“Un castello si eleva,
suprema meta del desiderio terrestre. Chiunque con prudenza e zelo
lo vuol cercare-ahimè-non lo trova mai!
E pertanto molti vi aspirano.
Ancora sconosciuto vi è , Messere,
Munsalwaesche, tale è il suo nome.
E Terre di Salwaesche è il nome del regno(...)”
(Parsival - Wolfram von Eschenbach)
Abbazia di San Salvatore e Terre di Salwaesche hanno entrambe la stessa radice: salvezza. Questa parola sta anche dentro “serendip” che è anche l' antico nome dello Sri Lanka (sharan-dweep ovvero isola della salvezza) luogo dove fu coniata la parola Serendipità. Questo vocabolo indica la sensazione che si prova quando si scopre una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un'altra.
Una famosa frase del ricercatore biomedico americano Julius M. Comroe così recita:”La serendipità è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino”. Occupandomi delle pertinenze dell'Abbazia di San Salvatore, per mezzo del fenomeno della serendipità che casualmente ha la stessa radice semantica di questo luogo mi sono trovata a scoprire la “figlia del contadino”:un cammino che unisce tutta l' Europa medievale, una storia del passato dimenticata o forse volutamente oscurata. La Cripta dell'Abbazia di San Salvatore chiamata anche, “la Chiesa delle Colonne” o addirittura “l' Ossaia”,si ritiene sia stata edificata da un monaco di nome Erfone con l' aiuto del fratello Marco entrambi appartenenti all'Ordine dei monaci benedettini neri di Cluny, ed è identificata dagli storici come la Chiesa Primitiva risalente intorno all'anno 770 d.C. Vi si accede scendendo due scalinate poste ai lati della navata della Chiesa abbaziale edificata al di sopra della cripta stessa. La pianta è a forma di Tau con tre absidi ed una serie di colonne variamente scolpite recanti capitelli decorati con simboli medioevali ,decorazioni geometriche e meravigliose figure umane, animali e vegetali.Tra le 36 colonne che sorreggono la volta ,ve ne è una in particolare che merita la nostra attenzione: si tratta della colonna che sorregge il capitello denominato “storico”. Monsignor Raffaello Volpini nella sua opera risalente al 1929 descriveva la colonna con queste parole:
“Questa interessantissima colonna, assai ricca di mondanature, ci fa vedere sotto l' abaco,una testa virile barbuta,tagliata alla sommità della fronte,per farla apparire cinta di corona, è posta nell'angolo del capitello prospiciente l' altare maggiore, entro ad una aureola cuspidale,per indicare che essa appartiene ad un Pio Sovrano; ha alla destra uno scettro e , sotto la lunga barba un segno che in scrittura etiopica vale re (Rex).Seguitando al di là di una testa di cavallo,vedesi una testa di donna regale con un diadema che dalle tempie sale alla fronte, racchiusa pure questa entro un' aureola, che dalla sommità del capo discende fino al listello che cinge il capitello. A sinistra della barbuta figura , evvi altra testa di cavallo, poi un Cavaliere avvolto in un manto, sta con un ginocchio a terra genuflesso, tiene nella mano destra un cofano e coll' altra sorregge la briglia di un altro cavallo che viene appresso,prosegue una spada, poi una testa sbarbata di monaco con zucchetto, ed altra testa di cavallo.
Una cornice piana fa da astragalo nel sommoscapo:il fusto è ricco di 12 scanalature e di 12 tondini ritti in mezzo ad esse fino alla loro metà ed hanno in fondo un giro di globetti:i tre piccoli fori che si vedono a metà della colonna, servivano per fissare una corda.....Molti si sono convinti che in quella faccia barbuta si sia voluto figurare il longobardo Re Rachis, nella faccia muliebre la Regina Tasia, moglie di Rachis, nel gentiluomo genuflesso l' ufficiale del più alto grado della Corte di Rachis, che porta i denari per la costruzione del tempio amiatino e nel Monaco l' Abate Erfone.
Monsignor Volpini affermava che la testa barbuta aveva alla sinistra uno scettro e alla destra un simbolo che in lingua etiope corrispondeva alla parola “Re” e che la tradizione popolare identificava questo volto barbuto con il Re longobardo Rachis il quale sarebbe stato l' ispiratore e finanziatore della costruzione dell'Abbazia.
