiche assumono un carattere assoluto in virtù del quale la corrispondente tensione interna assume un'assoluta intensità, un'incandescenza che la porta a tra­boccare fuori di sé sciogliendosi in suono.

10. Se i concetti linguistici, al pari di quelli mitici, si costituiscono in virtù di questa concentrazione dell'intuizione sensibile, in un modo diametralmente opposto si sviluppano man mano che si allontanano alla loro origine: nel "pro­gredire della coscienza [...] questa connessione [di linguaggio e mito], così

stretta e apparentemente così necessaria, comincia ad allentarsi e a sciogliersi.

Poiché il linguaggio non appartiene al regno del mito esclusivamente; ma in esso è attiva fin dai suoi primi inizi, un'altra forza, la forza del logos" (33). In virtù di questa forza, si formano quelli che Cassirer definisce i concetti logico-discorsivi: "la diversa direzione in cui si muovono la formazione dei concetti

logico-discorsivi e quella dei concetti linguistico-mitici giunge a chiara espres­sione anche nel risultato di entrambi. Là noi cominciamo con una singola intui­zione particolare, per allargarla incessantemente, per portarla al di là dei suoi limiti iniziali mediante sempre nuove relazioni che noi scopriamo in essa. Il

processo intellettuale che così si compie è un processo di integrazione sintetica, di unificazione del singolo col tutto e di completamento di esso in un tutto. Ma [a differenza di quanto avviene nei concetti linguistico-mitici,] in questa rela­zione con il tutto il singolo non perde la sua concreta determinatezza e la sua limitazione [...] Il singolo 'esemplare' di una specie è 'contenuto' in questa; la

specie stessa viene 'compresa' dal genere superiore più prossimo: ma ciò signi­fica al tempo stesso che ambedue restano reciprocamente separati, che non ven­gono a coincidere" (34). I concetti logico-discorsivi si formano in virtù di una progressiva dilatazione dell'intuizione che si inserisce in una rete sempre più

vasta di relazioni, tramite le quali viene progressivamente integrata nel contesto del tutto, ma non nel modo, proprio dei concetti linguistico-mitici, del concentrare il tutto su di sé, identificandolo a sé, bensì piuttosto nel modo di disperde re sé nel tutto.

In questa dilatazione, l'intensità emotiva propria dell'opposto, originario, procedimento di concentrazione dell'intuizione sensibile viene progressivamen­te meno: la "trasformazione [...] [dei concetti da linguistico-mitici a logico-discorsivi] si può compiere solo a condizione che il linguaggio rinunci sempre più alla pienezza dell'intuizione immediata. Di tutto il concreto contenuto di intuizione e sentimento che originariamente gli apparteneva, di tutto il suo corpo vivente sembra alla fine non rimanergli altro che il puro scheletro" (35).

11. All'esperienza umana, tuttavia, è concessa la possibilità di riattingere in qualche modo all'intensità, alla "pienezza dell'intuizione immediata". Ciò avviene "allorché il linguaggio si configura in espressione artistica" (36) e, in particolare, quando assume la forma della poesia lirica (37).

Tale configurazione non è una mera ripetizione del processo costitutivo del linguaggio ma implica, rispetto ad esso, uno scarto qualitativo corrispondente alla differenza tra il mito e l'arte: "Qui [...] [lo spirito] riottiene di nuovo la pie­nezza della vita; ma questa vita non è più la vita vincolata miticamente, ma quella liberata esteticamente" (38). E le parole conclusive del saggio sono dedi­cate proprio alla definizione di questa differenza tra vincolo mitico e liberazio­ne estetica: "Questa liberazione non si compie per il fatto che lo spirito abbia gettato via l'involucro sensibile della parola e dell'immagine, ma pel fatto che esso si serve di entrambi come organi e così impara a comprenderle per ciò che esse sono alla loro più profonda radice, cioè come le sue proprie autorivelazio­ni" (39). La liberazione estetica appare come un sovvertimento del rapporto tra il mondo interno e il mondo esterno che caratterizza "la vita vincolata mitica­mente". Nel processo costitutivo del linguaggio, come si è visto, è "un essere che ci viene incontro" dal mondo esterno a dare luogo a una tensione interna, destinata poi a sciogliersi in suono e in parola. E' l'esterno che si afferma da sé e si riflette nell'interno. La liberazione estetica appare, al contrario, come un'affermazione dell'interiorità. In virtù di essa, "l'involucro sensibile della parola e dell'immagine" non si presenta più come qualcosa che ha nel mondo esterno la sua giustificazione e un senso di cui l'interiorità può solo prendere atto, ma appare piuttosto come un'espressione dell'interiorità: come una sua manifestazione sensibile in virtù della quale questa giunge a prendere atto di se stessa.

