Bernardo di Clairvaux e l'Ordine dei Templari

di Eva Parigi

1.Introduzione

Ho scelto di intraprendere questo lavoro sui Templari spinta sia dal desiderio di approfondire l’argomento, sia da una personale esigenza di dare un fondamento storico alle mie conoscenze. Attualmente l’ordine dei Templari ha fatto un gran parlare di sé grazie al cinema ed alla letteratura, conquistando grande notorietà, anche se non sempre quanto proposto è storicamente corretto e provato. Per cui sorge spontanea la domanda: Qual è la verità sui Templari? Non certamente quella che ci presentano il cinema ed i romanzi. In questo mio modesto lavoro mi sono riproposta di cercare quel che si cela dietro la leggenda di questo ordine religioso-militare, sicuramente non privo di un certo fascino e di verificare l’attendibilità delle accuse che hanno portato al processo e poi alla soppressione dell’ordine stesso. Sono stata spinta anche dalla curiosità, perché tutti noi conosciamo i famosi cavalieri di Malta, ancora oggi presenti e operanti, ma non i Templari, di cui si parla pochissimo anche nei libri di storia, o se ne riporta soltanto la parte leggendaria. L’ordine dei Templari, come quello dei cavalieri Teutonici e degli Ospitalieri, costituisce una confraternita di monaci guerrieri nata durante le missioni delle crociate. Mentre l’ordine templare si dedica alla difesa dei luoghi della vita del Cristo, l’ordine di S. Giovanni (o Ospedale) in un primo momento si occupa della cura dei malati, successivamente, si militarizza e prende parte alle spedizioni crociate. Con la caduta della città di S. Giovanni d’Acri, nel 1291, i cavalieri di S. Giovanni lasciano la Terrasanta, e si trasferiscono prima a Cipro, poi a Rodi ed infine a Malta dove vennero nominati eredi del soppresso ordine templare. I Templari invece rimangono in Oriente aspettando nuove missioni militari. Intanto in Francia, terra d’origine dell’ordine templare, si diffondevano dicerie che ne minavano la reputazione, portando nell’ottobre del 1307 all’arresto da parte della corona, rappresentata da Filippo IV, di tutti i Templari francesi. All’arresto seguì un processo ed infine l’ordine venne soppresso. I cavalieri teutonici, nati fra il 1189 e il 1190, con la stessa vocazione degli ospitalieri, vennero costretti a lasciare la Terrasanta per i continui screzi con i Templari, che vedevano quest’ordine come una loro copia. Lasciata la Terrasanta, l’ordine teutonico, con il favore dell’imperatore Federico II, si dedica alla conquista dei territori baltici mettendo le basi per il futuro stato prussiano. Il mio lavoro vuole quindi cercare, sulla base di opere di autorevoli studiosi, di distinguere la verità dalla leggenda. Tuttavia, nello studiare l’ordine cavalleresco dei Templari, non si può fare a meno di incontrare quel personaggio straordinario che ha influenzato la vita e la storia, non solo del Tempio, ma dell’Europa del suo tempo, che è Bernardo di Clairvaux, del quale traccerò alcune note biografiche e storiche. Ho ritenuto di dividere il mio lavoro in tre parti: la prima dedicata agli studi sui Templari, che comprende l’analisi delle opere di alcuni storici quali Alain Demurger, Peter Partner, Malcom Barber, Andreas Beck, Georges Bordonove e Barbara Frale e su Bernardo e la seconda crociata che prende in considerazione gli scritti del francese Odone di Deuil, il tedesco Ottone di Frisinga e la Vita Prima di Goffredo di Auxerre, Guglielmo di Saint Thierry e Arnaldo di Bonneval. La seconda parte è dedicata alla storia dell’ordine templare dalla fondazione alla creazione del mito, la terza esamina il De laude novae militiae di Bernardo, l’opera scritta per i Templari (con la traduzione di Franco Cardini), e contiene un esame della figura dell’abate, basata su uno studio di Jean Leclerq e una riflessione sull’impegno bernardiano nella crociata nel saggio di Marco Meschini, San Bernardo e la seconda crociata. I Templari hanno partecipato attivamente alle crociate, spinti da un sincero desiderio comune a tutta la cristianità occidentale, per cercare di strappare ai musulmani i luoghi della vita del Cristo, con la speranza di riportarvi la pace. Gli scopi non sono stati raggiunti e, ancora oggi, quei luoghi tormentati sono senza stabilità alcuna.



2. Tra mito e storiografia

2.1 Sui Templari

Si parla molto spesso dei Templari, l’unico problema però, è di capire se ciò che si dice corrisponda a verità storica oppure sia semplicemente frutto di finzione romanzesca. I Templari, infatti, sono attualmente oggetto di numerosi romanzi ed anche di prodotti cinematografici che abbelliscono la storia piegandola ai propri fini commerciali e spettacolari. Infatti, nella letteratura specialmente dei nostri giorni, abbondano scritti che fanno riferimento ai Templari, ma analizzano, distaccandosi dalla realtà dei fatti, solo gli aspetti più intriganti, ricavandone storie e personaggi di fantasia. La fortuna letteraria dei Templari inizia a delinearsi con il romanzo filosofico-religioso, ma ricco di storie avventurose, Parsifal (composto tra il 1200 ed il 1210) del poeta medievale tedesco Wolfram Von Eschenbach, in cui i cavalieri sono visti come i custodi di un’importante e suggestiva reliquia: il Santo Graal. Partendo da Von Eschenbach ed arrivando ai giorni nostri, l’ordine è stato indicato non solo come custode del Graal, ma anche della Sindone; gli è stato anche attribuito il possesso di un misterioso tesoro, che molti ancora cercano, accumulato in seguito alla funzione finanziaria che svolgevano e che sarebbe stato messo al sicuro prima della caduta dell’ordine. Anche nell’Ivanohe, romanzo del 1820 di Sir Walter Scott, non mancano personaggi di cavalieri templari, mentre ne Il pendolo diFoucault di Umberto Eco del 1988, i Templari hanno un ruolo più complesso, perché è attribuita loro una conoscenza segreta dell’universo, però vengono confusi con la massoneria, società segreta che si auto proclama erede dello sfortunato ordine. La fortuna del mito templare non si limita solo alla letteratura, ma si ripete anche nel campo delle arti figurative con le opere di artisti famosi che si osservano nel corso dei secoli. Si trovano infatti molte miniature che decorano cronache sia coeve che posteriori, e si arriva fino alle incisioni dell’illustratore Gustave Dorè nel XIX secolo.

Fin dal XIII sec. si cominciano a vedere le prime raffigurazioni dedicate ai Templari. In una incisione conservata ad Heidelberg, come si vede nella tavola I, viene rappresentata una bella immagine di un cavaliere durante un periodo di pace. Nel suo abbigliamento si ritrovano tutti i simboli templari: il mantello bianco con la croce patente rossa, indossato sopra il saio marrone (Tavola IV). Sempre del XIII sec è un’altra miniatura francese che decora le Chronicles come si vede nella tavola XIII. Questa immagine rappresenta un cavaliere armato in ginocchio, la cui sopravveste reca come decorazione una serie di piccole croci templari. Un’altra miniatura del XIII sec. conservata al British Museum di Londra, raffigura i Templari, che sono sempre in prima linea, guidati in battaglia dal Cristo, in questo caso dux militum,Tavola XII. Nel XIX sec. si rinforza la fortuna della storia dell’ordine sull’eco di presunte rinascite e molti artisti ne fanno l’oggetto delle proprie opere. Del 1878 è la raffigurazione dell’ultimo Gran Maestro Jacques de Molay, ad opera di G. Genouillac. Sempre ottocentesche sono le immagini sulle crociate del famoso incisore Gustave Dorè, noto per aver illustrato i più grandi capolavori della letteratura mondiale: la Divina Commedia, la Bibbia, Don Quijote di Miguel de Cervantes, La ballata del vecchio marinaio di Samuel T. Coleridge.

Per ovvi motivi, non è possibile riprodurre tutta la serie delle incisioni sulle crociate. E’ stata quindi fatta una cernita, scegliendo quelle più suggestive e più attinenti al nostro argomento, tenendo presente che quando Dorè “parla” di crociati o cavalieri cristiani, comprende naturalmente anche i Templari. Questa serie di incisioni è caratterizzata da realismo e drammaticità, con evidente grande cura dei particolari. Presenta i momenti salienti di tutte le spedizioni crociate, come ad esempio, l’entrata in Costantinopoli durante la quarta, o il giuramento dei crociati, o la predicazione di Pietro l’Eremita e degli altri monaci, che ricorda quella di Bernardo di Clairvaux. Alcune immagini sono particolarmente drammatiche, come quella in cui si vedono i cavalieri cristiani prigionieri al Cairo, o la preoccupazione di Luigi VII, accerchiato dai nemici, mentre alcune sfiorano il macabro come quella che mostra i resti dei caduti della prima crociata.

Questo, per citare solo alcune delle opere che testimoniano la fortuna letteraria e artistica dell’ordine, legata all’immaginazione e alla meraviglia, ma priva di fondamenti scientifici.

Ora però ci occuperemo degli studi veri e propri basati sulla ricerca e sull’analisi dei fatti compiuti da eminenti storici.

Importanti studiosi hanno approfondito dal punto di vista prettamente storico la vicenda dello sfortunato ordine religioso-militare, non perdendo di vista i fatti realmente accaduti, trattandoli nel loro complesso o preferendo solo alcuni aspetti. Infatti, molti studi prendono in esame tutta la vicenda storica, altri si focalizzano su singoli avvenimenti. Gli studi più recenti e più scientifici sui templari si snodano tra il XIX ed il XX secolo. Tra il 1985 ed il 1987 vedono la luce due importanti opere: La vita e morte dell’ordine dei templari, dello studioso Alain Demurger, ed I templari di Peter Partner. Tra il 1992 ed il 1998 nascono i lavori di Andreas Beck (La fine dei templari), di Malcom Barber (La storia dei templari) e di Georges Bordonove (La tragedia dei templari). Mentre di questi ultimi anni 2001 - 2004 sono i lavori di Barbara Frale (L’ultima battaglia dei templari ed I templari). Nella Vita e morte dell’ordine dei templari del 1985, Demurger tratta tutta la storia dell’ordine, partendo dalle origini ed arrivando fino alla sua soppressione. Oltre alla vicenda storica, che si snoda tra il 1119 (anno di fondazione) ed il 1312 (anno della soppressione), analizza in modo dettagliato i diversi aspetti e le svariate problematiche che ne conseguono: i primi anni di vita e la figura del fondatore Ugo di Payens; le prime esperienze militari durante le crociate in Terrasanta inserite in un preciso quadro storico-politico; la struttura interna dell’ordine, di tipo gerarchico, con al vertice il Gran Maestro; l’apporto di Bernardo, con il De laude novae militiae, nato per far conoscere alla gente l’ordine nei suoi primi anni di vita; le varie simbologie del mantello bianco, della croce patente rossa e del vessillo bianco e nero; la questione della Regola, nelle versioni francese e latina e dei Retraits (Capoversi) che trattavano aspetti particolari della normativa. Affronta la difficile questione etica, che interesserà anche tutto il mondo dell’epoca, della coesistenza della duplice natura di monaci e di guerrieri. Demurger studia anche le diverse funzioni svolte dall’ordine templare: in oriente quella militare, in occidente quella finanziaria essendosi costituito come banca o tesoreria al servizio dei potenti.

Per quanto riguarda invece la questione delle accuse e del processo, l’autore sostiene la falsità delle prime e l’irregolarità del secondo, ritenendole entrambe una perfetta manipolazione della corona francese. Su questa posizione si porranno anche altri studiosi come Partner, Barber, Beck e Barbara Frale. Demurger prende in esame, come farà poi anche la Frale, la cerimonia d’ingresso nell’ordine, che era sotto accusa, perché in quell’occasione i Templari manifestavano comportamenti devianti, come conferma Partner: «Si diceva che alle loro riunioni prendessero parte a riti orrendi e blasfemi. Le accuse di eresia erano caratterizzate da un modello di imputazioni di segretezza e blasfemia…» [1]

Analizzando il rituale della cerimonia, i due studiosi sostengono che questa è costruita sulla base di comportamenti derivanti dalla goliardia militare e che quindi il rinnegamento facesse parte di una prova iniziatica utile nei combattimenti in oriente. «L’abate Petel vedeva nel fatto riferito da questa testimonianza uno scherzo, una sorta di iniziazione di tipo goliardico per mettere alla prova il postulante. Racconta che dopo la cerimonia i Templari consigliavano ridendo al nuovo venuto terrorizzato: Va a confessarti imbecille».[2] ed ancora «Era forse un modo per mettervi alla prova? Se vi foste rifiutati non vi avrebbero mandato più in Terra Santa?».[3]

Il 1987 vede la nascita dell’opera di Partner The murdered magicians: the Templars and their myth (tradotto in italiano con il titolo di I Templari) che, dopo una breve parentesi sulla storia dell’ordine, si attesta sul problema delle accuse che hanno portato al processo e, di conseguenza, alla fine dell’ordine. Nella sua analisi, Partner dà molta importanza alla magia, all’eresia e alla cospirazione, attribuite ai Templari e considerate reati gravi nel medioevo, sebbene l’autore ritenga che l’eresia debba valutarsi più grave della magia: «Nell’Europa medievale il più temuto attacco interno contro il popolo cristiano era quello dell’eresia, non della magia. L’eresia era vissuta come un pericolo permanente e acuto per l’intero tessuto della vita cristiana».[4] L’accusa di eresia fu mossa contro l’ordine dai governanti francesi perché vi trovarono somiglianze con le devianze del gruppo dei catari (eretici medievali diffusi in Francia) a causa dell’eccessiva segretezza di alcune pratiche e perché ritenevano che i Templari si fossero convertiti alla fede islamica ed adorassero un idolo di nome Baphomet, in realtà corruzione di Maometto, «e l’adorazione di un idolo praticata in modo da screditare la Trinità cristiana era interpretabile come eresia; sarebbe stata questa la motivazione di base del processo contro i Templari».[5] Partner studia la cerimonia dandone le possibili interpretazioni e smontando le varie accuse: ritiene che non esista alcun idolo chiamato Baphomet: «Era impossibile che i Templari avessero desunto dall’oriente la pratica di adorare un idolo che aveva nome del profeta Muhammed, dal momento che non esisteva alcun idolo con tale nome in tutto l’estremo oriente»[6]; ed anche che il rinnegamento abbia la valenza di un monito o di un test psicologico per le nuove reclute che dovevano combattere in Terrasanta e ne rintraccia le possibili origini nel rinnegamento di Pietro o nella prigionia di un Gran Maestro che era stato rilasciato a condizione di rinnegare la croce([7])e poi «Geoffroi de Gonneville azzardò la supposizione che questa particolare pratica fosse stata introdotta nell’ordine o da un Gran Maestro che i Saraceni non avevano rilasciato di prigione a nessun’altra condizione, o da un maestro mascalzone chiamato Roncelin, o dalle perverse dottrine introdotte nell’ordine dal Gran Maestro Thomas Berard»[8]. L’autore sostiene, in accordo con molti altri studiosi, che il processo sia stato una costruzione della corona francese, ipotesi avvalorata dalla costante presenza di funzionari di corte alle udienze e sottolinea anche il ruolo passivo del Papa, che si lascia sottomettere ai desideri di Filippo IV: «la commissione permise ai ministri della corona francese di partecipare liberamente alle sedute quando si stavano interrogando importanti prigionieri come il Gran Maestro. Essa si mantenne, inoltre, in stretto contatto con i vescovi francesi che continuavano ad interrogare i Templari secondo le procedure emanate nel 1308»[9] e poi «Furono la debolezza fisica e politica di Clemente V, oltre alla sua volontà di accondiscendere ai disegni politici della corte regia francese, a permettere a Filippo quarto di guardare al papato come a un possibile strumento politico nelle mani della monarchia francese »[10].

La seconda parte dell’opera di Partner è dedicata alla formazione del mito templare in letteratura e la nascita, durante l’età romantica, di società segrete come il Templarismo e la Massoneria.

Nel 1992 lo studio sui Templari si arricchisce con La fine dei templari di Andreas Beck. L’opera si presenta come un’appassionata difesa dell’ordine; l’autore, infatti, dopo un breve cenno alla storia templare, si concentra nella “demolizione” delle accuse rivolte ai monaci-soldati sostenendo che la soppressione è stata voluta sia dal papato sia dalla corona francese. Beck quindi assolve totalmente i Templari dalle accuse, scagliandosi però contro il papato che ha rinunciato a difenderli dagli attacchi di Filippo il Bello e dei suoi ministri: «Le accuse rivolte ai templari erano false, e le loro confessioni estorte con la tortura e prive quindi d’ogni valore» ed ancora «La responsabilità di questo, che fu forse il maggior assassinio giudiziario del medioevo, spetta soprattutto al re di Francia. Ma anche il Papa mancò: si lasciò ricattare, divenendo anch’egli, in tal modo, persecutore dell’ordine che in realtà avrebbe dovuto difendere»[11]. Quindi Beck ritiene responsabili della sorte dell’ordine sia il potere politico, rappresentato dalla corona francese, sia quello religioso, rappresentato dal papato, cui attribuisce la colpa più grave di non aver difeso un ordine religioso, come imponeva il diritto ecclesiastico, dalle accuse del potere politico. «I Templari erano innocenti; restarono fedeli persino a una chiesa che li perseguitava… Si rivelarono cristiani migliori, più santi del papa e dei cardinali che si piegarono vilmente a un’autorità statale iniqua»[12]. Si scaglia in ugual misura anche contro la corona francese, rea di aver proceduto contro i Templari scavalcando l’autorità ecclesiastica, l’unica competente in materia. Beck sostiene che Filippo abbia proceduto contro l’ordine mosso da meschini motivi finanziari nati dopo il suo “soggiorno forzato”, a seguito di una rivolta popolare, nell’edificio templare di Parigi, dove aveva avuto modo di valutare le ricchezze dell’ordine, mostratogli dal tesoriere: «Il popolo non intendeva più accettare in silenzio la continua inflazione; nel 1306 scoppiò infine una sollevazione, e Filippo dovette rallegrarsi di poter trovar protezione dai suoi stessi sudditi tra le poderose mura del tempio»[13] «In un momento poco felice al tesoriere del Tempio venne un’idea fatale: perché non mostrare al re le ricchezze e i tesori del Tempio? Si potevano prendere due piccioni con una fava: da un lato abbreviare un po’ a Filippo quell’attesa tanto pesante, dall’altro, incidentalmente, mostrare al roi fausseur, al re falsario, come fosse il denaro sonante».[14] L’autore è convinto dell’irregolarità del processo, falsato dall’uso della tortura per estorcere le confessioni, dall’ambiente ostile in cui si tenne e dalla continua presenza in aula degli uomini del re che intervenivano prontamente a riportare il procedimento nella direzione giusta, ossia quella voluta dalla corona. Parimenti fatale per i templari si rivelò la scelta dei membri della commissione: nel complesso tutti vescovi francesi, che a dir il vero non sapevano chi servire, se la Chiesa o lo Stato. Fu prescelta proprio Parigi, la città dove dietro a ogni angolo, dietro a ogni muro stavano in agguato gli sgherri del re, dove ogni testimone che avesse osato deporre a favore dell’innocenza dell’ordine aveva ben donde di temere d’esser catturato in pieno giorno dagli agenti di Nogaret. …era chiaro sin dall’inizio che Filippo non avrebbe mai tollerato uno sviluppo del processo verso un esito a lui contrario. …Con queste due scelte Clemente aveva definitivamente consegnato i templari nelle mani dei loro nemici[15]. Proseguendo nella difesa dell’ordine, Beck sostiene che il processo fu una farsa, perché manipolato dalla corte francese, che le deposizioni risultano tutte uguali, che ai Templari non si possa attribuire alcuna eresia; per queste considerazioni invoca una revisione del processo. «Per via di questo fatale concorso di circostanze, tutte le fasi del processo furono inficiate fin dal principio, e nel complesso storicamente questo processo non può che venir valutato una farsa» e sulle deposizioni «Le fonti mostrano che le confessioni dei templari non sono che copie stereotipe che raccontano tutte gli stessi misfatti, come è tipico delle deposizioni che vengono estorte o suggerite» ed infine «Non si può dunque trarre, dalle confessioni di cui siamo in possesso, testimonianza d’una potenziale degenerazione o addirittura eresia dell’ordine templare»[16]. Ne Il processo ai templari del 1978 Barber ipotizza uno scambio epistolare di natura politica tra Filippo il Bello e Clemente V prima della elezione al soglio pontificio di quest’ultimo, ipotesi condivisa anche dalla Frale che afferma: «Malcom Barber non affronta la questione dell’incontro segreto, tuttavia riporta un’affermazione successiva di Clemente V secondo il quale gli errori dei Templari gli furono comunicati dal re di Francia a Lione; lo storico sostiene che l’incontro probabilmente coincide con la coronazione pontificia di Bertrand de Got avvenuta a Lione nel novembre 1305»[17]. Nella Storia dei templari, del 1997, Malcom Barber ripercorre la storia dell’ordine analizzandone vari aspetti: la fondazione ed i primordi, l’azione in Oriente durante le crociate, intrecciata alla storia del regno di Gerusalemme, la diffusione in Oriente ed Occidente, la vita quotidiana dei Templari, la genesi delle accuse e del processo ed infine la creazione del mito templare tra letteratura e società segrete. Nella sezione dedicata alle crociate, Barber non solo descrive dettagliatamente l’azione bellica ma anche i rapporti tra i Templari e gli altri ordini e con i sovrani che si succedono a capo delle spedizioni. In un secondo momento, descrive dettagliatamente le funzioni svolte dall’ordine sia in Oriente sia in Occidente e le aree della sua espansione. Per quanto riguarda il processo, l’autore ritiene responsabile soprattutto la corona francese. Barber suggerisce i diversi motivi che possono aver scatenato l’avversione di Filippo, ma ritiene che possa trattarsi soprattutto di questioni finanziarie: «Vi sono dunque evidenti ragioni finanziarie all’origine dell’improvviso arresto dei templari in Francia, poiché come banchieri disponevano di una considerevole ricchezza in contanti e beni negoziabili e come possidenti fondiari di proprietà immobiliari e mobiliari in ogni regione della Francia dalla Normandia alla Provenza»[18]. Un’altra ipotesi sull’odio di Filippo potrebbe trovarsi nel fallimento ad opera dei templari di un suo ambizioso progetto di organizzare una nuova crociata, per la cui realizzazione egli chiedeva di unificare gli ordini militari, al cui vertice doveva porsi un bellator rex, identificabile con lui stesso oppure con uno dei suoi figli.

