Il problema di questa lingua è stato spesso confuso con il popolare e affascinante “mistero etrusco” tanto da credere e giungere alla convinzione che ancora la comprensione dei testi navighi in acque oscure e se ne attenda curiosamente la decifrazione. In effetti, come scrive l'etruscologo Massimo Pallottino: "Gli stessi studiosi, storici, filologi, archeologi, hanno spesso idee piuttosto vaghe sullo stato presente delle ricerche sulla lingua etrusca e dei loro risultati provvisori e definitivi" (M. Pallottino, “Etruscologia”, pag. 405, 7 ed., Hoepli, Milano).
La realtà è che ad oggi sono stati decifrati i segni alfabetici ma il vero mistero rimane la conoscenza della lingua. E' certo che l'alfabeto etrusco è di derivazione greca del filone rosso-occidentale euboico~calcidese (A. Kirkhoff in “Studien zur Geschichte des griechschen Alphabets” ha elaborato una cartina in cui gli alfabeti greci erano divisi per colore) e rapportabile a quello latino da cui non è tanto diverso. Tale derivazione si spiega con il fatto che agli inizi dell’ VIII secolo a.C. nasce il conflitto tra due città dell'isola greca Eubea, Calcide ed Eretria, per il possesso della fertile piana di Levanto che coinvolge tutta la Grecia, dai ricchi proprietari terrieri agli allevatori di cavalli (ippopotai) calcidesi. Ciò determina un fenomeno di emigrazione che provoca lo svuotamento di Calcide e il decadimento di Eretria. Gli emigrati dell'isola si spingono fino al Tirreno, a quel tempo abitato dai "Tursenòi" o "Turschenòi" da cui deriva il termine "Tusci" (Etruschi non è spiegato), come testimoniato nelle Tavole Iguvine. Lo stanziamento avviene a Pitecusa (Ischia), poi abbandonata per Cuma a causa del vulcano. Il fenomeno scrittorio è quindi prettamente cumano e si irradia in tutta l'Italia centrale coinvolgendo Etruschi, Latini e Italici-Osci. L'influsso rosso-occidentale determina l'uso di:
come velare sorda aspirata (si pronuncia kh aspirata come nel dialetto toscano)
come sibilante (la lingua etrusca e’ ricca di sibilanti)
("sade ebraico ") forse come una sibilante complessa a quattro tratti
come m a cinque tratti, segno euboico per eccellenza
come laterale, caratteristico calcidese, già nel 580 a.C. in un cratere di bucchero.
Il vero problema, ripetiamo, è costituito però dalla conoscenza della lingua, principalmente per tre motivi:
1) La perdita di una letteratura originale a causa dell'avvento della conquista romana con il conseguente disuso dell'etrusco.
2) La mancanza dì glossari o bilingui (tipo la trilingue "stele di Rosetta" egizia).
3) La non collocabilità in gruppi linguistici noti (tipo l'indoeuropeo).
Tuttavia il senso generale dei testi etruschi è noto però manca "un'effettiva capacità di penetrare nelle più intime strutture della lingua etrusca, per l'assenza di un 'modello'che valga a spiegarle" (M. Pallottino, idem).