12. Se la liberazione estetica non è un mero ripetere l'esperienza costitutiva del linguaggio verbale ma un riattingere alla sua intensità sulla base di un inversione del fondamentale rapporto tra l'interno e l'esterno, essa deve considerarsi piuttosto come il suo inverso, come un ripercorrerlo a ritroso, un risalirne la

corrente che implica un sovvertimento di prospettiva.

Ma anche la comunicazione con l'inconscio non rimosso era apparsa consi­stere in un tale percorso a ritroso del processo costitutivo del linguaggio verba­le. Ne deriva che dalla liberazione estetica può venire il suggerimento di un modello per tale comunicazione (40).

13. Per configurare questo modello, è necessario riferirsi nuovamente ai passaggi della costituzione del linguaggio verbale, considerandone questa volta l'altra faccia, la faccia che si incontra non sul cammino che va dall'"intuizione sensibile" al linguaggio verbale, ma a quello che va dal linguaggio verbale

all'intuizione sensibile.

Se il linguaggio logico-discorsivo è il punto di approdo del processo costitu­tivo del linguaggio verbale evidentemente sarà esso stesso il punto di partenza del suo percorso a ritroso.

Come s'è visto, ciò che caratterizza essenzialmente tale linguaggio è l'inse­rimento di una singola intuizione in un contesto sempre più ampio, in una rete sempre più ampia di relazioni. E' ad esso, quindi, che devono essere riferite le osservazioni di Freud sull'essenzialità delle parole per il pensiero cosciente, che attribuiscono tale essenzialità appunto alla capacità delle parole di riferirsi non solo a delle rappresentazioni ma anche alle relazioni tra le rappresentazioni (41).

Ma se, come afferma Cassirer, l'esperienza estetica - e, in particolare, la poesia lirica - consistono in un sottrarsi delle parole a tale uso, vuoi dire che il riferimento alle relazioni non va inteso come proprio delle parole in quanto tali, ma soltanto del loro uso logico-discorsivo. Vuoi dire, cioè, che c'è un modo di essere delle parole che si situa al confine tra il compimento del loro processo costitutivo e l'instaurarsi del loro uso logico-discorsivo: che è appena al di là di quel processo e appena al di qua di quest'uso.

Questo modo di essere può definirsi come quello della parola 'presa' in se stessa. In esso, le parole appaiono compiutamente formate, dotate di tutti i loro elementi costitutivi, compreso l'essenziale elemento del significato. Ma tale significato si presenta come privo di ogni relazione con gli altri significati, come totalmente risolto in se stesso e, quindi, portato ad assorbire la parola che vi si riferisce totalmente in sé, come se non ci fosse nient'altro al mondo.

Il primo procedimento della comunicazione tra la coscienza e l'inconscio non rimosso suggerito dal percorso a ritroso della costituzione del linguaggio verbale deve considerarsi, quindi, come un inabissarsi delle parole in se stesse e, in particolare, come un loro affondare nel loro significato,

Poiché è una rete di relazioni ciò che conduce le parole all'uso logico-discorsivo sarà attraverso un sottrarsi a questa rete che tale procedimento potrà avere luogo. In virtù di esso, la parola da mera rappresentazione, da "mero segno del concetto" (42), si risolve piuttosto in una sua evocazione, in cui l'ini­ziale intuizione di qualcosa di presente si confonde sempre più con l'emozione di qualcosa di assente. Come osserva Wassily Kandinsky, nel celebre saggio del 1912 Lo spirituale nell'arte, "quando sentiamo il nome di un oggetto, senza vederlo, nella nostra mente si forma una rappresentazione astratta, un oggetto smaterializzato che ci da immediatamente un'emozione. [...] L'albero verde, giallo, rosso, nel prato è solo un dato materiale, una forma casualmente mate­rializzata dell'albero che sentiamo in noi, quando udiamo la parola albero" (43).

14. Se il primo elemento del percorso a ritroso della costituzione del lin­guaggio verbale è la sfera della parola presa in se stessa e tuttavia strettamente connessa al suo significato, il secondo elemento che si incontra continuando a risalirne la corrente è la sfera della parola che si inoltra in se stessa fino al punto di recidere il legame con il suo significato: la sfera della parola come 'puro suono '.