Esiste anche un’ulteriore possibilità, e cioè che attraverso la vicenda dei templari Filippo il Bello cercasse di raggiungere l’apoteosi della causa crociata, cui il suo casato vantava di essersi consacrato fin dai tempi di Luigi VII…E’ plausibile credere che l’idea del Bellator rex a capo di un nuovo ordine militare unificato affascinasse un sovrano come Filippo, in quanto avrebbe consentito di unire in maniera pressoché unica il controllo dei possedimenti templari al prestigio crociato.[19]

Questa era anche la convinzione di alcuni contemporanei come il mercante genovese Cristiano Spinola convinto che Filippo fosse risentito per l’opposizione del Tempio alle proposte di unione degli ordini, o il cronista Adam di Murimouth il quale sosteneva che il re ottenne la condanna dei Templari al concilio di Vienne nel 1312, «poiché sperava che uno dei suoi figli divenisse re di Gerusalemme, e che gli fossero concessi tutti i beni e le terre dei templari».[20] L’autore rileva che il mito templare sarebbe iniziato con il famoso anatema lanciato dal rogo dal Gran Maestro Molay, e si sarebbe incanalato nei racconti di Von Eschenbach, Scott ed Eco, passando per la creazione di società segrete.

L’opera di Georges Bordonove La tragedia dei Templari del 1998 prende in esame minuziosamente l’argomento del processo e anch’egli si trova d’accordo con gli altri studiosi nel ritenerlo una macchinazione da parte della corona francese arrivando a smentire le varie accuse:

Nogaret aveva costruito il dossier d’accusa partendo da testimonianze false, provenienti da personaggi dubbi, da Templari espulsi dalla casa e desiderosi di vendicarsi…sono svolte le deposizioni che vanno nel senso dell’accusa, piene di particolari scabrosi o scandalosi. Non si tiene conto dei testimoni a favore, ammesso che a loro sia dato modo di esprimersi. E in più ancora, almeno nella prima fase del processo, i Templari non ebbero dei difensori e non beneficiarono di consigli giuridici.[21

ed in più, afferma che i funzionari della corona divulgavano false informazioni e falsi documenti, aggiungendo le loro bugie a quelle degli inquisitori. Oltre ai motivi finanziari e di prestigio, di cui abbiamo già detto, l’autore individua altre cause che avrebbero indotto l’odio di Filippo verso l’ordine come la spinta di carattere politico per la distruzione del potere temporale della Chiesa ed il controllo del potente “stato” templare cresciuto proprio all’interno del suo stesso regno:

Filippo il Bello aveva un forte bisogno di denaro, per realizzare i suoi progetti. Così fu lieto di spargere delle calunnie su questi monaci soldati, ormai non altro che vecchi combattenti, viventi in un mondo chiuso, che, in mancanza di meglio, si nutrivano di ricordi…Demolendo l’ordine militare più prestigioso della cristianità, si abbassava l’autorità della Santa Sede. Nessun pontefice ormai avrebbe potuto pretendere di giocare il ruolo d’arbitro tra gli Stati, né di deporre i re alla maniera di Innocenzo terzo. La soppressione del Tempio segna la fine di un’epoca: i nazionalismi prendono il posto del vecchio ideale cristiano.[22]

e ancora

Da quando essi avevano perduto la Terra Santa, non servivano più a nulla. Ora nel regno di Francia, disponevano di un migliaio di commende, delle intere contrade, dei laboratori, delle botteghe. Vantavano innumerevoli privilegi, praticavano una concorrenza talvolta sleale. I loro redditi erano enormi…dipendevano dalla sola autorità del papa. Con la loro gerarchia e i privilegi cresciuti nel corso degli anni, formavano davvero uno Stato nello Stato. Questo, Filippo il Bello non poteva tollerarlo. La potenza dell’ordine templare gli dava ombra. O i templari francesi rientravano nelle fila rendendosi utili al regno, o sarebbero stati eliminati.[23]

Come sappiamo i Templari sono stati accusati di avere avuto legami con i musulmani e di essersi convertiti, ma Bordonove, sostenendone l’innocenza, confuta le varie accuse riconducendole a determinati contesti e fornendo adeguate spiegazioni: qualifica i rapporti con gli islamici in termini di adattamento e smentisce l’accusa della conversione ricordando un’espressione del Saladino ([24]): «Se fossero stati convertiti all’Islam, come spiegare l’atteggiamento di Saladino, la sera di Hattin, quando aveva ordinato di “purgare la terra da quei due ordini immondi” (i templari e gli ospitalieri)? E la decapitazione sistematica dopo la resa delle città e delle fortezze? Divenuti musulmani, o simpatizzanti dell’Islam, i Templari avrebbero conservato in tutto o in parte i loro possedimenti dopo la perdita della Terra Santa. Invece morirono a migliaia per non abiurare la fede cristiana persero fino all’ultimo castello».[25] E’ chiaro che i Templari conoscessero la civiltà islamica valutandola adeguatamente e giudicando positivi i buoni rapporti con i locali, mostrando con ciò lungimiranza, ma non intesa con il nemico. Analizzando la cerimonia di ingresso nell’ordine, Bordonove si accosta alle riflessioni di Demurger e della Frale, che vi vedevano una prova di iniziazione per le nuove reclute; per quanto riguarda, invece, l’affare dei baci ricorda che quelli sulle labbra rientravano nella cerimonia dell’omaggio feudale, anzi: «Era ciò che oggi si chiama un test per valutare la resistenza dei nuovi templari, stabilire se sarebbero stati “dei buoni campioni oltremare”; se, catturati dai saraceni, avrebbero abiurato facilmente la loro religione»[26].

Ma per Bordonove ciò che condannava maggiormente l’ordine era l’eccessiva segretezza con cui si tenevano i loro capitoli, ma soprattutto la cerimonia di ingresso: «Il torto dei Templari atteneva principalmente alla loro mania del segreto. Non il segreto dei capitoli, che è e resta comune a tutte le congregazioni, ma quello delle ammissioni all’ordine»[27].

Gli studi più recenti confluiscono nei lavori di Barbara Frale L’ultima battaglia dei Templari del 2001 ed I templari del 2004, in cui sono proposte nuove tesi e riprese o ampliate ricerche di precedenti studiosi. Nelle sue opere l’autrice prende in esame in maniera dettagliata i motivi che hanno portato al processo e specialmente la cerimonia d’ingresso nell’ordine, che definisce, in accordo con gli altri studiosi, una sorta di rito di iniziazione, e riferisce come il Papa avesse, in un colloquio segreto, tenutosi a Chinon, assolto i quattro dignitari dell’ordine: «Il 20 agosto 1308 l’inchiesta di Chinon si concludeva lasciando lo Stato Maggiore del Tempio assolto dall’accusa di eresia e reintegrato nella comunione dei sacramenti»[28].

Ne L’ultima battaglia dei Templari tra i motivi che possono aver scatenato la rabbia di Filippo, l’autrice pone due episodi in cui l’ultimo Gran Maestro Molay si oppone al re: lo scandalo del tesoriere centrale dell’ordine, reo di aver prestato soldi a Filippo IV senza il permesso del Gran Maestro, ed il suo rifiuto alla proposta di fusione degli ordini militari-religiosi: «Secondo il Templare di Tiro, dopo l’espulsione del tesoriere i rapporti del Gran Maestro con il sovrano ed il pontefice si guastarono irrimediabilmente: il re l’aveva presa come un’offesa personale, il papa affrontò Molay e giunse a pretendere che una copia della regola templare fosse consegnata presso la curia pontificia»[29]. Emerge anche dall’opera una nuova tesi secondo cui il re avrebbe manovrato un dignitario di rango, il cavaliere Pérraud per ottenere i suoi scopi. Il Pérraud, al contrario di Molay, mostrava un atteggiamento favorevole alla corona e pertanto il re cercò di pilotare l’elezione alla più importante carica dell’ordine: «forse si prospettò a Pérraud la possibilità di salvare l’ordine operando un rilevamento del potere al vertice, cioè sacrificando soltanto poche teste. Una volta estromessi il Gran maestro ed il gruppo dei suoi sostenitori nel couvent, la fazione maggioritaria filofrancese avrebbe promosso l’ascesa di persone più accomodanti, in modo da poter compiere quel progetto di fusione degli ordini militari che Filippo perseguiva e che sarebbe stato il primo passo verso l’allestimento della “sua” crociata: in una parola, Pérraud al posto di Molay».[30]

L’autrice concorda con il Barber sulla circostanza che ci siano stati contatti epistolari o verbali tra Clemente e Filippo riguardanti i templari. Torna sulla cerimonia di ingresso nell’ordine, valutandola una prova di iniziazione psicologica, e come tale costruita su un preciso “copione” che doveva far capire al nuovo templare quanto fosse dura la vita militare: infatti ad essa erano ammessi solamente i Templari che rivestivano un ruolo militare o comunque di prestigio([31]). In molti documenti, che cita nell’opera, la Frale trova conferma che la cerimonia, voluta dalla tradizione, fosse solo un atto formale, ma necessario: «Molte volte sono gli stessi precettori a chiarire che si tratta di una semplice finzione;… oppure il nuovo membro sa già che il rinnegamento è solo un fatto esteriore, senz’alcuna compromissione della sua fede intima;… il recettore gli disse che doveva rinnegare Dio e sputare sopra la croce. Lui rispose che non l’avrebbe mai fatto. Allora frate Renaud si mise a ridere e gli disse “Non preoccuparti! E’ solo una finzione!”»[32].

Ne I templari del 2004 la studiosa approfondisce il tema e il problema della prova di iniziazione confermando che:

La natura del rituale era quella di una pantomima recitata su un copione fisso, ricavato dalla cruda esperienza diretta dei templari scampati alle prigioni islamiche, sulla trama della quale si erano nel tempo annodati elementi estranei: così il bacio sul sedere, un vero e proprio “atto di nonnismo” teso a umiliare la recluta dinanzi agli anziani, e l’esortazione verbale all’omosessualità, probabilmente nata come parodia del precetto che imponeva al Templare di dare tutto se stesso all’ordine e ai confratelli.[33] ed aggiunge la circostanza importante che il papa avrebbe assolto anche i quattro dignitari.




2.2 Su Bernardo e la crociata

L’operato di Bernardo è noto dal resoconto dei cronisti del tempo: il francese Odone di Deuil, il tedesco Ottone di Frisinga e la Vita Prima di Goffredo di Auxerre, Guglielmo di Saint Thierry e Arnaldo di Bonneval. Odone narra l’organizzazione della spedizione crociata da parte francese dando grande importanza alla figura del re Luigi VII, considerato come l’organizzatore ed il capo per eccellenza: «Luigi VII è l’iniziatore, l’indefesso sostenitore, il primo protagonista della via Sancti Sepulcri; ha rivelato, primitus a Bourges, il secretum cordis sui».[34] Poi descrive l’opera di Bernardo, la sua predicazione, ispirata da Dio, con cui infiamma gli animi all’assemblea di Vézelay e grazie alla quale è riuscito a portare alla causa crociata Corrado III re di Germania, dopo aver appianato la situazione tedesca, sconvolta dalla predicazione del monaco “pazzo” Rodolfo: «Sembra che, a Vézelay, egli abbia infiammato l’uditorio più di quanto fosse riuscito a fare il vescovo Goffredo a Bourges; ma egli riesce perché attraverso di lui passa l’ispirazione divina, il volere stesso del cielo: solo il santo (così subito lo chiama Odone) era adeguato per un compito così alto…A Bourges mancò l’ispirazione coelitus; a Vézelay il coeleste organum che era Bernardo sparse la parola divina».[35]

Ottone vescovo di Frisinga, parente dell’imperatore Federico I, è l’autore della Historia de duabus Civitatibus (nota come Chronica) e dei Gesta Friderici Imperatoris. Nella Chronica viene narrata la storia della Chiesa e dei suoi nemici inseriti in un preciso schema temporale (sei età e quattro monarchie); nei Gesta invece Ottone si dedica alla narrazione delle prime imprese di Federico, di cui celebra figura e successi, prendendo inizio dal conflitto tra l’imperatore Enrico IV ed il papa Gregorio VII. I Gesta rimangono incompiuti per la morte di Ottone avvenuta nel 1158, ma su suo desiderio saranno portati avanti fino al 1160 dal cappellano Rahewino.

Verso la fine del primo libro, che parla del regno di Corrado III, Ottone si interessa alle vicende preparatorie della seconda crociata, narrando della spedizione dal punto di vista tedesco.

I Gesta ottoniani, rispetto al resoconto del francese Odone di Deuil, «trattano molto più della partecipazione tedesca alla crociata. Di conseguenza, anche l’operato di Bernardo in terra tedesca viene messo più e meglio in luce. Ma la cosa che più colpisce del testo ottoniano è che lo svolgimento degli eventi ha pochi addentellati cronologici con la realtà; egli pare più preoccupato della successione causale della genesi e dello sviluppo della crociata piuttosto che dei precisi riferimenti temporali»[36].

Lo scritto di Ottone descrive l’operato di Bernardo, che mette a tacere il monaco “pazzo” Rodolfo, che in veste di falso profeta predicava la crociata arruolando tutti indiscriminatamente e perseguitava il popolo ebraico, basandosi sulla falsa lettera n. 363, della cui esistenza Bernardo avverte i popoli. Ottone ritiene che le azioni e le parole dell’abate abbiano trasformato la spedizione da un fatto soltanto francese ad un avvenimento di portata europea, anche se ne fa un fenomeno esclusivamente ecclesiastico e papale poiché la crociata era stata bandita dal papa e predicata dall’abate, spogliandola di ogni implicazione politica. Ottone, proseguendo la sua cronaca, parla di un nuovo problema che ostacolava la partecipazione tedesca alla crociata: la minaccia ai confini da parte della popolazione pagana dei Vendi, contro cui Bernardo predica una crociata che aveva tutti i caratteri di quella indirizzata verso la Terrasanta, promettendo ai partecipanti la remissione dei peccati. Solo dopo aver ridotto i Vendi al silenzio, si poteva organizzare la grande crociata orientale. La narrazione ottoniana conferma che Bernardo era stato sollecitato alla causa crociata dal papa, che gli aveva ordinato di estendere l’idea di Luigi a tutta la cristianità:

Ottone assegna decisamente all’iniziativa dell’abate la partecipazione (almeno emotiva) di mezza Europa alla crociata. E si capisce bene perché: nel racconto di Ottone, la crociata viene bandita e promossa (dopo l’imput iniziale di Luigi VII) da Eugenio III, attraverso Bernardo di Clairvaux. La crociata è realmente uno strumento nelle mani del pontefice, anche se questi ne affida la realizzazione ad un suo “uomo di fiducia”.[37]

Da ciò si evince che Bernardo, in funzione di uomo di fiducia del papa, porta avanti il disegno da lui elaborato ([38]). Altre notizie riguardanti l’azione di Bernardo a favore della crociata sono rintracciabili nella Vita prima, opera che si presenta come un’agiografia, concepita per sostenere ed ottenere la canonizzazione mentre l’abate era ancora vivo, il cui primo libro è scritto da Guglielmo di Saint Thierry dai cui «sforzi uscì un capolavoro, non di storia obiettiva, ma di letteratura spirituale»[39]. L’opera è costituita da sei libri, tra i quali quelli adatti al nostro scopo, sono una parte del terzo, il quarto ed il sesto. Nel quarto capitolo del terzo libro, scritto da Goffredo di Auxerre, Bernardo viene scagionato dalle accuse del fallimento della crociata perché il biografo fa leva sul fatto che l’abate è stato chiamato in causa da altri: Bernardo si mosse solo a seguito di una insistita richiesta altrui, ed anzi quando ricevette espressamente l’incarico da parte di Eugenio III di predicare la crociata populis atque principibus. Il primo a richiedere il suo intervento fu Luigi VII, appoggiato poi, evidentemente, da Eugenio III, il quale conferì a Bernardo, alla sua parola, il carattere apostolico ed universale proprio della Chiesa di Roma. Per Goffredo, nel caloroso invito del papa era addirittura esplicita la missione orbi, all’intera cristianità: il verbo crociato andava portato ovunque, senza distinzioni di nazionalità. [40]

Nel quarto libro, scritto sempre da Goffredo di Auxerre, vengono esposti i miracoli compiuti da Bernardo in Francia e in Germania, considerandoli indipendentemente dal contesto in cui si verificano e con l’unico obiettivo di dimostrare la santità di Bernardo. Il sesto libro, di Filippo di Clairvaux e altri monaci, dal titolo Historia Miraculorum in itinere Germanico, riporta i miracoli operati dall’abate durante l’itinerario tedesco, secondo un metodo che consente di descrivere le varie tappe del viaggio in Germania e fornire altre importanti notizie: «Attorno e al di sotto della fitta serie di miracoli cui diventiamo spettatori si possono scorgere alcuni dati fondamentali dell’iter bernardiano: quali erano gli scopi del viaggio, con chi lo fece…»[41].

Bernardo conquista subito un posto di primo piano nella società medievale e lo conserva nei secoli successivi. Anche il mondo artistico si interessa alla sua figura e lo rappresenta pittoricamente per mano di artisti sia famosi che sconosciuti, italiani e stranieri.

Molte delle opere qui riprodotte rappresentano il medesimo modello compositivo: Bernardo mentre scrive ispirato dalla Vergine, alla quale dedicava una speciale venerazione. Fa eccezione l’immagine del francese Philippe Quantin, l’unico in cui non compare la figura della Vergine. Nel trionfo di Piero di Cosimo è ritratto insieme ad altri santi e dottori della Chiesa.

Queste opere vanno cronologicamente dal XIV al XVII sec. e sono di Giovanni da Milano, Pietro Perugino, Filippino Lippi, Piero di Cosimo e Giovanni Battista Volponi detto lo Scalabrino.




TAVOLA I


Raffigurazione di un cavaliere templare. Manessische Liederhandschrift, XIII secolo, HeidelbDa A. Beck , La fine dei Templari, 1994, Casale Monferrato

3. La storia dell’ordine templare

3.1 Fondazione e primi anni

Per la storia dell’ordine templare si cita l’opera di Guglielmo di Tiro, Historia rerum in partibus transmarinis gestarum. spesso l’autore non era testimone oculare dei fatti accaduti e, riportando la versione o le versioni di altri, rende difficile l’individuazione della notizia certa. Considerando che l’archivio dell’ordine è andato distrutto, dobbiamo basarci principalmente, in modo particolare per la fondazione ed i primi anni, sull’opera dell’arcivescovo di Tiro, anche se con alcune riserve. Le fonti della storia dell’ordine templare, in questo caso l’opera di Guglielmo, non possono considerarsi sicure, ma richiedono di procedere cautamente formulando delle ipotesi in quanto, Guglielmo trascorse quasi venti anni in Europa per un viaggio di istruzione e, nel 1174-75, quando tornò in patria venne nominato arcivescovo della città di Tiro; muore nel 1185. La sua Historia prende forma dalle conversazioni che ebbe con il re di Gerusalemme Amalrico, che lo convinse a mettere per iscritto l’argomento di quei colloqui.

L’opera di Guglielmo è originale perché è la prima che prende in esame globalmente tutta la storia dei luoghi d’oltremare ed anche perché a differenza degli altri storici, egli scrive la storia della propria terra. L’opera si compone di 22 libri più uno, il ventitreesimo, rimasto incompiuto a causa della sua morte. L’autore può essere testimone diretto solo degli eventi accaduti dopo il suo ritorno dall’Europa e prima della sua morte, ma quando non partecipa ai fatti raccoglie e valuta attentamente le sue informazioni. Se ci sono versioni contrastanti o diverse di un avvenimento, Guglielmo le riporta tutte con obiettività convinto che il vero compito dello storico sia narrare i fatti come si sono svolti e non come si vorrebbe che fossero accaduti. Il punto di vista di Guglielmo è quello della Chiesa per cui critica apertamente sia la vita militare, che le scelte antiecclesiastiche di alcuni prìncipi e soprattutto la troppa libertà di cui godevano gli ordini religioso-militari, specialmente quello dei Templari, che si erano affrancati dal controllo dei “canonici del Santo Sepolcro”. «La sua visione dei Templari è tuttavia distorta dall’insorgere di una profonda avversione per la manipolazione e lo sfruttamento iniquo dei privilegi di cui ormai l’ordine godeva» [42].

A causa di questa avversione, ai Templari non tributerà i giusti riconoscimenti e onori per la loro partecipazione alla difesa dei luoghi santi e li menzionerà solamente in due azioni militari. Questa posizione è ingiusta perché i Templari si comportarono valorosamente anche secondo voci che circolavano già nel XII secolo: «Il problema è dunque legato alle fonti, sia per la mancanza di cronisti crociati contemporanei, sia a motivo della perdita di molti documenti […]Guglielmo di Tiro condusse successivamente delle ricerche su questo periodo, ma all’epoca era solo un bambino». [43]

Guglielmo narra della nascita dell’ordine, che colloca nel 1118, ad opera di nobili cavalieri, tra cui Ugo di Payns o Payens, che fecero voto di povertà, castità e obbedienza, adottando uno stile di vita di tipo monastico e che furono impiegati nella difesa dei pellegrini in Terrasanta. Dal racconto di Guglielmo non si comprende chi fosse stato ad assegnare tale compito a questi primi cavalieri, né come abbia potuto fissare la data della fondazione al 1118, dal momento che è documentata una donazione del 1128 indicato come nono anno dall’origine: «Guglielmo di Tiro, noto per le sue errate indicazioni cronologiche e che per giunta scriveva oltre mezzo secolo più tardi»[44].

Anche la figura di Ugo il fondatore lascia molti dubbi: si pensa che sia nativo della Champagne oppure che abbia origini italiane; accompagnò più volte il suo signore, il conte di Champagne, in pellegrinaggio in Terrasanta. Il primo nucleo prese il nome di Poveri cavalieri di Cristo, che vivono di carità indossando abiti donati da persone pie e possedendo così pochi cavalli da doverne usare uno in due. Infatti il sigillo dell’ordine è caratterizzato proprio dalla raffigurazione di due cavalieri su un unico cavallo (Tavola II). Il successivo nome di Templari deriva dal fatto che si stabilirono nel palazzo situato nell’area dove sorgeva il Tempio di Salomone a Gerusalemme (Tavola V).

Secondo Guglielmo questa confraternita in origine non ebbe seguito: «avendo reclutato solo nove membri dai tempi del concilio di Troyes»[45]. In occasione di questo Concilio, svoltosi nel 1129, ed al quale sembra fosse presente Ugo di Payens, fu approvata la prima regola dell’ordine, profondamente influenzata dal pensiero di Bernardo di Clairvaux.

