La fiammante Lancia 166 filava sull’infuocata striscia di asfalto che, dopo aver abbandonato i lievi pendii della dorsale isolana, digradava dolcemente verso il mare.
Ella cercò freneticamente con le lunghe dita una stazione che trasmettesse musica e cominciò a tamburellare sul volante. Le note, dopo aver vorticato nell’abitacolo, si disperdevano fuori come bagagli trascinati via da un aereo in decompressione. In quel momento trasmettevano un motivo intrigante e coinvolgente. Ella si muoveva assecondando il ritmo con voluttà. Alzò il volume al massimo. Buttò la testa all’indietro facendo sciogliere una nuvola di capelli dorati e accelerò il movimento del busto. Intanto la gamba sinistra strusciava contro l’altra gamba e una carica di piacere si diffondeva per tutto il corpo. Si sentiva libera e leggera, la sua anima cantava, il suo corpo ardeva di desiderio. All’improvviso fermò la macchina proprio al centro della strada. Scese e cominciò a ballare sotto il sole cocente. Si dimenava come una tarantolata.
Si slacciò la camicetta e la gettò lontano. Due piccoli seni si dimenarono con lei. Potevano entrare nel cavo di una mano ma mostravano una carica che sembrava sul punto di esplodere. Poi si liberò velocemente della gonna e degli slip e lanciò via le scarpe. Rimase completamente nuda. Rare macchine fecero stridere le loro gomme dando colpi prolungati di clacson. Qualche automobilista rischiò lo scontro alla visione di quella matta che si agitava nuda in mezzo alla strada.
Finalmente quel motivo terminò e cominciò uno molto più lento. Ella si rimise al volante senza rivestirsi e riprese la marcia. Arrivata alla villa, attraversò il giardino e andò a tuffarsi nella piscina.
Non si accorse del marito che era seduto all’ombra di un salice a leggere il giornale. Egli smise di leggere e la guardò al di sopra delle lenti.
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Egli la seguì con lo sguardo, la vide tuffarsi nell’acqua azzurrina e, risalita dal fondo della piscina, scuotere la testa e coprirsi gli occhi con le mani prima di ricominciare a nuotare sul dorso. Ne ammirò i due piccoli seni che fuoriuscivano appena dalla linea dell’acqua e sembravano ammiccare alla sua voglia nascosta.
Da quanti anni erano insieme?
Da dodici anni. Per lui era ancora come all’inizio, anzi più di prima. Gli piaceva quel suo corpo che era andato modellandosi (ora aveva trentasette anni) pur conservando delle linee quasi mascoline a causa di quei due seni, appunto, promontori appena accennati, sovrastati da picchi svettanti nell’aria.
Tutto il suo essere era messo sottosopra da quella donna di cui ogni movimento, ogni gesto e la normale andatura sprigionavano delle correnti di erotismo. In lei non c’era niente di studiato, la sua sensualità era, per così dire, naturale e suscitava in chiunque l’avvicinasse una attrazione irresistibile. Perciò gli uomini erano portati ad ammiccare, a complimentarsi, ad alludere, provocando il suo intimo risentimento.
Fosse dipeso da lui avrebbe fatto l’amore ogni giorno, ogni ora, ma questa possibilità non gli era concessa che raramente e soltanto per capriccio di lei. Non faceva che desiderarla, le andava appresso, nella scia del suo profumo, oh quel suo profumo!, la seguiva come un cagnolino ma tra loro c’era un limite invalicabile. Da anni ormai dormivano in camere separate e tutto ciò che gli era permesso si limitava alla pura e semplice adorazione. Guardandosi indietro era costretto a riconoscere che in tutti gli anni del loro matrimonio non l’aveva sentita mai veramente sua, le loro anime non avevano mai veramente comunicato, tanto meno i loro corpi ed egli si sentiva inappagato, era come se stesse permanentemente davanti a una vetrina con la scritta vietato toccare.