Se l'affondare della parola nel suo significato, infatti, è un aspetto del suo inabissarsi in se stessa, inoltrandosi in tale inabissamento la parola non potrà che giungere fino a svincolarsi anche dal suo significato, risolvendosi totalmen­te nella pura sensibilità del puro suono. In questo astrarsi dal significato e, con ciò, da qualsiasi riferimento a oggetti, la parola finisce con il suggerire qualcosa di essenzialmente misterioso, acquisendo un'intensità, una purezza evocativa che il riferimento ai significati le avrebbe impedito di assumere.

Il secondo procedimento della comunicazione tra la coscienza e l'inconscio non rimosso sarà quindi l'inabissarsi della parola nella suggestione del puro suono (44). Come osserva Kandinsky, "una parola ripetuta spesso (gioco infan­tile che poi si dimentica) perde il suo senso esteriore. Il significato dell'oggetto si svuota, rivelando il puro suono della parola. [...] [In questo caso] l'anima prova un'emozione senza oggetto, che è ancora più complessa, vorrei dire 'più sovrasensibile' di quella suscitata dai rintocchi di una campana, dal suono di una corda, dal rumore della caduta di un'asse" (45).

15. Continuando a risalire la corrente del procedimento costitutivo del lin­guaggio verbale oltre la sfera della parola come puro suono, si incontra la sfera in cui la parola non si è ancora formata, in cui la tensione interna che vi da luogo non si è ancora sciolta in suono. E' la sfera di quella che Freud definisce la rappresentazione della cosa senza la parola, la sfera dell'immagine.

Ma la definizione freudiana - in virtù del suo richiamarsi, appunto, alla "cosa" - sembra riferirsi a oggetti intesi nella loro compiutezza, a oggetti già costituiti, benché non ancora inseriti in una rete di relazioni. Mentre dalla rico­struzione di Cassirer è emerso come il procedimento che conduce la tensione interna a quell'intensità massima che poi si scioglie in suono è il suo svincolarsi dagli oggetti intesi nella loro totalità per riferirsi piuttosto alle loro caratteristi­che, ai loro elementi costitutivi (46). E' in virtù del suo legame con l'affermarsi di per sé, indipendentemente dagli oggetti, di queste caratteristiche, infatti, che tale tensione è apparsa in grado di captare tutti gli altri oggetti che partecipino di tali caratteristiche, intensificandosi fino al suo acme.

L'ambito della rappresentazione della cosa che confina con la sfera della parola come puro suono non dev'essere inteso, dunque, come costituito da immagini di oggetti bensì dall'affermarsi di per sé degli elementi costitutivi di tali immagini. Ed è appunto dal suo essere appena al di là di tali elementi che la parola come puro suono deriva la sua intensità evocativa.

Il terzo procedimento della comunicazione della coscienza con l'inconscio non rimosso dev'essere considerato, quindi, come un risalire dalla parola come puro suono all'immagine come pura immagine, all'immagine come combina­zione di puri elementi visivi.

Perché l'affermarsi di per sé degli elementi costitutivi dell'immagine corri­sponde alla massima intensità dell'emozione, all'attimo immediatamente prece­dente il suo sciogliersi in suono. E ripercorrere a ritroso il passaggio dalla pura immagine al puro suono significa spostare l'accento dalla trasposizione dell'im­magine in suono, in cui l'intensità del sentimento e dell'intuizione sensibile ini­zia a scemare, alla trasposizione del suono in immagine, sintonizzarsi sulla pro­prietà del suono di suscitare immagini, nella quale sentimento e intuizione si offrono nel culmine della loro intensità.

16. Ma in virtù di cosa è possibile il passaggio dal suono all'immagine? E in virtù di cosa era stata possibile la trasposizione dell'immagine in suono?

Gli elementi costitutivi dell'immagine sono il corrispettivo nella sfera del­l'immagine di ciò che la parola come puro suono è nella sfera del suono: sono puri elementi visivi così come i suoni delle parole, considerati indipendentemente dai loro significati, sono puri elementi acustici. Essi sono essenzialmente di due specie: le forme - come la forma serpentina nell'esempio di Cassirer - e i colori.

Ora, tali elementi hanno direttamente in se stessi, e non indirettamente in virtù degli oggetti di cui fanno parte, una capacità comunicativa. Come osserva Kandinsky, "il colore è un mezzo per influenzare direttamente l'anima" (47), così come "l'armonia delle forme è fondata su un solo principio: l'efficace con­tatto con l'anima" (48). Ma anche l'elemento costitutivo della parola, anche il "suono musicale giunge direttamente all'anima" (49).

