I detrattori a oltranza, o gli ipercritici, o gli euroscettici o semplicemente gli anti dicono, affermano, ribadiscono che un governo europeo c’è ed è costituito da un direttorio di paesi forti che determinano secondo i loro interessi nazionali, ovvero secondo i propri egoismi, i destini dell’Europa.
Ovviamente c’è un fondo di verità in questo concetto. I nazionalismi che sembravano definitivamente sconfitti con la seconda guerra mondiale sono rientrati dalla finestra sotto mentite spoglie, nell’illusoria convinzione che in un mondo globalizzato e con l’affacciarsi sulla scena di smisurate potenze, anche se in fieri, gli stati nazionali come li conosciamo da noi possano competere ad armi pari.
La verità è (ci sembra ovvio) che manca un “vero” governo europeo. Fin qui si sono costruiti una serie di “organismi” sovra e inter nazionali, che hanno assicurato prosperità e pace per più di un sessantennio ma che non sono bastati o non bastano più a “governare” i processi politici ed economici del vecchio continente, con il risultato che il bicchiere europeo è visto mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda di chi lo guarda.
C’è troppa Europa per chi vuole rinchiudersi nel castello, ce n’è troppo poca per chi vede le debolezze di una struttura comunitaria con un gran corpo e una piccola testa. E’ vero, c’è una Commissione Europea, un surrogato di governo, ma essa per limiti intrinseci e personali, non si è affermata come organo di decisione. E quando manca un potere c’è sempre un contropotere che occupa la scena.
I cosiddetti grandi d’Europa fanno e disfano la tela a loro piacimento. A loro fa comodo avere a che fare con una Commissione debole. Barroso non ha brillato, in questi anni, per attivismo e incisività. Nell’ultimo periodo non si è quasi mai visto intervenire nelle questioni legate alla crisi economica, a rischio di fare andare in malora la costruzione europea. Si capisce perciò come il suo mandato sia stato rinnovato.
C’è bisogno di un governo europeo degno di questo nome, con un parlamento che decida finalmente di rappresentare i cittadini e non gli Stati, che sia motore di vero federalismo. E’ venuto il momento di fare uno scatto in avanti nella costruzione degli Stati Uniti d’Europa, anche a costo di lasciare qualcuno per strada.
La situazione attuale dell’Europa può trovare nell’Italia pre-unitaria un parallelo molto calzante.
Lo Stivale di allora era diviso in tante entità politiche, a volte l’una contro l’altra. Alcuni stati, preminenti rispetto agli altri per popolazione, estensione e forza, erano in realtà piuttosto trascurabili (insignificanti, secondo Metternich) sulla scena europea. Inoltre, chiusi nel loro orticello, vivacchiavano senza speranza di un progresso dello spirito e dell’economia.
Oggi alcuni stati d’Europa si cullano nella propria forza e nella propria prosperità illudendosi di godere per sempre di questa posizione privilegiata. Altri, meno forti e meno popolosi, si illudono altrettanto di poter fare a meno dei propri vicini come se i destini nazionali fossero indipendenti dai destini comuni. Vedono nell’Europa, a cui pure attingono la loro linfa, un pericolo più che una prospettiva finale.
Gli uni e gli altri mettono il freno alla macchina sulla quale comunque viaggiano.
I federalisti europei, che propugnano gli Stati Uniti d’Europa, in questo particolare momento storico sono chiamati a contrastare queste correnti antieuropeistiche chiedendo ai governanti e ai deputati disponibili una assunzione di linea politica netta e chiara per un approfondimento del processo federale.
L’Unione Europea, per non scontentare nessuno, ha finito per assomigliare più a una zona di libero scambio che a un organismo politico seppure in costruzione. Questa tendenza va invertita.