Le cattedrali ed il labirinto nel Medioevo

di Alessandra Economo

Il Medioevo è l’epoca del simbolismo per eccellenza e, in quanto tale, un’era da decrittare.

Agli occhi delle epoche posteriori, a partire dal Rinascimento, questo periodo storico fu considerato invece talmente “irrazionale” da non possedere messaggi da dover interpretare. Oggi sappiamo che tale epoca fu ben altro: fu la continuazione di un’antica tradizione, che affonda le sue radici nell’antico Egitto, e che fece del simbolo la sua lingua ed il suo messaggio, scoprendo che dietro ogni cosa materiale si cela un corrispondente spirituale.

In questa sua ricerca, l’uomo medievale abbandona il concetto di individualità ed estetica in favore dell’universalismo. Ed è in questo contesto che la simbolica del labirinto s’inserisce. Il Medioevo può ritenersi, a ragion veduta, il periodo in cui il labirinto assiste ad una rinascita, non solo nel suo utilizzo assiduo, ma anche nel significato. Infatti, dopo il periodo arcaico e classico, il Medioevo recupera e reinterpreta tale simbolo pagano alla luce di una nuova spiritualità. Siamo nell’epoca dell’allegoria, del simbolo per eccellenza, che diventi universale, che sia un mezzo di ricerca spirituale, ed è in questa veste che lo troviamo un po’ ovunque, nelle stoffe, nei manoscritti, nell’arte e nel giardinaggio. Quello che era stato il simbolo pagano per eccellenza permea la vita dell’uomo medievale, come allegoria del percorso tortuoso ed intricato che conduce poi alla salvezza dell’anima. I laboriosi copisti medievali hanno lasciato molti disegni labirintici sui manoscritti, mantenendo, almeno all’inizio, inalterato il numero dei rigiri rispetto alla classicità (il numero sacro per eccellenza era il 7, proprio come il numero dei rigiri del labirinto di Cnosso), che si modificò e complicò poi nel tempo. Anche la letteratura medievale, con i suoi personaggi allegorici, i suoi castelli e le innumerevoli sale, i suoi percorsi pieni di inganni, è piena di riferimenti al labirinto (pensiamo alla Divina Commedia di Dante e a tutti i racconti sulla ricerca del Graal). E neanche l’arte del giardinaggio ne rimane immune, perché quel vagabondare che invita alla meditazione sembra quasi sottolineare la ricerca di un Paradiso perduto. Ma la testimonianza maggiore dell’importanza del labirinto in epoca medievale si può riscontrare nelle cattedrali, dove si ornavano i pavimenti con disegni labirintici anche di grandi dimensioni, posti in genere nel punto di intersezione della navata con il transetto. Varie interpretazioni sono state date riguardo all’utilizzo dei labirinti nelle chiese, ed ovviamente hanno tutte a che vedere con la cristianità. Essi potevano rappresentare il cammino difficile dell’uomo verso la beatitudine celeste; oppure costituivano un percorso alternativo a chi non era in grado di effettuare un vero e proprio pellegrinaggio in Terra Santa; potevano essere un percorso di penitenza da percorrere in ginocchio, cosa che avrebbe richiesto circa due ore, ossia lo stesso tempo che impiegò Gesù per giungere al Calvario dal Palazzo di Pilato. Spesso il pellegrinaggio dentro la cattedrale si svolgeva su un percorso non labirintico, ma spiraliforme e tortuoso, al fine di ritrovare, giunti al centro, ossia a Gerusalemme, il proprio intimo santuario.

Ma di fatto è molto strano che difficilmente, accanto ai labirinti, compaiano altri simboli cristiani, quali la croce. La verità è che anche in questo caso sembra impossibile avere delle certezze circa l’uso ed il significato dei labirinti, e sarebbe molto limitante pensare che essi asservissero solo ed esclusivamente ad un uso decorativo, oppure che rispondessero a richieste ed esigenze prettamente cristiane. Sembra assai più logico dedurre che, come tutti i simboli, avessero un duplice aspetto, una chiave di lettura doppia, una di dominio pubblico dei fedeli, lampante, che trae spunto dalle scene bibliche, l’altra occulta, riservata a pochi, e quindi iniziatica.