Al di là del vetro egli la vedeva anche adesso mentre si muoveva nell’acqua ancora per qualche bracciata per poi uscire dalla piscina in una pioggia di gocce scintillanti e multicolori e avviarsi, così come era arrivata, nuda e austera, verso le sue stanze.
Egli tornava a sfogliare il giornale.
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Ella uscì dalla piscina grondando gocce policrome e rientrò in camera sua. Non si avvide del marito che la osservava dal suo posto all’ombra del salice o piuttosto non si curò di lui. In camera indugiò lungamente in piedi davanti allo specchio senza asciugarsi. Osservava il proprio corpo con attenzione mista a delusione. Si trovava ben fatta nella figura, le sue spalle erano larghe, il suo ventre era piatto come una tavola, i suoi fianchi erano rotondi e le sue cosce ben tornite. Si piaceva molto tranne che per quei seni troppo piccoli che non erano mai voluti crescere, a dispetto di tutti gli artifici messi in atto e di tutte le creme e le pomate che interessati ciarlatani le avevano propinato. Era inevitabile che pensasse alle sue amiche, fornite di ogni ben di Dio, che camminavano portando la loro dote come su un vassoio, che durante le oziose conversazioni da salotto non facevano che palparsi e vantarsi delle loro mercanzie.
Giorno dopo giorno ella si sentiva rodere dall’invidia. Era molto gratificata dai complimenti e dalle attenzioni che riceveva ma dentro di sé non era soddisfatta. Le altre erano provviste di qualcosa che lei non aveva e ciò le procurava un malessere insanabile.
Per la verità, fin da piccola era stata torturata dalla gelosia e il normale desiderio infantile di essere al centro dell’attenzione si era trasformato in un bisogno spasmodico di protagonismo. In un lontano passato doveva aver avvertito una carenza d’affetti e questa primordiale sofferenza aveva condizionato tutta la sua vita, vissuta alla continua ricerca di compensazioni. Tutto doveva girare intorno a lei come i pianeti girano intorno al sole. Desiderava in modo esagerato l’interessamento degli altri, e se si sentiva trascurata soffriva in modo indicibile. Era posseduta dalla brama di avere i vestiti più belli, dare le feste più sfarzose, avere i riflettori puntati esclusivamente su di lei.
Continuava a guardarsi allo specchio: aveva un bel corpo, ma sul suo viso si poteva scorgere una certa ombra di tristezza.
Non era felice!
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Egli si sforzava di leggere il giornale ma non faceva che girare e rigirare le pagine.
La vista di lei lo aveva turbato, come sempre, e ormai non riusciva a vedere neppure i grossi titoli. Aveva ancora negli occhi la sua immagine mentre usciva dall’acqua, il corpo leggermente abbronzato avvolto in una miriade di perle scintillanti che le gocciolavano via mentre rientrava con andatura da gatta in amore, senza degnarlo di uno sguardo. Ormai si era abituato a questa indifferenza. Erano anni che veniva trattato così, quasi con caritatevole sopportazione. Egli l’amava, desiderava ardentemente il suo corpo, ma le sue avances erano accolte con disprezzo e fastidio.
Eppure all’inizio, si ricordava bene, le cose erano andate diversamente. Lei corrispondeva con ardore al suo sentimento. Agli occhi della gente sembravano una coppia perfetta. Poi il loro rapporto si era raffreddato velocemente fino a che il matrimonio era diventato una semplice e innocente convivenza.
Egli aveva fatto di tutto per conservare l’amore di lei, non badava a spese pur di esaudire i suoi desideri, si ammazzava di lavoro per assicurarle una vita agiata, perché potesse brillare nei salotti. E quando era circondata dagli sguardi altrui, quando la vedeva al centro dell’attenzione generale, era lui per primo a godere per lei.
Al suo cospetto si era fatto sempre più piccolo, le strisciava ai piedi, aveva finito per annullare la propria personalità. Ella era una dea da adorare.