3.2 La struttura del Tempio

La struttura dell’ordine doveva essere di tipo gerarchico, i vari gradi erano determinati dal numero dei cavalli posseduti: ciò distinguerebbe i soldati dai religiosi, i cavalieri dai «...clientes, termine tradotto nella versione francese con sergens, i sergenti o frati serventi»[46]. L’organizzazione interna ricalcherebbe la divisione nelle tre categorie della società: coloro che pregano (cappellani), coloro che lavorano (contadini) e coloro che combattono (cavalieri e sergenti). Accanto ai frati ed ai cavalieri aggiungiamo «salariati agricoli, artigiani, vetturali, scrivani, notai»[47]. A capo dell’ordine c’era il Gran Maestro, a cui tutti gli altri frati dovevano obbedire e il cui potere era vincolato dal capitolo. Il maestro interveniva sempre decidendo o da solo o con il capitolo. Il potere del maestro veniva bilanciato da quello degli altri dignitari: il siniscalco, il maresciallo ed il commendatore del regno di Gerusalemme. Più avanti nel tempo saranno create altre cariche come quella del “visitatore”. Il siniscalco ricopriva tutti i compiti del maestro quando questo era assente, il maresciallo guidava le truppe, il commendatore ricopriva il ruolo di tesoriere.

TAVOLA II

Sigillo dell’ordine del XIII sec.Da A. Beck , La fine dei Templari, 1994, Casale Monferrato

3.3 Come si diventa templari? La cerimonia di ingresso

L’ammissione all’ordine prevedeva un esame del candidato, le cui prove dovevano verificare le qualità morali dell’aspirante, tenuto conto di quanto l’aspettava in Terrasanta. Durante il processo contro i Templari viene aspramente contestata questa cerimonia, ritenendo che in quell’occasione, fossero compiuti atti blasfemi e osceni, come il rinnegamento del Cristo e della croce, baci su parti intime e proposte di sodomia. Il rituale però ricordava quello dell’investitura feudale, perché non è da dimenticare che i cavalieri provenivano in maggioranza da famiglie dell’aristocrazia. Vi si ritrova l’omaggio del vassallo al suo signore attraverso gesti come il bacio sulla bocca, oppure la consegna del mantello. Vengono poste svariate domande al postulante, e dopo il giuramento viene finalmente ammesso nella comunità templare, ricevendo il manto ed il bacio sulla bocca; a questo punto il maestro espone le regole disciplinari dell’ordine.

3.4 La regola dell’ordine

Nel 1129 a Troyes dove si trovava Ugo di Payens, fu approvata una prima regola dell’ordine, profondamente influenzata dal pensiero di Bernardo.

Si ha notizia di tre versioni della regola templare: una in latino, una in francese ed una posteriore a queste, i Retraits o capoversi, che aggiungono alle precedenti regole altri precetti. La regola latina prevedeva l’approvazione del patriarca di Gerusalemme ed istituiva il mantello bianco per i cavalieri ed il saio marrone per tutti gli altri. Dal 1139 la regola venne trascritta in francese, riportando però alcuni punti discordanti con la versione latina, concernenti il problema dei cavalieri scomunicati. La regola non cambierà più ma saranno effettuate delle aggiunte, i cosiddetti Retraits (1156-1169) che riguardavano: l’organizzazione, la vita conventuale, l’ammissione e le sanzioni; ulteriori aggiunte si ebbero nel 1260. Ai frati era fatto divieto di tenere esemplari della Regola e dei Retraits, ma durante la cerimonia di ammissione ne venivano riassunti i principali articoli. Il fatto di non mostrare a nessuno la Regola fu assunto come prova di colpevolezza durante il processo contro l’ordine.

Tavola III

Luigi IX il Santo con la sposa Margherita di Provenza. Il re ha in mano un modello del Santo Sepolcro, come simbolo della crociata. Sullo scudo porta il blasone reale, il giglio di Francia, sulla veste la croce templare.Da A. Beck , La fine dei Templari, 1994, Casale Monferrato

3.5 L’attività templare in Oriente: le crociate (1095- 1291)

Nel 1095 a Clermont papa Urbano II proclama la prima crociata, che sarà guidata da Goffredo di Buglione. Dopo quattro anni di lotta, i cristiani conquistano Gerusalemme (Tavola VI), dando così vita al Regno Latino d’Oriente, che oltre alla città santa, comprendeva la zona tra Beirut e Gaza e la valle del fiume Giordano. I centri nevralgici del potere politico erano il principato di Antiochia, la contea di Tripoli e quella di Edessa. I Templari non partecipano a questa prima crociata essendo ancora troppo pochi per affrontare il nemico.

E’ in questa occasione che Baldovino II, re di Gerusalemme, concede ai cavalieri, perché la proteggessero, l’area presso il tempio di Salomone nella spianata delle moschee, dove sarà collocato il loro quartier generale.

Nel 1124 il regno latino si era ingrandito con la conquista di Tiro, rimaneva però ancora da annettere la città di Ascalona alleata degli egiziani; nel 1144 cade la città di Edessa. Il Papa Eugenio III nel 1145 proclama una nuova crociata, che secondo le intenzioni del re Luigi VII, doveva essere costituita da soli francesi, ma il progetto fallisce perché, sull’emozione della predicazione dell’abate Bernardo, vi partecipano la Germania e l’Europa intera, causando vari contrasti legati al comando che porteranno alla disfatta della spedizione. La guarnigione germanica precede quella francese e viene sconfitta a Dorileo; il contingente francese, partito senza guide e rifornimenti, è continuamente attaccato dai turchi. In questa situazione disperata, i Templari rappresentano un’ancora di salvezza, proteggendo l’avanzata dell’esercito. Tra il 1136 ed il 1148 viene condotta la missione contro Ascalona. La città viene circondata dalle truppe cristiane, che tagliano i contatti degli assediati con gli alleati egiziani e, dopo un lungo assedio, la città è costretta a capitolare.

TAVOLA IV

Croci templariDa A. Beck, La fine dei Templari, 1994, Casale Monferrato

Sembra che, apertasi una breccia grazie ad un incendio, 40 Templari si lanciano per primi all’interno nella speranza di accaparrarsi un ricco bottino, e mentre gli abitanti assediati impediscono l’ingresso al resto dell’esercito, i 40 rimasti isolati, vengono massacrati: «i difensori tentarono di appiccare il fuoco alla torre ma un forte vento […] sospinse le fiamme verso la città, facendo crollare parte delle mura […] il maestro consentì solo ai templari di passarvi […] ciò diede tempo agli egiziani di correre ai ripari e di attaccare i circa 40 templari entrati nella città».[48] Tuttavia «In merito a questi eventi è impossibile stabilire la verità»[49] perché le notizie che ci sono pervenute, non sono state narrate da testimoni oculari: «Guglielmo di Tiro offrì un resoconto straordinariamente vivido e dettagliato dell’assedio, avvalendosi però di informazioni di seconda mano, dal momento che all’epoca era studente in Francia»[50].

Anche la missione condotta contro Damasco non dà i risultati sperati finendo per annullare del tutto l’esito della crociata. Nel 1148 i crociati francesi, germanici, gli ordini dei Templari e degli Ospitalieri attaccano e assediano la città; poi, inspiegabilmente, l’assedio venne tolto. Sono state avanzate numerose ipotesi al riguardo destinate a rimanere tali: sicuramente qualcuno ha tradito, ma chi? i coloni? gli ordini militari? i baroni di terra santa?

Dal 1154 il nuovo pericolo per i latini era rappresentato dall’Egitto, preso di mira anche all’interno dello stesso mondo arabo dove si crea una spaccatura fra le due correnti sunnita e sciita. Durante gli anni 1163 e 1167 si combattono in terra egiziana alcune battaglie che portano alla formazione di un protettorato cristiano, ma questa situazione dura poco tempo perché Saladino riesce a scacciare i latini ed a convertire anche l’Egitto al credo sunnita. I cristiani vengono sconfitti da Saladino altre due volte: alle sorgenti di Cresson ed ai corni di Hattin (1186-1187), disfatta che porta ad un considerevole ridimensionamento del regno latino. Fino al 1187, anno in cui la città di Gerusalemme viene riconquistata da Saladino insieme ad Acri, i cristiani tentano inutilmente di riguadagnare terreno, ma i luoghi santi debbono essere restituiti ai musulmani, il tempio di Salomone purificato ed il quartier generale templare spostato a Tiro.

TAVOLA V

L’area del Tempio a Gerusalemme prima del 1187 Da M. Barber, La storia dei templari, 1997, Casale Monferrato

Viene proclamata una nuova spedizione a cui prendono parte i grandi sovrani europei: Filippo Augusto di Francia, Riccardo Cuor di Leone di Inghilterra e il germanico Federico Barbarossa che non arriva a combattere perché annega in un torrente nel 1190 durante il viaggio. I due re, francese ed inglese, riescono a riprendere Acri, ma sono trattenuti dagli ordini militari dal dirigersi verso Gerusalemme, poiché i cristiani non erano ancora in grado di difenderla. Filippo torna in Francia, Riccardo rimane in Terrasanta e infligge, con l’aiuto dei Templari alcune sconfitte a Saladino. Vengono recuperate oltre ad Acri, anche Jaffa e le città lungo la costa oltre a Cipro dove i Templari pongono alcune guarnigioni.

Nel 1198 al soglio pontificio sale Innocenzo III che indice una nuova crociata motivandola col fatto che i cristiani, nonostante avessero mantenuto alcune postazioni, venivano esclusi dalla visita di alcuni luoghi santi. L’obiettivo sarebbe dovuto essere l’Egitto, ma l’esercito crociato si dirige verso Bisanzio.

Anche la spedizione successiva ha l’Egitto come obiettivo; l’esercito, dopo una riunione a cui prendono parte i maestri degli ordini militari ed i sovrani europei, prende la via di Damietta. Nelle file dei crociati sono schierati Giovanni di Brienne, il nuovo re di Gerusalemme ed il legato pontificio Pelagio. Insieme agli ordini templare e ospitaliero assediano e conquistano la città. Il sultano è costretto a scendere a patti con i crociati offrendo loro, per indurli ad andarsene, la città di Gerusalemme. Il legato Pelagio ed i Templari rifiutano la generosa offerta, asserendo che la città sarebbe stata difesa più facilmente avendo sotto controllo anche le terre dell’Oltregiordano. I Templari, però, lasciano la crociata per rimettere in sesto le proprie fortezze. Ben presto la situazione peggiora, anche se il sultano continua ad offrire trattative di pace, che vengono prontamente rifiutate nella speranza dell’arrivo dell’imperatore Federico II.

Nel frattempo vengono rivolte delle critiche all’operato dei cristiani che non sono riusciti a volgere in proprio favore la situazione. La città di Damietta era dotata di un sistema di chiuse; per isolare la città, queste vengono aperte, e con l’allagamento conseguente i musulmani determinano la sconfitta dei crociati che, nel tentativo di ritirata, sono travolti e sono costretti ad accettare una tregua di otto anni.

Nel 1228 l’imperatore Federico approda finalmente in Oriente dopo due mancati interventi, ma la sua presenza non è più gradita quando giungono le lettere papali che contengono i termini della sua scomunica ed il divieto per gli ordini militari di tenere qualsiasi contatto con lui. Questo nuovo ed inaspettato evento, provoca il ritiro degli aiuti da parte degli Ordini ed i primi screzi con l’imperatore. Diventa una crociata singolare comandata da uno scomunicato e conclusasi con l’accordo tra le due parti. L’intesa prevedeva un periodo di pace di dieci anni e la restituzione della città di Gerusalemme. Gli Ordini militari però ne escono pesantemente danneggiati: non avrebbero dovuto rinforzare le loro fortezze e, soprattutto, i Templari non recuperano l’area del Tempio, già sede del loro quartier generale. Federico II diventa il nuovo re della città e lascia l’Oriente per continuare il suo scontro in Italia con il papato. Vent’anni dopo è indetta una nuova crociata, guidata dal re di Francia Luigi IX (Tavola III). Ancora una volta l’obiettivo della missione era l’Egitto. L’esercito cristiano è sconfitto ad Al Mansura e da allora non registra progressi, anzi subisce continuamente le imboscate dei nemici ed i rifornimenti cominciano a scarseggiare. Durante una ritirata, i crociati sono sorpresi dai nemici; alcuni sono fatti prigionieri, tra i quali lo stesso re Luigi, altri cadono sul campo di battaglia. Il re viene rilasciato in cambio di Damietta.


TAVOLA VI

La pianta di Gerusalemme Da A. Demurger, Vita e Morte dell’ordine di Templari, 2005, Milano

Nel frattempo cominciano a comparire nuovi nemici: i mongoli provenienti dall’Asia centrale, giunti nei pressi della stessa Gerusalemme, ed i mamelucchi – di origine turca - guidati da Baibars ([51]).

Baibars sferra attacchi ai crociati riguadagnando Cesarea, Haifa ed Antiochia, riuscendo anche ad espugnare le fortezze degli ordini militari. Ad uno ad uno cedono Safed, Chastel Blanc, fortezze templari, Krak des Chevaliers, fortezza ospitaliera, seguiti dopo il 1291 da Tortosa ed Athlit. La caduta dei castelli rinfocola l’idea di una nuova crociata guidata, questa volta, da Edoardo di Inghilterrra e che si conclude nel 1271 con una pace di dieci anni, durante i quali Carlo d’Angiò sale al trono di Gerusalemme per averne comprato i diritti, nella speranza di realizzare il suo sogno di creare un impero mediterraneo in cui figurassero Bisanzio e Gerusalemme. Durante gli anni 80-90 del secolo riprendono gli attacchi dei mamelucchi, che determinano la caduta della città di Tripoli nel 1285. La situazione era disperata, ma nel 1290 giungono dall’Occidente gli aiuti sperati.

Le nuove truppe destinate ad Acri, però sterminano solo civili. Questa strage provoca una rappresaglia musulmana che causa la perdita di Acri ed il ritiro dei latini dalla Terrasanta nel 1291. I Templari lasciano le proprie fortezze e si ritirano a Cipro.

3.6.1 La diffusione templare - In Terrasanta

Una fitta rete di castelli e fortezze templari occupava l’area tra la Siria e la Palestina e sembra che siano stati i cavalieri stessi a realizzare le loro costruzioni. La più importante era Bagras (Gastun), che controllava l’area di Antiochia, mentre nella contea di Tripoli i Templari costruiscono i castelli di Tortosa e Chastel Blanc. In quest’area all’ordine sono concessi dei privilegi, come quello di una signoria sulla popolazione e la possibilità di intrattenere rapporti con i musulmani. L’ordine aggiunge altre fortezze situate nelle zone a rischio della Galilea e dell’Oltregiordano. Oltre a Gaza, in Galilea sorgono Safed e Chastellet, fortificato e situato in una zona favorevole. La fortezza di La Feve si trovava nel sito vantaggioso del crocevia fra le strade per Tiberiade/Gerusalemme ed Acri/Baisan. C’era anche una pozza d’acqua che in alcuni periodi dell’anno diventava un lago e proprio da qui partì l’esercito per la disastrosa sconfitta di Cresson. Deputati alla protezione dei pellegrini e quindi al controllo dei nodi viari cruciali, i castelli di Toron de Chevaliers, Merle e Maldoin.

(Tavola VII)

La diffusione dell'Ordine in Terra SantaDa A. Demurger, Vita e Morte dell’ordine di Templari, 2005, Milano

3.6.2 In Europa

Una volta riconosciuto ufficialmente l’ordine, cominciano ad affluire numerose donazioni da parte di laici, con la speranza di salvare la loro anima e con il desiderio di finanziare una crociata. Donazioni che contribuiscono ad ingrandire ed a diffondere l’ordine in Europa ed in Oriente.

Le funzioni dei Templari erano condizionate dal territorio in cui si trovavano e perciò militare in Oriente, economico-agricole in Occidente; l’ordine templare si diffonde sul territorio europeo: in Francia, in Inghilterra, nella penisola iberica (Spagna e Portogallo), nella penisola italiana, in Grecia e parte dell’Europa dell’est (Germania e Polonia).

Nella penisola italiana i Templari avevano magioni in Lombardia, Toscana (Siena e Lucca), Campania, Umbria (Perugia), Marche, Puglia e Sicilia (Siracusa e Messina). Sul versante adriatico possedevano anche dei porti importanti come Venezia, Brindisi, Barletta, Taranto e Bari.

Una minore quantità di magioni occupava il territorio della penisola balcanica: Fuste, Paleopolis e Lamia in territorio greco e Vanna in territorio slavo. Altrettanto poche le magioni che si snodano nell’Europa dell’Est: nel territorio polacco e della Slesia sorgono solo le magioni di Mala Olenisca, Sulecin e Lesnica. Anche in territorio tedesco scarsa diffusione di magioni templari, perché vi si erano già stabiliti i cavalieri teutonici favoriti dall’imperatore Federico II.

Nella penisola iberica, sia in Spagna sia in Portogallo, si contano più magioni perché qui era necessario svolgere un importante compito militare. Per far ciò i Templari disponevano dei castelli di Monzon, Saragozza, Huesca, Segovia e Tortosa, in territorio spagnolo, Tomar, Almourol, Pombal e Soure in terra portoghese. I Templari dal 1147 al 1212 partecipano alla Reconquista spagnola riuscendo a strappare ai mori Caceres, Tortosa, Maiorca, Lèrida e Valencia, prestando anche aiuto nella vittoria navale di Las Navas a Tolosa.

L’ordine svolgeva anche una funzione di controllo e di difesa pattugliando le aree già riconquistate. In Portogallo i Templari divengono ordine nazionale e si stabiliscono nella magione di Tomar partecipando alla riconquista del paese.

Nell’area francese il Tempio aveva un considerevole numero di magioni arrivando a ricoprire quasi per intero il territorio nazionale. La commenda più importante dell’area diventerà quella della capitale Parigi per il ruolo economico-finanziario che assume ed arriverà ad occupare un intero quartiere chiamato appunto Quartier du Temple (Tavole VIII e X). Magioni sorgono anche in area anglosassone. A Londra si venne a formare, come a Parigi, un vero e proprio quartiere templare (Temple). Nell’area irlandese nasce la commenda di Clontarf.

3.7 Ruolo finanziario e diplomatico

Le magioni templari occidentali, oltre che come aziende agricole, funzionavano anche come banche custodendo documenti, oggetti e denari di crociati e pellegrini; soltanto nella penisola iberica ai templari viene affidato il compito militare di combattere i mori per riconquistare il paese. Nel resto dell’Europa, all’ordine vengono assegnati compiti di fiducia e di prestigio. Il papato stesso conferisce incarichi di natura diplomatico-finanziaria ai Templari. Innocenzo III, dopo l’inutile quarta crociata, ne finanzia una nuova imponendo decime al clero, che sono riscosse, amministrate e consegnate in Terrasanta da rappresentanti dell’ordine.

Il Tempio, grazie alle generose donazioni, acquista sempre più potere e ricchezza arrivando a concedere prestiti agli stessi sovrani ed a custodire ed amministrare le finanze dello Stato. Infatti, i primi re a chiedere l’aiuto finanziario dell’ordine furono Luigi VII in Francia e Edoardo I in Inghilterra; anzi, re Enrico II affida al Tempio una parte del tesoro reale, e anche in Francia il tesoro era gestito e custodito per intero presso il Tempio di Parigi, fino a quando il re Filippo il Bello decide di trasferirlo al palazzo del Louvre. Molti sovrani cedono alla tentazione di appropriarsi delle sostanze templari, come manifesterà Filippo all’epoca del processo.

3.8 Accuse, processo e soppressione dell’ordine templare (1312)

Nel 1305 un certo Esquin de Floryan rivela al re d’Aragona alcuni fatti poco piacevoli riguardanti l’ordine templare; il re spagnolo si rifiuta di credergli e Floryan allora si rivolge, avendo più fortuna, al re di Francia Filippo IV, detto il Bello. Le rivelazioni di Esquin infatti sono accolte con interesse alla corte di Francia e porteranno dapprima ad un’inchiesta che prevedeva un’indagine interna sull’ordine attraverso infiltrati, poi al processo e quindi alla sua soppressione. L’indagine doveva portare alla realizzazione di un dossier sui Templari redatto dal Nogaret, potente ministro del re, ed arrivare al loro arresto prima in territorio francese e poi, con molta “fatica”, per le incessanti pressioni di Filippo sul debole papa Clemente V, nel resto dell’Europa. I fatti spiacevoli di Esquin si trasformano in capi d’accusa e portano l’ordine al processo che sanzionerà la sua fine. Le accuse concernevano pratiche oscene e blasfeme ed una non provata eresia. Le commissioni pontificie utilizzeranno durante gli interrogatori dei questionari, in cui le accuse vengono riassunte e le domande si concentrano su pochi argomenti: sul sospetto di immoralità durante la cerimonia di ammissione all’ordine, sull'eccessiva segretezza dei capitoli, che si svolgevano di notte e di nascosto, sull’adorazione di un idolo. Secondo gli accusatori, durante il rito di ammissione, i Templari rinnegavano il Cristo attraverso un giuramento e oltraggiavano con sputi la croce, e praticavano atti immorali. Ma l’accusa più grave era quella di eresia: «La negazione della croce e del sacrificio di Cristo ricordano le pratiche dei catari, e inoltre fan riferimento alla religione musulmana. Anche l’accusa di idolatria fa pensare ai musulmani, visti in Occidente come adoratori di idoli» [52].


TAVOLA VIII

Durante il processo molti accusati sono indotti dalla tortura a confessare di aver adorato un idolo, ma dalla diversità delle descrizioni rese sul suo aspetto non è possibile determinarne la fisionomia, ma solo sapere che gli è stato attribuito il nome di Baphomet, che sembra rimandare al nome del profeta Maometto. Questo idolo poteva identificarsi con un demone del folklore nordico, un reliquario dalla forma strana, un gatto o una testa barbuta per la quale si è indotti a pensare addirittura a quella del fondatore Payens. Un altro pretesto accampato per accusare i templari era quello di ricorrere a pratiche magiche per far arricchire l’ordine dal punto di vista economico.

3.9 La fusione mancata

La reputazione dell’ordine era stata messa in discussione già dal 1291 con la perdita di Acri e della Terrasanta. Assieme ai Templari sono chiamati in causa anche gli Ospitalieri ed i Cavalieri Teutonici, perché le rivalità tra gli ordini comprometteva il buon esito delle missioni. Viene pertanto avanzata la proposta di una riforma degli ordini militari che avrebbe comportato la loro fusione con la nascita di un’organizzazione gestita da una potente figura laica. Questa proposta naturalmente non trovò favore presso i Templari guidati da Giacomo di Molay, ultimo Gran Maestro dell’ordine, il quale sosteneva che gli ordini dovessero rimanere separati, perché perseguivano fini diversi: la carità per l’ospedale, la cavalleria per i templari. Lo storico Raimondo Lullo accettò la tesi della fusione degli ordini e teorizzò che a capo di questa organizzazione dovesse esserci un bellator rex, un re guerriero. L’idea piacque molto a Filippo il Bello che già sognava di assumere la guida di un probabile ordine della cavalleria di Gerusalemme e di diventare anche re di Gerusalemme. Ma tutto ciò non avvenne a causa del rifiuto dei Templari.