L'alfabeto etrusco si ricava da una tavoletta scrittoria eburnea risalente circa alla metà del VII secolo a.C., rinvenuta nella tomba di Marsiliana d' Albegna, in territorio vulcente (ora a Firenze, Museo Archeologico). Era un oggetto per l'insegnamento della scrittura, forse appartenuta ad un pater familias. Questo tipo di scrittura si diffonde nell' VIII-VII secolo a.C., periodo nel quale la presenza degli Etruschi è attestata in un momento di ricchezza, scambi importanti e particolare fioritura (periodo c.d. orientalizzante a seguito di un forte influsso della cultura greca, egiziana e dell'Asia Minore). Ci sono varianti geografiche che distinguono un uso e una forma diversa di alcune lettere: l'area meridionale di Caere (Cerveteri) e Veio e quella di Tarquinia, Vulci e Volsinii; l'area settentrionale con centri a Chiusi, Volterra fino a nord dell'Appennino. Il verso della scrittura è generalmente da destra verso sinistra (sinistrorso) e l'andamento bustrofedico (alternando destra-sinistra sinistra-destra) è raro. Anticamente le parole non erano divise, ma nel VI-V sec. A.C. compare la "punteggiatura sillabica", che separa con un punto (o più) le lettere di sillabe non "aperte" (cioè che non terminano in vocale). L'alfabeto (vedi tavola ) era insegnato in ordine fisso "senza tener conto dei suoni che le lettere rappresentavano. (...) nella pratica scritta non vengono impiegate alcune "lettere" (M. Cristofani, Introduzione allo studio dell’etrusco, pag.17, Leo S. Olschki Editore, 1991). Sono stati ritrovati alfabetari con lettere che in etrusco non hanno corrispondenza: B ; G ; O (che viene passata a U).
Segni che hanno particolare importanza sono:
il theta
e il dìgamma
I segni che invece rappresentano la vera innovazione perche’ specificatamente etruschi sono:
lo het
il samec, termine ebraico mai attestato in ambiente greco, rappresentato da un quadrato con croce centrale i cui bracci toccano al centro i quattro lati
Uno Ξ
ridotto a sola sibilante s e veicolo di etruschicità; non è usato nella scrittura corrente.
equivalente ad una F, in uso dalla prima metà del VI sec.
Il sistema vocalico etrusco prevede l'esistenza di quattro vocali: a i u e con forte scambio tra e/i.
Il sistema consonantico, come in parte abbiamo già visto precedentemente, consta delle
occlusive sorde p t k;
ph th kb aspirate;
ts (z di zio) affricata;
della costrittiva f ( labiodentale);
delle sibilanti ss (s) forte
s normale;
dell'aspirata h;
delle laterali l, r;
delle nasali m, n.
Per quanto riguarda la struttura grammaticale, le conoscenze sono limitate e non certo tutto ciò che sappiamo può definirsi chiaro e sicuro: i molti aspetti riguardanti la forma delle parole, la loro funzione e il loro collegamento all'interno della frase sono ancora immersi nell'oscurità.
Diversi studiosi, nominati dal già citato M.Pallottino, come K. Olzscha, hanno rilevato " più o meno accentuate divergenze strutturali dall'indoeuropeo" (M. Pallottino, pag.465, idem) come del resto "esistono indubbi aspetti del sistema morfologico e sintattico etrusco che trovano precisa rispondenza [ …] nel sistema indoeuropeo" (ibidem).
La. categoria più ricca è quella dei nomi, sia propri che comuni. Troviamo il genere maschile e femminile, il numero e alcune funzioni che possono essere paragonate ai casi Nominativo (sogg.), Genitivo (possesso), Dativo (termine), Accusativo, (ogg.), il Locativo (indicazione di luogo) e i complementi indiretti di tempo e d'agente.
I nomi possono essere di tipo monosillabico: clan "figlio", Vel prenome maschile; con una vocale: Aule prenome maschile, apa "padre", ati "madre", suϑi "tomba"; con consonante: Larϑ prenome maschile, avil "anno"; sillabico: Φersu "maschera" , Ramϑ a prenome femminile; con più suffissi: Fuflunus nome di un dio.
Nella lingua etrusca acquistano un'importanza particolare tutte quelle particelle, che siano suffissi o enclitiche, che si uniscono alla parola. Quasi si può affermare che sia una caratteristica propria di questa lingua, data l’imponente quantità del fenomeno, che vede aggiungere le une alle altre. E'possibile riconoscere alcuni suffissi, semplici o composti, che individuano una funzione: -na, proprio dei derivati di specificazione e pertinenza con forma di aggettivi (es. suϑina "tombale", da suϑ i, "tomba") e di nomi gentilizi, già derivati in partenza (es. Spunina), ma anche -ie è utilizzato;–aχ , -(a)te, -(a)ϑe, che indica la posizione geografica, es. Nulaϑe “Nola”; (a)ϑ, −nϑ, che evidenzia nomi di persone che svolgono una funzione (es.snenaϑ "ancella della dea Τuran”); -ϑur, che sottintende appartenenza, soprattutto ad un gruppo (es. Velϑinaϑuras “della famiglia Velthina”).
