Arrivarono alla spicciolata per non dare nell'occhio, chi planando lentamente come se niente fosse, chi facendo ampi cerchi a scrutare l'orizzonte e poi lanciarsi in picchiata veloce quanto improvvisa per sfuggire a eventuali occhi indiscreti, chi saltellando da un albero a un cespuglio e mimetizzandosi nel folto della vegetazione. Ognuno aveva un suo modo di nascondersi e metteva in atto tutte quelle precauzioni che gli erano dettate dal carattere e dalla natura. Col passare dei minuti giunsero sempre più numerosi e, a un certo punto, sempre più vocianti perché, resi forti dal numero ed eccitati dalla vista di tanti congiurati, finalmente si lasciavano andare e abbandonavano ogni sorta di circospezione e di timore, anzi si facevano festa, si scambiavano amichevoli ed enfatici colpi di ala, in alcuni casi simili a delicati sfarfallii, in altri dei veri e propri colpi di maglio, strepitavano contenti, azzimati, impettiti, tracotanti, superbi, ingenui, giocherelloni. C'era chi approfittava dell'occasione per combinare qualche affare, altri ordivano trame alle spalle degli allocchi, altri ancora si pavoneggiavano nei loro bei costumi, perché a quell’adunata molti erano convenuti come a una festa mondana.
Si può dire che c'erano tutti gli uccelli in quella spianata al di là del bosco e ai piedi della montagna. Era un bel tramonto d'estate e il sole dardeggiava ancora attraverso le cime degli alberi e l'aria, che fino a pochi attimi prima era così silenziosa, adesso era percossa dai cinguettii, dalle strida, dagli schiamazzi di centinaia e centinaia di volatili.
Il vecchio gufo pensò che era veramente notevole vedere nello stesso posto tante specie così diverse e anche così accanitamente ostili. Era una gioia del cuore assistere a uno spettacolo come quello: aquile a stretto contatto di ala con usignoli, passeri insieme a falchi, civette che fraternizzavano con canarini…, sì, era un bello spettacolo davvero.
Il gufo non riuscì a trattenere una lagrima di gioia. In vita sua non era mai stato testimone di un evento simile.La pianura non era mai stata, prima d'allora, un luogo di pace e fratellanza per tutti gli uccelli. Ma forse egli era troppo romantico o troppo vecchio perché ci voleva poco a osservare come tra le varie specie non corresse buon sangue.
Gelosie, invidie, odi e rancori dominavano quella adunata stravagante e sarebbe bastato un nonnulla per scatenare l'inferno e un conseguente massacro.
I più irrequieti erano i rapaci. Ce n'erano di diverse famiglie. Quelli diurni erano di grossa taglia, dal becco robusto e uncinato, dalle zampe fornite di artigli ricurvi e dalle ali spaventose. Erano dotati di vista acutissima e di ottima resistenza al volo. In quel settore si potevano notare degli sparvieri, dei grifoni, dei falchi, dei condor e soprattutto delle aquile maestose. Essi mal digerivano di stare lì, appollaiati sugli alberi insieme agli insignificanti fringuelli e, soprattutto i falchi, fremevano alla vista dei miti passerotti. Più in là avevano preso posto i rapaci notturni, dagli occhi mostruosamente sviluppati, dal becco breve ma robusto e dal piumaggio morbido e abbondante. I più in vista erano i barbagianni, le civette, i gufi e mal sopportavano la vicinanza di uccelli solari come le rondini.
C'era voluta tutta la diplomazia del vecchio gufo per raccogliere tanti individui che in tempi normali erano nemici acerrimi, ma forse più ancora delle sue parole era valsa la consapevolezza del pericolo sempre più grande che li minacciava.
Le battaglie che essi combattevano dalla notte dei tempi, gli assalti che i più deboli dovevano sopportare dai più forti, gli spargimenti di sangue che avvenivano per il predominio dell'aria erano scritti nel libro antico del destino ed essi sottostavano alla legge naturale con rassegnazione.
Ma ora li sovrastava un pericolo più grande, i cacciatori, quegli esseri incapaci di volare ma che riuscivano a uccidere anche a grande altezza. Dotati di un bastone che sputava fuoco, essi facevano inutile strage fra tutte le specie. Nessuno poteva dirsi al sicuro, tutti temevano per la propria vita, molti già sentivano un campanello d'allarme che annunciava l'estinzione della propria specie.