TAVOLA IX

Moneta aurea con l’effigie di Filippo il Bello. Gran parte dell’oro francese del tempo proveniva dal furto perpetrato al tesoro dei templari. Da A. Beck , La fine dei Templari, 1994, Casale Monferrato

3.10 I motivi dell’arresto

I motivi che hanno indotto il re di Francia a procedere contro il Tempio possono essere stati sia di natura finanziaria sia di natura politica. Per tentare di comprendere meglio questa complessa faccenda, dobbiamo esaminare le condizioni del regno di Filippo. Quando il giovane Filippo sale al trono, trova una situazione finanziaria disastrosa, causata da una crociata fallita condotta da suo padre contro l’Aragona, inoltre le guerre contro l’Inghilterra e le Fiandre non contribuiscono certo a migliorare le condizioni del paese. Nel tentativo di risolvere i problemi finanziari del regno, Filippo impone tasse al clero dando inizio alla sua lunga lotta contro Bonifacio VIII. Queste misure però non bastano a risanare il bilancio e allora Filippo rivolge le sue mire al Tempio, cui in un primo momento aveva accordato la sua protezione. L’ordine aveva accumulato nel tempo un’ingente ricchezza e svolgeva l’importante compito finanziario di custode e tesoriere del regno. Del tesoro templare non v’è più traccia. Se ne sarà impossessato Filippo per risollevare le condizioni del suo paese? Probabilmente, un altro dei motivi che hanno causato l’arresto dei Templari è stata la loro opposizione alla politica crociata di Filippo che, affascinato dalla teoria di Lullo del re guerriero, avrebbe voluto un attacco diretto contro Costantinopoli alla cui guida si sarebbe posto egli stesso o uno dei suoi figli. (Tavola XI)

TAVOLA X

Rotonda del Tempio di Parigi (1140 circa)
Sigilli del precettore di Francia (a: 1224 - b: 1269)
Da L. Imperio, Sigilli Templari, 1994, Latina

Due episodi in particolare fomentano l’odio di Filippo aggravando i rapporti del Tempio con la corona. Il cronista noto come Templare di Tiro racconta che il tesoriere dell’ordine aveva prestato al re, senza l’approvazione del maestro, una somma ingente ed è stato punito con l’espulsione. L’altro fatto si svolse nel 1306 quando il popolo di Parigi insorge contro Filippo a causa delle continue svalutazioni monetarie, dell’inflazione galoppante e dell’emissione di monete false, costringendo il re a rifugiarsi nel Tempio (Tavola IX). Il Gran Maestro Molay aveva limitato allo stretto necessario le spese dell’ordine per ospitare il re, per cui si presentava il problema di come poterlo intrattenere e fargli trascorrere il tempo; il tesoriere allora pensa bene di mostrargli il famoso tesoro. A rivolta sedata, Filippo non dimentica la fredda e austera accoglienza riservatagli dal Molay e soprattutto ricorda i forzieri pieni di tesori. Filippo era stato costretto a far circolare monete false che, dopo l’arresto dei Templari, magicamente, si trasformano in monete nuove di zecca. Alcuni contemporanei, assai diversi tra loro, come il poeta fiorentino Dante e il mercante genovese Cristiano Spinola, sono certi che l’odio di Filippo per i Templari sia stato motivato dalla cupidigia, tesi questa ripresa da diversi storici moderni.

L’accusa più grave mossa contro l’ordine templare, oltre alle altre, era sicuramente quella d’eresia, e per questo motivo si dovette richiedere l’intervento dell’Inquisizione. Compito dell’inquisitore era punire i peccati allontanando dalla cristianità “sana” la parte “malata”, ma se l’eresia persisteva, giungevano le fiamme purificatrici del rogo, sorte cui andavano incontro i relapsi, cioè coloro che erano ricaduti nella colpa. Per confermare la colpevolezza dell’accusato e per raggiungere lo scopo, l’inquisitore non si fa scrupolo di incoraggiare le delazioni e di ricorrere alla tortura.

Pare che il repertorio delle accuse mosse contro i Templari fosse già stato utilizzato dal Nogaret nella lotta contro Bonifacio VIII: il metodo consisteva nello screditare l’avversario di turno rendendolo un eretico, attraverso la diffusione di falsi documenti: «si riconosce lo zampino del Nogaret, il cui metodo consiste nel trasformare l’avversario, sia pure lo stesso papa, in eretico. Restano quindi solo da sfruttare la paura, il panico che il nome di eresia scatena nella gente del medioevo»[53].

3.11 Interrogatori e prime confessioni

Dopo l’arresto cominciano a circolare le prime ammissioni di colpevolezza. Le confessioni vengono estorte a causa delle misere condizioni di detenzione cui i Templari sono sottoposti: in catene, isolati gli uni dagli altri, a pane ed acqua e sottoposti a tortura. Erano fiaccati non solo da torture fisiche, ma anche da quelle spirituali. Essendo dei militari erano abituati a lottare contro la morte, secondo l’uso dell’ordine, però erano soliti agire tutti insieme e l’essere isolati li aveva disorientati. Ad aggravare la loro psiche già provata per i tormenti fisici, si aggiungeva il fatto di dover ammettere di avere commesso gravi e vergognosi atti. Alcuni confermano tutte le colpe dopo la tortura, certi si tolgono la vita non sopportando la situazione, altri ancora continuano a negare e per questo sono sottoposti a nuove torture. I Templari sono stati interrogati dai funzionari regi, in dispregio alla procedura ecclesiastica canonica, pare anzi che gli ecclesiastici non fossero stati neanche ammessi.

3.12 Le confessioni dei quattro dignitari dell’ordine

Si pensa che anche i quattro dignitari dell’ordine abbiano ricevuto lo stesso trattamento degli altri fratelli e siano stati costretti ad ammettere i loro peccati, trascinando la confraternita verso la fine. Una volta confessate le sue colpe, probabilmente concordate con la corona su promessa di qualche concessione, il Molay è esortato ad incoraggiare i confratelli a fare altrettanto e, per raggiungere lo scopo, cominciano a circolare sue false lettere in proposito abilmente costruite dai ministri di Filippo.

3.13 Lo Stato contro la Chiesa: Filippo il Bello contro Clemente V

I Templari vengono arrestati dal re di Francia: dal potere laico e non da quello ecclesiastico competente in materia, o meglio, l’autorità religiosa non ha fatto in tempo ad intervenire perché è stata preceduta e scavalcata da quella laica.

La normale procedura contro l’eresia avrebbe previsto l’intervento dell’autorità ecclesiastica prima, e dopo, solo dopo, i colpevoli sarebbero stati affidati all’autorità secolare. Ma ciò non avviene nel caso dei Templari. L’arresto voluto e ordinato da Filippo scardina ogni fondamento del diritto ecclesiastico, scatenando le ire del papa Clemente V e rischiando di far naufragare il progetto reale. Il re conscio del problema giuridico originato dal suo comportamento, per venire a capo della complessa questione, ricorre a vari mezzi: un quesito ai dotti dell’università di Parigi, insistenti pressioni sul papa, propaganda e diffamazione ed, infine, il ricatto sul processo contro il suo primo nemico il Papa Bonifacio VIII; i dotti dell’università risolvono in modo definitivo il problema della giurisdizione ed emettono un verdetto che dà ragione alla Chiesa. Ma il re voleva la totale distruzione dei Templari e per fare questo, poiché l’ordine era un’istituzione religiosa soggetta al Papa, gli era indispensabile l’aiuto del papato e, di fatto, riesce in tale impresa con l’intimidazione ed il ricatto, trasformando il Papa in uno strumento facile da manovrare.

3.14 Il Papa Clemente V

Papa Clemente dunque si irrita con la corona francese per l’immediato arresto dei Templari, per le confessioni ottenute con l’aiuto della tortura, ma la cosa che gli bruciava di più era che Filippo avesse calpestato il diritto ecclesiastico inerente alla materia, senza rispettare minimamente la giurisdizione pontificia. Ma sotto la minaccia da parte del re, di essere accusato di favorire l’eresia, Clemente scrive ai sovrani europei ordinando, come pretendeva Filippo, di arrestare i Templari sia in Europa sia in Oriente. Altro problema che il papa doveva risolvere, era la questione dei beni posseduti dall’ordine, affidati temporaneamente al potere secolare, ma che poi sarebbero dovuti tornare nelle mani della Chiesa. Clemente, con insolita energia, sospende i compiti dell’inquisitore e prende in mano la situazione ordinando la formazione di due commissioni d’inchiesta: una pontificia e una diocesana, che indagavano una sull’ordine in generale, l’altra sui singoli membri. Il Papa, invece, si era riservato il diritto di giudicare i quattro dignitari. Purtroppo, alcuni membri delle commissioni erano strettamente legati alla corona francese e continuavano ad essere controllati e manovrati dai funzionari regi.

3.15 Le commissioni pontificie e la difesa del Tempio

Questa fase segna una prevalenza, che durerà un breve periodo, dell’autorità ecclesiastica su quella secolare. Le due commissioni iniziano i rispettivi lavori nel 1309 e operano contemporaneamente riuscendo a intralciarsi a vicenda. Il loro lavoro veniva costantemente controllato dagli agenti, funzionari e ministri di Filippo, che ogni tanto, senza essere stati interpellati, intervenivano nel corso del procedimento, riuscendo con ogni mezzo lecito o no, a portare l’esito dell’inchiesta nella direzione già decisa dal re. Del resto anche lo stesso Filippo cerca di ostacolare il lavoro delle due commissioni, impedendo la presenza in aula degli stessi accusati, come accadde nel caso dei quattro dignitari, ai quali era stato ordinato di comparire al cospetto delle commissioni.

3.16 La difesa del Tempio e l’intervento del Gran Maestro

Non aiutano il Tempio nemmeno gli interventi dei suoi dignitari Pairaud e Molay. I due si erano già proclamati colpevoli delle accuse rivolte, ma la loro rinuncia a difendere l’ordine fa pensare ad accordi precedentemente presi con la corona francese. Il Maestro si presenta davanti alla commissione per ben tre volte: la prima abbozza una difesa della confraternita, ma nelle altre due ci rinuncia e si rimette al giudizio del Papa. Questo cambiamento di posizione da parte del Maestro, non fa che confermare l’ipotesi di una procedura in precedenza concordata, tanto è vero che in occasione dei suoi interventi presenziano, anche se non autorizzati, i più importanti ministri di Filippo, tra i quali il Nogaret.

TAVOLA XI

Filippo il Bello e la sua famigliaMiniatura francese del xiv sec. Parigi. Bibliothèque NationaleDa A. Beck, La fine dei Templari, 1994, Casale Monferrato

3.17 I Templari si difendono

I Templari che volevano difendere il proprio ordine, giungono a Parigi da tutta la Francia, accompagnati dai loro carcerieri,. Erano così numerosi che la commissione propose di scegliere dei procuratori, trovandosi nell’impossibilità di ascoltarli tutti. Molti neanche si presentano a deporre, e chi lo fa o non era in grado di difendere l’ordine dagli attacchi che gli erano sferrati, perché illetterato o prigioniero, oppure provava solo a difendere se stesso, mentre altri, come Ponsard di Gizy, precettore del Tempio di Payens, tentano di difenderlo coraggiosamente. Quando Ponsard compare dinanzi ai giudici ha il coraggio di dichiarare di essere stato sottoposto a tortura, sotto la quale aveva confermato le accuse rivoltegli e presenta un foglio contenente altre imputazioni ed una lista dei nemici e traditori dell’ordine. In un primo momento i Templari avanzano la richiesta di potersi consultare con i dignitari, poi venuti a conoscenza della rinuncia da parte del Pairaud e del fatto che il Molay si fosse rimesso al giudizio del Papa, eleggono quattro difensori.

3.18 I quattro difensori

Pietro da Bologna, Rinaldo di Provins, Bertrando di Sartiges e Guglielmo di Chambonnet si assumono l’onere di difendere il Tempio dalle accuse e sono ammessi alle udienze in veste di contro inquirenti. Ciò che si voleva sapere era, se le pratiche a causa delle quali l’ordine era sotto accusa, fossero un fenomeno di carattere generale riguardante tutte le magioni, oppure limitato soltanto ad alcune di esse.

Si ascoltano numerosi Templari e dalle loro dichiarazioni vengono alla luce diversi punti in comune da prendere in considerazione: erano stati sottoposti a tortura e per questo avevano confermato le accuse, ma non erano eretici e soprattutto non erano colpevoli di ciò di cui erano inquisiti. Il piano architettato da Filippo, volto alla distruzione dei Templari, rischiava di fallire, ma la mente del re stava già escogitando un nuovo stratagemma che lo porterà alla vittoria finale.

3.19 Il rogo dei difensori

Filippo passa al contrattacco. Il vescovato di Sens era vacante e così il re v’insedia un suo uomo di fiducia per intralciare la commissione e portarla dalla sua parte. Infatti, il nuovo vescovo di Sens emette subito un verdetto di colpevolezza condannando al rogo ben cinquantaquattro Templari come relapsi, cioè ricaduti nell’errore. A Parigi, intanto, Pietro da Bologna sparisce misteriosamente e la macchina difensiva templare si ferma. Gli altri Templari, spaventati dal rogo dei cinquantaquattro confratelli e dalla scomparsa di Pietro, si rifiutano di proseguire nella difesa condannando così l’ordine ad un’inesorabile fine.

3.20 La fine dell’ordine templare

Il risultato del lavoro delle due commissioni avrebbe dato vita ad un concilio ecumenico, in cui si sarebbe decisa la sorte del Tempio: una sorte che in ogni modo era già segnata dalle continue ingerenze del potere regio. Con il rogo dei cinquantaquattro Templari a Sens, l’ordine aveva perso i suoi difensori e stava precipitando verso la rovina. Rimaneva ora da giudicare i singoli individui fra i quali vi erano gli innocenti, coloro che si erano riconciliati con la Chiesa ed infine i relapsi, che continuavano, coraggiosamente e disperatamente, a proclamare l’innocenza del loro ordine. Anche in questo caso si applicava un trattamento di favore per chi confessava e un trattamento duro e la tortura per chi era irremovibile. Nel 1311 la commissione termina l’inchiesta ed iniziano i lavori per il Concilio che si terrà a Vienne e che avrebbe posto in modo definitivo la parola fine alla faccenda, sebbene la Frale ci fa notare che:

«la sentenza di sospensione contro l’Ordine sancita dal Concilio di Vienne permane ancora immutata, dopo sette secoli, nella forma di provvedimento non definitivo» [54].

3.21 Il Concilio di Vienne (1312)

Oltre alla questione dell’ordine templare, sarebbero stati presi in esame altri argomenti come l’indizione di una nuova crociata ed una riforma interna della Chiesa. Come i precedenti atti, anche il verdetto finale sul Tempio è influenzato dalle continue pressioni regie sul debole papa e soprattutto turbato dalla presenza al Concilio dello stesso Filippo. I padri conciliari non credendo alla colpevolezza dell’ordine, chiedono di ascoltare qualcuno che parli in sua difesa; ma il papa doveva compiacere il re e avvia numerosi colloqui tenutisi in gran segreto, durante i quali, si pensa che possa aver mercanteggiato abilmente con i ministri di Filippo per evitare scandali all’interno della Chiesa.

Infatti, per soddisfare la sua sete di vendetta per la faccenda d’Anagni, il re avrebbe ignobilmente voluto intentare post mortem un processo contro il precedente papa Bonifacio VIII. Queste consultazioni segrete avevano poi portato il papa ad indire un concistoro segreto in cui prende la discussa decisione di abolire il Tempio, senza dover affrontare il problema di un processo che avrebbe portato l’ordine verso l’assoluzione. Clemente aveva sacrificato il Tempio. La decisione è ufficializzata dalle bolle Vox in eccelso e Considerantes dudum. Con la prima risolve anche la questione dei beni templari che non sono devoluti alle casse dei sovrani, ma destinati all’ordine degli ospitalieri. La bolla Considerantes dudum chiariva la sorte dei singoli Templari, distinguendoli in innocenti (riconciliati) che avrebbero ricevuto una rendita ed in relapsi che, ostinati nel non ammettere le colpe, avrebbero ricevuto punizioni più gravi come il rogo o la prigione a vita. Tra coloro che erano considerati innocenti, alcuni rimasero monaci e continuarono a risiedere anche nelle loro ex magioni, altri, invece, ruppero i voti e tornarono nel secolo.

3.22 La sorte dei quattro dignitari

Quando il papa era finalmente riuscito ad ottenere che della questione del Tempio se ne occupasse la Chiesa, Filippo aveva trattenuto i quattro dignitari a Chinon (Jacques de Molay, Geoffroy de Charney, Ugo de Pairaud, Goffredo de Gonneville), evitando così la loro partecipazione all’inchiesta pontificia. Il papa, allora, invia tre cardinali ad interrogarli; essi ammettono le loro colpe e vengono riconciliati con la Chiesa, come sostiene la Frale: «Clemente V li aveva di fatto assolti da ogni accusa ed essi si trovavano nella comunione cattolica»[55]; ma ciò contrastava con i progetti di Filippo. Infatti il re fece allestire l’occorrente per una pubblica confessione in cui i prigionieri dovevano ammettere le loro colpe.

In quell’occasione però il Molay ritratta e sostiene l’innocenza e la purezza del suo ordine, divenendo così un relapsus e, come tale, destinato al rogo. Coloro che non avevano ritrattato, come il visitatore Pairaud, invece sono condannati alla prigione a vita. Quella sera stessa, dopo che fu riferito a Filippo della ritrattazione del Gran Maestro, viene allestito il rogo. Ancora una volta Filippo nella sua smania di vendetta, agiva prima del potere ecclesiastico competente. Pare che tra le fiamme del rogo Molay indirizzasse contro i suoi nemici, il re Filippo il Bello ed il papa Clemente V, distruttori del Tempio, un anatema, facendo così nascere la leggenda di una vendetta templare contro la corona francese ampiamente sfruttata dalle associazioni segrete che si autoproclamarono discendenti dai Templari stessi.

3.23 Il Tempio nel resto dell’Europa

Le cose andarono diversamente fuori della Francia. In Inghilterra in un primo momento il re Edoardo II non presta attenzione alle accuse rivolte contro la milizia, ma quando riceve la bolla papale che ne ordinava l’arresto, si vede costretto a obbedire, e non esita a fare uso della tortura anche se praticata da funzionari stranieri e con pochi risultati concreti. Per quanto riguarda la questione dei beni templari, il re, che era anche duca di Aquitania, non solo cerca di estendere il proprio dominio in terra francese confiscando le terre templari, ma tenta anche, senza riuscirci, di creare un ordine nazionale di monaci guerrieri.

In terra tedesca, patria del cavalieri teutonici, l’ordine templare è scarsamente rappresentato, e la sua sorte si determina dalla singola lotta fra due vescovi, uno ostile e l’altro favorevole: durante un capitolo i Templari tedeschi irrompono armati nella sala proclamando la propria innocenza. Verranno assolti, anche perché un vescovo scomunica l’altro.

E’ nella penisola italiana che si fa sentire più che in ogni altro stato l’influenza francese, ma la reazione è assai diversa da luogo a luogo. In alcune città, come Venezia, il problema non è per niente considerato. A Ravenna il vescovo li assolve senza aver usato la tortura, anche se il fatto solleva proteste. Per quanto riguarda i beni, vengono spartiti tra la Chiesa e gli stati.

Nella Penisola iberica, la Navarra, governata dal figliolo di Filippo, procedeva naturalmente allineata alla politica francese, arrestando, torturando e condannando i Templari. Come era successo in Inghilterra, anche i sovrani di Castiglia, Aragona e Portogallo, procedono agli arresti dopo la bolla di Clemente. In Castiglia non viene usata tortura, in Aragona, dove il re aveva messo gli occhi sulle terre templari, si dovette, prima di arrestarli, assediarli. I re mantennero il controllo delle terre templari rifiutando di concederle, come stabilito, all’Ospedale, perché serviranno alla Reconquista del paese. Il Tempio trova i suoi eredi negli ordini militari nazionali di Montesa (Aragona), Santiago e Calatrava ed i Cavalieri di Cristo (Portogallo). A Cipro, nuova sede dell’ordine, i Templari vengono arrestati ed imprigionati nei loro castelli. Grazie alle intercessioni degli ospitalieri, non sono stati perseguitati.

4. Il De laude novae militiae e l’ordine dei Templari

Come sappiamo, i Templari arrivano sulla scena solo a partire dalla seconda crociata, ed in questa occasione appare una delle figure più importanti per l’ordine che, nato da poco tempo, già suscitava fermenti e critiche per la contrastante duplice natura della vocazione: monastica e militare. Questa figura è Bernardo di Clairvaux. Prima di esaminare l’opera che scrisse per i Templari, il De laude novae militiae, cercheremo di tracciare un suo profilo e di delineare la posizione che ha assunto nella spedizione crociata, perché utili nella comprensione di questo suo scritto. Questa parte del mio lavoro sarà dunque divisa in tre sezioni dedicate rispettivamente alla figura di Bernardo, al suo ruolo nella seconda crociata ed infine all’opera scritta per il Tempio.

4.1.1 L’uomo Bernardo (1090-1153) - L’oscurità degli anni della giovinezza

Della giovinezza di Bernardo si sa poco, e lui stesso non ne ha mai parlato; i testi che vi fanno riferimento, la Vita Prima, di vari autori, e l’opera di uno sconosciuto Berengario, non sono del tutto attendibili: «Su questa parte della sua esistenza possediamo tre testimonianze, ma sono tendenziose: le prime due, quelle di Goffredo di Auxerre e di Guglielmo di Saint Thierry, idealizzano tutto e la terza, quella di un certo Berengario, è caricaturale»[56]. La Vita Prima venne redatta con lo scopo di canonizzare Bernardo ancora in vita, presentandone e magnificandone le azioni ed i miracoli. Non si tratta quindi proprio di una biografia, ma di un elenco di miracoli! Uno degli autori era Goffredo di Auxerre, segretario del futuro santo, che gli fu accanto in molte occasioni e per questo testimone oculare di quel che accadde, ma riguardo alla giovinezza di Bernardo, non sapeva in pratica nulla e come in molti altri casi, gli anni della prima gioventù furono immaginati secondo le regole del genere agiografico:

Quest’uomo era stato così straordinario che, ben prima della sua morte, si decise di scriverne la vita. Ciò che si voleva redigere non era una biografia, ma una “vita di santo”, cioè un racconto agiografico. L’intento non era di raccogliere delle informazioni di carattere storico per serbare di lui ricordi obiettivi, conformi alla realtà. Lo scopo era di ottenere che fosse canonizzato dal Papa e di conseguenza proclamato, riconosciuto come santo e proposto alla venerazione dei suoi contemporanei e della posterità .[57]

Il materiale di Goffredo venne plasmato in forma letteraria da Guglielmo di Saint Thierry che vi fece emergere il proprio punto di vista. L’opera di Berengario risale all’epoca della disputa di Bernardo contro Abelardo, filosofo e teologo, di cui Berengario era discepolo, perciò lo scritto risulta diffamatorio e caricaturale. Presentava infatti il giovane futuro santo a lezione come il primo della classe e dedito alla composizione di canzonette ritmiche, che erano uno dei “compiti” per i discepoli, pertanto rientravano nella norma: «tu fin dai primi studi dell’adolescenza componevi canzonette mimiche e melodie profane… sempre tu cercavi di superare i tuoi fratelli nelle gare di poesia con l’astuzia di un’acuta invenzione e che a te sembrava grave e fortissima ingiuria trovare qualcuno che rispondesse con pari protervia?»[58].