Il genere rientra nelle caratteristiche del nome in etrusco (eccetto alcuni sostantivi mono o bisillabici in consonante e prenomi maschili che non lo distinguono; es. spur"città", usil "sole”, Turan "dea", Vel prenome masch.): i temi in vocale presentano -e per il maschile (Kukne); -i, -a, -ia per il femminile (spesso nomi propri: Uni); -u per "nomi riferibili a condizioni personali” (M. Pallottino, pag,467) (suplu "auleta").
In alcuni casi il suffisso non è distinguibile dalla radice o forse non è proprio presente: "taluni suffissi possono valere [ ... ] come elementi formativi della parola e come elementi atti a modificare il valore in funzione della categoria di genere, numero o caso" (M. Pallottino, ibidem) infatti la -i di ati «madre" è tematica in quanto non contraddistingue il femminile di at- maschile, come invece nel gentilizio Petru-i (masch. Petru) in quanto "padre" è apa. Una peculiarità di questa lingua (non esistente in greco e in latino) è la possibilità di poter declinare una forma già declinata (come scrive sempre Pallottino) sovrapponendo più suffissi: Uniali "nel (tempio) di Uni” in cui -ϑi locativo si aggiunge ad -al possessivo, e ugualmente per il genitivo che acquista l'appellativo del "doppio genitivo(genitivus genitivi). Es. in Velusla, -la si unisce al genitivo semplice Velus "del (figlio) di Vel". A volte le desinenze dei casi (es. i genitivi -l. -s, -sl, i locativi –t(i), -ϑ(i), possono unirsi stabilmente alle parole realizzando nuovi lessemi derivati: ceχase “titolo" da ceχa.
Anche i dimostrativi enclitici contribuiscono ad aumentare la già cospicua estensione dei vocaboli etruschi: ϑevruclnas, è scomponibile in ϑevru-cl-nas, riconducibile al significato di "toro" in cui cl è il dimostrativo. Molti sono i sostantivi formatisi dall’accumulo di suffissi che caratterizzano la lunghezza di queste parole. La distinzione dei casi che caratterizza le funzioni grammaticali è oltremodo possibile, ma lungi da essere considerata certamente di tipo indo-europeo (cioè come in greco e latino). Per comodità gli studiosi cautamente utilizzano termini della grammatica indoeuropea. La funzione del caso nominativo, il soggetto della frase, non ha strutture specifiche ed è quindi il vero e proprio tema della parola. I nomi propri gentilizi distinguono il maschile con -s , mentre il femminile ha -i. Le particelle dimostrative ed i pronomi personali invece distinguono il nominativo dall'accusativo (il complemento oggetto) con il suffisso -n. Probabilmente la distinzione tra i due casi presente inizialmente si è persa ed è caduta sopravvivendo nei pronomi (proprio come nell'italiano rispetto al latino). Il "caso obliquo" in etrusco è, come già abbiamo visto, contrassegnato dal suffisso -s, -l, corrispondente nelle lingue classiche al genitivo e dativo (compl. di termine), con accezione anche di compl. d'agente e di tempo: "una proliferazione di fatti grammaticali collegati tra loro ma tendenti a diversificarsi e specializzarsi" (M. Pallottino,idem, pag.472). Quindi abbiamo: 1 a) forme semplici con valore di genitivo riferito al nome (-s, -l); b) l'attribuzione dinamica (dativo) in frasi di offerta, es. Uni-al, "di" o "a Uni"; turce Selvan-s, "ha offerto a Silvano"; c) il valore temporale: avil-s LX lupuce, "a 60 anni è morto”; 2 forme