Se fosse possibile influire almeno in parte sul proprio destino, se si potesse in qualche modo indirizzare la propria vita seguendo un itinerario scelto a piacimento e di volta in volta modificarlo secondo le proprie convenienze e le proprie esigenze, quanti di noi ricorrerebbero a tale facoltà? Sono sicuro che non c’è persona al mondo che sia contenta del proprio stato. Al contrario, chiunque farebbe volentieri a meno di ciò che il destino gli ha riservato.
Carlo F. sarebbe certo tra coloro che più ardentemente desidererebbero tornare indietro ed evitare la strada che in modo del tutto casuale hanno percorso, sicuri nella fiduciosa tranquillità del vivere quotidiano.
Non ho conosciuto Carlo F. di persona, ma il suo caso mi è stato raccontato da un comune amico il quale si è raccomandato di non rivelarne la vera identità. Vi esporrò dunque i fatti celandovi, non ve n’abbiate a male, le generalità del protagonista.
La storia cominciò una sera di giugno dell’anno scorso. Il nostro personaggio, 52 anni, posizione dignitosa (non vi dico altro circa l’aspetto fisico, la professione, le persone frequentate e ogni altro elemento che possa farlo riconoscere: a proposito, anche il nome è inventato), era un uomo felice, se mi è lecito usare questo termine, e guardava le cose con ottimismo.
Tutto bene? Niente affatto, perché il Caso stava per dare una svolta inaspettata e drammatica alla sua vita. Era sera avanzata, come ho detto, e Carlo F. aveva voglia di uscire per quattro passi. La mitezza dell’aria invogliava a star fuori anche ad un’ora un po' insolita. Le strade deserte del quartiere non gli davano noia, non temeva il silenzio della notte.
Dopo aver fatto un bel giro dei giardini, assorto in pensieri di nessun’importanza e intento soltanto a godersi quell’inusuale tranquillità, stava per ritornare sui suoi passi quando udì un debole lamento provenire da un angolo poco illuminato. Per un attimo rimase esitante in ascolto. Poi il lamento si ripeté dimostrandogli che non si era sbagliato. Si avvicinò con cautela al punto da cui proveniva il richiamo e si avvide di un corpo abbandonato lungo una siepe. Immediatamente si chinò ad aiutare quell’uomo mettendogli un braccio sotto il capo e cercando di riordinargli il vestito. Si accorse che sanguinava da un fianco e al debole chiarore di un lampione poco lontano ne osservò il pallore mortale.
L’uomo continuava a lamentarsi molto debolmente e Carlo F. si meravigliò di come avesse potuto sentirlo. Mentre incoraggiava lo sconosciuto cercò di tamponare la ferita alla meglio. Davvero non sapeva che fare.
L’uomo sembrò riprendersi un po' e facendo appello alle ultime sue forze afferrò Carlo F. per il bavero della giacca e tirandolo verso di sé gli sussurrò:
-“Sto per morire, voglio confessarmi”.
-“Non si agiti, non è nulla di grave”.
-“Devo confessarmi!”, ripeté l’uomo quasi in un rantolo.
-“E’ tardi, dove lo trovo un prete a quest’ora?”, rispose Carlo F.
-“Muoio", disse l’uomo disperato, "confessami. Devi ascoltarmi, ti prego”.
-“Io?! Ma io non posso...Non si può...E’ vietato...”. Carlo F. era esterrefatto. Pur non essendo un frequentatore di chiese sapeva che era impossibile una cosa del genere. Solo un prete poteva confessare e dove lo trovava un prete a quell’ora della notte? Era una situazione ben strana. Cercò di confortare il moribondo in qualche modo e intanto si guardava intorno. Non c’era anima viva. La fronte gli si era imperlata di sudore. L’uomo continuava a supplicarlo. Ma come poteva prestarsi a ciò? Non aveva mai sentito niente di simile in vita sua. Avrebbe voluto trovarsi altrove e rimpiangeva di non essere rimasto a casa. Era quasi tentato di abbandonare quello sconosciuto che continuava a tenerlo stretto ripetendo, come un ritornello, la sua assurda richiesta.
-“Si calmi, la lascio solo un momento, corro a chiamare un’ambulanza, Vedrà che è cosa da nulla. Abbia un po' di pazienza e fra poco sarà curato in ospedale”.
-“Non voglio, non voglio, sto per morire, ascoltami!”. Gli si attaccò al collo rivelando un vigore inaudito. Era senza dubbio la forza della disperazione che lo teneva avvinghiato a Carlo F., il quale, da parte sua, si cercava invano di non ascoltare. Ci riuscì solo in parte perché, nonostante le frasi sbiascicate, ebbe la certezza che quell’uomo era un assassino. Aveva ucciso una donna e da lei stessa era stato ferito. Allontanatosi dal luogo del delitto era poi crollato lì dove Carlo lo aveva trovato.
Questa rivelazione paralizzò Carlo F.. Lo sconosciuto continuava a strattonarlo e con voce sempre più flebile chiedeva insistentemente l’assoluzione dei propri peccati.
Carlo F. era sconvolto, ma nello stesso tempo commosso, per il dramma che lo vedeva testimone e, senza rendersene conto, acconsentì a quell’ultimo desiderio accennando goffamente una benedizione.
Come se lo sforzo profuso gli avesse inferto il colpo finale lo sconosciuto a quel punto gli si afflosciò tra le braccia.
Non per questo la situazione era migliorata, anzi era diventata ancor più rischiosa. Si trovava accanto ad un uomo morto e sentiva la sua giacca bagnata di sangue. Se qualcuno l’avesse visto lo avrebbe preso di certo per un assassino. E anche se avesse trovato una persona disposta a credergli come avrebbe evitato il fastidio delle spiegazioni, delle interrogazioni, dei sospetti, delle pastoie burocratiche?