Bernardo, che nasce nel 1090 in una fortezza nei pressi di Digione, era di nobili origini, pare che da parte materna discendesse dai duchi di Borgogna e quindi da Ugo Capeto, da parte paterna dai duchi di Runcy, imparentati con i Borgogna. Terzo di sette figli, Bernardo crebbe in un ambiente feudale che, nel sermone dedicato ai Templari, criticherà e mentre i suoi fratelli si impegnavano nelle attività cavalleresche, lui si volgeva invece agli studi letterari, maturando anche la convinzione di abbracciare la vita monastica: «Mentre i suoi fratelli si davano alla caccia e al mestiere delle armi, il giovane Bernardo si dedicava agli studi e assisteva a una parte degli uffici religiosi nella cappella di Saint Vorles»[59].

Compì gli studi a Saint Vorles, dove venivano insegnate le discipline del Trivio e del Quadrivio, mostrando una predilezione per le dottrine letterarie e acquistando un’eloquenza tale che gli valse l’attributo di doctor mellifluus. Non è oscura soltanto la prima giovinezza di Bernardo, ma anche la seconda. Infatti si riscontra un “gap temporale” tra la fine degli studi e la conversione del 1112. Il monaco Guglielmo di Saint Thierry nella sua opera formula delle possibili ipotesi sulla seconda giovinezza di Bernardo, da cui emerge tutta la sua virtù, durante la quale veniva spesso irretito da signore che venivano prontamente respinte. Si diffuse anche una leggenda riguardante la madre, che avrebbe sognato un cane, prima della sua nascita. Secondo le varianti più tarde, che fornivano altri particolari sull’animale, questo simboleggiava le future attività di Bernardo: «Questo sogno sarebbe stato un presagio delle attività nelle quali san Bernardo sarebbe un giorno diventato illustre come predicatore, medico delle anime e vigilante sulla Chiesa»[60]. Nel 1112 Bernardo entra nel monastero di Citeaux, riuscendo a portare con sé quasi tutta la famiglia: «…avrebbe preso la ferma decisione , non solo di farsi monaco, ma di trascinare con sé tutti i suoi fratelli»[61].


4.1.2 Il monaco Bernardo - Vita da abate nel monastero

I primi anni trascorsi tra quelle mura sono avvolti nell’oscurità e non riusciremo mai a sapere se abbia completato i suoi studi letterari, anche se la dottrina delle sue opere fa pensare di si, o se, come prevedeva la regola benedettina, si fosse dedicato ai lavori manuali: «I due o tre anni che Bernardo trascorre a Citeaux sono avvolti nel mistero. Ha certo dovuto, come tutti i monaci, partecipare all’ufficio divino, lavorare nei campi e nelle selve, e dedicarsi alla lettura»[62]. Inizia a concepire il suo disegno di un monachesimo puro ed una nuova filosofia dell’arte, che esporrà nell’Apologia a Guglielmo di Saint Thierry. Nell’illustrare le sue concezioni artistiche ed ascetiche, inserendosi nella disputa tra il monachesimo tradizionale e quello innovatore portato avanti dal Saint Thierry e da lui stesso, Bernardo critica i cluniacensi e Citeaux dei primi tempi, iniziando il cambiamento proprio dalla stessa casa di Citeaux. ([63]) Egli propugna un monachesimo puro, fondato solo sulle pratiche ascetiche e sulla preghiera e, soprattutto, distaccato dalla vita del secolo. Infatti Bernardo rimprovera ai monaci di Cluny e ai primi cistercensi, di essere troppo attaccati nella vita secolare: «…le istituzioni monastiche si erano inserite nelle strutture, economiche e politiche, delle società nelle quali dovevano vivere…Ma i contatti con l’ambiente si erano moltiplicati, si erano creati legami con l’economia locale che contrastavano con la primitiva utopia. E’ a questa che Bernardo voleva che l’ordine monastico tutto intero tornasse, a cominciare da quella parte nella quale egli era inserito»[64].

Anche la sua concezione dell’arte rispecchia la stessa filosofia: l’arte strettamente connessa con l’ascesi, doveva tornare alla semplicità di un tempo e non doveva distogliere la mente da Dio. ([65]) Da qui una critica ai mosaici e agli affreschi troppo decorati, un’arte monastica questa che per Bernardo doveva ritornare orante, povera e semplice:

Bernardo ricusa ciò che può esservi nell’arte di troppo materiale, tale da non recare nulla allo spirituale, anzi da impedire al monaco di fissare la sua attenzione su Dio…Non vuole che si dilapidino i tesori della Chiesa a beneficio di esseri inanimati, mentre gli umani mancano del necessario…Le sue idee sull’arte fanno parte di una concezione molto coerente della vita monastica: la vuole orante, austera, distaccata, povera. [66]

Per questi motivi non è d’accordo che vengano dilapidati denari per simboli e immagini inutili e vuoti, quando le pecorelle di Dio rovinano nella miseria più nera:

La chiesa rifulge nelle sue pareti e penuria nei suoi poveri. Riveste d’oro le sue pietre e abbandona nudi i suoi figli. Col denaro che dovrebbe spendersi per gli indigenti si dà piacere agli occhi dei ricchi. I raffinati trovano onde prender diletto e i poveri non trovano onde sostentarsi.[67]

Secondo l’agiografia, l’influenza di Bernardo nel mondo religioso si snodava su tre direttrici fondamentali: la prima rivolta alla vita monastica francese, la seconda a quella romana ed, infine, la terza all’intera cristianità. Bernardo, secondo le critiche mossegli dai suoi stessi monaci, era spesso in viaggio e sostava troppo poco nella sua abbazia. In questi viaggi su quasi tutto il territorio francese, egli stringeva amicizie con gli esponenti più in vista della vita monastica francese e portava spesso con sé coloro che era riuscito a convincere ad abbracciare la vita del chiostro. Il numero dei monaci crebbe smisuratamente e le vecchie strutture diventavano inadeguate e si doveva pertanto procedere a nuove fondazioni. Non sempre il futuro santo si trovava d’accordo con gli altri monaci specialmente quando, nel tentativo di vivere un ideale di povertà, voleva limitare al massimo le spese, contentandosi delle rendite agricole su cui si basava l’economia dell’abbazia, ma alla fine era costretto a cedere. Nel frattempo cominciavano ad organizzarsi anche le “figlie” di Clairvaux, che vennero dotate di una cancelleria, da dove venivano diffuse le lettere e le opere dell’abate, tanto che presero a circolare in vere e proprie raccolte, estendendo ovunque la fama di Bernardo, che preferiva senz’altro questo lavoro alle cure della gestione amministrativa ed economica. Bernardo andò anche a Roma, dove sostenne Innocenzo II nella sua elezione al soglio pontificio. Il papa, dal canto suo, si servì dell’abate in quanto autore di testi scritti.

4.2 La polemistica di Bernardo

Bernardo che, come sappiamo, avrebbe preferito la tranquillità del monastero, viene a contatto con la vita secolare, sia per questioni dottrinarie, sia per la predicazione in favore della spedizione crociata. Viene spinto dal Saint Thierry ad intervenire per difendere la dottrina dagli insegnamenti di Pietro Abelardo prima, e dall’eresia del gruppo dei catari, dopo. Per quanto riguarda “l’affare Abelardo”, Bernardo è informato da Guglielmo di Saint Thierry circa gli insegnamenti del maestro, che entrambi i monaci reputano erronei. Guglielmo gli fa pervenire un suo scritto noto col titolo La disputa contro Pietro Abelardo, alla quale Bernardo risponde con l’epistola 327 che raccoglieva una summa delle teorie incriminate; comporrà poi un’epistola, la 190, denominata e nota come Trattato sugli errori di Abelardo sulla base della Disputa scritta e inviatagli da Guglielmo. Prima di comporre il trattato, Bernardo si era rivolto più volte ad Abelardo, inviandogli anche due monitiones, due moniti. Attraverso l’epistola 189, Bernardo fa giungere ai vescovi il suo trattato più i 19 capitula, riguardanti le idee da condannare, redatte assieme a Guglielmo di Saint Thierry, poi si rivolge all’arcivescovo di Sens e predica a Parigi contro il maestro, che in seguito lo chiamerà direttamente in causa, in una sfida ufficiale, che sì terrà a Sens in occasione di un Concilio nella primavera del 1141. Lo svolgimento dei fatti viene descritto nell’opera di quel Berengario, discepolo di Abelardo, che per difendere il suo maestro, cerca di distruggere il suo accusatore con ogni mezzo, arrivando anche a parlare di una condanna dovuta all’ubriachezza dei vescovi. In seguito, Berengario ritratterà la sua opera e le dottrine di Abelardo saranno condannate, anche se non sarà scomunicato grazie all’intervento di Pietro il Venerabile, abate di Cluny, ed alla riconciliazione con Bernardo:

Pertanto alla presenza di tutti, mentre l’avversario mi stava di contro, furono addotti molti capitoli estratti dai suoi libri. Non appena li si cominciò a leggere, egli rifiutandosi di udirli se ne uscì, appellandosi contro i giudici da lui stesso eletti, il che non mi sembra lecito. Ciò nonostante, i capitoli, esaminati dal giudizio generale, furono riconosciuti avversi alla fede e contrari alla verità. [68]

Bernardo viene anche invitato a porre termine al dilagare dell’eresia catara, che stava sconvolgendo la Francia; era convinto che i catari non dovessero essere combattuti con la forza delle armi, ma con la forza della dottrina e così farà nel sermone 66 del Cantico dei Cantici, in cui rimproverava al gruppo di considerare gli animali in modo tanto negativo da non consumarli come pasto, sebbene prezioso dono di Dio:

Si astengono costoro dai cibi che Dio ha creato affinché siano presi con azione di grazia…Ma se tu, non solo ingrato, ma altresì censore temerario, in base all’insania dei manichei muovi obiezioni alla beneficenza di Dio, dichiari immondo ciò che egli creò e donò perché fosse ricevuto con azione di grazia, e da esso ti astieni come da cosa cattiva, davvero non loderò l’astinenza, ma esecrerò la bestemmia e dirò immondo piuttosto te che reputi immonda qualcosa…Guai a voi, che respingete i cibi creati da Dio giudicandoli impuri e indegni di essere introdotti nei vostri corpi, quando proprio per questo il corpo di Cristo che è la Chiesa ha vomitato voi come impuri e immondi. [69]

Con la stessa epistola 363, che fungerà anche da appello alla crociata, Bernardo condurrà un’appassionata difesa del popolo ebraico, che in Germania veniva massacrato secondo la predicazione del “monaco pazzo” Rodolfo, mettendo anche in guardia da false lettere non redatte da lui:

Non bisogna perseguitare gli Ebrei; essi non vanno trucidati e neppure posti in fuga…rappresentano continuamente la Passione di Cristo. Per questo sono dispersi in tutte le terre, perché, mentre dovunque pagano giustamente il fio di un così grande delitto, siano testimoni della nostra redenzione…sono stati dispersi, sono stati abbassati; sopportano una dura servitù sotto i prìncipi cristiani…Se d’altronde gli Ebrei sono sterminati a fondo, come si potrà sperare la loro salvezza promessa all’ultimo, la loro futura finale conversione?…se qualcuno amante della primazia la voglia esercitare tra voi, cercando di prevenire l’esercito ufficiale con una sua personale spedizione, non sia affatto ascoltato, anche se finga di essere stato spinto da me; ciò che non sarà mai vero, anche se mostrasse una lettera, come se inviata da me, che voglio che voi riconosciate non dettata da me, ma del tutto falsa, per non dire contraffatta. [70]


4.3 Gli ultimi anni

L’ultima fase della vita dell’abate è ricca di viaggi, redazione di opere e altre dispute dottrinarie. Dopo il fallimento della crociata, Bernardo inizia a mettere ordine tra i suoi scritti. Li ricontrolla dal punto di vista stilistico e li assembla in raccolte. Nel frattempo il suo segretario, Goffredo di Auxerre, inizia la stesura della Vita Prima. Fallirà il suo sogno di un monachesimo puro, perché le istituzioni monastiche, tra cui alcune delle istituzioni derivate direttamente dalla casa madre di Clairvaux, non rispetteranno le sue convinzioni e non sosterranno l’idea di un’arte povera ed umile, ma saranno di nuovo inserite nel tessuto secolare e finiranno per utilizzare altre fonti di sostentamento accanto a quella agricola, proposta dalla Regola benedettina. L’abate verrà nuovamente coinvolto, come era avvenuto nel caso di Abelardo, nella disputa contro le idee del vescovo Gilberto Porretano. Questo, come Abelardo prima di lui, diffondeva teorie che Bernardo considerava errate e per questo cercò di farlo condannare nel concilio tenutosi a Reims nel 1148. Gilberto modificherà le proprie concezioni e perciò non sarà condannato in base alle norme ecclesiastiche, anche se Bernardo continuerà a dubitare di lui:

Non senza ragione poco fa, nel concilio che Papa Eugenio celebrò a Reims, tanto a lui quanto agli altri vescovi sembrò perversa e del tutto sospetta quella tesi che così veniva espressa nel libro di Gilberto vescovo di Poitiers, dove egli commentava le parole del trattato di Boezio intorno alla Trinità, sanissime invero e cattoliche: ”Il Padre è verità, cioè vero; il figlio è verità, cioè vero; lo Spirito Santo è verità, cioè vero e questi tre assieme non sono tre verità ma una verità, cioè un solo vero”. Oscura e perversa spiegazione!…condannò con le sue proprie parole tanto questi errori quanto altre affermazioni degne di biasimo, ma lo diciamo per coloro che, si dice, trascrivano e leggiucchino ancora quel libro contro la proibizione apostolica, promulgata a Reims stessa. [71]

Nel 1153 Bernardo abbandona questo mondo terreno per raggiungere quello celeste. La morte da Bernardo era affrontata con serenità e fiducia quando si trattava di se stessi, con dolore, quando si trattava di persone care. ([72])


4.4 Gli scritti

Ma come opera Bernardo? Come riesce a convincere i popoli? Attraverso la predicazione, i miracoli e la circolazione delle epistole.

I suoi pensieri ebbero una diffusione enorme, motivata dalla sua eloquenza e capacità di persuasione. Sia che parlava sia che scriveva, il doctor mellifluus riusciva sempre ad affascinare l’uditorio ed a convincerlo delle proprie idee. Ed è così che riesce a trasformare il progetto crociato in una spedizione reale, catturando l’approvazione dei vari popoli con le sue parole.

L’abate, proclamato dottore della chiesa nel 1830, ci ha lasciato una grande quantità di opere che spaziano in ogni campo dello scibile umano: troviamo infatti scritti teologici e dottrinari sulle figure del Cristo e della Vergine e contro gli errori teologici di Abelardo e Gilberto. Vi sono poi oltre 300 Sermoni, che trattano anch’essi ragionamenti della stessa natura. Le circa 500 Epistole affrontano gli argomenti più disparati, dalle questioni dottrinarie all’appello per la crociata e sono sicuramente gli scritti che hanno la diffusione più ampia.

Intorno agli anni 1132-1135 Bernardo compone il De laude novae militiae indirizzato all’ordine dei cavalieri Templari, su sollecitazione del suo fondatore Ugo di Payens.

Nel De consideratione ad Eugenium papam, opera dell’ultima fase della sua vita e suo testamento spirituale, l’abate ritorna su argomenti precedentemente affrontati: la disputa con Abelardo, la questione catara ed il fallimento crociato. ([73]) A questo proposito, Bernardo si scaglia contro gli organizzatori e i prìncipi comandanti, ma si assumerà l’intera responsabilità della disfatta: «Accetto con gioia su di me le maldicenze dei calunniatori e le frecce avvelenate dei bestemmiatori, purché non giungano a Dio. Non rifiuto d’esser coperto d’infamia. purché non si porti pregiudizio alla gloria di Dio». [74]

4.5 Il ruolo di Bernardo nella seconda crociata (1147-1148)

Molti studiosi hanno definito la seconda crociata come la “crociata di San Bernardo”, anche se questa non è un’espressione corretta, perché egli non ne fu il promotore, anzi in un primo momento, l’abate non condivise il progetto di Luigi VII di una spedizione in Terrasanta. Ma quando il papa Eugenio III, ex abate e discepolo di Bernardo, legittimò questo desiderio, al futuro santo venne affidato il compito di diffondere il messaggio crociato attraverso la predicazione: «Il ruolo di Bernardo, risulta ridimensionato rispetto a quanto gli viene attribuito comunemente: l’abate di Clairvaux non fu il “promotore” della seconda crociata.

…Egli svolse con l’eccezionalità che gli era consueta un compito affidatogli dal pontefice: nel far questo forse snaturò (ma solo in parte) il progetto originario di Eugenio III, ma non perché ve ne abbia sovrapposto uno proprio»[75] e ancora: «Il pontefice accolse i desideri del re e sancì la crociata con una bolla del 1 marzo 1146. La predicazione della crociata venne delegata a Bernardo, dal momento che il papa era troppo occupato con i problemi di Roma insorta per potervisi dedicare»[76]. A Bernardo venivano conferiti i compiti organizzativi di una spedizione militare ma, essendo egli un monaco, non poteva certo assumerne il comando. A Luigi VII re di Francia, a Corrado III imperatore e re di Germania ed al Papa, che rende la spedizione ufficiale, e che sono i capi della spedizione spetta l’organizzazione della crociata, non all’abate Bernardo, il cui compito è limitato a diffonderne il messaggio come predicatore. Ricevuto questo compito di far conoscere il bando della crociata, Bernardo si reca in Germania per convincere l’imperatore. Marco Meschini, rifacendosi sia alla Vita Prima che agli studi di E. Vacandard, conferma questo viaggio, che si protrasse per oltre due mesi, e che riuscì nell’opera di conquistare il re alla causa crociata. E’ grazie all’opera di Bernardo ed alla diffusione delle sue epistole che l’impresa concepita dal re francese ed indirizzata ai soli transalpini, si trasforma in un movimento che interessa l’intera cristianità, convincendo tutto l’occidente a prendere parte alla spedizione in Terrasanta: «…tale spedizione, che noi usiamo chiamare “crociata”, coinvolse praticamente tutta la cristianità, a dispetto di quanto avevano voluto i suoi iniziatori, e cioè Luigi VII, re di Francia, e papa Eugenio III (…). Costoro avevano immaginato e progettato una spedizione di marca francese. Fu Bernardo che, con le parole e con i fatti, trasformò radicalmente questo progetto, arruolando sotto le insegne crociate tutto l’Occidente cristiano»[77]. Secondo il Vacandard, la partecipazione di Bernardo era frutto di un’evoluzione graduale: «All’inizio l’abate non volle accogliere la richiesta di Luigi VII [...] rimettendo la questione al giudizio del pontefice romano. Solo quando quest’ultimo ebbe approvato il desiderio del re […] Bernardo si sentì autorizzato a scendere in campo»[78]. Secondo il Leclercq, invece, l’abate avrebbe subito portato avanti il progetto di una crociata universale, indirizzata a tutta la cristianità: «Bernardo avrebbe ideato un proprio progetto di crociata universale immediatamente dopo Vézelay (1146), attuandolo tramite la predicazione e l’invio dell’ep. 363 in tutta Europa»[79]. Dello stesso parere Ferruccio Gastaldelli, che, come il francese, riteneva che l’estensione della crociata fosse dovuta alla diffusione della epistola 363, rimaneggiata secondo i destinatari e che per il suo carattere universale acquista i toni di un’enciclica e che andremo ad analizzare più avanti: «Questa internazionalizzazione fu promossa con le diverse utilizzazioni della lettera 363, che variamente ritoccata secondo i diversi destinatari, fu inviata in ogni parte del continente, al punto di essere considerata una sorta di enciclica»[80].

4.6 Le epistole per la crociata - L’epistola 363

Abbiamo già considerato il fatto che Bernardo è riuscito a trasformare la crociata da un fatto solo francese, che doveva soddisfare soltanto l’ambizione di Luigi, ad un fatto universale che investiva l’intera cristianità, servendosi della persuasione delle sue parole sia scritte che parlate. La predicazione, dunque, avvenne tramite la circolazione di epistole fra cui, le più importanti sono la 363, che chiama tutti i popoli della cristianità alle armi e proprio l’universalità dell’appello le conferisce i toni di un’enciclica ([81]) e la 247, in cui l’abate illustra gli effetti della sua predicazione. L’epistola 363 è un appello alle armi indirizzato a tutti i popoli cristiani: per questo vi sono varie redazioni e diversi destinatari. Il Leclerq ha studiato attentamente la tradizione manoscritta di questa epistola distinguendo varie redazioni secondo i destinatari:

· CL (continentale lunga, che arriva al paragrafo otto ),

· A (per gli inglesi che arriva alla penultima frase del paragrafo sette),

· CB (continentale breve, fine del paragrafo cinque ).