in cui al tema si aggiunge una vocale (ampliate): -sa equivalente, a -s per genitivi semplici e per formare derivati genitivali (-la). Esiste poi il suffisso –si di cui si sospetta una funzione di genitivo e dativo o del compl. d'agente oltre ad un valore temporale con i nomi di magistrati; 3 le forme composte di due suffissi, già descritte, come -s-la, i doppi genitivi. Foneticamente sono introdotte vocali eufoniche per poter migliorare la pronuncia. Il locativ0, di cui sì è già parlato, è caratterizzato da –t(i), ϑi e forse anche -e, come si vede nella Mummia di Zagabria esistono altri suffissi di cui il valore è incerto: -e, -i, mentre di -(e)ri sembra proprio espletare necessità, comodo. Un esempio di declinazione di spur "comunità" e meϑlum "città":
Nom. spur meϑlum
Gen. spural meϑlum-es
Loc. spureϑi meϑlum-ϑ/-t
Compl. ind. spureri meϑlum-eri
Per quanto riguarda i pronomi personali, conosciamo in etrusco la prima persona: mi "io" in nominativo; mini, mene "me" in accusativo.
Per il resto purtroppo la lingua presenta gravi lacune per la maggior parte dovute alla documentazione di cui siamo in possesso che abbonda di forme in prima persona (per esempio la formula -anche greca- dell' "oggetto parlante": "io sono di... " oppure: "mi ha fatto..."). Le notizie sui dimostrativi invece sono molto più ricche, sia in forma di pronomi sia aggettivi. Abbiamo una base χ e t con nominativo ca e ta. I pronomi, soprattutto in posizione iniziale, possono presentare e- come aggiunta davanti: eca, etan, ecs, che indicano prossimità: cli mutniai, «in questo sarcofago". Un paradigma della flessione dei dimostrativi potrebbe essere (calcolando le numerosissime forme):
Nom. eca ca eta ta
-χa -ta
Acc. ecn cen cn itan tn
can -χn -cn ten ϑn
Poss. ecs cs -tas teis
-cas ces -ts
cal cla -tla eϑl
Loc. eclϑi clϑi/clϑ
ceiϑi cal-calϑi
cei -cle -te tei
-tle
Forse, con l'elemento r che potrebbe indicare ìl plurale:
-cleri -tra -tre
-tras ϑras
-tres
Nella lingua etrusca vi sono numerose parole di cui il significato è ignoto, che, come suppone Massimo Pallottino, probabilmente puntualizzano gli elementi della frase. Probabilmente quindi siamo di fronte a pronomi, avverbi, preposizioni, congiunzioni che non possono essere stabiliti con certezza, tranne qualche sporadico caso. Tra i pronomi si può inserire ipa, ipas, ipal, ipe, ipei, iperi, forse relativo indefinito o riferibile a quantità; χi, χim, χis, χias, χimϑ, "tutto"; enac, enaχ, enas, "suo?'; enesci, eniaca, “quanti,come?". Le particelle an, en, in, sono molto utilizzate e dai dati che emergono dalle iscrizioni funerarie potrebbero avere valore relativo, visto che collegano il nome del defunto alle sue caratteristiche. Di sicuro significato è l'avverbio locativo ϑui "qui"; ic, iχ, “come" e nac "così, poiché?". Il valore della congiunzione copulativa "e" è -c, -χ enclitica, affiancata a -u (m), preferita per congiungere intere frasi. Anche etnam, forse una congiunzione enfatica, ha per noi un valore noto con il significato di «e anche". Le particelle par, pen, pul, -pi potrebbero essere preposizioni posposizioni (in generale di nomi). I numerali ricorrono spesso nei testi etruschi e oggi ne conosciamo la sequenza ed il significato grazie al ritrovamento dei dadi eburnei a Vulci (ora a Parigi, Biblíothèque Nationale).
