Venne il giorno stabilito per i controlli post ospedalieri e don Vincenzo Callisto si alzò di cattivo umore. Odiava le visite mediche, odiava i camici bianchi perché, al solo vederli, andava in panico. Non parliamo poi delle iniezioni che davvero lo facevano tremare senza vergogna, lui che aveva vissuto una vita spericolata, piena di avventure e di guai, sempre affrontati coraggiosamente. Al fondo di quel suo malessere mattutino c’era anche lo sradicamento, seppure per qualche ora, dal proprio ambiente e dagli amici, da cui non riusciva ad allontanarsi. Ma, volendo andare più a fondo, non gli piaceva essere sballottato di qua e di là come un bambino o addirittura come un pacco.
La sua accompagnatrice, meglio, la sua guida, era, manco a dirlo, la sua signora Donna Carmina Iemma, di antica famiglia, dal piglio risoluto e arrogante come si conviene a una nobile. Lei prevedeva tutto, decideva tutto e non ammetteva discussioni e per giunta lo trattava sempre con modi bruschi e sprezzanti anche in presenza di estranei.
Don Vincenzo aveva un bel dire che a casa sua aveva l’ultima parola, con gli amici e discepoli non faceva che vantare la propria autorità domestica e dispensava consigli su come conquistarla, ma la realtà era un’altra, Donna Carmina non gli lasciava spago e lui, a malincuore ma senza lasciar trasparire la propria insofferenza, si adeguava.
Per tutte queste ragioni l’appuntamento con lo specialista, uno dei tanti perché tanti erano i suoi problemi di salute che lo costringevano frequentemente a sottoporsi a delle visite fastidiose, ora per una cosa, ora per un’altra, lo teneva in agitazione.
Tuttavia non vi si poteva sottrarre e si rassegnò pazientemente sperando che la giornata passasse presto. Venne finalmente la macchina, Donna Carmina si accomodò davanti, come sempre, don Vincenzo sprofondò sul logoro sedile posteriore che aveva perso quasi tutta l’imbottitura, tenendo le mani poggiate sul bastone e la pipa prudentemente in tasca.
Per quasi un’ora fu tenuto fuori dalla conversazione che di quando in quando si instaurava fra Donna Carmina e l’autista. Né l’una né l’altro gli rivolsero parola durante il viaggio. Per non soffrire della sua condizione di inferiorità si estraniò del tutto come faceva ogni volta che una circostanza sgradevole lo tediava. Osservava la campagna e le case che sfilavano velocemente al di là del vetro, pensava agli amici, alla quercia e alla fontana dall’acqua torbida, al via vai che a quell’ora della mattinata animava la piazzetta.
Cadde in un tale stato di apatia che ebbe un sussulto quando la macchina si fermò e Donna Carmina lo sollecitò a scendere.
Dovettero percorrere a piedi un lungo viale che attraversava in tutta la sua estensione il complesso ospedaliero prima di arrivare all’ambulatorio. Donna Carmina, dalla cui nobiltà il consorte traeva la propria, tirò dritto come un transatlantico in mezzo a una flottiglia di barche. Il suo incedere, il suo portamento erano proprio da gran signora, da persona importante, abituata ad avere precedenza e riverenza. La sua conformazione statuaria, il suo petto florido ma non esagerato, i suoi fianchi pronunciati che, nonostante l’età, conservavano le leggiadre movenze di una volta, non facevano che sottolineare la sua indiscutibile superiorità. Fronte alta e petto in fuori, dunque, e passo deciso. Con tutta sincerità faceva un po’ strano vedere una coppia così assortita. Don Vincenzo arrancava al suo fianco sostenendosi col bastone. Ogni tanto era costretto a starle dietro a causa del passo incerto o per lasciare spazio a qualcuno che procedeva in senso opposto, oppure per evitare di graffiarsi contro la siepe laterale. La sua signora, infatti, non si spostava neppure di un millimetro per consentirgli di camminarle a fianco.
In passato erano corse delle voci malevoli circa questo inspiegabile connubio tra donna Carmina e Vincenzo Callisto. Nei paesi, come ben sapete, le dicerie sono facili a nascere e diffondersi e Sarginazze non fa eccezione. In particolare si era ipotizzato che il matrimonio dei due fosse stato combinato per coprire il frutto di un’ avventura della giovane pupilla di una famiglia di alto lignaggio seppur decaduta. Tuttavia un’ipotesi più verosimile era l’unione tra una nobiltà priva di mezzi e una cospicua proprietà in cerca di promozione sociale. Ma la verità non la sa nessuno, e noi ci guardiamo bene dal partecipare ai pettegolezzi. Sta di fatto che il matrimonio aveva accontentato tutti, i Callisto come gli Iemma, anche se Donna Carmina non aveva mai abbandonato i suoi modi arroganti verso il marito e don Vincenzo, dal canto suo, non aveva mai smesso di essere servizievole, no, per carità, amorevole verso la moglie per la quale nutriva innanzitutto un rispetto di classe.
La visita ricalcò quelle precedenti. Alle domande del medico rispondeva Donna Carmina, era lei che riferiva sintomi, raccontava fatti, spiegava circostanze. Il diretto interessato era come se non ci fosse. A parere di don Vincenzo la nobile consorte esagerava nelle descrizioni ma ormai aveva fatto l’abitudine a quel modo di affrontare i consulti e non accennava nemmeno più a correggere, suggerire, chiarire. Tanto lo sapeva molto bene, se apriva bocca lei lo rintuzzava prontamente facendolo apparire come uno che si inventava le cose o le nascondeva.
E anche i medici si rivolgevano ormai soltanto a lei, le prescrivevano le medicine, le raccomandavano la puntualità e la disciplina alimentare, sicché don Vincenzo si sentiva quasi un intruso in una conversazione che non lo riguardasse. Indugiava con lo sguardo in tutti gli angoli dello studio, osservava gli strumenti diagnostici, la pila di medicinali e di scartoffie sulla scrivania, i tanti diplomi appesi alle pareti, disinteressandosi completamente a quanto veniva detto a proposito dei suoi acciacchi. E, nonostante che a un certo punto fosse oggetto delle mani del dottore che lo tastavano qua e là, gli sembrava che non fosse il suo corpo ad essere manipolato, che non fosse lui il malato da esaminare e con la mente vagava fuori da quello studio dall’aria viziata.
Rivestendosi provava un senso di sollievo e intanto il dottore faceva le ultime raccomandazioni a Donna Carmina la quale diceva certo, certo, non dubiti, le sue prescrizioni saranno eseguite alla lettera.
Quando furono di nuovo fuori, nel sole e nei profumi primaverili, lungo i viali ombrosi e pieni di gente, lei riprese la sua andatura altera e lui si affannava ora a un lato ora all’altro o la seguiva come un cagnolino.
Nel pomeriggio, quando finalmente poté raggiungere i suoi amici nella piazzetta, Don Vincenzo raccontò con dovizia di particolari e con evidente soddisfazione l’esito della visita che aveva certificato la sua buona salute. Soprattutto era gonfio di orgoglio per avere scambiato pareri e osservazioni da pari a pari con un luminare della scienza. Narrò come avesse tenuto testa allo specialista mostrando di non essere affatto digiuno di conoscenze scientifiche. Ciò, a suo dire, aveva suscitato non solo i vivi complimenti dell’illustre dottore ma l’ammirazione incantata di Donna Carmina che se ne era stata pazientemente silenziosa.
Trasse dalla tasca la sua lunga pipa di terracotta, l’accese con gesti lenti e studiati e aspirò una lunga boccata. I discepoli accrebbero la stima che avevano per lui.