Analizzando CB e CL, lo studioso ha riscontrato un’omogeneità di fondo, pertanto si può dire che si tratti dello stesso testo. Da ciò i tre gruppi esaminati vengono ridotti a due: A e C. A è la versione indirizzata agli inglesi e C per il continente. «La conclusione dunque “più probabile” è che «il a existé, pour deux destinataires ou groupes de destinataires divers, deux rédactions differentes. A semble avoir été écrit pour les Anglais, et C le fut pour les chretiens du continent »[82]. Leclercq ritiene anche, basandosi proprio sull’analisi dell’epistola, che l’idea dell’estensione del messaggio crociato al resto della cristianità sia da attribuire proprio all’abate. A testimoniare ciò, vi sono le varie redazioni dell’epistola, indirizzate ai diversi popoli, che sembrano costruite su un preciso schema ricorrente. Sono d’accordo con lo studioso nel ritenere che vi sia stata una prima redazione dell’epistola, poi modificata secondo i destinatari. Per cui si può parlare di tante epistole 363, aventi tutte una base comune (il testo redatto per gli inglesi) a cui sono stati aggiunti dati riguardanti la situazione di ogni paese interessato:

Il Leclercq riprese i risultati del suo lavoro in un altro articolo, dove accollò a Bernardo la responsabilità della internazionalizzazione della crociata. Secondo lo storico francese, Bernardo concepì un proprio progetto di crociata immediatamente dopo Vézelay. Tale progetto prevedeva l’estensione della chiamata dalla sola Francia (e, al più, l’Italia) all’Europa intera: ne sarebbero testimoni il gran numero di destinatari dell’unica lettera 363, definita “enciclica”(E), e il fatto che essi appartengono alle più diverse e lontane contrade del continente. Viene dunque supposta una precoce redazione della ep. 363, il cui canovaccio poteva essere variamente ritoccato a seconda delle circostanze e dei destinatari.[83]

A testimoniare ciò la redazione inviata in Germania, in cui si faceva riferimento alla vicenda di Rodolfo. Il Leclercq proponeva, per risolvere il problema, l’idea di un’unica redazione (quella degli inglesi), poi modificata a seconda dei destinatari, mentre il Meschini ritiene invece che si tratti di epistole diverse: «Insomma Bernardo riutilizzò la lettera agli inglesi, che finì col diventare una (la prima) delle redazioni della ep. 363. Ma in realtà si tratta epistole diverse». [84]

4.7 Il fallimento della crociata: l’apologia di Bernardo e la nuova crociata

Il grande progetto elaborato per la crociata fallisce per una molteplicità di cause favorendo il sorgere di nuove alleanze. Secondo Sugero, abate di Saint Denis, anche l’atteggiamento ambiguo dei bizantini che creava un clima di sospetto, ha avuto la sua importanza. Ma, a causa del patto stretto tra Corrado e Bisanzio, il progetto non si realizza e, per punire Bisanzio si dovrà aspettare la quarta crociata.

Da i Gesta di Ottone di Frisinga e il De Consideratione di Bernardo, emerge la riflessione della Chiesa sul disastro. Ottone riteneva che sì, la crociata era fallita dal punto di vista politico, ma riuscita dal punto di vista spirituale in quanto aveva contribuito alla salvezza delle anime dei partecipanti ([85]). La giustificazione della sconfitta, voluta dalla Chiesa, veniva espressa nell’Apologia scritta da Bernardo soprattutto per il papa, che aveva indetto la spedizione con lo scopo di liberare la Terrasanta, di estendere la cristianità in quei luoghi, e con la speranza anche di ricucire lo strappo con la Chiesa d’Oriente. Ma queste aspettative vennero purtroppo deluse:

La sconfitta subita dai crociati dovette colpire molto il pontefice romano. Egli si era prodigato affinché quella spedizione giungesse a buon fine, riponendo una duplice speranza nelle armi dei cavalieri occidentali: sperava infatti di espandere i confini della cristianità a danno degli infedeli, sia musulmani che pagani, ed aveva anche intravisto la possibilità di una riunione con la Chiesa d’Oriente. Queste speranze andarono deluse, ed Eugenio dovette interrogarsi in quanto guida e pastore della Chiesa: per questo egli chiese a Bernardo di redigere un testo che spiegasse quanto era accaduto. [86]

Nell’Apologia Bernardo, nel difendere se stesso e la Chiesa, sostiene che chi segue il volere dell’Altissimo compia cose giuste anche se ne esce sconfitto e questo egli ha sempre predicato ai Templari e ai crociati: «A Bernardo infatti premeva far emergere un dato fondamentale: chi agisce conformemente alla volontà di Dio non può che essere nel giusto, anche qualora vada incontro a terribili sconfitte materiali; chi viceversa si discosta dalla via dell’Altissimo non può che cadere nell’errore e nella confusione» e ancora: «Bernardo si chiama in causa in prima persona anche per le accuse che gli venivano rivolte: Ma egli è sicuro di sé e del suo operato, dal momento che sia lui che tutti i predicatori della crociata si sono impegnati in essa non quasi in incertum, sed te iubente (scilicet Eugenio), immo per te Deo».[87]

Anche nella lettera a suo zio Andrea di Montbard, cavaliere del Tempio, l’abate riflette nuovamente sulle responsabilità del disastro crociato, ponendo il fine dell’uomo nell’ascesi verso Dio «e proprio il pericolo cui allora era esposta la Terrasanta cristiana è spunto per una serrata e dura condanna dei comandanti della crociata: “Vae principibus nostris! In terra Domini nihil boni fecerunt: in suis, ad quas velociter redierunt, incredibilem excercent malitiam, et non compatiuntur super contritione Ioseph. Potentes sunt ut faciant mala, bonum autem facere nequeunt” (Bernardo ep.288)»[88]

4.8 De laude novae militiae ad milites Templi

Ai Templari Bernardo dedica il sermone-trattato De laude novae militiae, per una loro riflessione, e non per un intento celebrativo e propagandistico sempre attribuitogli. Mette subito in chiaro che i Templari hanno una vocazione di duplice natura, il che li porta a definirsi una milizia al servizio di Cristo, riuscendo così a giustificare quella figura di cavaliere che racchiude la mitezza del monaco con il coraggio del soldato che tanto aveva turbato la società dell’epoca. L’opera si apre con un prologo e la dedica al fondatore dell’ordine Ugo di Payens. Il De laude, composto tra il 1129 ed il 1136, è costituito da un prologo e 13 capitoli, suddivisi in tre sezioni: la prima dedicata a scardinare il modello della cavalleria laica con la definizione di quella celeste; la seconda è dedicata alla descrizione della milizia del tempio, confrontata sempre con la cavalleria laica; infine la terza impegnata nella descrizione della Terrasanta, naturalmente non in senso geografico, ma in quello spirituale e teologico.

Nel prologo è contenuta una professione di umiltà, in cui Bernardo dichiara di non essere in grado di comporre un’opera di tal genere e in cui fa riferimento alle continue richieste del Payens:

Semel, et secondo, et tertio, nisi fallor, petisti a me, Hugo carissime, ut tibi tuisque commilitonibus scriberem exhortationis sermonem, et adversus hostilem tyrannidem, quia lanceam non liceret, stilum vibrarem, asserens vobis non parum fore adiutorii, si quos armis non possum, litteris animarem. Distuli sane aliquamdiu, non quod contemnenda videretur petitio, sed ne levis praecepsque culparetur assensio, si quod melius melior implere sufficeret, praesumerem imperitus, et res admodum necessaria per me minus forte comoda redderetur. [89Inizialmente, Bernardo concepiva nettamente separate e distinte la Militia Christi, all’interno del chiostro, che conduceva con l’ascesi la lotta contro il peccato e quella saeculi, fuori dal chiostro, in cui non ci poteva essere alcuna salvezza. Ma con il tempo muterà questa sua convinzione proprio riflettendo sui contenuti della lettera di quel tale Ugo, forse il fondatore dell’ordine.

4.9 Monaci guerrieri

All’interno del movimento crociato, nascono formazioni insolite per il medioevo: gli ordini militari- religiosi, istituti sorti come confraternite laiche, destinati inizialmente a scopi caritatevoli e sociali che, con il passare del tempo, acquisiscono carattere religioso; con il tempo queste libere fraternitates di laici, che tuttavia dipendono dalla Chiesa, se ne staccano divenendo autonome.

L’ordine templare era complementare a quello ospitaliero, dedito alla cura dei malati, e rivolgeva la sua prima funzione alla protezione e difesa dei pellegrini dai nemici. La Terrasanta era scossa di continuo dalle scorrerie e dalle incursioni della pirateria nemica, per cui anche chi vi si recava in pellegrinaggio, non poteva considerarsi al sicuro e aveva bisogno di protezione e assistenza.

Proprio in questo contesto, matura la decisione del Payens di dar vita ad una confraternita che fosse al servizio dei più deboli. In origine, questo nucleo di cavalieri prende il nome di Pauperes milites Christi, i quali imitando la figura del Cristo povero, che aveva scacciato i mercanti dal Tempio, si considerano come veri e propri suoi commilitones, nell’aiutarlo nella sua battaglia contro il male. Il Cristo assume così la funzione di Dux militum e la fraternitas fondata da Ugo prenderà in seguito il nome di militia Templi. L’idea di un ordine che fondesse il monaco e il guerriero era così originale ed innovativa che si pensò a lungo che fosse stata frutto della riflessione di Bernardo anziché di Ugo, perché solo una mente geniale come quella del santo poteva concepire un’istituzione in grado di conciliare i due ordini sociali a lungo separati. Da questa situazione, nasce una nuova bizzarra figura di cavaliere fino ad allora sconosciuta e non ben vista né dal clero né dalla società medievale, abituati a vivere nella tradizionale e sicuramente più tranquilla divisione nei tre ordini sociali.

«Non è perciò difficile immaginare che alcuni contemporanei, portati a credere in una divisione funzionale degli ordini sociali, potessero trovare il dualismo templare un’idea alquanto bizzarra».[90]

Nel tentativo di risalire alle oscure origini di un’istituzione di tal fatta, si è pensato ad una lontana derivazione musulmana, scaturita dall’osservazione dei ribat, che sono una sorta di ordini mistico-guerrieri. Tale ipotesi però non trova alcuna conferma per il fatto che i primi crociati, al contrario dei Templari, non svilupparono rapporti scambievoli con le popolazioni musulmane e, di conseguenza, non ne assimilarono la cultura e gli usi. Questo cavaliere-monaco conduceva una duplice battaglia: contro i nemici della fede (compito espressamente del guerriero) e contro le tentazioni ed i vizi umani (compito del monaco). Secondo Bernardo, egli si rivestiva di due armature, una di ferro e l’altra di fede, in modo da essere doppiamente protetto sia dai nemici umani che da quelli dell’anima. Questi è assimilato ad un martire, che se muore in battaglia, riceve la salvezza eterna ([91]) e non teme la morte, ma al contrario la ricerca, essendo la giusta ricompensa per l’assolvimento dei suoi doveri e il mezzo con cui si riunirà al Cristo:

«Impavidus profeto miles, et omni ex parte securus, qui ut corpus ferri, sic animum fidei lorica induitur. Utrisque nimirum munitus armis, nec daemonen timet, nec hominem. Nec vero mortem formidat, qui mori desiderat. Quid enim vel vivens, vel moriens metuat, cui vivere Christus est, et mori lucrum?» .[92]


TAVOLA XII

In questa miniatura risalente al XIII secolo è raffigurato Cristo alla guida dei crociati. I cavalieri erano animati da cristiana devozione e spirito di sacrificio. I templari sono quelli che seguono il Redentore in prima linea, dimostrando in tal modo di essere quelli che più di tutti rappresentano l’ideale crociato. Londra, British MuseumDa A. Beck , La fine dei Templari, 1994, Casale Monferrato

Anche Barbara Frale si sofferma a ragionare della figura del monaco guerriero, argomentando sulle influenze esercitate sul nuovo ordine dalla regola cistercense o da quella benedettina; sembra certo che: «alla base della regola templare vi sia il contributo di S. Bernardo con la sua visione predominante dell’ascesi, realizzata da questi religiosi particolari attraverso la doppia fatica di combattere i nemici fisici e quelli spirituali, le tentazioni»[93].

Questa tipologia di cavaliere confondeva le idee e faceva scaturire numerose critiche non solo da parte del clero e della società religiosa, ma anche degli stessi disorientati Templari che, da bravi monaci, avevano dubbi sulla liceità di uccidere, oppure ragionavano se fosse meglio essere un ordo monasticus piuttosto che un comitatus guerriero, o se il combattere i nemici non li distogliesse dalla preghiera, timorosi inoltre di cadere nel peccato di superbia nascosto da una maschera di perfezione. Proprio in questo contesto veniva redatta, probabilmente prima del De laude, tra il 1127-1130, la lettera di quel certo Ugo (o di S. Vittore o di Payens) per esporre i dubbi, le ansie e le paure che tormentavano il cuore e la mente di questi primi Templari, allo scopo di trovare un’adeguata soluzione. Il problema che la lettera di Ugo propone non è semplice, perché presentava lo scontro fra le due opposte concezioni, che la figura del monaco avanzata dall’ordine sintetizzava.

TAVOLA XIII

Cavaliere templare inginocchiato. Tipica della tradizione cavalleresca la figura dello scudiero che gli porge l’elmo. Miniatura del XIII secolo, Parigi, Chronicles.


Per armonizzare queste idee contraddittorie, rivoluzionarie per l’epoca, era necessaria una maturazione spirituale e storica che la posizione della Chiesa ha reso più rapida, aggiustando il proprio concetto di guerra, adattandolo all’azione della cavalleria e delle sue gesta: viene ripreso e accettato il concetto di S. Agostino di iustum bellum e, da questo, è facile arrivare alla teoria della “guerra santa”, così come propugnata dalle crociate.

Occorreva dunque che qualcuno legittimasse le loro azioni per placare i dubbi e gli scrupoli morali che agitavano gli animi dei cavalieri, affinché essi potessero continuare a combattere con le armi i nemici della cristianità.

Soltanto un uomo, non un uomo qualunque, ma un santo, sarebbe riuscito a confortarli, a sciogliere i loro dubbi e a giustificare la loro doppia natura: guerriera e monastica. Quest’uomo straordinario era Bernardo di Clairvaux.

4.10 L’insanabile problema dell’omicidio e delle armi

Gli ordini religioso-militari hanno rappresentato un momento rivoluzionario e decisivo per la società medievale e sono così innovativi da sanare una volta per tutte la frattura fra l’ordo monasticus e quello guerriero, accettando persino di ammettere cavalieri- monaci che maneggiavano armi. Da non dimenticare infatti che fino ad allora soltanto i religiosi e i contadini potevano intraprendere la via del chiostro, aperta ora anche ai cavalieri che, dopo aver combattuto in Terrasanta, tornavano in patria e deponevano le armi, per abbracciare la vita religiosa. Altri, come Ugo il probabile fondatore dell’ordine, rimanevano invece in Terrasanta dove, data la situazione di continuo pericolo, c’era sempre bisogno di soldati:

«Ma nel particolare contesto della Terrasanta crociata era impossibile abbandonare le armi, se non si voleva essere sopraffatti; e d’altro canto la difesa stabile dei pellegrini e dei Luoghi Santi era un compito che esigeva non solo un’assoluta disponibilità esistenziale, ma anche un’adeguata preparazione spirituale»[94]

Ma i Templari erano pur sempre dei monaci e, secondo la tradizione, era impensabile che un monaco impugnasse la spada, scendesse in battaglia e, soprattutto, uccidesse compiendo così un peccato gravissimo. Il dubbio dell’omicidio allora si manifesta in tutta la sua gravità nelle coscienze dei primi adepti, ma viene ridimensionato nella famosa lettera di Ugo, in cui si fa menzione, per la prima volta, del concetto di guerra giusta, dal quale Bernardo matura la sua teoria. Egli elabora una soluzione che può sembrare di per sé banale, ma che rivela in realtà un sottile ed arguto ragionamento: il peccato di omicidio non sussiste in quanto non si uccide l’uomo-peccatore, bensì il peccato stesso che l’uomo commette. In sostanza quindi i cavalieri del Cristo, combattendo per Lui, e uccidendo i suoi nemici-infedeli, contribuiscono ad accrescere la sua gloria, perché eliminano il nemico-male, ma in tal modo non agiscono per odio e quindi non commettono un omicidio ma un malicidio: «Sane cum occidit malefactore, non homicidam, sed, ut ita dixerim, malicida»[95]

Al contrario, i milites saeculi uccidono indiscriminatamente per insignificanti motivi, cadendo inesorabilmente nel peccato mortale e nella morte spirituale.

Bernardo però non è un fautore della guerra, anche se “giusta”, e pensa che sarebbe meglio non uccidere nessuno, preferendo l’efficacia delle parole a quella delle armi, così come aveva sperimentato nell’affare dei catari, sconfitti sul piano dottrinario solo con la forza della persuasione:

«Non quidam vel pagani nefandi essent, si quo modo aliter possent a nimia infestatione seu oppressione fidelium cohiberi. Nun autem melius est ut occidantur, quam certe relinquatur virga peccatorum super sortem iustorum, ne forte extendant iusti ad iniquitatem manus suas»[96]

Poi riprendendo l’idea di Ugo si convince che la guerra poteva essere giustificata per il fatto che era rivolta contro i nemici della fede e della cristianità e siccome il nemico per entrambi veniva identificato con il maligno, uccidere un nemico equivaleva ad eliminare il peccato:

«Talis proinde sui Regis permotus exemplo devotus exercitus, multo sane indignius longeque intolerabilius arbitrans sancta pollui ab infidelibus quam a mercatoribus infestati» [97]

La società contemporanea si trovò divisa in due fazioni: una in favore dell’uso delle armi da parte degli ex crociati, l’altra che privilegiava la vita del chiostro. La prima faceva capo al papa Gregorio VII che avrebbe preferito una cavalleria combattente per farne un vero e proprio braccio armato della Chiesa. L’altra si ispirava alle idee di S. Pier Damiani[98], per il quale non era mai giusto l’uso della forza da parte della Chiesa, dovendo rimanere le armi prerogativa del secolo. Alla sua posizione si uniforma il pensiero di Bernardo, che attribuendo grande importanza all’aspetto ascetico riteneva che il vero miles Christi fosse il monaco all’interno del chiostro e che non v’era salvezza fuori delle sue mura: «…la questione della guerra aveva diviso in due schieramenti il mondo riformatore dell’XI secolo: l’uno, il gregoriano (di papa Gregorio VII n.d.r.), volto a incoraggiare l’esercizio delle armi in favore e al servizio della chiesa; l’altro ascetico, arroccato sulle rigide posizioni tradizionali secondo le quali non v’è militia Christi né, in prospettiva, salvezza, fuori dalle mura del monastero»[99]

Tuttavia la posizione di Bernardo non coincide esattamente con quella di Pier Damiani, quando ammette la liceità solo della guerra per la difesa dei luoghi di Cristo contro gli infedeli. Bernardo non era un estimatore neppure dei pellegrinaggi e della crociata e infatti quando la cristianità iniziava ad armarsi per la spedizione, lui preferiva rimanere fedele agli insegnamenti di Pier Damiani tra le mura della sua abbazia convinto che non vi fosse altra salvezza fuori dal chiostro; anzi riteneva finanche che gli infedeli non dovessero essere uccisi.

4.11 Militia Dei contro Militia saeculi

Bernardo nella sua opera crea, in contrapposizione a quella tradizionale, un nuovo genere di cavalleria che concentrasse il meglio di entrambe.

Per esaltare la nuova cavalleria Bernardo non risparmierà pesanti critiche alla cavalleria profana, alla secularis militia, che non esita a definire “malitia” e colpirà con particolare veemenza la vanitas che caratterizza la personalità di questi cavalieri laici. Rimprovera loro l’abitudine della caccia e dei tornei, il gioco degli scacchi, oppure l’uso smodato di ricchezze sia nelle bardature dei cavalli che sulla propria persona, cariche di sete e pietre preziose, che generano nel nemico cupidigia e non timore, come invece dovrebbe essere. Neanche il loro aspetto fisico è risparmiato: come ad esempio sono criticati i capelli lunghi che li rendono simili a delle donne e che, assieme alle lunghe tuniche ed alle maniche ampie, ostacolano i movimenti:

Operitis equos sericis, et pendulos nescio quos panniculos loricis superinduitis; depingitis hastas, clypeos et sellas, frena et calcaria auro et argento gemmisque circumornatis, et cum tanta pompa pudendo furore et impudenti stupore ad mortem properatis. Militaria sunt haec insignia, an muliebra potius ornamenta? Numquid forte hostilis mucro reverebitur aurum, gemmis parcet, serica penetrare non poterit?[100]

Bernardo non condivide neanche le motivazioni che spingevano questi cavalieri a combattere, vale a dire vanità, cupidigia e gloria terrena, reputandole frivole ed inutili e che non potevano portare alla riunificazione con il Cristo perdendo quanto di buono poteva portare la guerra.

«Quoties nacque congrederis tu, qui militiam militas saecularem, timendum omonimo, ne aut occidas hostem quidam in corpore, te vero in anima, aut forte te occidaris ab illo, et in corpore simul, et in anima.. Si bona fuerit causa pugnantis, pugnae exitus malus esse non poterit sicut nec bonus indicabitur finis, ubi causa non bona, et intentio non recta praecesserit ».[101]

La lode dei cavalieri celesti è una conseguenza della inflessibile appassionata critica della vecchia cavalleria e si accresce nella misura in cui quella è contrastata.

Proprio quella cavalleria laica, che tanto aveva affascinato i trovatori che cantavano le nobili gesta di Rolando e Lancillotto, ben presto si lascia andare a razzie ed azioni contrarie alla loro stessa etica, sconvolgendo l’occidente. Per arginare l’ondata di violenze perpetrate da chi invece avrebbe dovuto difendere i più deboli, vengono proclamate le paces Dei, cioè sospensioni di ogni forma di attività armata, pena la scomunica per i trasgressori; questi cavalieri “sbandati” vennero inviati in Terrasanta a combattere con la promessa della remissione dei peccati, ritenendo che questa potesse essere la ricompensa migliore. Anche Bernardo era favorevole al fatto che questi cavalieri “cambiassero aria” riversando la loro “energia distruttiva” altrove:

«…ecco che il loro sacrificio e il loro eventuale soccombere in una guerra giusta acquistavano senza possibilità di equivoco i caratteri di un atto penitenziale, di valore pari a quello che, in quel medesimo periodo, spingeva tanti cavalieri penitenti sulle vie della peregrinatio poenitentialis[102] alla volta della terrasanta»

La nuova milizia, al contrario di quella tradizionale, è caratterizzata dall’ordine e dalla disciplina militare, dall’obbedienza ai superiori, dall’umiltà nelle vesti e nel cibo: «itur et reditur ad nutum eius qui praeest, induitur quo dille donaverit, nec aliunde vestimentum seu alimentum praesumitur. Et in victu et in vesti tu cavetur omne superfluum, soli necessitati consulitur ». [103] Vivono in comunità senza avere beni propri, non sono oziosi ma in periodo di pace riparano le armi, le vesti e tutto quanto si è danneggiato, obbedendo sempre al maestro: «Nullo tempore aut otiosi sedent, aut curiosi vagantur; sed sempre, dum non procedunt, - quod quidam raro contingit, ne gratis comedant panem, armorum seu vestimentorum vel scissa resarciunt, vel vetusta reficiunt, vel in ordinata componunt ».[104]

Al contrario della cavalleria laica «Scacos et aleas detestantur; abhorrent venationem, nec ludica illa avium rapina, ut assolte, delectantur. Mimos et mago set fabulatores, scurrilesque cantilenas, atque ludorum spectacula, tamquam vanitates et insanias falsas respuunt et abominantur».[105]

Al momento della battaglia, a differenza dei laici, si dispongono in file ordinate, non ornano se stessi ed i loro cavalli, opponendo la propria umiltà alla vanitas laica. A questo punto la mitezza del monaco cede alla forza del guerriero, arrivando ad una felice sintesi delle due nature, del monaco e del guerriero, realizzando così l’eroica e suggestiva figura del cavaliere di Cristo: «Ita denique miro quodam ac singolari modo cernuntur et agnis mitiores, et leonibus ferociores, ut pene dubitem quid potius censeam appellandos, monachos videlicet an milites, nisi quod utrumque forsan congruentius nominarmi, quibus neutrum desse cognoscitur, nec monachi mansuetudo, nec militis fortitudo»[106].