Non aggiungeva altro e quindi in tutta curiosità vado a ricercare le origini del segno. Scopro che vi sono diverse scritture etiopi ma quella che corrisponde al simbolo sulla colonna “badenga”è il Ge'ez. Esso è un antico linguaggio etiopico meridionale affine a quello del Regno di Saba.Le prime iscrizioni in alfabeto Ge'ez sono datate all'incirca V sec. a.C HYPERLINK "http://it.wikipedia.org/wiki/V_secolo_a.C.". Con questo linguaggio è stato scritto il Kebra Nagast chiamato in occidente “La Gloria dei Re”. Il segno sul capitello, secondo i più autorevoli cultori di Lingua Ge'ez ha un significato preciso però,dato che la traduzione di Re'es sarebbe quella di Comandante di Tribù o Sacerdote. Lo scettro alla destra dell'uomo barbuto porta con sé la valenza simbolica di Re di alto lignaggio , capo Regale di una Tribù. Chi pose il segno sillografico in questa lingua doveva sapere molto bene che avrebbe usato una lingua antica con la quale era permesso scrivere i Testi Sacri e che il volto accanto al segno era quindi da riferirsi non ad un semplice Re ma ad un Eletto, un capo di una Stirpe. Vengo a scoprire tramite una serie di incredibili coincidenze che un altro ricercatore prima di me aveva intuito la strana correlazione. Claudio Contorni infatti in un suo saggio dal titolo “Un Mistero nella pietra”, parlando della colonna storica così si esprimeva:
“Che senso ha, mi chiedevo, infatti, l’indicare un re con una lettera etiope e non con una latina o greca e, comunque, perché i longobardi sarebbero ricorsi all’uso di un carattere appartenente ad una popolazione così lontana e diversa anche per tradizioni? Giunsi alla conclusione che, per quanto si conosce, i longobardi non avevano mai avuto contatti con il mondo africano............inizialmente fu come se nella mente fossero apparsi una serie di flash, come se una manciata di tessere fossero apparse e fossero state buttate là alla rinfusa. Ma le sentivo, intuitivamente, appartenenti ad un mosaico da comporre ed era forte la convinzione che nulla fosse successo per caso.”
Il capitello presenta oltre al volto barbuto altri tre personaggi: l' ipotetica Regina Tasia consorte di Re Rachis, un volto maschile con “zucchetto” recante uno scettro alla sua destra e un monaco-cavaliere genuflesso che trasporta uno strano oggetto.
Che la figura femminile sia una regina è innegabile dato che ne presenta tutti gli attributi:il diadema con il quale é ornata richiama alla mente i copricapi delle nobili donne orientali. In effetti ritrovo una particolare rassomiglianza con un' immagine tardo medioevale:si tratta di un dipinto presente nella Cappella Maggiore della Basilica fiorentina di Santa Croce raffigurante la leggenda della Croce di Agnolo Gaddi realizzato intorno agli anni 80 del trecento. Nel dipinto,le storie del Sacro legno della Croce sono riprese dalla leggenda della Vera Croce, con il miracoloso ritrovamento da parte della Regina Elena, madre di Costantino. Qui viene raffigurata anche la Regina di Saba, ornata di un diadema pressoché identico a quello di Abbadia. Tra di lei vi sono nobili, mercanti, maestranze ma anche tanti interessantissimi dettagli. Mi viene alla mente che in un documento citato dallo storico Giovanni Volpini si trovavano elencate le reliquie di proprietà del Monastero di San Salvatore ; tra di esse vi erano anche tre frammenti della croce di Gesù. Ricordo le sculture occidentali da me conosciute e rappresentanti la Regina di Saba: quella posta sul portale nord della cattedrale di Chartres in Francia, quella del Battistero del Duomo di Parma e la raffigurazione presente nella porta del Paradiso del Battistero del Duomo di Firenze. Ma se davvero la Regina amiatina fosse la regina di Saba dal nome Makeda, avrebbe logicità anche la presenza del segno sillografico indicante la parola Re in lingua etiope perché quel Re potrebbe essere soltanto Salomone che fu di lei sposo. Egli era il terzo Re d'Israele, figlio di David e Betsabea e fu colui che fece edificare il leggendario Tempio di Gerusalemme.La storia di Re Salomone e della Regina di Saba si trova narrata nel Kebra Nagast e nella Bibbia.Il Kebra Nagast che in lingua Ge'ez significa: La Gloria dei Re è un antico testo etiope risalente al periodo fra il IV e il VI sec. d.C. Ricompilato poi nel XII sec. in arabo e in amarico apparve in lingue europee intorno al 1500.