ϑu(n) uno
zal, es(a)l- due
ci tre
huϑ quattro o sei
ma χ cinque
sa sei o quattro
semΦ sette (?)
cezp otto (?)
nurΦ nove (?)
sar, zar dieci (?)
zarϑr(u)m venti
cialχ, cealχ trenta
muvalχ cinquanta
sealχ sessanta
semΦalχ settanta
cezpalχ ottanta
Per i numeri intermedi forse gli etruschi avrebbero usato il metodo additivo o sottrattivo. Alcune volte (ma è ben attestato) questa forma è supportata dal suffisso -em, unito alle unità più basse per la sottrazione (es. ciemzaϑrms, “di diciassette anni" in cui si toglie tre, ci-em da venti zaϑrms).
Quindi, come si può notare, le unità sono dei monosillabi (es. zal), e quelle con valore più elevato terminano con un elemento labiale (es. semΦ-). Le decine sono caratterizzate dal suffisso alχ, (es. cialχ-) fatta eccezione per dieci e venti (es. sar, zarϑr(u)m). In generale sono declinabili e concordano con i nomi ai quali si riferiscono (es.avils cis zaϑrmis-c, “di anni ventitré"), e per le decine il genitivo è contrassegnato non solo da -sl, ma da –(a)ls (cealχls) "di anni trenta”).
Per l'avverbio numerale si sarebbe utilizzato –z(i): ciz "tre volte". Alcune parole sembrerebbero formate da numerali e quindi si può ipotizzare un loro valore di ordinali: zaϑrum~sne "nel ventesimo giorno", o pronominali: ϑusna “ciascuno". Uno dei problemi più gravi che impoverisce la conoscenza della lingua etrusca è senz'altro il verbo: non ne sappiamo né il valore né il significato “ di forme in vario modo ascritte alla classe dei verbi, e della struttura sintattica delle frasi in cui esse appaiono"'. ( M. Pallottino, Etruscologia, pag.479, 7 ed. Hoepli, Milano). Naturalmente, sempre come specifica Pallottino, abbiamo dei "punti fermi che ci garantiscono una "funzione verbale" attiva e transitiva delle forme in -ce. Le caratteristiche che inizialmente prenderemo in considerazione, sempre seguendo lo schema del libro di Pallottino, esempio di chiarezza e ottimo per muovere i primi passi in questo burrascoso mare, sono quelle più elementari: 1) radici e forme radicali monosillabiche; radici verbali sembrano essere tur, mul-, al, che conferiscono un senso di dare, offrire; di significato incerto sono poi le radici ar, st- (che varia in saϑ-, seϑ-, sut-, suϑ-) con significato di stare o porre. 2) forme con terminazioni vocaliche o sillabiche non specifiche; sono caratterizzate dall’ampliamento della base radicale monosillabica con l’aggiunta di vocali o suffissi sillabici per lo piu’ contenenti n (saϑe,satena,satene). Per le forme con terminazione vocalica in -u si e’ pensato a nomi verbali o a participi che esprimono condizioni in senso intransitivo o passivo (lupu “morto, e’ morto” cesu “giacente, giace”). Frequenti sono anche le terminazioni in -ne opposte funzionalmente alle terminazioni in -na (scune e scuna, satene e satena) ma e’ difficile sapere se si tratti di opposizione di tempo o di durata o di altra natura. 3) forme con suffissi che possono ritenersi propri di funzioni verbali. E’ il caso di -ce che esprime un’azione o una condizione del passato (sval-ce “visse”). Talora esiste un suffisso -χe che rappresenta una funzione del tutto opposta, esprime cioe’ un’azione passiva (ziχu-χe “e’ stato scritto”).
Altri elementi di notazione verbale sono -as e -sa; le forme in -sa potrebbero esprimere un’azione finita nel passato (sacni-sa “consacro’?”) mentre quelloe in -as avrebbero un valore gerundivo (apasi svalas “vivente il padre”). Altro suffisso ricorrente e’ -(e)ri indicante un’azione passiva come nel latino faciundum est “si deve fare” ( ϑez-eri “si deve compiere”.