Il cavaliere combatteva con le armi i nemici terreni che infestavano i luoghi della vita di Cristo e difendeva la cristianità; combatteva con l’ascesi e la preghiera i nemici interni, ovvero i vizi e i peccati.

«Sed et quando animi virtute vitiis sive daemoniis bellum indicitur, ne hoc quidam mirabile, etsi laudabile dixerim, cum plenus monachis cernatus mundus»[107]

Il miles Christi, col quale si identificava il Templare, diveniva un vero e proprio martire morendo per Cristo e la causa cristiana e trovava così, a differenza della cavalleria laica, la salvezza eterna. Nell’ordine templare si era realizzata questa fondamentale fusione di spirito religioso e laico, configurandosi come una societas di perfetti monaci che erano anche perfetti guerrieri.

4.12 Itinerario spirituale della Terrasanta

Bernardo non ha mai visto né Gerusalemme né gli altri luoghi sacri perché, come sappiamo, rifiutava l’idea del pellegrinaggio a favore della meditazione interiore. Il pellegrinaggio, se non intrapreso con senso di pentimento e spirito di carità, risultava un’inutile fonte di tentazioni; per questo Bernardo preferiva meditare sul significato spirituale di quei luoghi piuttosto che andarli a vedere materialmente. Questa sezione del trattato dedicata alla topografia sacra della Terrasanta, non si presenta come “una guida turistica” che ne illustra le meraviglie architettoniche ed artistiche, ma come una guida spirituale che ne spiega il significato religioso. Il passo dedicato alla descrizione spirituale della sede del Tempio, funge da elemento di congiunzione tra le parti precedenti del trattato senza spezzarne l’armonia.

L’abate procede nel suo lavoro analizzando il significato del nome del luogo in esame, dandone poi una spiegazione mistica; così facendo passa in rassegna i principali siti sacri: da Gerusalemme a Betlemme, da Nazareth a Bethfage, la valle di Josafat e, soprattutto, il Tempio. I luoghi fisici servono soltanto per costruire l’itinerario mistico della trattazione che porterà alla ricerca divina. Bernardo, servendosi di opere come il Liber interpretationis hebraicorum nominis di S. Girolamo, analizza il significato del nome nella lingua ebraica. Il primo luogo sacro passato in esame è il Tempio, che è la sede della confraternita e che dà anche il nome all’ordine stesso. Lasciandosi influenzare dalle sue concezioni artistiche, Bernardo, mette il nuovo edificio a confronto con l’antico, ponendo in risalto la sobrietà del decoro dell’edificio templare con la maestosità architettonica ed artistica della costruzione antica. Un nuovo tempio che viene glorificato dalle azioni dei suoi occupanti e gli arredi, che anticamente erano di immenso valore, sono sostituiti dalle armi e dagli scudi dei cavalieri. Da qui i cavalieri partono per compiere la propria missione di liberare e difendere i luoghi della vita di Cristo. La sede del Tempio come quartier generale venne perduta più volte e mai più riconquistata, poiché l’ordine la trasferì a S. Giovanni d’Acri:

«Ornatur tamen huius quoque facies Templi, sed armis, non gemmis, et pro antiquis coronis aureis, circumpendentibus clypeis paries operitur; pro candelabris, thuribulis atque urceolis, domus undique frenis, sellis ac lanceis communitur».[108]

Betlemme è la seconda tappa di questo itinerario spirituale, che dà a Bernardo l’opportunità di spiegare il mistero dell’incarnazione; il significato del toponimo “casa del pane” è il punto di partenza della spiegazione dell’offrirsi del Verbo agli uomini come pane spirituale: molto semplicemente Betlemme rappresenta il luogo in cui nacque il divino figlio:

«Habes ante omnia in refectione animarun sanctarum Bethleem domus panis, in qua primis Is qui de caelo descenderat, pariente Virgine, panis vivus apparuit. Monstratur piis ibidem iumentis praesepium, et in presepio fenum de prato virginali, quo vel sic cognoscat bos possessorem suum et asinus presepe Domini sui. Omnis quippe caro fenum, et omnis gloria Eius ut flos feni».[109]

Nazareth, altra tappa del viaggio mistico che Bernardo ha creato per i Templari, è il luogo d’infanzia del Cristo. Il bel significato del toponimo è “fiore” e rimanda simbolicamente alla crescita del Figlio di Dio, il cui “profumo” era stato avvertito già dai profeti, ma non riconosciuto del tutto dal popolo ebraico, il suo popolo; mentre gli ebrei in un primo momento sono stati in grado di riconoscerlo e quindi lo hanno “assaporato” ed odorato, dopo lo hanno condannato, mentre i cristiani lo hanno odorato ed assaporato tanto profondamente da arrivare a nutrirsi del pane spirituale: «Cernitur et Nazareth, quae interpretatur flos, in qua is qui natus in Bethleem erat, tamquam fructus in flore coalescens, nutritus est Deus infans, ut floris odor fructus saporem praecederet, ac de naribus Prophetarum faucibus se Apostolorum liquor sanctus infunderet, Iudaeisque tenui odore contentis, gustu solido reficeret christianos».[110]

Bernardo arriva quindi al monte degli Ulivi e alla Valle di Josafat. Questi due luoghi vengono esaminati insieme, non solo per la vicinanza geografica, ma anche per il loro valore simbolico: il monte, simboleggia la misericordia e la valle indica il luogo dove alla fine dei tempi si manifesterà la giustizia divina: il giudizio universale. Nella trattazione inerente alla valle, Bernardo ritorna su un punto importante trattato più volte nell’opera: la contrapposizione tra l’umiltà (che anima anche i Templari) e la superbia (che anima invece la cavalleria laica), cogliendo l’occasione per parlare del sacramento della confessione. La tappa successiva è rappresentata dal fiume Giordano che fornisce lo spunto per trattare del battesimo di Cristo.

Nelle successive due tappe, il Calvario e il Sepolcro, l’itinerario si inoltra nel cuore profondo del mistero cristiano; il viaggio attraverso questi luoghi fornirà a Bernardo l’occasione per spiegare il mistero della redenzione dai peccati e la resurrezione del Cristo dalla morte: il Calvario è il luogo della “morte” del Cristo, attraverso la quale ha liberato l’umanità dai peccati per salvarla dalla dannazione eterna che l’affliggeva già dai tempi di Adamo; il Sepolcro è dove Cristo ha riposato dopo morto e che secondo l’abate è il sito più venerato. Con la trattazione del Sepolcro, l’abate scrive un’alta pagina cristologica, in cui enuncia le sue teorie sul Salvatore. Con la sua “morte” il Cristo non solo ha liberato l’umanità con il perdono dei peccati, ma ha dato a tutti gli uomini la speranza della resurrezione; vengono qui messi in stretta relazione i concetti di morte e di peccato. Nell’unire questi concetti, Bernardo parla dell’anima asserendo che con il peccato l’uomo perde la vita, andando incontro ad una duplice morte: spirituale e corporale. Ma quando il Cristo ha scelto di morire per gli uomini, ha cancellato questa situazione. In un secondo momento Bernardo si interroga sulla volontà soteriologica, giustizia e natura del Cristo. Secondo Bernardo l’uomo raggiunge la salvezza completa proprio nella figura del Cristo animata da giustizia, pietà, modestia e che rendendosi simile ad un uomo ha scelto di morire rimettendo i peccati. L’abate poi definisce “follia” le scelte fatte dal Cristo, inconcepibili per qualsiasi altro uomo, ma giuste per lui e spiega anche che affinché si compia la giustizia divina, l’uomo dovrà morire, ma risorgerà nell’amore divino quando sarà il momento.

Le ultime due tappe dell’itinerario sono i villaggi di Bethfage (la casa della bocca) e di Betania (casa dell’obbedienza), dove vissero Maria e Marta. A proposito di Bethfage l’abate parla della confessione e a proposito di Betania, del conflitto tra la contemplazione e l’azione, che caratterizzava la vita monastica del tempo. Ne viene fuori un vero e proprio elogio dell’obbedienza, virtù che ogni buon cristiano deve avere. Attraverso l’immagine del villaggio di Bethfage, che è anche il villaggio dei sacerdoti, Bernardo invita gli uomini ad aprire non solo le loro labbra ma anche il cuore sigillato dal peccato, nel sacramento della confessione. Col villaggio di Betania si tratta della contemplazione, che è rappresentata da Maria, mentre Marta simboleggia l’azione. Alcuni monasteri sceglievano di praticare un modello di vita contemplativa, altri, come il monastero cistercense di Bernardo, un modello di vita attiva, fondato sul lavoro fisico, al quale viene attribuita quella stessa grande importanza che gli riconoscevano anche i Templari. Su entrambe però prevale quella obbedienza, per la quale il Cristo si è privato della vita per salvare l’umanità: «Questa scelta non è priva di significato: il conflitto tra “Maria” (la contemplazione) e “Marta” (l’azione) era uno dei più sentiti negli Ordini monastici – soprattutto nel cistercense, dove il lavoro fisico (Marta, appunto) era nel massimo onore – non meno che in quello templare; Bernardo vuol ricordare che né l’una né l’altra, e neppure la penitenza stessa, hanno valore se fuori dall’obbedienza».[111]

I Templari avevano assunto le funzioni di difensori delle reliquie e dei luoghi di Cristo in Oriente, diventando custodi di questi tesori interiori attraverso le armi perché questo è l’imperativo imposto dall’anima di ciascuno. Secondo il Cardini, una grande differenza divideva il crociato e il Templare, perché nella realtà il Templare non era quella figura senza macchia e senza paura idealizzata da Bernardo, né poteva esserlo. Dalla purezza di sentimenti e di intenti delle origini, l’ordine si lascia invischiare nelle comuni bassezze della guerra e nelle peggiori tentazioni, perdendo questa limpidezza primigenia ed avviandosi inesorabilmente verso la sua fine: «C’è pertanto una differenza profonda, istituzionale e spirituale, tra il templare e il crociato […] I templari, nella realtà vissuta, non erano quelli che Bernardo auspicava divenissero: né lo sarebbero mai divenuti» [112]


CONCLUSIONI

Dall’esame di tutte le opere citate, emerge come punto di unione, il fatto che tutti gli studiosi ritengono irregolare il processo intentato all’ordine templare. Come già accennato, si è giunti al procedimento perché il re di Francia, aveva osato scavalcare l’autorità ecclesiastica, l’unica competente in materia. Tutti gli storici sono concordi sul fatto che il re sia stato spinto all’azione precipitosa anche, e forse soprattutto, dalla cupidigia, mosso dal bisogno di metter le mani sul “tesoro” templare per risanare la disastrosa situazione economica francese. Ma anche il papa nella vicenda non si è comportato in un modo particolarmente esemplare, cedendo infatti al ricatto del subdolo Filippo e abbandonando così i Templari al proprio tragico destino.

Dalle false accuse si giunge al processo che si è svolto in maniera illegale ed in un clima di ricatto e di intimidazione; infatti, gli uomini di fiducia di Filippo senza alcun diritto intervengono prepotentemente e a più riprese nel procedimento, influenzandone l’esito. Tutti gli storici poi sono d’accordo nel sostenere che nel processo tutte le accuse mosse contro i Templari si riducevano alla cerimonia di ingresso nell’ordine e alla, ben più grave, ma mai provata, eresia. Le riflessioni della Frale, costituiscono una vera importante novità nello studio della vicenda templare, perché attestano l’innocenza dell’ordine, basata sul ritrovamento recente di documenti. La Frale, infatti, durante le sue ricerche ha rinvenuto negli Archivi Segreti del Vaticano la pergamena di Chinon, rimasta ignorata per secoli perché catalogata in maniera errata, che rivela l’assoluzione dall’accusa di eresia dei quattro dignitari dell’ordine da parte del papa: «L’atto originale dell’inchiesta avvenuta a porte chiuse nelle segrete di Chinon, da poco rinvenuto dopo settecento anni d’oblio in un fondo dell’Archivio Segreto Vaticano, restituisce l’esito del procedimento, che si concluse con l’assoluzione dei capi e il loro pieno reintegro nella comunione cattolica»[113] .

Il Cardini invece, assume una posizione più equidistante perché, egli dice che se è vero che le accuse sono frutto di una congiura ordita da Filippo, tuttavia «non pare si trattasse di sole calunnie; le ombre gravano ancor oggi, spesse e pesanti, su parte della storia del tempio»[114]

Dopo aver parlato delle vicende relative al processo, ritengo utile esaminare i profili dei protagonisti della vicenda che ne hanno influenzato lo svolgimento nel bene e nel male.

Per quanto riguarda la figura del papa, gli studiosi si pongono in posizioni diverse. Per la Frale a Clemente non deve attribuirsi tutta la colpa della soppressione dell’ordine, in quanto egli è stato travolto e “trascinato” in eventi complessi che superano le sue capacità; la studiosa anzi ne rivaluta la personalità che la storia aveva condannato, attribuendogli la “tattica abilissima di un uomo politico consumato”.

Tutti gli altri studiosi, da Partner, a Beck, a Bordonove, sono invece concordi nel vedere Clemente, primo papa francese, come un debole, un fantoccio nelle mani del re di Francia, alla cui volontà cede molto spesso.

Opinioni diverse hanno gli studiosi anche sulla personalità di Filippo: c’è chi l’ha visto come un bigotto e superficiale, ma per il Partner l’ipocrita Filippo preferiva mandare avanti i suoi ministri, per poi far ricadere su di loro la colpa di quanto fatto. Sulla stessa linea di pensiero la Frale, la quale riteneva che Filippo lasciava agire, per conto della sua persona, il suo principale uomo di fiducia, il Nogaret. Sempre secondo la studiosa, la figura di Filippo poi era caratterizzata da una religiosità molto intensa che sfociava quasi nel fanatismo. Lo descrive anche come un “taciturno” e “triste” che dava alla folla un’impressione di grande “severità morale e inettitudine politica”. Anche Malcom Barber, basandosi sui documenti ufficiali della corona, è convinto della grande religiosità di Filippo che vede in un mondo unito dalla fede, una grande opera di Dio. Per il Bordonove, invece, il giudizio su Filippo è sostanzialmente positivo: lo ritiene dotato di qualità intellettuali e militari e che già si vedeva come un “grande re”, e che vantava “un’intelligenza penetrante” e una ferma volontà. Demurger mantiene una posizione di equilibrio fra le colpe e i meriti di Filippo.

La figura del re di Francia ne esce ambigua e inaffidabile, anche se la cupidigia di cui lo si accusa, non è sicuramente originata da mire personali, ma da uno smisurato amore per il suo paese ed un responsabile senso dello stato.

L’ingiustizia più grave credo sia stata l’illegalità con cui si è svolto il processo e sulla quale si trova d’accordo la maggioranza degli studiosi. Ammetto che i Templari potessero non essere senza macchia, sia per l’ambiguità dei rituali della cerimonia d’ingresso che per la provenienza e consistenza del loro tesoro sulla cui trasparenza al massimo si può avere qualche dubbio, ma non una prova certa; però il procedimento che ha portato alla loro soppressione, secondo me non era legittimo. Infatti l’unica autorità competente, quella ecclesiastica, è stata scavalcata da quella secolare, che non avrebbe dovuto e potuto pronunciarsi in materia. Il processo non si è svolto regolarmente: i funzionari di Filippo vi assistevano tranquillamente ed intervenivano influenzandone l’esito, mentre non avrebbero dovuto, i cavalieri, poi, non ebbero nemmeno dei difensori, e se li ebbero vennero messi a tacere. Su quali basi poi i Templari vennero condannati? Solo sulle insinuazioni di qualcuno. Non mi pare una motivazione fondante! Mi sembrano anche inconsistenti le accuse di sospetta eresia; mentre il bisogno costante di denaro, causato da una disastrosa situazione economica; il rifiuto da parte templare dell’unificazione tra gli ordini militari ed il conseguente fallimento dei progetti crociati del sovrano possono vedersi come autentici motivi di astio e risentimento da parte della corona. Io concordo con quegli studiosi che ritengono che il re abbia agito spinto sia dalla cupidigia che da motivazioni politiche. Penso inoltre che la colpa della soppressione dell’ordine sia da imputare anche al debole papa Clemente V, che ha rinunciato a difendere i Templari per paura delle ritorsioni di Filippo.

In questo lavoro ho potuto apprezzare l’opera di Bernardo di Clairvaux, il De laude novae militiae, in cui descrive i soldati della nuova cavalleria come dei martiri che muoiono per la causa del Cristo. E’ stato interessante vedere il confronto tra i cavalieri profani ed i Templari ed analizzare le concezioni ed i pensieri di Bernardo.

Il problema della guerra era e rimane anche oggi uno dei grandi interrogativi della coscienza umana. E’ un problema che non sembra trovare soluzione e che anche la nostra attualità ci ripropone. Infatti potremmo dire oggi di vedere una specie di guerra santa che va in direzione opposta a quella del medioevo: allora dall’occidente cristiano all’oriente musulmano per liberare i luoghi della vita del Cristo, oggi dal mondo islamico verso l’occidente .

Dall’opera bernardiana emergono alcune contraddizioni che è bene mettere in evidenza. Egli non ama la guerra, ma la giustifica. Non è un estimatore della crociata, ma la predica. Questi comportamenti e gli stessi contenuti del De laude si prestano sicuramente ad interpretazioni equivoche.

Non va dimenticato che è proprio il papa a chiedere a Bernardo di predicare in favore della crociata, alla quale vengono attribuiti significati e funzioni spirituali assolutamente inconsuete: voleva vedere in essa un’occasione liberatoria dai peccati e di conversione per quegli “sbandati” che condannava nel De laude; la guerra ai nemici di Cristo si poneva come inevitabile, quando era l’ultima soluzione possibile.

Bernardo è l’esponente di un monachesimo tradizionale di tipo ascetico e per questo sembra tormentato nell’animo quando si fa divulgatore della crociata. Il dottor Mellifluus era tuttavia convinto che la forza delle parole e della persuasione avrebbero sconfitto ogni avversario, così come aveva fatto lui con Abelardo ed i catari, ridotti al silenzio dalla forza del suo eloquio. Utilizzando la parola come strumento, l’abate con le sue prediche porta numerosi popoli alla causa crociata.

Un altro dilemma che l’acuta mente di Bernardo riesce invece a superare brillantemente è quello della liceità di uccidere senza commettere peccato. L’aver identificato il nemico con il male, che andava quindi distrutto, era la giustificazione che i cavalieri cercavano per continuare la loro missione in quella particolare veste di monaci-cavalieri destinati a combattere una duplice battaglia: psicologica contro il peccato, (in cui solo un monaco può cimentarsi) e militare (che solo un soldato può sostenere).

La grandezza morale, l’intelligenza filosofica e la cultura hanno reso Bernardo una delle figure più importanti del medioevo cristiano, ammirato e venerato a tal punto che Dante, nella Commedia, lo pone nella “Candida Rosa” nel posto più vicino a Dio. Il poeta lo considera l’unico in grado di aiutare l’animo a comprendere il mistero di Dio, cui si giunge solo attraverso la contemplazione. E questo stato contemplativo Bernardo aveva ardentemente vissuto. Dante certamente conosceva le opere dell’abate, le ammirava a tal punto da fargli pronunciare la bellissima preghiera alla Vergine, di cui il santo era un fervente devoto, e a cui aveva dedicato l’ordine templare.

B I B L I O G R A F I A

Barber, Malcom. 1997. La storia dei templari, Casale Monferrato

Beck, Andreas. 1992. La fine dei Templari, Casale Monferrato

Bernardo di Clairvaux. 2004. Il libro della nuova cavalleria, De laude novae militiae, trad. a cura di Franco Cardini, Milano

Bordonove, Georges. 2002. La tragedia dei templari, Milano

Demurger, Alain. 2005. Vita e morte dell’ordine dei templari, Milano

Frale, Barbara. 2001. L’ultima battaglia dei Templari, Roma

Frale, Barbara. 2004. I Templari, Bologna

Leclercq, Jean. 1992. Bernardo di Chiaravalle, Milano

Meschini, Marco. 1998. San Bernardo e la seconda crociata, Milano

Partner, Peter. 1991. I Templari, Torino


Indice delle illustrazioni e fonti

Da A. Beck , La fine dei Templari, 1994, Casale Monferrato:

Tavola I - Raffigurazione di un cavaliere templare. Manessische Liederhandschrift, Heidelberg. p. 23

Tavola II – Sigillo dell’ordine. p. 27

Tavola III - Luigi IX il Santo con la sposa Margherita di Provenza. p. 29

Tavola IV - Croci templari. p. 31

Tavola VIII - Il Tempio di Parigi nel XII sec. p. 42

Tavola IX - Moneta aurea con l’effigie di Filippo il Bello. p. 44

Tavola XI – Filippo il Bello e la sua famiglia. p. 51

Tavola XII - Cristo alla guida dei Crociati, Londra British Museum. p. 76

Tavola XIII - Cavaliere templare inginocchiato. Parigi Chronicles. p. 78

Da M. Barber, La storia dei templari, 1997, Casale Monferrato:

Tavola V - L’area del Tempio a Gerusalemme prima del 1187. p. 33

Da A. Demurger, Vita e Morte dell’ordine di Templari, 2005, Milano:

Tavola VI - La pianta di Gerusalemme. p. 36

Tavola VII - La diffusione dell'Ordine in Terra Santa. p. 38

Da L. Imperio, Sigilli Templari, 1994, Latina:

Tavola X - Rotonda del Tempio di Parigi e sigillo del precettore di Francia.

p. 46.

