Il pomeriggio di un tiepido giorno di primavera si avviava stancamente al termine. Effluvi delicati di giunchiglie si affacciavano sulla piazzetta dalla vicina campagna e contribuivano a intorpidire le membra stanche del solito gruppetto. C’erano tutti ma la discussione languiva perché erano più interessati a godere di quel tepore profumato. Anche le reciproche, abituali canzonature erano senza mordente e del tutto prive della solita cattiveria.
Tutti i diverbi si erano esauriti anzitempo, gli animi andavano rasserenandosi anche se, in questo campo e con questi elementi, nulla era scontato perché, all’improvviso, potevano partire colpi proibiti quanto inaspettati.
Don Vincenzo Callisto se la fumava silenziosamente con gli occhi socchiusi, seduto sulla panca a lui riservata, gli altri si intrattenevano in gruppetti di due o di tre, chi seduto e chi in piedi. Era ancora presto per rientrare, tardi per ricominciare a beccarsi in nuove controversie. Il sole calava nella campagna ma c’era ancora qualche ora di luce che invogliava a indugiare nei pressi della fontana.
Una macchina si fermò poco distante, attirando gli sguardi concentrici e indagatori di quello schieramento di curiosi. Ne discese un distinto signore, calvo, incravattato, la cui sola presenza tacitò ogni chiacchiera residua. La faccia forestiera richiamava invadente attenzione. Un sonoro e compatto saluto rispose al saluto dell’uomo.
“Scusate”, egli disse, “sapreste indicarmi l’abitazione del signor Domenico Martella?”
“Dietro all’orto, alle spalle della chiesa” - rispose prontamente, puntando il dito, Vittorio Caiazzo, il saputo ex impiegato comunale.
”Per tutte le lucciole del campo, vuoi fare silenzio? Non stare sempre in mezzo!”, lo rimbeccò con malcelata irritazione il maestro.
“Adesso mi offendete, don Vincenzo!”
“E tu usa un po’ più di cervello!.. A servirvi, signore, scusate ma nella foga di rendersi utili spesso si sbaglia. Il fatto è che qui di Martella ce n’è più di uno, sapete, nei paesi abbiamo tutti gli stessi nomi. Ognuno di noi conosce un Martella, ma è proprio quello che fa al caso vostro? Perciò, se ci fornite qualche particolare in più sapremo aiutarvi”.
“Cosa dirvi?...” , rispose l’uomo con un certo imbarazzo.
“Voi chi siete?”, chiese senza mezzi termini don Vincenzo, “un amico, un conoscente, un messo, perché lo cercate?”
“Eh?”, appoggiò la richiesta il monosillabico Graziano Caruso.
“Ah, ecco! Io sono un medico di controllo. Sono qui per una visita fiscale”.
“Oh mamma mia, una visita fiscale”, esclamò con spavento Raffaelone che aveva passato una vita intera a lavorare nel suo campo in riva al fiume e non sapeva che cosa fosse una visita fiscale.
Caruso, anche lui spaventato, senza sapere perché, fece una piroetta, agitando le braccia.
“Tranquillo”, disse il medico, “Quando una persona si assenta dal lavoro dobbiamo controllare che sia effettivamente ammalata. E’ la prassi!”
La prassi mandò definitivamente al tappeto il povero coltivatore diretto a cui era subentrato il figlio nella conduzione dell’azienda di famiglia.
Altro quadro del dolore divenne il viso rugoso di don Vincenzo: “Quanto mi dispiace! E’ cosa grave dottore?”
“Veramente non posso scendere nei particolari, mi capite, ma è cosa da niente, presumo! Il paziente ha chiesto quindici giorni”.
“Ah! Ha chiesto quindici giorni!”, fece don Callisto succhiando pensieroso la pipa.
“Ma io l’ho visto proprio stamattina, alla guida del trattore, che passava davanti casa mia…!”, intervenne, di nuovo incautamente, Vittorio Caiazzo.
Don Vincenzo fremeva, a ragione. L’ex impiegato comunale si intrometteva sempre senza riflettere e glielo fece nuovamente notare: “Non è il Martella che dici tu, vero dottore? Se risulta ammalato non può andare su un trattore, è sicuramente un altro...”.
Accompagnò la frase con gesti e tono inequivocabili. Poi aggiunse: “Dove lavora il vostro Martella?
“Eh! Do’?”, ribadì Caruso.
“E’ impiegato all’ufficio del Registro”. Il medico non aveva alcuna difficoltà a rivelare questi particolari ad anziani per lo più ignoranti e litigiosi ma nient’altro. L’unico ad avere un atteggiamento volpino era il fumatore di pipa che chiamavano don Vincenzo. Questi prese subito l’iniziativa per spegnere sul nascere ogni intervento inopportuno dell’ex scrivano comunale. “Visto che non è lui? Ascoltate bene, dottore, non date retta a questi stupidi. Ho capito chi cercate. E’ un po’ lontano, in campagna, ma non è difficile. Seguite le mie indicazioni e troverete facilmente la sua casa. Imboccate quella strada accanto alla chiesa”, e indicò con la mano la direzione precisa, “proseguite fuori dell’abitato per circa un chilometro, al primo incrocio girate a destra e continuate per un breve tratto. Incontrerete una casa isolata, gialla. Lì abita Domenico Martella, l’impiegato. Ma state attento ai cani!”
“Sono pericolosi?”
“Pericolosi? Sono dei diavoli. A sera vengono lasciati liberi e non fanno avvicinare nessuno. Mi raccomando, non scendete dalla macchina!”.
“Grazie”, disse il medico di controllo.
“Ma vi pare, sempre a disposizione”, rispose don Vincenzo ficcandosi compiaciuto la pipa in bocca.
Partito il medico tutti si aspettavano una spiegazione da don Vincenzo Callisto. “Ma Domenico non abita dietro la chiesa?”, insistette Vittorio Caiazzo.
Don Vincenzo aspirò più volte il fumo odoroso, il volto disteso e soddisfatto. Poi, tornando ad essere il maestro di sempre, esclamò calmo: “A volte penso che perdo il mio tempo a insegnarvi le cose... Adesso è proprio l’ora di rientrare, e speriamo che la prossima volta sappiate come comportarvi”.
In silenzio, senza neppure salutarsi, lasciarono lo spiazzo su cui vigilava la quercia centenaria.