Era un pomeriggio umido e freddo. Gli amici di don Callisto si ritrovarono, come sempre, sotto la grande quercia, già infagottati in abiti invernali. Non potevano contravvenire alla vecchia abitudine di vedersi, fosse col sole o con l'acqua, anche perché, come è noto, ognuno aveva il timore che gli si parlasse alle spalle. E poi era l'unica distrazione che si potevano concedere, stare tutti insieme a chiacchierare, o meglio, ad ascoltare i sermoni di don Vincenzo Callisto, controverso nobile e saggio conoscitore del mondo appena fuori del paese. Anche se il tempo era inclemente, dunque, erano tutti presenti, in piedi perché non era il caso di stare seduti sulle panchine, dovendo ogni tanto sgranchirsi le gambe.
Quando don Vincenzo fece il suo ingresso nel giardino della piazza (come abbiamo visto era solito arrivare per ultimo perché le persone importanti si fanno sempre attendere), la riunione si poté considerare aperta.
Il fido Vaccarone, che viveva all'ombra nobiliare e culturale di don Callisto, chiese allora al saggio se c'erano novità e per novità si intendeva la dipartita di qualcuno, il matrimonio di qualcun altro, beghe familiari, molto frequenti, la prossima festa patronale, il raccolto, piccole cose di paese, insomma. Tutti rivolsero lo sguardo a don Vincenzo, simultaneamente.
Don Vincenzo prese il suo tempo prima di parlare. Aspirò voluttuosamente dalla sua vecchia pipa di creta. Anche questo faceva parte del suo gioco. Poi cominciò: "Mah, novità non mi risultano, ho fatto solo una piccola riflessione sul nostro destino di esseri umani".
Perbacco, la cosa era interessante ed anche impegnativa. I discepoli, pur capendoci poco o nulla, gradivano molto gli argomenti complicati. E Don Callisto era proprio forte nelle sue speculazioni.
"Allora, diteci. Siamo tutti orecchi", sollecitò il maestro elementare Chirozzi, molto curioso di tutto ciò che riguarda i problemi dell'esistenza.
"Già!...Eh?...", appoggiò la richiesta il monosillabico Graziano Caruso.
Don Vincenzo stavolta non si fece pregare: "Stamane, passando davanti al Bar Sport, sono stato invitato da un amico a prendere un caffè".
"Chi era?", interruppe l’ex impiegato comunale.
"Ma che t'importa chi era?", lo redarguì il maestro Chirozzi, col quale si punzecchiava spesso.
Don Callisto non ci badò e proseguì: "Ho accettato volentieri e, vista la giornata, ci siamo intrattenuti all'interno. Alcuni perditempo giocavano a carte e un paio di giovanotti si avvicendavano al biliardo. Mentre sorbivamo il caffè la mia attenzione è stata attratta dal gioco che stavano facendo. Ho chiesto loro di che si trattasse e mi hanno risposto che era la carambola"
"Eh, la carambola, chi non conosce la carambola, la giocavamo nel Bar degli Amici quando eravamo giovani", interruppe l'impiegato comunale.
"Come al solito, ma di quale Bar degli Amici parli che non era altro che una bettola! Tre tavoli e poche sedie sparigliate!", disse il maestro Chirozzi, ancora una volta stufo per gli interventi di Vittorio Caiazzo. "Non inventare le cose".
"Io non invento nulla, sei tu che non hai mai giocato".
"E finitela una buona volta. E tu, Vittorio, facci ascoltare don Vincenzo che ne sa più di tutti", interruppe Raffaelone che il tempo passato a coltivare il fondo in riva al fiume aveva reso più ascoltatore che parlatore. L’ex impiegato comunale dovette cedere non senza borbottare.
Come se niente fosse, dopo aver succhiato a lungo il bocchino della sua pipa, con gli occhietti socchiusi, don Vincenzo proseguì: "Ho osservato a lungo quelle biglie colorate e numerate che sfrecciavano in tutte le direzioni. Prima venivano disposte a triangolo al centro del biliardo. Un giocatore, mediante una stecca e una biglia bianca, le colpiva forte ed esse si sparpagliavano sul tappeto verde. Alcune andavano a infilarsi nelle buche tutt'intorno al biliardo". Fece una pausa e aspirò un'altra boccata di fumo.