Per troppo tempo gli uccelli avevano subìto senza protestare attentati, attacchi proditori, massacri inutili perpretati spesso al solo scopo di divertirsi.
Anche la caccia di cui erano stati oggetto per millenni l'avevano accettata come parte del gioco ma i cacciatori erano cambiati, si erano incattiviti. Una volta erano spinti dalla necessità di procurarsi il cibo; adesso, invece, essi cacciavano per puro diletto e gli uccelli non erano più disposti a fare da bersaglio dei passatempi degli uomini. Avevano avuto notizia da alcuni loro agenti segreti che gli uomini si consideravano esseri superiori, padroni del cielo e della terra. In questa ideologia scorgevano elementi pericolosi per l'avvenire delle specie volatili. Era dunque questa la molla che aveva spinto così tanti individui ad accettare l'invito del vecchio gufo e a darsi appuntamento nella radura. La coscienza del pericolo incombente li aveva fatti passare sopra alle divisioni e alle beghe personali e si erano recati tutti, i più deboli con fiducia e i più potenti con umiltà, a quel convegno che doveva segnare una svolta nella vita di tutti.
A un certo punto il vecchio gufo, che se n'era rimasto per tutto il tempo nascosto fra i rami ad osservare l'arrivo delle varie delegazioni, si fece avanti e tutti poterono osservarlo un po' ansimante nel suo piumaggio ingrigito.
Il silenzio scese immediatamente sulla radura. L'età veneranda esigeva rispetto e anche quelli che in altre occasioni lo avevano maltrattato e deriso si disposero ad ascoltare le sue parole.
"Fratelli - egli cominciò - sono tanto contento di vedervi tutti qui che il mio cuore è gonfio di commozione. Questo è il più bel giorno della mia vita. Voi già sapete la ragione per la quale vi ho invitati perciò non è necessario che io ripeta ciò che vi ho mandato a dire e sapete pure che fra tutte le specie la mia è quella che corre meno pericoli. Ascoltatemi, dunque, con animo sgombro da pregiudizi perché io mi sento, come dire, un po' neutrale". Diede qualche colpetto di tosse, poi aggiunse: "Il pericolo è grande, fratelli, e dobbiamo prendere delle misure atte a fronteggiarlo".
Tutti approvarono rumorosamente le parole del vecchio battendo le ali, fischiando, cinguettando e stridendo.
Uno tra i più facinorosi, il corvo reale, gridò:"Abbasso gli uomini". Un altro che non era da meno, il condor, strepitò:"Uccidiamoli tutti". Una buona parte dell'assemblea appoggiò con grossolano fragore, come sapeva fare, queste parole d'ordine, altri se ne stavano zitti, timorosi di esporsi e in attesa di vedere in quale direzione spirasse il vento, e ce n’erano alcuni che additavano con disprezzo quei fracassoni che non rispettavano le regole delle buone maniere.
"Non siate precipitosi”, continuò il vecchio gufo, “non lasciate che la disperazione e l'odio accechino la vostra ragione. C'è qui il mio amico barbagianni il quale è stato appena a sentire quali sono le intenzioni degli uomini e mi ha detto che non tutti la pensano allo stesso modo. Facciamolo parlare".
Con lievi battiti delle ali e movimenti delle zampe l'uditorio si dispose alla meglio ad ascoltare il secondo oratore.
"Si, - disse - mio fratello ha detto la verità. Ho ascoltato di nascosto cosa dicono gli uomini. Non tutti sono nostri nemici. Anzi solo una piccola minoranza si arroga il diritto di ammazzarci. La maggioranza non è così, non è animata da sentimenti ostili. E' vero che vi sono uomini che tengono in gabbia dei nostri fratelli (a questa affermazione i pappagalli, i canarini e i merli annuirono con forza) ma essi non lo fanno con cattiveria, è solo perché non capiscono che gli uccelli sono fatti per volare nei cieli. Ma vi dico di più: ce ne sono un gran numero che sono dalla nostra parte e che anzi lottano contro i loro simili pur di difendere la nostra causa”.