Non vide che una sola via d’uscita, allontanarsi il più velocemente possibile da quel luogo e rifugiarsi in casa. E così fece.
L'indomani impose a se stesso di non pensarci più e di agire come se nulla fosse accaduto. Si lasciò assorbire totalmente dagli impegni. Ormai quell’assurdo episodio andava lentamente sfocando nella sua mente, quando tutta la vicenda divenne nuovamente attuale nella sua drammaticità. Carlo F. venne a sapere, del tutto casualmente, che l’individuo che egli aveva dato per morto in realtà se l’era cavata.
Egli non ebbe subito la percezione precisa delle conseguenze di questa notizia tuttavia sentì un vago pericolo profilarsi all'orizzonte.
Così cominciò ad interessarsi alle pagine di cronaca dei giornali ma vi trovò solo pochi cenni. Arrivò alla conclusione che gli inquirenti brancolavano ancora nel buio e non avevano trovato alcun collegamento tra i due fatti di sangue. La morte della donna e il ferimento dello sconosciuto, si diceva per tentativo di rapina, apparivano reciprocamente estranei. “Dunque”, concluse Carlo, “sono il solo a sapere!”. Si spaventò molto.
-“Come mai tanti giornali, signor Carlo”, chiese l’edicolante? “Da un po' di giorni lei mi svuota l’edicola”.
Ma Carlo era troppo imbarazzato perché potesse articolare una risposta tale da soddisfare la curiosità della donna.
Intanto andava mettendo insieme a fatica i pezzi del puzzle. La donna uccisa era una prostituta. La sua borsetta non era stata toccata. L’ipotesi prevalente era quella di un assassinio per mano di un maniaco. L’uomo, invece, era un ragioniere di 45 anni, incensurato. Il tono degli articoli era di solidarietà per il ferito, scampato per puro miracolo alla morte, e di sollecitazione alle autorità per un maggiore impegno atto ad impedire ulteriori episodi come quello. Si continuava a pubblicare la foto dell’uomo.
Carlo si disse che non aveva nulla da temere. Come poteva essere riconosciuto da un uomo che lo aveva visto nella penombra mentre si trovava in imminente pericolo di vita? Tuttavia non era pienamente convinto dalle assicurazioni che faceva a se stesso, il dubbio lo assaliva sempre più forte e mille domande gli torturavano la mente. Si rendeva conto, alfine, di essere l’unico testimone di accusa per lo sconosciuto. Perciò, dapprima inconsapevolmente poi con sempre maggior lucidità, cominciò a guardarsi intorno, a muoversi con cautela e a sussultare ad ogni più piccolo rumore improvviso. Si rese altresì conto che non poteva vivere in perenne agitazione, così decise di fare una verifica. Recatosi in ospedale si soffermò sull’ingresso della stanza occupata dal suo uomo. Egli stava conversando con altri degenti, ma quando si accorse della presenza di Carlo gli fissò addosso uno sguardo strano. All’animo turbato del nostro amico sembrò voler assicurare: -“Si, ti ho riconosciuto, sei tu quello che conosce il mio segreto, che può mettermi in pericolo. Che va eliminato!”.
Carlo F. ormai n’era certo: quell’uomo meditava il suo assassinio, non sapeva come, non sapeva quando ma sentiva che la sua ora stava suonando.
Una conferma ai suoi funerei pensieri arrivò qualche tempo dopo quando si sentì seguito e osservato nei suoi movimenti. Egli sorprese lo sconosciuto che lo scrutava discretamente da lontano.
La paura aveva ormai fatto capolino nel suo animo. “Quell’uomo”, pensò, “di sicuro non sarà tranquillo fino a che avrò la possibilità di parlare”. La rivelazione che Carlo F. aveva ricevuto quella sera era l’unica prova del delitto e per ciò stesso era anche una minaccia alla propria vita, sempre più palese e incombente. Si sentiva braccato. Per strada prendeva mille precauzioni, cambiava continuamente i suoi itinerari e camminava lungo i muri nell’intento di evitare sguardi indiscreti.
Si convinse che non bastava nascondersi in casa o tra la folla ma doveva fornirsi di un’arma. Ciò lo rese per qualche tempo più tranquillo. Ma il Caso, che gioca sempre un ruolo decisivo nelle faccende umane fino a segnare il destino delle persone, volle che uscendo da un sottopassaggio, un pomeriggio, Carlo F si ritrovasse faccia a faccia con l’assassino. “E’ arrivato il momento”, pensò, “finalmente!”. Ora si decideva tutta la faccenda. I due si guardarono intensamente per lunghi istanti. Le loro menti elaborarono miliardi di pensieri, analizzarono tutto lo spettro delle frequenze ma non entrarono in comunicazione. All’improvviso l’uomo accennò un gesto e fece per dire qualcosa. Fu un attimo. Carlo F. fu più svelto di lui. La lunga attesa e il continuo stato di allarme lo fecero scattare insieme al grilletto della sua arma. Tre colpi in rapida successione e l’uomo stramazzò a terra in una pozza di sangue.
Lo sconosciuto, perché tale era rimasto nonostante il suo nome fosse stato pubblicato dai giornali, lo chiamò a sé (si ripeteva la scena di una sera precedente) e in un sussuro appena comprensibile gli rivelò che aveva deciso di costituirsi e che lo stava cercando per liberarlo dal suo segreto. Ciò detto esalò l’ultimo respiro.