Quante umiliazioni in privato e in pubblico aveva subito in silenzio per non contraddirla, per non urtarla... Non era servito a nulla. Lei lo degnava appena di uno sguardo. Spesso, per un nonnulla, erano rimproveri, insulti, scenate alle quali egli non aveva la forza di reagire. Si era ridotto a elemosinare timidamente una parola gentile e una carezza, pronto a rifugiarsi in un angolo, come un cane bastonato, a una sua minima reazione dettata dal fastidio, dal disamore.
Ecco, sfogliando nervosamente il giornale che non riusciva più a leggere, pensava a tutto questo e un’onda di rancore, di odio sorgeva dal suo essere più profondo e gli annebbiava la vista.
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Per alcuni minuti ella si era persa dietro i suoi pensieri, rimanendo in piedi davanti allo specchio che le rimandava l’immagine della sua nudità. Il Narciso che era in lei si era soffermato a contemplarsi ma non aveva trovato motivo di soddisfazione. Adesso cercava di rifarsi la figura mettendosi alla ricerca di un bel vestito. Il suo guardaroba era fornitissimo di capi firmati, acquistati nei negozi più esclusivi. Indossò degli slip neri e un reggiseno imbottito, pure nero, il suo colore preferito. Poi scelse una corta gonna bianca che metteva in risalto le sue gambe tornite e abbronzate e indossò una camicetta pure bianca abbottonata a metà. Aveva scelto con piglio sicuro, determinato. Del resto, tutto quello che faceva era deciso. Aveva un carattere forte e risoluto, dominatore.
Poi passò al trucco, leggero ed essenziale, anch’esso eseguito con pochi rapidi gesti.
Le veniva in mente adesso che nei primi tempi del loro matrimonio a lui piaceva assistere a queste operazioni, seduto silenziosamente in un angolo del letto. Sulle prime, lei glielo aveva concesso ma poi quasi subito, senza tante cortesie, lo aveva messo alla porta perché le dava fastidio.
Lui aveva ubbidito.
In realtà non era soltanto questo che la urtava. Era l’insieme dei suoi comportamenti che le dava noia, soprattutto quello starle sempre appresso, servizievole e premuroso, quel suo ossessivo industriarsi per farle piacere. E quando lei gli si era rivolta stizzita, egli non aveva battuto ciglio. Ricordava benissimo come, dopo quella volta, lo avesse fatto apposta a trattarlo male, anche in presenza di estranei, a riprenderlo per delle sciocchezze, a umiliarlo, per vedere di che pasta fosse fatto, per capire fino a che punto potesse angheriarlo.
E ogni volta egli aveva accolto la scenata senza fiatare, mostrandosi a tal punto arrendevole e privo di carattere che ella aveva finito per rimanerne disgustata. Ella aveva bisogno di un uomo forte, che sapesse contrastarla, desiderava essere dominata, era una cavalla selvaggia bisognosa di essere domata. Invece si ritrovava accanto un debole, che a modo suo l’amava, ma che non era in grado di tenerle il morso, di guidarla con autorità e fermezza.
Quando le fu chiaro che non ci sarebbe stata alcuna lotta per accaparrarsi le migliori posizioni all’interno del loro rapporto, cessò di amare il marito.
Era questo che le passava per la mente mentre dava l’ultimo tocco di ombretto.
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Egli posò il giornale che non riusciva a leggere. La visione di lei nuda, insieme all’aria dolce del giardino e al desiderio a lungo represso, gli aveva procurato un forte rimescolamento. Se la figurava intenta ad asciugarsi con delicatezza davanti allo specchio e si immaginava che lo stesse aspettando.
Da quanto tempo non stavano più insieme?
Forse anche lei sentiva adesso quello che sentiva lui. Forse bastava farsi avanti per sciogliere quel ghiaccio che era diventata. In ogni caso valeva la pena tentare, non si poteva sapere. Altre volte lei aveva acconsentito a stare con lui. Non era che una pietosa concessione, ma egli si era ridotto ad accontentarsi comunque.