Il problema del verbo etrusco va considerato soprattutto a livello di sintassi ovvero in rapporto alla struttura delle frasi. La normale costruzione con predicato nominale qualificante il soggetto e’ facilmente riconoscibile (eca mutna Arnϑal Vipinanas Setresla “questo (e’) il sarcofago di Arnth Vipinana (figlio) di Sethre). Anche in etrusco esiste un verbo essere che introduce il predicato nominale e se ne conoscono le forme am, ama,ame,amce (arcaico amuce) come ad es in puia amce “fu la moglie di”. Questo sembra risolvere il dubbio che nella lingua etrusca manchi o sia scarsamente sviluppato un predicato verbale anche se ci sono ancora molti lati oscuri. Nella sintassi etrusca l’ordine delle parole o dei gruppi di parole segue consuetudini in parte simili a quelle del latino (genitivo preposto al nome e verbo finale) ma non mancano liberta’ stilistiche.
Il complesso delle parole e delle locuzioni in lingua etrusca ci e’ noto solo in minima parte e ancor meno ci e’ noto il significato delle parole. Cio’ che distinguiamo meglio sono 1) termini relativi alla vita umana e rapporti di parentela (farϑ(a)n- generazione, nascita, sval vita, lupu morte, ril eta’, apa padre, ati madre, nefts nipote, puia moglie, lautn famiglia) 2) termini relativi al tempo e alla natura (avil anno, tiu(r), tivr mese, luna, tin- giorno, ϑesan mattino, usil sole, leu leone) 3) termini relativi alla societa’, agli ordinamenti, alle titolature (tular confini, ten- esercitare la funzione di, ϑanasa attore 4) termini relativi al mondo della religione (ais dio, fler,flere sacrificio, divinita’, sac-, sacni consacrare, luogo consacrato, tmia luogo sacro , santi sacerdozi, netsvis aruspice, trutnuϑ esperto di divinazione) 5) termini relativi al mondo funerario (nes defunto, hinϑial ombra, anima, suϑi, ϑaura tomba, cela cella, munϑ,muni posto, repositorio, mutn(i)a, murs sarcofago, urna, ces- giacere 6) termini relativi ad attivita’ tecniche (car- cer- costruire, ziχ scrivere, sran, sren- figura, nap- misura) 7) termini relativi a suppellettili (cletram lettiga, malena specchio, cape,capi,cupe nome di contenitori vari). A queste parole vanno aggiunte i numeri ϑu(n) uno, zal,es(a)l- due, ci tre, huϑ quattro o sei(?), maχ cinque, sa sei o quattro(?), semΦ sette, cezp otto, nurΦ nove, sar -zar dieci, zaϑr(u)m venti, cialχ cealχ trenta, muvalχ cinquanta, sealχ sessanta (o quaranta?), semΦalχ settanta (?), cezpalχ ottanta (?). Per le parole di sicuro significato si puo’ fare riferimento all’appendice che M. Pallottino ha inserito nel suo testo di Etruscologia, dal quale sono tratte queste nozioni. A conclusione vediamo i nomi divini e mitologici per riconoscerne talora la vicinanza ad altre lingue. Ci sono divinita’ importate con il loro nome come Ap(u)lu Apollo e Her(a)cle Ercole. Altre hanno nomi assonanti con nomi divini dell’area italica che denunciano dei collegamenti (Menerva Minerva, Maris Marte, Neϑuns Nettuno, Uni Giunone) mentre altri sono propri della lingua etrusca ( Tin(ia) Giove, Turan Venere, Seϑlans Vulcano, Fuflun(s), Calu, Vanϑ, Culsu e Culsan(s), Lasa, Epiur).
Fonti:
Etruscologia, di Massimo Pallottino - Hoepli