Il testo narra del leggendario trasferimento dell'Arca dell'Alleanza da Gerusalemme al Regno di Saba. Secondo la leggenda, l'Arca passò da Re Salomone di Israele nelle mani di Bayna Lehekem, figlio di Salomone e della regina di Saba Makeda. Questi fu in seguito incoronato re di Etiopia col nome di Menelik I°. Il trasferimento dell'Arca viene quindi letto anche in senso simbolico, ovvero come un passaggio della discendenza biblica di Israele in Etiopia attribuendo quindi elementi divini alla dinastia tradizionale etiope. La Regina di Saba, innamorata della saggezza di Salomone affronta il lungo viaggio fino a Gerusalemme per conoscerlo ed apprenderne le virtù.Nella narrazione del Kebra Nagast si parla della loro storia d'amore e prima che Makeda parta per tornare al suo regno, il Re le regala un anello speciale.Dalla loro unione nascerà un bambino, Bayna-Lehkem (detto Ebna Hakim -Figlio del Saggio), in seguito Imperatore col titolo di Makeda(o Menelik), origine della stirpe dei sovrani d'Etiopia. Egli all' età di ventidue anni parte alla ricerca del padre assieme al prezioso anello, per chiedergli un pezzo del drappo che copre l' Arca dell'Alleanza affinché il suo popolo possa venerarla.L'incontro tra i due sovrani è descritto anche nella Bibbia con la differenza che qui non si accenna né al loro rapporto, né al loro figlio .
Potremmo quindi ipotizzare che il volto con scettro e zuccotto rappresentato nel capitello storico sia proprio il figlio Menelik. Il Kebra Nagast tesse dunque il filo della discendenza biblica da Adamo fino a Davide e Re Salomone Re di Israele, e poi al figlio che questi ebbe con la Regina Makeda, Bayina-Lehkem Re d'Etiopia, per arrivare all'ultimo Imperatore d'Etiopia, Ras Tafari Makonnen, e dimostra dunque come questi stessi siano i Re, e come la loro Gloria sia proprio questa regale discendenza diretta, tramandata per migliaia di anni, e rappresentata dalla celestiale Zion, l'Arca contenente la Legge di Dio. Come intuito da Claudio Contorni quindi, il capitello storico narrerebbe la storia della Regina di Saba e di Re Salomone molto tempo prima che essa approdasse ufficialmente in Europa.Il “Kebra Nagast” infatti comincia ad essere conosciuto nel nostro continente soltanto a partire dal 1520-30 circa. Il capitello di Abbadia però ci fornisce la prova che nel mondo delle maestranze medioevali la leggenda era forse ben conosciuta.Secondo la tradizione si dice che la figura coperta di mantello che pare trasportare uno scrigno rappresentasse il monaco Erfone con il cofanetto contenente danari dati dal Re Rachis per la costruzione dell'Abbazia. Ma se osserviamo bene il personaggio, notiamo che esso è parzialmente genuflesso secondo un uso medioevale presente in molti affreschi e sigilli che ritraggono membri appartenenti ad Ordini Monastico-Cavallereschi.