"E' vero, è vero", esclamarono a gran voce alcuni delegati appollaiati nelle ultime file dell'assemblea, cormorani, pellicani, fenicotteri che non avevano proprio voglia di partecipare a risse e gazzarre.. Ma un'aquila reale che si trovava nei pressi allargò le ali per tutta la loro estensione e diede a quegli ignavi un colpo che li fece vacillare tramortiti. Poi disse a mo' di sentenza: "Gli uomini sono tutti cattivi. Bisogna distruggerli!".
Nessuno, nel raggio di cinquanta metri osò controbattere il parere di uno tra gli uccelli più potenti del mondo.
Ruppe l'imbarazzato silenzio il vecchio gufo dando fondo a tutta la sua esperienza per stemperare la tensione e dare al dibattito un andamento costruttivo.
"Suvvia, fratelli - egli disse – non dobbiamo generalizzare. Tra gli uomini esistono delle differenze come tra di noi. Abbiate fiducia in me che li conosco bene perché vivo a stretto contatto di ala con loro, sicuramente vi sono uomini malvagi che vogliono la nostra rovina e altri, invece, che ci difendono. E' dai primi che dobbiamo temere”.
"Ben detto - esclamò il picchio - propongo di indire un vertice che esamini la situazione. Io e i miei fratelli siamo pronti a lanciare il messaggio con il codice Morse".
"Si potrebbero mandare degli ambasciatori a trattare un modus vivendi", propose l'istruito gallo cedrone.
"Ma chi vuoi che stiano a sentire". - proruppe avvampando lo struzzo- "I cacciatori non ascoltano i loro simili figurarsi se stanno a sentire noi. Non capiscono neppure la nostra lingua".
"Basta, facciamola finita con le chiacchiere" - irruppe decisa una beccaccia che sentiva molto il problema. Con un gran salto andò ad occupare il centro della scena: "Chi è per la guerra alzi l'ala…".
"Un attimo, fermi fratelli, non spetta a lei guidare i lavori dell' Assemblea" - disse accorata una gru. E' il gufo che ci ha invitati ed è lui che mette le proposte ai voti".
"E va bene, rispose con evidente impazienza l'arpia, ma che si decida presto, altrimenti ognuno si riterrà libero di agire come gli pare".
Il vecchio gufo, un po’ addolorato per questi screzi che sempre venivano a galla, riprese in mano il timone della nave: "Signori, un po’ di stile! Ebbene, la mia lunga età mi suggerisce di proporre una linea severa ma equa. I nostri nemici sono i cacciatori perciò a tutti gli altri non sarà torto un capello. Metto ai voti la proposta di scatenare la guerra contro gli uomini dai bastoni di fuoco avvertendovi però che se la guerra sarà dichiarata essa ci vedrà tutti coinvolti. Che non ci siano imboscati o approfittatori. Ognuno farà il proprio dovere secondo le proprie possibilità.
"Bene, ben detto", risposero all'unisono tutti i delegati e la radura risuonò nuovamente delle grida degli uccelli.
I picchi si posero subito all'opera, intraprendenti com'erano, e coi becchi appuntiti tracciarono una lunga linea per terra. Il vecchio gufo incaricò due suoi compagni più giovani, un fringuello e un cavaliere d'Italia, di sovrintendere alle operazioni. Uno di loro disse:"Chi è per la guerra si metta a destra, chi è contro la guerra si ponga a sinistra". Anche per influenzare il voto degli indecisi gli uccelli più forti, con un terrificante battito d'ali e lanciando strida bellicose, andarono a sistemarsi con gran fragore a destra della linea. Immediatamente tutti gli altri uccelli li imitarono e in pochi secondi la parte sinistra della radura si svuotò di delegati. Rimasero solo dei cardellini e delle allodole tremanti. Anch'essi erano vittime dei cacciatori tuttavia non avevano inclinazione per le armi e rimasero lì dove si trovavano, fatti oggetto di scherno e di minacce da parte di tutti gli altri uccelli.
Proclamati i risultati del voto il vecchio gufo esclamò: "Dichiaro la mobilitazione generale. Tutti gli uccelli abili si presentino domani all'alba in questo posto per ricevere gli ordini. Che la vittoria arrida ai nostri stormi ".