"Oh...oh...", fece il monosillabico Caruso.
"Beh” - disse lo scrivano - “questo è tutto? Chissà quante volte l'abbiamo fatto anche noi”.
Né don Vincenzo né gli altri gli prestarono attenzione, non si sa se per comprensiva rassegnazione o per pura indifferenza.
"Si, il gioco è semplice, lo potrei fare anch'io se ne avessi la forza".
"Sicuro, don Vincenzo, proseguite. Quale è la vostra riflessione? Che c'entra la carambola con la nostra esistenza?", disse Andrea Vaccarone, che sapeva fare molto bene da spalla.
"Eh?...Su?”, disse il monosillabico.
"Vedo che siete tutti attenti ascoltatori, oggi. Ecco su quanto ho riflettuto".
"Uhm", fece qualcuno.
"Immaginate le persone al posto delle biglie, ma tantissime, quanti siamo a questo mondo, milioni?" disse don Vincenzo.
"Miliardi", corresse Chirozzi.
"Eh, miliardi!", esclamò Vittorio Caiazzo, che non aveva proprio idea di quanto fosse grande il mondo ma non trascurava di intervenire, come sempre.
"Ebbene”, riprese don Vincenzo, sempre molto paziente,”immaginate il destino al posto del giocatore, o il padreterno, come vi pare. Parte il colpo, le biglie corrono agitate, sbattono sulle sponde, si scontrano fra loro come se volessero evitare di finire nelle buche, ma ad ogni giro alcune di loro sono eliminate. Poi la biglia bianca continua a imbucare le altre, secondo la disposizione più conveniente, fino a che il gioco termina con la scomparsa di tutte”.
"Se ho capito bene, voi dite che tutti noi siamo come quelle palline numerate", disse Pompeo Bortone, ex guardiano.
Don Vincenzo aspirò una nuova boccata di fumo: "Proprio così”, disse, “siamo parte di un gioco che finirà, finirà per tutti prima o poi. Chi all’istante, chi più tardi, tutti ci ritroveremo nella buca. Al momento della nostra nascita siamo sistemati nel triangolo, al centro del tappeto verde, poi paf, arriva la sberla e già qualcuno ci rimette la pelle. Le buche sono là, aspettano il nostro turno".
"Parola mia, non ho mai sentito una teoria più profonda, dai tempi di Talento di Miletto, di Astrofine e di Zanone", azzardò con la consueta precisione il maestro Chirozzi. E aggiunse per rafforzare il concetto: “Eureka, maieutica e semotica. Non plus ultre”.
Non ci furono altre interruzioni o commenti. Rimasero taciturni i discepoli di don Vincenzo Callisto, abbagliati da tanta cultura e ragionamenti così elevati. Si limitarono a battere i piedi per il freddo, riflettendo sul destino umano e sul fatto che le buche non c'era verso di evitarle, per nessuno.
In quel mentre sopraggiunse Gennarino 'e vucchella rossa, uno dei più scapestrati del paese, secchio al braccio: "vongole, vongolee!".
"Finalmente hai messo la testa a posto, ti sei dato al commercio? facci vedere la tua mercanzia", disse don Vincenzo, "ma dove sono le vongole?".
"Sono quelle che vendete voi, don Vincè...", disse Gennarino con una sonora risata mentre si allontanava.
"Bada come parli, ragazzaccio", gli agito' dietro la sua lunga pipa di creta il patriarca. "Abbi più rispetto per chi è nobile e più istruito di te". Il viso, che di solito era pallido, emaciato, gli si imporporò a tal punto che tutto il suo povero sangue sembrava essersi concentrato in quella parte del corpo.
"Non c'e più rispetto a questo mondo!", sentenziò Raffaelone, contento, per una volta, che suo figlio gli avesse tolto il terreno in riva al fiume e si fosse messo a lavorare.
"E’ proprio il momento di ritirarci. Ma state sereni, domani ci ritroveremo tutti qui, come al solito... se, nel frattempo, non finiamo in qualche buca!", disse poco dopo don Vincenzo. E ognuno rincasò turbato e pensieroso.