Ma chi ha portato la storia di Salomone e della Regina di Saba ad Abbadia San Salvatore sul Monte Amiata? Gli storici sono abbastanza concordi nell' affermare che la cripta risalga al periodo longobardo ma le maestranze che si sono adoperate per scolpire i capitelli potrebbero aver agito molti anni più tardi delle edificazione del nucleo architettonico primitivo per ragioni legate ad eventi religiosi o a riedificazioni per catastrofi naturali come il terremoto che distrusse Abbadia nel 1287.Personalmente ritengo che la risposta all' enigma del capitello storico sia da ricercare nell' Ordine Benedettino di Cluny che possedeva meravigliose biblioteche, che promosse le arti liberali e che si instaurò in Terrasanta già dai tempi di Carlo Magno il quale aveva stretto un forte patto politico con il sultano Harun al-Rashid. Il fatto, come afferma lo storico Eduardo R. Callaey è stato dimenticato dall’Occidente perché riguardava l’insediamento degli ebrei nel sud della Francia. Alcuni mercanti dell'antica repubblica marinara di Amalfi ottennero dal Califfo d'Egitto il permesso per costruire a Gerusalemme una chiesa, un convento e un ospedale nel quale assistere i pellegrini di ogni fede o razza, quando, in Terrasanta, i cristiani ed i musulmani si tolleravano. Quella chiesa fu dedicata a San Giovanni Battista, e lì nel 1048 nacque una comunità monastica “l'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme”che divenne indipendente sotto la guida del monaco benedettino Gerardo Sasso primo Gran Maestro. E' plausibile quindi che i monaci benedettini abbiano trasportato una sapienzialità orientale all'interno dei loro monasteri e in seguito all' Ordine del Tempio . Non dobbiamo dimenticare che Matilde di Toscana che volle farsi seppellire in abito benedettino e che appoggiò l' operato del Papa benedettino cluniacense Gregorio VII (Ildebrando di Sovana) era anche zia di Goffredo di Buglione, uno dei nobili che finanziarono la Prima Crociata .Esiste addirittura una leggenda legata all' Abbazia di Orval che racconta come essa venne edificata per volere di Matilde da alcuni benedettini calabresi che poi furono mandati da Goffredo di Buglione all' Abbazia di Nostra Signora di Sion in Terrasanta.Nel proseguo delle mie ricerche ho intuito come la riconquista del Santo Sepolcro sia stato un progetto cluniacense anteriore alle crociate.I benedettini iniziano a sviluppare il concetto di Milizia di Cristo che agisce più per fede che per combattimento addirittura prima di Sant’Agostino. Lo storico Callaey attribuisce proprio al Papa benedettino Gregorio VII- Ildebrando di Sovana , l' idea di riscattare i luoghi santi della cristianità .Ecco che l' Abbazia di San Salvatore che custodisce una delle più antiche Bibbie miniate al mondo diviene uno degli omphalos della cristianità medioevale dove vortica il sapere che giunge da luoghi lontani.A condurre fino ad Abbadia la leggenda di Salomone e della Regina di Saba sarebbero stati dapprima i benedettini forti dell'influsso dei loro potenti abati e di una spiritualità che “usciva dal chiostro per penetrare profondamente in tutta l' Europa medioevale raggiungendo i più reconditi spazi dell' Oriente”.Oggi parliamo spesso dell' influenza templare nella storia ma la ricerca non è completa se non si considera anche il movimento cluniacense .Ecco che Abbadia ci fornisce la prova di questo legame poiché il Monastero custodiva fin dal 1034 importanti reliquie provenienti dall'Oriente frutto di donazioni papali e imperiali.. Giovanni Volpini cita infatti le seguenti reliquie donate all' Abbazia nel 1036 :
“parte del legno della Santa Croce, parte del Sudario che fu sopra il volto di Nostro signore Gesù Cristo,parte del Sudario in cui nostro Signore fu involto quando fu deposto nel Sepolcro ed una particella della pietra del Sepolcro stesso. Parte della Pietra del Presepio e di quella su cui era nostro Signore al momento della trasfigurazione, come pure quella su cui appoggiò quando fece orazione sul Monte Oliveto, nonché una particella del velo di Maria Santissima. …..Una preziosissima reliquia di San Giovanni Battista.”