La foto del Tempio di Londra è di Eva Parigi

Da AA.VV. Monaci in armi, Gli ordini religioso-militari dai Templari alla battaglia di Lepanto: Storia ed Arte, 2005, Roma; Guida breve alla Mostra Monaci in Armi, Roma, Castel S. Angelo 2005:

Rotolo delle lettere preparatorie all’interrogazione dei templari di Caen, Parigi, Centre Historique des Archives nationales

Règles des Chevaliers du Temple; testo in volgare francese, Roma, Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana

Da B. Frale, I Templari, 2004, Bologna

G. de Genouillac, incisione acquerellata del 1878. L’illustrazione ritrae l’ultimo Gran Maestro del Tempio, Frate Jacques de Molay

Le seguenti immagini sono state tratte da Internet:

Giovanni da Milano, polittico, XIV sec., La Vergine che appare a S. Bernardo, Prato, Galleria Comunale

Filippino Lippi, XV sec., Bernardo di Chiaravalle, Chiesa della Badia fiorentina

Il Perugino, XV sec. La visione di S. Bernardo, Monaco, Alte Pinakothek

Piero di Cosimo, Immacolata Concezione e i SS. Agostino, Bernardo di Chiaravalle, Francesco, Girolamo, Tommaso d’Aquino e Anselmo, con Dio Padre e Angeli, 1516, Chiesa di S. Francesco, Fiesole

Giovanni Battista Volponi, detto lo Scalabrino, Visione di S. Bernardo di Chiaravalle con i Santi Girolamo e Michele Arcangelo e undonatore, metà del XVI sec., Cerreto Guidi (FI)

Philippe Quantin, S. Bernardo mentre scrive, XVII sec., Musée des Beaux Arts. Digione

Gustave Dorè, Le crociate

Appendici

GRAN MAESTRI DELL’ORDINE TEMPLARE

Ugo di Payens Champagne 1118/19-1136/37

Robert de Craon Maine 1136/37-1149

Evrard des Barres Champagne 1149/1152

Bernard de Trémelay Franca Contea 1152/1153

André de Montbard Borgogna 1153/1156

Bertrand de Blanquefort Berry 1156/1169

Philippe de Naplouse TerraSanta 1169/1171

Eudes de Saint-Amand Provenza 1171/1179

Arnaude de Torroja Aragona 1180/1184

Gèrard de Ridefort Fiandre 1185/1189

Robert de Sablé Maine 1191/1193

Gilbert Erail Aragona 1194/1200

Philippe de Plessis Angiò 1201/1209

Guillaume de Chartres Chartres 1210/1219

Pierre de Montaigu Aragona 1219/1232

Armand de Périgord Périgord 1232/1244

Richard de Bures Normandia 1244/45-1247

Guillaume de Sonnac Rouergue 1247/1250

Renaud de Vichiers Champagne ( ?) 1250/1256

Thomas Bérard Italia 1256/1273

Guillaume de Beaujeu Beaujolais 1273/1291

Thibaud Gaudin Chartres-Blois 1291/1293

Giacomo de Molay Alsazia 1294/1314

I PAPI DELL’EPOCA DELLE CROCIATE

Gregorio VII Ildebrando di Soana 1073-1085

Vittore III Desiderio di Benevento 1086-1087

Urbano II Oddone di Lagery 1088-1099

Pasquale II Raniero di Bieda 1099-1118

Onorio II Lamberto di Fagnano 1124-1130

Innocenzo II Gregorio Papareschi 1130-1143

Eugenio III Bernardo Paganelli 1145-1153

Adriano IV Nicola Breakspear 1154-1159

Alessandro III Rolando Bandinelli 1159-1181

Innocenzo III Lotario dei Conti di Segni 1198-1216

Onorio III Cencio Savelli 1216-1227

Gregorio IX Ugolino dei Conti di Segni 1227-1241

Innocenzo IV Sinibaldo Fieschi 1243-1254

Alessandro IV Rainaldo dei Conti di Segni 1254-1261

Urbano IV Giacomo Pantaléon 1261-1264

Clemente IV Guido Foulquois 1265-1268

Gregorio X Tebaldo Visconti 1271-1276

Martino IV Simone di Brie 1281-1285

Niccolò IV Girolamo Masci 1288-1292

Celestino V Pietro da Morrone 1294

Bonifacio VIII Benedetto Caetani 1294-1303

Benedetto XI Niccolò Boccasini 1303-1304

Clemente V Bertrando de Got 1305-1314

[1] P, Partner, I Templari, Torino, 1991, p. 56

[2] A. Demurger, Vita e morte dell’ordine dei Templari, Milano, 2005, p 268

[3] Ibidem

[4] P. Partner, I Templari, cit. p 56

[5] Ibidem p. 59

[6] Ibidem p. 90

[7] P.Partner, I Templari, cit. p 91 «L’usanza era stata probabilmente adottata allo scopo di mettere in guardia i fratelli dalla tentazione di rinunciare a Dio nell’eventualità di una loro caduta nelle mani dei Saraceni».

[8] Ibidem p. 91

[9] Ibidem p 87

[10] Ibidem p 84

[11] A. Beck, La fine dei Templari, Casale Monferrato (AL), 1994, p. 5

[12] Ibidem pp. 5- 6 «Clemente V e l’Inquisizione vengono accusati d’aver sacrificato un ordine glorioso e innocente all’avidità d’un re».

[13] Ibidem p 34

[14]A. Beck, La fine.., cit., p. 106

[15] Ibidem p. 34

[16] Ibidem pp. 199- 201

[17] B.Frale, L’ultima battaglia dei Templari, Roma, 2001, p. 60

[18] M.Barber, La storia dei Templari, Casale Monferrato, 1997, p. 342

[19] M. Barber, La storia.. cit., p. 344

[20] Ibidem

[21] G.Bordonove, La tragedia dei Templari, Milano, 1998, p. 137

[22] G.Bordonove, La tragedia …, cit., p. 10

[23] Ibidem p. 109

[24] Epiteto onorifico con cui è noto il fondatore della dinastia ayyubita di Egitto e Siria Yusuf ibn Ayyub (Takrit 1138-Damasco 1193).

[25] G. Bordonove, La Tragedia.. cit., p. 342

[26] Ibidem p. 348

[27] Ibidem p 349

[28] B. Frale, I templari, Bologna, 2004, p. 156

[29] B. Frale, L’ultima battaglia.. , cit., p. 50

[30] Ibidem p. 78

[31] B. Frale, L’ultima battaglia…,cit., p. 187: «… momento di prova per il “novellino”, soggetto ad un traumatico esame psicologico che gli anziani considerano ripugnante ma tramandano per lealtà verso gli usi dell’ordine e perché vi ravvedono una funzione comunque formativa»

[32] Ibidem pp. 188-190

[33] B, Frale , I templari, cit., p. 142

[34] M.Meschini, San Bernardo e la seconda crociata, Milano, 1998, p. 39 e continua alle pp. 44-45: «L’impressione principale che si ricava dalla lettura è quella della assoluta centralità della figura del re. Egli viene definito gloriosus, pius, pervigil, timorato di Dio, humilis…Soprattutto, egli è di esempio per tutti quelli che vogliono farsi crociati, e non solo per i suoi, ma si direbbe , anche per tutto l’Occidente. In questo senso, attorno a lui ruotano i rappresentanti del potere religioso e di quello temporale. E’ un Luigi VII attivo, attento ai vari bisogni del regno, ma non per questo dispotico. Anzi, è il primo a volere e cercare l’appoggio dell’autorità spirituale ad un proprio (e personale) progetto».

[35]Ibidem p. 45 e continua: «Odone assegna alla iniziativa di Bernardo la partecipazione di Corrado alla crociata come il risultato quasi più logico della missione affidatagli: è Bernardo, e non re Luigi ad avere coinvolto personalmente Corrado…Inoltre la partecipazione di Corrado alla crociata venne salutata come un successo del santo che provocò molta gioia fra i crociati».

[36] M. Meschini, San Bernardo.., cit., p. 51

[37] M. Meschini, San Bernardo.., cit., p. 55

[38] Ibidem p. 56: «…nello scritto di Ottone Bernardo figura come la voce del pontefice: egli ripete ed amplifica il messaggio del papa, chiamando sotto le insegne crociate totus pene occidens. In questo senso, romano e papale, la parola di Bernardo è “cattolica”; egli obbedisce al pontefice: estende pertanto a tutta Europa il progetto di crociata francese di Luigi VII, spazza via le difficoltà create da movimenti contrari allo scopo principale, raccorda in un unico movimento di espansione le forze della cristianità».

[39] Ibidem p. 59

[40] M. Meschini, San Bernardo.., cit., p. 61

[41] Ibidem p. 63

[42] M. Barber, La storia…, cit., p. 15

[43] Ibidem p. 49

[44] Ibidem p. 17

[45] M. Barber, La storia…,cit., pp. 18-19

[46] Ibidem p. 28

[47] A. Demurger, Vita e morte.., cit., p. 80

[48] M. Barber, La storia.., cit., p. 92

[49] Ibidem p. 93

[50] Ibidem

[51] Sultano musulmano d’Egitto della dinastia dei Mamelucchi Bahriti, morto nel 1277.

[52] A. Demurger, Vita e morte.., cit., p. 249

[53] A. Demurger, Vita e morte.., cit., p. 248

[54] B. Frale, I Templari, cit., p. 167

[55] B. Frale, I Templari, cit., p. 165

[56] J.Leclercq, Bernardo di Chiaravalle, Milano, 1992, p. 9

[57] J.Leclercq, Bernardo.., cit., p. 10 e aggiunge: «Bisognava quindi inventare, cosa che non era tanto difficile: di molti santi, infatti,era stata raccontata l’infanzia e la giovinezza. Goffredo attinse a questa abbondante eredità e compose quella specie di schede documentarie che vanno sotto il nome di Frammenti (Fragmenta)».

[58] Berengario, Apologeticus, PL,178, col. 1857

[59] J. Leclercq, Bernardo..,cit., p. 14

[60] Ibidem p. 13

[61] Ibidem p. 24 «Da diciotto ai ventidue/ventitre anni Bernardo fa parte di una di quelle bande di “giovani” nobili oziosi che non avevano altra occupazione se non quella di dedicarsi alla caccia, di guerreggiare in conflitti locali - da castello a castello -, di partecipare a tornei, di divertirsi ascoltando qualche romanzo e soprattutto, pare, dei fabliaux. Ma in questo gruppo di allegri compagni, sembra proprio che egli non sia affatto soddisfatto della sola gaia scienza. E’combattuto tra ciò che i suoi vorrebbero per lui e una chiamata che gli viene da più lontano»

[62] J. Leclercq, Bernardo.., cit., p. 31

[63] Ibidem p. 33: «Subito, comincia a svolgersi concretamente l’intensa attività di Bernardo. Al primo impatto egli si rivela un riformatore intrepido e la prima istituzione che è deciso a cambiare è appunto Citeaux, con tutte le case che ne usciranno»

[64] Ibidem p. 37

[65] Ibidem p. 38 «...tornare alla semplicità nella decorazione degli edifici, dei paramenti liturgici, dei vasi sacri e di altri oggetti utilizzati nel culto e ben inteso, nell’abbigliamento, nel cibo e nell’intero stile di vita. Tutto questo sforzo …era orientato verso uno scopo positivo: favorire l’interiorità, una preghiera la più semplice possibile, evitando le distrazioni, i pensieri inutili, le immagini che non conducono a Dio».

[66] J. Leclercq, Bernardo.., cit., pp. 38-42

[67] S. Bernardo, Apologia dell’Abate Guglielmo, XII, 28

[68] Opere di Bernardo, Epistola 189,3-4

[69] Opere di Bernardo, Sul Cantico, 66,6-7

[70] Opere di Bernardo, Epistola 363, 6-8

[71] Opere di Bernardo, Sul Cantico, 80,8-9

[72] Opere di Bernardo, Sul Cantico, 26,11: «Oramai l’uomo muore cantando, e morendo canta. Servi alla letizia, o madre del pianto; servi alla gloria, o nemica della gloria; servi all’ingresso nel regno, o porta dell’inferno e tu fossa di perdizione, servi a raggiungere la salvezza e questo a un uomo peccatore… Così cantava colui che noi piangiamo: in tal modo, lo confesso, volse quasi in canto il mio lutto, mentre, con l’occhio rivolto alla sua gloria, quasi dimentico la mia miseria»

[73] Opere di Bernardo, De considerazione, II, I, 1,4: «I figli della Chiesa e coloro che si riconoscono nel nome dei cristiani, giacciono nel deserto uccisi dalla spada o dalla fame. La discordia s’è diffusa tra i principi, ed il Signore li fece vagare per luoghi impraticabili dove non vi sono strade. Calamità e sciagure sono sul loro cammino; ansia, desolazione, disordine regnano nelle stanze dei re. Come sono rimasti confusi i messaggeri della pace e quelli che ne annunziavano i benefici! Abbiam proclamato “Pace“, ed ora non v’è pace; abbiamo promesso benefici, ed ecco la disfatta…»

[74] Ibidem

[75] M. Meschini, San Bernardo .., cit., p. 167

[76] E. Vacandard, Vie de Saint Bernard, abbé de Clairvaux, I-II,Paris 1895

[77] J. Leclercq, Bernardo.., cit., cap. VI, pp. 88-89

[78] M. Meschini, San Bernardo..., cit., p. 23-24

[79] Ibidem p. 27.

[80] F. Gastaldelli, Nota alla lettera 363, in Opere di S. Bernardo, VI/2, Milano 1987, p. 430

[81] Opere di Bernardo, Lettera 363, 1-4: «”S’è smossa e ha tremato la terra”, perché il Dio del cielo ha cominciato a perdere la terra sua …E ora, sotto la spinta dei nostri peccati, gli avversari della croce hanno sollevato il loro sacrilego capo, devastando a furia di spade la terra benedetta, la terra della promessa. Se non ci sarà qualcuno che riuscirà a resistere, siamo vicini al momento in cui essi irromperanno nella città del Dio vivente, sovvertiranno le sedi della nostra redenzione, contamineranno i luoghi santi, irrorati dal sangue dell’Agnello immacolato…Che fate, uomini forti? Che fate, servi della croce? Concederete dunque la santità ai cani e le perle ai porci? Quanti peccatori lì, confessando in lagrime i loro peccati, ottennero il perdono, dopo che la sozzura dei pagani era stata eliminata dalle spade dei nostri padri?»

[82] M. Meschini, San Bernardo..., cit., p 78

[83] M. Meschini, San Bernardo…, cit., p. 79

[84] Ibidem p. 83

[85] Ibidem p. 161 «La crociata trovava dunque la sua giustificazione, scavalcando la sconfitta materiale, nella salvezza promessa alle anime dei partecipanti. Quanti avevano trovato la morte durante la sua realizzazione avevano ricevuto in eredità il Paradiso, così come quanti da essa erano tornati, seppure sconfitti, potevano contare sulla remissione dei peccati concessa dall’indulgenza crociata».

[86] M. Meschini, San Bernardo…, cit., p. 162

[87] Ibidem pp 164-165

[88] M. Meschini, San Bernardo.., cit., pp. 165-166

[89] Bernardo di Clairvaux, De laude novae militiae, trad. a cura di Franco Cardini. Milano, 2004, p. 149 («Una, due, tre volte carissimo Ugo, mi hai se non mi sbaglio, chiesto di scrivere un sermone esortatorio per te ed i tuoi compagni d’arme; e di brandire lo stilo - dal momento che a me non è lecito vibrare la lancia - contro il nemico che ci tiranneggia; assicurando che vi sarebbe di non poco aiuto se io, che non posso farlo per mezzo delle armi, v’incoraggiassi con parole scritte. Ho indugiato alquanto prima di rispondere: non perché la richiesta mi sembrasse degna di disprezzo, ma piuttosto temendo che l’accettare con leggerezza e precipitazione fosse un errore: uno migliore di me potrebbe forse più degnamente adempiervi, mentre se io da sprovveduto mi arrogassi un tale compito rischierei di guastare un’opera tanto necessaria»)

[90] M. Barber, La storia…, cit, p. 55

[91] Bernardo di Clairvaux, De laude.., cit., p. 161 «Dunque, dicevo, il cavaliere del Cristo uccide con serenità, muore con serenità ancora più grande: se muore, beneficia egli stesso della sua morte; se uccide, rende un servigio al Cristo. Non è infatti senza motivo che porta la spada: è agli ordini di Dio per punire i malvagi e rendere onore ai buoni. Quando uccide un malfattore, non dev’essere considerato omicida, bensì - oserei quasi dire - ”malicida”: cioè vendicatore da parte del Cristo contro coloro che agiscono male, e difensore dei cristiani… La morte che dà è a vantaggio del Cristo, quella che riceve è a vantaggio suo. Dalla morte del pagano, il cristiano trae gloria perché il Cristo viene glorificato; ma quando il cristiano muore, allora si fa palese la generosità del Re, che chiama a Sé dai ranghi il cavaliere per donargli la ricompensa»

[92] Bernardo di Clairvaux, De laude…,cit., p. 153 («E’ senza dubbio impavido e sicuro su tutti i lati quel cavaliere che riveste il corpo della corazza di ferro, l’anima della corazza della fede: munito di ambedue le corazze, non teme né demonio, né uomo. E neppure teme la morte, egli che anzi aspira a morire: e che cosa infatti potrebbe temere, nella vita o nella morte, colui per il quale il vivere è il Cristo, e il morire un guadagno»?)

[93] B. Frale, I Templari, cit., p. 44»

[94] Bernardo di Clairvaux, De laude.., cit., p. 67 (introduzione di Franco Cardini)

[95] Ibidem p. 160 «Quando mette a morte un malfattore, non è un omicida ma, oserei dire, un “malicida”».

[96] Bernardo di Clairvaix, De laude..,cit., p. 160 («Certo, non si dovrebbero uccidere neppure i pagani, se soltanto si potesse trovare un modo diverso per impedir loro di assillare e di opprimere i fedeli. L’ucciderli è però soluzione migliore per il momento, piuttosto di lasciare che la verga dei peccatori decida della sorte dei giusti, anche per evitare che questi siano a loro volta indotti a compiere il male»)

[97] Ibidem p. 174 («E a sua volta il santo esercito, spronato dall’esempio del suo Re, trova di gran lunga più vergognoso e più intollerabile che le cose sante siano contaminate dagli infedeli piuttosto che invase dai mercanti»)

[98] Monaco, cardinale, dottore della Chiesa (Ravenna 1007 – Faenza 1072)

[99] Ibidem pp. 82-83

[100] Bernardo di Clairvaux, De laude.., cit., p. 157 («Voi bardate di seta i vostri cavalli, e sopra le corazze indossate non so che veli ondeggianti: colorate le lance, gli scudi e le selle con tinte sgargianti; ornate d’oro, d’argento e di pietre preziose le redini e gli speroni; e con tutto questo sfarzo vi precipitate alla morte, con un furore di cui dovreste vergognarvi e una bestialità che vi impedisce di provar vergogna. Ma sono abbigliamenti da guerrieri questi, o fronzoli da donna? Oppure pensate che forse la spada del nemico risparmierà l’oro, rispetterà le pietre preziose, non riuscirà a tagliare la seta? »)

[101] Bernardo di Clairvaux, De laude.., cit., p. 154 («Difatti, tu che vivi la tua vita di cavaliere secondo le norme della cavalleria profana, ogni volta che ti accingi alla battaglia hai buoni motivi per temere di uccidere te stesso nell’anima nell’istante medesimo nel quale uccidi il tuo nemico nel corpo…per cui, se la causa per la quale si combatte è buona, l’esito del combattimento non potrà in alcun caso essere cattivo; né, reciprocamente potrà essere buono l’esito di un combattimento intrapreso senza una buona causa e una giusta intenzione»)

[102] Ibidem pp. 37-38

[103] Bernardo di Clairvaux, De laude.., cit p. 167 («vanno e vengono obbedienti al cenno dei superiori; vestono quel che viene assegnato loro, senza cercar di procurarsi altrove abiti o cibi. Tanto nel vitto quanto nel vestiario rifuggono da tutto quel che è superfluo, badando esclusivamente al necessario»)

[104] Ibidem p. 169 («Mai intorpidiscono nell’ozio o perdono tempo come svagati: ma sempre, quando non sono impegnati in qualche spedizione militare (ma il non esserlo accade raramente), riparano le armi e le vesti danneggiate, sistemano quelle vecchie, rimettono in ordine: e tutto per non mangiare il loro pane senza esserselo guadagnato»)

[105] Ibidem p. 169 («detestano gli scacchi e i dadi: aborrono la caccia né si dilettano, com’è cosa diffusa, dell’uccellagione. Disprezzano ed hanno in abominio gli attori girovaghi, i ciarlatani, i cantastorie, i buffoni e i loro spettacoli, tutte cose che condannano e respingono come vanità e follie ingannatrici»)

[106] Bernardo di Clairvaux, De laude..., cit., p. 173 («E’ dunque cosa mirabile e straordinaria a vedersi com’essi siano più miti di agnelli e al tempo stesso più feroci di leoni: al punto che io esito su quale nome sia meglio attribuir loro, se monaci o cavalieri. Ma potrei forse chiamarli contemporaneamente in entrambi i modi, poiché non manca loro né la dolcezza del monaco, né il coraggio del cavaliere»)

[107] Ibidem p. 150 («né alcunché di straordinario vedo quando con le forze dell’anima si dichiara guerra ai vizi e ai demoni – per quanto questa guerra sia lodevole – dal momento che il mondo è pieno di monaci»)

[108] Bernardo di Clairvaix, De laude.., cit., p. 174 («Tuttavia, anche l’ambiente di questo Tempio è adorno: non di gemme, ma d’armi. Al posto delle antiche corone d’oro, le pareti sono coperte dagli scudi appesi; al posto dei candelabri, dei turiboli, dei vasi liturgici, l’edificio è dotato di redini, di selle, di lance»)

[109] Bernardo di Clairvaux , De laude..., cit., p. 181 («Ecco prima di tutto Betlemme, la casa del pane, a ristoro delle anime sante; è là che apparve per la prima volta il Pane Vivente disceso dal cielo, allorché la Vergine Lo mise al mondo, Là è mostrata ai pii animali - che noi siamo - la mangiatoia, e nella mangiatoia il Fieno virginale, affinché in tal modo il bue riconosca il suo possessore, e l’asino il presepe del suo padrone: poiché ogni essere umano è come erba, e tutta la sua gloria come un fiore del prato» )

[110] Ibidem p. 182 («Vediamo anche Nazaret, che significa “fiore”, là dov’è cresciuto quel Dio fanciullo ch’era nato in Betlemme così come il frutto si forma nel fiore, affinché il profumo del fiore precedesse il sapore del frutto e il succo santo, già odorato dai profeti, potesse esser gustato dagli apostoli. Gli ebrei si sono appagati solo del sottile profumo, ma i cristiani si sono rifocillati con la sostanza del cibo»)

[111] Bernardo di Clairvaux, De laude…,cit., p. 104.

[112] Bernardo di Clairvaux, De laude…,cit., pp. 104-105

[113] B. Frale, I Templari, cit., p. 156

[114] Bernardo di Clairvaux, De Laude…,cit., p. 105