Ora, se sia la forma e il colore da una parte, sia il suono dall'altra a comuni­care direttamente con l'anima vorrà dire che c'è un varco - all'interno, appunto, dell'anima - attraverso il quale essi comunicano tra loro. Questo significa che se la tensione interna raggiunge l'intensità che la porta a traboccare fuori di sé in virtù del suo riferimento agli elementi costitutivi delle immagini - cioè, appunto, alle forme e ai colori - questo traboccamento può trasporsi in suono, può trovare nel suono un ulteriore contenitore, in virtù di questo varco origina­rio che unisce forme, colori e suoni.

E' in virtù di tale varco che l'intuizione e il sentimento possono trasporsi nel mezzo "estraneo e addirittura disparato" del suono, che possono superare la loro radicale differenza di natura con esso, dando luogo alla "metafora costituti­va del linguaggio verbale".

E se è da questo varco che deriva la nostra più propria possibilità di comuni­care è ad esso che questa dev'essere costantemente ricondotta - ripercorrendone a ritroso il processo costitutivo - per poter essere effettiva e autentica. Così come è risalendo la corrente di tale processo fino a questo punto originario che la coscienza può comunicare con l'inconscio non rimosso, che può sfiorarne la misteriosa natura fin quasi a toccarla, rendendo più ricca e autentica l'intera sfera della nostra esperienza.

Note

* Docente di filosofia a Salerno

1) S. Freud (1915), Das Unbewusste, tr. it. L'inconscio, in Opere di Sigmund Freud (OSF), Bollati Boringheri, Torino, 1989, voi. Vili, p. 85. In effetti si dovrebbe parlare, più precisamente, non immediatamente di confine tra l'inconscio e la coscienza ma di confine tra l'inconscio e la possibilità della coscienza, possibilità propria di quella sfera che Freud definisce 'preconscio: "la congiunzione con rappresentazioni verbali non coincide ancora con il passaggio alla coscienza, ma ne da soltanto la possibilità; essa è dunque una caratteristica del sistema Prec [preconscio] e di questo soltanto" (Ibidem, p. 86). Ne deriva che "la domanda: com'è che qualche cosa diviene cosciente? andrebbe formulata più adeguatamente nel modo che segue: com'è che qualche cosa diventa pre­conscio?" (S. Freud, 1923, Das lek una das Es, tr. it., L'Io e l'Es,, OSF, Bollato Boringhieri, Torino, 1989, voi. IX, p. 483).

2) S. Freud, L'inconscio, op. eh., p. 85.

3) "Ci si potrebbe [...] domandare perché le rappresentazioni degli oggetti [cioè delle cose] non possano diventare coscienti per il tramite dei loro residui percettivi" (Ibidem, p. 86).

4) Ibidem.

5) S. Freud L'Io e L'Es,, op. cit., p. 484.

6) Ibidem.

7) Ibidem.

8) Si dovrebbe dire, tuttavia, che una tale risposta non esaurisce la problematicità della domanda perché, ad esempio, ci si potrebbe comunque chiedere come mai la psiche non abbia la possibilità di modificare sempre e comunque, piuttosto che rimuovere, le rappresentazioni inaccettabili per la coscienza.

9) S. Freud, L'inconscio, op. cit., p. 49.

10) ìbidem, p. 54, corsivo mio.

11) S. Freud, L'Io e L'Es, io. cit. p. 482.

12) "Soltanto quanto è già stato una volta percezione e [cosciente] può diventare cosciente" (Ibidem, p. 483).

13) Ibidem, p. 484.

14) A. Di Benedetto, Esperienza estesica ed estetica della conoscenza, in AA.VV. (a cura di S. Cosso), Paesaggi della mente. Una psicoanalisi per l'estetica, Franco Angeli, Milano, 1997, p. 17.