Tutto nelle cattedrali aveva un risvolto segreto, basti pensare alle statue, ai bassorilievi, ai simboli esoterici e magici, che gremiscono questi edifici e che nulla hanno a che vedere con il Cristianesimo. Come poter negare questo stesso carattere al labirinto? D’altronde, è sufficiente ricordare che durante la primavera il vescovo stesso guidava delle danze, i “girotondi di Pasqua”, all’interno stesso della cattedrale. Questi balli ci ricordano le danze labirintiche ed il loro carattere “oscuro”, tanto più che venivano mimati i movimenti del serpente, animale altamente simbolico, che rappresenterebbe quindi l’uomo nuovo, rinato dopo aver percorso il labirinto, con indosso una pelle nuova. Alcuni autori ritengono che il percorrere il labirinto, per poi uscirne, fosse una vera e propria iniziazione, in cui l’uomo guadagnava nuovamente l’età dell’oro, il Paradiso Perduto, solo dopo aver ripercorso tutte le tappe che lo avevano condotto lontano dallo stato adamitico. E questo cammino inverso sarebbe stata la conquista del centro, ciò che nelle religioni misteriche equivaleva ai Piccoli Misteri. I labirinti medievali conducono sempre ad un centro, proprio come il labirinto di Dedalo, l’inventore della squadra e della livella, ma se percorrerli è impresa che tutti possono effettuare, il carattere iniziatico dei dedali conferma che solo pochi possono capirne il senso. Vorrei soffermarmi su un’opinione che ritengo valida ed interessante: quella che considera il labirinto come l’emblema della corporazione dei muratori e massoni del medioevo.

Nel labirinto di Amiens, distrutto nel 1828 e restaurato nel 1896, formato da riquadri neri e bianchi, erano raffigurati tre maestri d’opera, con in mano il primo un regolo, il secondo una squadra, e l’ultimo una livella ed un compasso.

Nel labirinto della cattedrale di Reims (asportato dagli stessi canonici perché i bambini disturbavano percorrendo il labirinto e giocando) erano raffigurati gli architetti e le parti che avevano edificato, mentre al centro compariva il committente. Per quanto si voglia negare la validità di tale ipotesi, risulta difficile anche ignorarla. E’ noto, infatti, che i costruttori medievali, praticanti di antiche tradizioni considerate eretiche, non misero mai per iscritto i riti che osservavano e praticavano. C’è però un manoscritto, conservato alla Biblioteca nazionale di Parigi, il Bauhuettenbuch, o “libro di Cantiere” che contiene un labirinto affiancato da tutta una serie di animali, il cui significato simbolico resta oscuro, che sembra poter alludere proprio ai segreti dei maestri d’Opera: Bauhuette, ovvero Cantiere, indica infatti anche “loggia”, “confraternita”, a conferma che il libero muratore è anche un iniziato.

Ed anche il labirinto di Saint Omer, così come raffigurato in un disegno, sembra supportare l’idea esposta prima: in quattro anse del percorso vi sono 4 figure vestite con un lungo mantello, ma facilmente identificabili perché tengono in mano gli strumenti del loro lavoro: una squadra, un compasso, un cesello ed un altro oggetto che risulta difficile identificare. Il mito del labirinto è dunque anche un’allegoria dei poteri dell’ “artista”, quello che può padroneggiare tempo e spazio, e gli architetti delle cattedrali gotiche ne fecero il loro emblema. Fin dal medioevo il labirinto fu simbolo usato dagli alchimisti. In un manoscritto medico-alchemico dell’XI secolo ne compare uno, chiamato il Labirinto di Salomone (a lui si attribuivano tradizioni magiche e appare spesso associato a tale simbolo). Così sarà definito poi il labirinto nelle cattedrali.

Il labirinto fu in grado di unire religiosità con gioco e mondanità, trasferendo il suo simbolismo proprio nei luoghi sacri. L’accanimento contro tale simbolo sarà duro, e mai nessuna epoca riuscirà a rievocare quel magnifico contesto religioso e simbolico al tempo stesso che il Medioevo seppe creare. I labirinti delle cattedrali furono quasi tutti distrutti, sia perché interpretati come evidenza pagana, sia perché recavano in sé l’evidenza dell’esistenza della comunità dei costruttori, i quali ne protessero il segreto. E’ anche vero che parte dell’opera di distruzione fu eseguita dai ladri, attirati dalle lastre d’oro e d’argento di cui i labirinti erano fatti.