A queste parole si diffuse per il campo un clamore di becchi, di zampe, di artigli, di grida terribili tanto che la terra tutta ne fu atterrita. La maggior parte degli uccelli restò nella radura. La tensione era troppo forte perché potessero ritornare ai loro nidi come se niente fosse. In ogni angolo era un movimento operoso, chi affilava il becco, chi batteva le ali, chi metteva a punto gli strumenti di comunicazione, chi si puliva le zampe. Ognuno era indaffarato in un qualche preparativo e buona parte della notte se ne andò così.
Prima che sorgesse l'alba erano già tutti ai loro posti in attesa del segnale. Il vecchio gufo, come un grande generale alla vigilia di una battaglia, non aveva chiuso occhio meditando appollaiato su un ramo illuminato dalla luna. L'ora X era arrivata ed egli diede finalmente l'ordine di attacco con la sua voce rauca: "Gru…Gru…Gru".
Partirono anzitutto le squadriglie leggere che avevano ricevuto l'ordine di perlustrare il territorio e scovare gli obiettivi nemici: passeri, rondini, anatre, gabbiani si avviarono in tutte le direzioni alla ricerca del nemico mentre gli uccelli più deboli e quelli con minore autonomia di volo, come le oche domestiche, si schieravano intorno al quartier generale pronti a dare l'allarme in caso di pericolo.
Gli stormi dei ricognitori fecero un lavoro egregio. Non visti, riuscirono a scovare i cacciatori nascosti tra i giunchi della palude o appostati dietro gli alberi e nei rifugi mimetizzati. Essi, nel buio, non riuscivano a scorgere l'arrivo degli assalitori.
Individuati i bersagli, gli uccelli staffetta portarono la notizia al campo mentre i loro compagni continuavano a volteggiare silenziosamente nel cielo a controllare i movimenti del nemico.
Appena la notizia dell'avvistamentio arrivò al campo partirono con tutto l'armamento di cui erano capaci gli uccelli pesanti con un tale rumore che il vecchio gufo dovette turarsi le orecchie con le ali.
I bombardieri, avidi di sangue e aizzati a dovere dai loro comandanti, non impiegarono molto ad arrivare in zona d'operazioni e si avventarono con una furia cieca sugli ignari cacciatori. Usarono tutte le armi in dotazione, con le ali stordivano i nemici, col becco robusto e uncinato attaccavano gli occhi e la testa, con gli artigli ricurvi trafiggevano e laceravano le carni procurando ferite profonde.
Il combattimento, aspro e sanguinoso, si protrasse per tutto il giorno e alla fine i cacciatori furono massacrati. Dovunque arrivasse lo sguardo, dovunque li portasse la loro autonomia di volo gli uccelli seminarono la morte. Solo pochi furono così sfortunati da essere abbattuti ma la vittoria fu piena. Quando i grandi uccelli si siunirono di nuovo in formazione per il ritorno, il campo di battaglia era disseminato di cadaveri. Ovunque era uno spettacolo orrendo di volti sfregiati, occhi scavati dalle loro orbite, arti staccati da corpi orribilmente dilaniati, vestiti strappati e una confusione di visceri, di ossa spolpate, di brandelli di carne gettati alla rinfusa in un diluvio di sangue, come rifiuti di un interminabile macabro pasto. Fu a quel punto che entrarono in azione altri rapaci, gli avvoltoi, che alacremente si diedero a completare l'opera ripulendo in meno che non si dica l’intero teatro delle operazioni, tanto che dopo il loro passaggio tutta la zona sembrava essere tornata come prima.
Gli uccelli del servizio segreto comunicarono che nel campo nemico lo scoramento era totale. Il presidente dei cacciatori fece affiggere in tutti i villaggi un manifesto in cui riconosceva le proprie colpe, ammetteva la sconfitta e dichiarava la resa senza condizioni.
Il trionfo degli uccelli era dovuto alla loro unità e all’estrema determinazione nel condurre l'attacco ma, soprattutto, alla giusta causa che li aveva spinti e sostenuti nella guerra. Il vecchio gufo celebrò la vittoria con grande pompa e, diplomaticamente, riempì di elogi tutte le specie.
Tuttavia, come sempre accade dopo un successo, ricominciarono le beghe e i contrasti. Molti si attribuirono il merito della riuscita del conflitto e ci furono di quelli che, avendo contribuito di meno alla lotta comune, pretesero più grossi vantaggi e più alte cariche onorifiche. In breve le vecchie divisioni presero il sopravvento e questo permise ai cacciatori di rialzare la testa con accresciuta ferocia.