Si avviò verso l’interno della villa, costeggiando la piscina nella quale poc’anzi lei si era tuffata riuscendone tra coriandoli d’acqua. Penetrò nelle stanze seguendo il suo profumo come un segugio che va sulle tracce della preda. Man mano che andava avanti il suo desiderio diventava sempre più forte e, come sempre gli accadeva, dimenticava tutte le offese passate, tutti i tentativi andati a vuoto. Arrivato al suo cospetto la vide già quasi pronta per uscire, in un abbigliamento che ne rimarcava la sua natura di femmina. Nella stanza aleggiava quel profumo che gli faceva perdere la testa. Che voglia aveva di abbracciarla, ma non ardiva mettere in atto il suo desiderio. Le chiedeva, fintamente sorpreso, se non stesse per uscire di nuovo, se non fosse meglio riposare per evitare la calura del giorno. Lei non faceva caso a quegli approcci mascherati, anzi rispondeva a tono spiegando come avesse tante cose da fare. Egli insisteva, inutilmente, e poi finiva col manifestare le sue vere intenzioni e tentava di metterle le mani addosso.
Lei si ritraeva infastidita, afferrava la borsetta e usciva dalla stanza.
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Eccolo di nuovo, lei pensò quando lo vide intrufolarsi nella stanza. Sempre appresso! Una vera ossessione! Decise lì per lì di non dargli retta. Aveva altro a cui pensare che stare a sentire i suoi guaiti e le sue pretese. Perché era sicura che lui volesse solo quello, lo sentiva nell’aria, lo percepiva dalle sue mosse. Non si contentava mai, era sempre lì a piagnucolare, a fare la vittima. Il mese scorso, lo ricordava bene, gli aveva concesso di stare insieme, e adesso lui tornava nuovamente alla carica. Sembrava non avere altro per la testa. Poteva girare intorno come voleva, non era il momento di pensare a certe cose! Perciò, quando lui fece il suo timido tentativo, lei non gli diede alcuna possibilità di proseguire, sgombrando il campo da ogni illusione. E uscì senza dire una parola.
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Egli si sedette sul bordo del letto, nuovamente umiliato, con l’animo colmo di rancore. Il suo corpo era torturato da spasimi di desiderio, la sua mente era annebbiata dalla collera, il suo sguardo era perso nel vuoto all’inseguimento di immagini violente, di un corpo da gatta comandato da un cuore freddo. Adesso si sentiva in preda a un istinto omicida. Aveva voglia di farla finita, nel modo più cruento possibile. Immaginava se stesso nell’atto di prenderla per il collo e soffocarla, o trascinarla nella piscina tenendola con la testa sott’acqua.
Come poteva sopportare più a lungo quella umiliante situazione? Come rimanere perennemente al di qua della vetrina senza cedere alla tentazione di allungare una mano per afferrare il dolce che faceva bella mostra di sé? Tuttavia non era un violento e questi pensieri non erano soliti abitare il suo animo. Nondimeno era certo che bisognava almeno allontanare dallo sguardo quella tentazione, si, bisognava abbandonarla o scacciarla.
Un momento sembrava proprio sicuro delle sue intenzioni, ma un momento dopo già dubitava. I suoi propositi non duravano mai più di un attimo.
Al contrario, il desiderio da cui era stato preso, questo si, non si decideva ad abbandonarlo. Le sue retine erano ancora impressionate dall’immagine di lei che usciva dall’acqua e si muoveva verso casa con passo da gatta in calore, le sue narici erano ancora impregnate dal profumo del suo corpo tanto che si illanguidiva nuovamente al pensiero di lei. Così le immagini cruente che si erano affacciate alla sua mente lo avevano quasi subito abbandonato. Già il suo umore cambiava immaginando che, forse, al suo ritorno sarebbe stata più disponibile, avrebbe anche lei sentito il richiamo della passione e avrebbero passato dei meravigliosi momenti. Questa delusione, dunque, sarebbe stata presto dimenticata. Come al solito il suo atteggiamento era cambiato completamente e già si disponeva di nuovo a preparare il prossimo incontro, a prefigurarsi una conclusione diversa della sua giornata.