Il labirinto nelle cattedrali non è solo un surrogato dell’idea del viaggio, e se da un lato rappresenta la firma dell’architetto, dall’altro sembra essere l’immagine in terra del cosmo: i labirinti francesi, che hanno tutti 12 cerchi concentrici, sembrano evocare e scandire il tempo umano, con la rappresentazione dei 12 segni zodiacali.

Gli zodiaci scolpiti sui portali non hanno certo niente a che vedere con la Chiesa, che anzi sempre aveva condannato tale scienza, così come molti altri simboli magici ed esoterici scolpiti in tali edifici, e richiamano invece le grandi civiltà antiche quali la caldea o l’egiziana. Il portale della cattedrale di Amiens è uno splendido esempio di come la storia, l’Antico ed il Nuovo Testamento siano messi in relazione con il ciclo astronomico e zodiacale. Nella stessa parola gotico, se si eccettua la classica accezione di barbarico, riferito in senso dispregiativo alla popolazione dei Goti, si celano interessanti indizi esoterici. La più nota definizione è quella di Fulcanelli, secondo cui pronunciando insieme il francese art gotique, si ottiene argotique, un aggettivo che deriva da argot, ovvero gergo segreto, linguaggio cifrato, unicamente comprensibile da un gruppo ristretto di persone.

Un’altra ipotesi per l’etimologia del termine gotico lo fa risalire al celtico Ar-Goat, ovvero paese degli alberi, che alluderebbe alla presenza di un elevato simbolismo vegetale; ed ancora, c’è la possibilità che derivi dal greco goes, ovvero stregone, mago, e quindi da goezia, magia, quella che si prova entrando in una cattedrale. Ciò restituisce a quest’era il suo carattere esoterico anche al livello etimologico. Nella prima parte dedicata ai labirinti ho sottolineato come il loro simbolismo sia indissolubilmente legato alle origini dell’uomo, al concetto di rinascita e rigenerazione, al culto della Grande Madre, alle tradizioni dei popoli antichi.

Queste simbologie rimangono integre, e vengono anzi recuperate nel Medioevo, pur se inserite, o forse sarebbe meglio dire adattate, in tutte le componenti delle cattedrali, e, di conseguenza, anche nel labirinto.

Esempio tipico è il labirinto di Chartres, composto da una serie di cerchi concentrici, al cui centro era raffigurato il duello tra Teseo ed il Minotauro, confermando così il perpetuarsi di antiche tradizioni e simbolismi ancestrali. A questo proposito, è utile ricordare che tutte le cattedrali medievali sorsero su luoghi dove in passato si celebrava il culto della Grande Madre; e che nelle cripte molte sono le raffigurazioni delle Vergini Nere, Madonne dalla pelle scura che sembrano confermare il riferimento alle antiche divinità pagane della fecondità.

La stessa cattedrale di Chartres sorge su un luogo che fu meta di pellegrinaggi in epoca antica, considerato allora sacro da Galli e Germani per la presenza di una Vergine Nera, che si trovava in una grotta detta druidica, una camera di tipo dolmenico. Vicino alla grotta vi era un pozzo, il Pozzo dei Forti, che servì forse a riti iniziatici e battesimi, e che aveva anche virtù curative. Gli antichi riconoscevano al luogo una corrente tellurica benefica e fecondante. Il simbolo della nascita è quindi fondamentale, ed accanto al motivo del labirinto lo ritroviamo celato nelle pieghe degli abiti di alcuni personaggi, che si torcono a spirale all’altezza del ventre o del cuore. Ma non è tutto. La fusione tra cristiano e pagano nelle cattedrali si evince dal fatto che queste non sono solo edifici di culto e luogo di preghiera e raccoglimento dei fedeli; sono anche teatro di riunioni politiche, riunioni delle corporazioni di mestiere, di commercio e di mercato: una sorta di foro romano. Accanto allo svolgersi di liturgie sacre vi si celebravano anche rituali e spettacoli di altro genere, molto amati dalla gente. Ciò che colpisce in modo particolare è l’evidente matrice pagana delle feste che avevano luogo nelle cattedrali. La più famosa è la Festa dei Pazzi, o Folli, tenuta tra la fine dell’anno vecchio e l’inizio del nuovo.