15) In sostanza, non soltanto l'inconscio rimosso si riferisce a contenuti che sono già stati nella coscienza e l'inconscio non rimosso a qualcosa che non vi è mai stato ma l'inconscio rimosso è tale per un motivo in qualche modo contingente, legato al suo contenuto, mentre l'inconscio non rimosso è tale per la sua essenza e quindi la possibilità della sua comunicazione con la coscienza si presenta, per così dire, come situata sul confine dell'impossibile. È dalla riflessione su questi problemi che si sviluppa la conce­

zione di una delle voci più alte della cultura non solo psicoanalitica contemporanea, quella di Ignacio Matte Bianco. Colgo l'occasione per dire che questo mio lavoro è sol­tanto un aspetto di un lavoro più ampio nel quale sto cercando di impegnarmi e che in questa prima circostanza, anche per motivi di spazio, ho lasciato sullo sfondo l'elaborazione e la coniugazione rispetto ai temi prescelti della fondamentale questione del motivo - alternativo appunto alla rimozione - per cui l'inconscio non rimosso è tale. Su questo punto, rimando, al mio libro L'inconscio come essere e come nulla. Saggio su Freud e Matte Bianco (Liguori, Napoli, 1997), nel quale ho proposto un punto di vista dell'inconscio, sulla base di un confronto dialettico con le tesi di Matte Bianco e con la nozione freudiana di assenza inconscia di negazione. A proposito della problematica dell'inconscio non rimosso rimando anche ad un dibattito accesosi recentemente su "La

Repubblica" (del 24-9-98 e 1-10-98).

16) A. Di Benedetto, La musica segreta al confine corpo-mente. Ascolto e senso del non verbale, in AA.VV., Il segreto e la psicoanalisi, Gnocchi, Napoli, 1996, p. 131.

17) Definisco la comunicazione con l'inconscio non rimosso come un percorso a ritroso dell'esperienza costitutiva del linguaggio, e non come la sua mera ripetizione, perché questo percorso corrisponde alla tensione ad adeguare la coscienza al modo di essere dell'inconscio piuttosto che viceversa.

18) Peraltro, come si vedrà, Cassirer costruisce la sua argomentazione su nozioni come equivalenza, omogeneità e principio della parte per il tutto che sono fondamentali nella concezione di Matte Bianco (in proposito, vedi la nota 15). Da questa analogia vengono spunti di riflessione estremamente importanti che sto cercando di elaborare nel lavoro più ampio di cui parlavo prima (nella nota 15).

19) E. Cassirer (1959), Sprache una Mythos, tr. it. Linguaggio e mito, il Saggiatore, Milano, 1976,p. 132.

20) Ibidem.

21) Ibidem, p. 131.

22) Ibidem, p. 132.

23) Ibidem.

24) Kantianamente.

25) Ibidem, p. 133.

26) Ibidem.

27) Ibidem.

28) 28) Ibidem.

29) 29} Ibidem, p. 140.

30) 30) E. Cassirer, Linguaggio e mito, op. cit., p. 137.

31) 3\) Ibidem, pp. 140-1.

32) 32) Ibidem, p. 142.

33) Ibidem, p. 143.

34) Ibidem, pp. 134-5.

35) Ibidem, p. 144.

36) Ibidem.

37) "Di tutti i generi e le forme di poesia, è la lirica quella in cui si rispecchia più limpidamente questo tipo di evoluzione ideale" (Ibidem).

38) Ibidem.

39) Ibidem, p. 145.

40) Come osserva A. Di Benedetto, nella pratica psicoanalitica "Si tratta di stimola­re processi analoghi a quelli della creazione artistica, che ha sempre cercato di rappre­sentare qualcosa di irrappresentabile". (A. Di Benedetto, Esperienza estesica ed esteti­ca della conoscenza, op. cit., p. 17)

41) Del resto anche il testo di Cassirer attribuisce lo sviluppo di tale linguaggio al "progredire della coscienza" (Linguaggio e mito, op. cit., p. 143).

42) Cassirer, Linguaggio e mito, op. cit., p. 143

43) W. Kandinsky (1912), i/ber das Geistige in der Kunst, Insbesondere in der Molerei, tr., it., Lo spirituale nell'arte, Bompiani, Milano, 1997, p. 33.

44) A questo proposito, rimando - scusandomi per la sommarietà - a un fiorire di studi sulla possibilità di risalire dalla musicalità della voce alla vita psichica più profonda. In particolare, una definizione estremamente suggestiva e dettagliata di tale possibi­lità è nel saggio di Antonio Di Benedetto La musica segreta al confine corpo-mente. Ascolto e senso del non verbale (in // segreto e la psicoanalisi, op. cit., pp. 131-148.

45) Ibidem.

46) Secondo l'esempio di Cassirer che si è preso in considerazione, per l'esperienza costitutiva del linguaggio ciò che conta non è il fulmine o il serpente, ma la forma ser­pentina che li accomuna.

47) Ibidem, p. 46.

48) Ibidem, p. 49.

49) Ibidem, p. 47.