Era stato minaccioso per tutta la mattinata il tempo consegnato dalla notte, carico di nubi gravide di pioggia. La sarabanda di tuoni cavernosi aveva a lungo annunciato l’arrivo del temporale senza decidersi a dargli il via libera definitivo. Poi, finalmente, quasi all’improvviso, come se il cielo si fosse accorto solo allora della necessià di liberarsi dei pesi che lo opprimevano, un diluvio si abbatté violento sull'abitato di Sarginazze.
Proprio in quel momento Don Vincenzo si apprestava a uscire per il raduno quotidiano con gli amici nella piazzetta e una smorfia di disappunto si disegnò sul suo volto rugoso.
Bloccato in casa, fremeva e osservava attraverso i vetri l’acquazzone caliginoso che quasi nascondeva le case di fronte. Dovette rassegnarsi suo malgrado alla situazione. Dentro di sé imprecava per questo imprevisto che gli rovinava il programma. La sua esistenza metodica era infastidita ma non poteva farci nulla. Si accomodò sul divano aspettando pazientemente che spiovesse. Intanto girava lo sguardo intorno, osservava i mobili e gli oggetti della stanza come se non li conoscesse, come se non gli appartenessero. Da tempo si sentiva estraneo nella sua casa, mentre la piazzetta era diventata il suo domicilio abituale, dove trovava persone che lo stimavano e lo rispettavano, che stavano ad ascoltarlo senza smorfie e senza fastidio.
Sua moglie, donna Carmina, era nella stanza accanto, occupata nelle proprie faccende delle quali lui non aveva la minima idea. Di tanto in tanto la vedeva passare nel vano della porta. Né lui le lanciava una frase né lei gli prestava attenzione.
La pipa in una mano e il bastone nell’altra, don Vincenzo si interrogava su quel rampollo di nobiltà che aveva sposato tanti anni prima per fregiarsi di un blasone. Gli accadeva sempre più spesso di domandarsi chi fosse quella donna che si era tirato in casa, perché, pensandoci bene, non era mai riuscito a conoscerla intimamente.
Ai suoi tempi donna Carmina non era stata particolarmente bella, anzi non lo era stata affatto. Aveva un viso quadrato in una testa a forma di cubo, due occhi indagatori sempre in movimento, un naso gibboso, un colorito olivastro. Il resto del corpo, massiccio e ben piantato, palesava lineamenti mascolini. Parlava sempre ad alta voce, con un timbro cupo, come se provenisse dal fondo di una caverna e biascicava le vocali aperte. Nell’insieme il suo aspetto era piuttosto ordinario, per non dire popolaresco. Non usava alcun abbellimento di ori e cianfrusaglie varie e nemmeno prodotti di bellezza che ne addolcissero il viso, mentre i suoi gesti decisi rivelavano la persona abituata a comandare.
Da giovane aveva suscitato senza dubbio qualche interesse per effetto della sua esuberanza ma ben presto aveva perduto ogni attrattiva. Aveva conservato quel petto abbondante, quelle groppe da cavalla e una robustezza generale che al solo guardarla ispirava soggezione.
La sua nobiltà, rinsanguata dalle sostanze di don Vincenzo Callisto, aveva trovato nuovo slancio e tutti la riverivano per quello che era. Lo stesso don Vincenzo aveva nei suoi riguardi più un rispetto di classe che una confidenza da marito. Anche nei momenti di più intenso ardore matrimoniale non aveva mai smesso un atteggiamento di sottomissione. Questo, anziché assicurargli l’affetto desiderato, aveva finito per deludere la sua consorte, la quale aveva cominciato a nutrire rancore e disprezzo per quell’uomo debole e accondiscendente. Avrebbe desiderato un uomo vero, duro, determinato, ma la sorte e le circostanze avevano deciso diversamente.
Il vecchio possidente non si era mai sentito in armonia con quella donna, non aveva mai nutrito per lei un vero trasporto affettivo. Eppure l’aveva sposata e la ragione era nel fatto che donna Carmina era stata l’imperdibile occasione di elevazione sociale, gli aveva consentito di entrare a far parte di un immaginario mondo altrimenti irraggiungibile. Così, dopo il matrimonio, aveva cominciato a farsi chiamare don Vincenzo, dandosi delle arie da autentico nobile. A lei, invece, quella unione permetteva di perpetuare una certa autorità nel piccolo mondo di Sarginazze, dove la disponibilità economica era il metro fondamentale di giudizio.
Di fatto nutriva un distacco altero verso il resto del paese. Frequentava pochissime persone, quelle che contavano. Viveva una vita riservata, aperta solo a chi avesse lo stesso lignaggio, chi potesse vantare le stesse ascendenze o comunque appartenere al mondo dei benestanti. E in un paese come Sarginazze non c'erano molte persone in possesso delle credenziali adatte ad entrare non tanto nel suo cuore ma almeno nella sua considerazione.
Naturalmente, per il popolino, Donna Carmina era dotata di tutte quelle virtù che ne facevano una figura elevata, ineguagliabile. Come si scoprivano il capo gli uomini fatti al suo passaggio e come la riverivano le donne plebee per ingraziarsela! Ma ella non faceva caso a tutte quelle manifestazioni esteriori di ossequio che teneva per dovute. La sua distinzione nobiliare era riconosciuta anche in chiesa dove sedeva in un posto riservato, separato dal resto dei fedeli. Ma tutte quelle arie da nobildonna non ingannavano certo don Vincenzo. Egli era convinto che si trattasse solo di apparenza, che in realtà la sua signora, come era solito definirla, avesse difetti e vizi in quantità, in parte eredidati da secoli di aristocrazia, acuiti da anni e anni di ristrettezze rancorose, e in parte suoi personali, connaturati alla propria essenza.
Era una vecchia bisbetica, che cambiava umore in continuazione, che teneva sempre a sottolineare le proprie origini, a vantare meriti e glorie reali e inventate. Questo dava molto fastidio al marito che aveva messo sul tavolo le sue cospicue risorse. Proprio non riusciva a tollerarlo. E una ondata di rimpianto gli avvolgeva l’anima a causa della estrema delusione che provava rispetto a tutto ciò che aveva sperato. L’aristocrazia nella quale era riuscito ad accedere grazie alle sue sostanze si era rivelata una umanità falsa e ipocrita. Aveva immaginato tutto un mondo di distinzione, virtù cavalleresche, raffinatezza ed eleganza, e invece, eccola la nobile donna Carmina, una donna dispotica, viziosa, smodata nel mangiare, invadente e ficcanaso. Agli estranei poteva darla a bere ma non a quell’uomo di mondo che aveva imparato a proprie spese i suoi modi da popolana.
All’improvviso, così come aveva cominciato, il temporale smise di abbattersi sull’abitato. Il cielo era ancora attraversato da nere nubi ma esse si dileguavano velocemente verso sud. Comunque, l’importante, per don Vincenzo, era che non piovesse più. Si alzò quasi di scatto, per quanto glielo permettevano gli anni e gli acciacchi, agganciò la pipa al labbro inferiore, impugnò il bastone con la destra e con la sinistra aprì la porta. Senza dire una parola uscì diretto alla piazzetta.