Esse sono le più importanti reliquie della cristianità:la Veronica o Sacro Lino con il volto di Cristo, documentato in Roma fin dal 705 d.C e la Sindone (il Sudario in cui il Signore fu involto)che in quel periodo si doveva trovare ancora a Costantinopoli. A queste si aggiunge la venerazione delle Pietre Sacre, pratica in uso nel medioevo ma di origini molto più antiche e che “unisce” la Cripta di Abbadia a quella della chiesa del Santo Sepolcro di Acquapendente, lungo la francigena.L' Ordine del Tempio avrebbe esercitato poi la propria influenza in Abbadia dal 1229 quando i cistercensi si sostituirono ai monaci benedettini. Iconograficamente possiamo ritrovare una notevole quantità di simboli riconducibili all' Ordine del Tempio sia nell'Abbazia che nelle pietre antiche presenti nel borgo antico come i fiori della vita, le croci patenti ed altri interessanti graffiti.Il culmine del controllo templare nella zona si è forse avuto negli anni tra il 1265 e il 1290 sotto il Gran Maestro italiano Tommaso Berardi (Thomas Berard) e il suo successore Guglielmo di Bellogioco (Guillaume de Beaujeux) che intraprese fino alla morte una politica diplomatica sia con il sultano Kalawun sia con i regnanti e gli altri ordini cavallereschi occidentali.Penso ai fori presenti nella colonna che sorregge il capitello storico dove forse veniva fatta passare una corda o catena a delimitare lo spazio sacro che non doveva essere calpestato e alle tracce di alcuni fermi sui capitelli che servivano probabilmente a fissare le tende che dovevano limitare la vista. Forse l' Abbazia custodiva la sosta di una cosa ancor più sacra di tutte queste reliquie o forse doveva soltanto lasciare l' impronta di una storia che altrimenti sarebbe andata perduta nei secoli o forse entrambe le cose unite a qualcosa di ancor più potente. Penso nuovamente al monaco coperto di mantello che tiene in mano un contenitore misterioso. Penso all'Archa Foederis di Chartres ma anche alla Pietra di Splendore, alla Shethija di Mosè, alla Lia Fair pietra del destino irlandese, al Lapsit ex Illis di Wolfram von Eschembach, al Graal. Come in un labirinto,sono nuovamente tornata al punto di partenza. Forse è proprio qui che sta la risposta a tutto;da quel punto di equilibrio che si trova nel vortice delle corrispondenze, dove partono infiniti sentieri di ricerca,il vero significato forse non esiste o esso è diverso per ognuno di noi.Munsalwaesche - Monte di Salvezza e Abbadia sono su un' altura. L' uomo ha da sempre scelto luoghi alti per contemplare e meditare perché essi hanno una potenza superiore ad altri. Perché si elevano verso il cielo,sono inondati dalla luce, offrono tranquillità e silenzio. “Sono i luoghi-come dice Mario Moiraghi- dove comparirà il Salvatore alla fine dei tempi”.Forse Mont Salwaesche è l'archetipo di molti monti e molte colline dove “sulla loro vetta, dopo un cammino nel buio ci attendono dodici cavalieri dello spirito, per porci un libro aperto...”La ricercatrice aquilana Maria Grazia Lopardi scrive:”Il monte è il simbolo del cammino in salita verso la cima dove sorge il Tempio dello Spirito, verso il centro perduto,è la montagna sacra da cui verrà l' aiuto, ma potrebbe essere fisicamente una qualsiasi altura con sopra una costruzione che custodisce un possibile oggetto chiamato Graal!Dietro quel magico oggetto , interno ed esterno, scritto nelle stelle e nel cuore umano, vengono sospinti da un sentire interiore i cercatori di ogni tempo.....Simbolo della perfezione spirituale, il misterioso Graal continua a far sognare e cercare fuori e dentro di sé gli affamati di divino di ogni epoca, eredi del tempo della cerca in cui il cavaliere andava alla conquista del proprio centro dove la Luce scorre illuminando la coscienza.....”E la ricerca del vero significato del capitello storico di Abbadia non si intrappola semplicemente in uno scritto. Perchè come ciò che è stato detto sul Graal non convincerà e non appagherà mai nessuno, dato che è la “cerca” della verità che conta , non la méta.
Crediti:
“Un mistero nella Pietra. Ipotesi templare per la cripta dell' Abbazia di San Salvatore sul Monte Amiata” di Claudio Contorni.
“Il Graal custodito dai Templari “ di Maria Grazia Lopardi - Edizioni Arkeios
“La basilica o chiesa longobardica amiatina di S. Salvatore, Abbadia S. Salvatore” di mons. Raffaello Volpini Tipografia R. Paoli, 1929
“Abbadia San Salvatore” di Giovanni Volpini - Edizioni Paoline
“L' Arca della Alleanza” di Grierson and Munro-Hay – Edizioni Mondadori
“Kebra Nagast. La Bibbia segreta del rastafari” - curato da Mazzoni L. - Coniglio Editore
“La scoperta del Vero Sacro Graal” di Mario Moiraghi - Edizioni Piemme
“La Sindone.Ultimo reporter” di J.L. Carreno Etxeandìa – Edizioni Paoline