In realtà si componeva di una serie di feste, che duravano 12 giorni, dal 24 dicembre al 6 gennaio. Apriva il calendario la Festa dell’Asino e si terminava con la Grande Festa dei Folli. Nonostante questi rituali si svolgessero nel periodo natalizio, ovvero della nascita di Gesù, non solo erano pagani, ma avevano anche origini molto antiche. La Festa della Natività, celebrata proprio nel giorno di Natale, si era tenuta fino al III secolo nel giorno del 6 gennaio. Ma poiché il 25 dicembre era la data di nascita di Mitra, così come lo era di Horus nell’Egitto, la Chiesa romana, nell’intento di annientare la forza nascente del mitraismo, spostò la Natività al 25 dicembre. Viene spontaneo chiedersi come mai allora la Chiesa stessa ordinò la soppressione della Festa dei Folli. La risposta è semplice: le autorità ecclesiastiche si erano illuse di poter controllare ed arginare in un ambito sacro feste e rituali di natura ermetica. Ma, rendendosi conto che questi non persero mai il loro carattere esoterico, li eliminarono. Tutte queste cerimonie erano in effetti simboliche, ed in quanto tali, accompagnate da banchetti, giochi, danze che avevano il sapore di antichi riti misterici.

Prendiamo, ad esempio, un concetto fondamentale della Festa dei Folli: tutti quanti, nessuno escluso, si travestiva ed assumeva un ruolo completamente diverso dal suo. Ognuno poteva diventare chiunque: papa, re, prelato, pazzo, e così facendo si sovvertiva l’ordine gerarchico, si poteva deridere ed ironizzare su tutti, sulla Chiesa e sul Re, senza più dover rispettare i ranghi sociali. Tutto questo implicava il concetto non solo dell’arbitrarietà, ma soprattutto sottolineava che ogni cosa ha un suo contrario. Questi concetti celavano un profondo legame con il pensiero egiziano, perché nel celebrare il rito ci si autorigenerava. Tutto era ribaltato, e nell’abolire le gerarchie si riaffermava la negazione dell’individualità in favore dell’universalismo: tutti partecipavano a queste feste e ridevano gli uni degli altri, in virtù del loro essere uomini in mezzo ad altri uomini. Esaminando più a fondo alcune di queste feste, sarà più semplice collegarle ad una certa tradizione. Nella Festa dell’Asino, o della “potenza asinina” ad esempio, che si svolgeva nel giorno della vigilia e di apertura, due canonici accompagnavano l’ingresso trionfale sotto gli archi della cattedrale di un asino, chiamato Maestro Aliboron, durante la Messa; questi portavano l’animale vicino all’altare, dove veniva vestito da canonico mentre una fanciulla che rappresentava la Vergine saliva sulla sua groppa. Quando poi gli tirava la coda fino a farlo ragliare si raggiungeva l’apice dell’allegria. Dopo la comunione, si beveva del vino, l’asino veniva sfamato e condotto fuori dalla cattedrale, sempre con canti e danze. E’ innegabile che questo animale è quello che compare così spesso nella Bibbia, è l’asina di Balaam che, al contrario del suo padrone, un profeta, intende meglio di lui la volontà di Dio; ed in questo si palesa un attacco alla Chiesa,che, badando più alla forma, all’istituzione ufficiale, si era allontanata dai valori spirituali. Ma è anche il personaggio dell’ “Asino d’oro” di Apuleio: è Lucio che decade da uno stato umano alla forma asinina per aver voluto adoperarsi mago senza sapere nulla di quest’arte. Lucio verrà riportato alla forma umana grazie all’intervento di Iside, che lo inizierà ai suoi misteri. Ancora una volta un simbolo da leggere in duplice chiave, cristiana ed ermetica. Inoltre, veniva eletto un “episcopus follorum”, che celebrava la Messa leggendo al rovescio i testi sacri, ballando, mangiando sotto l’altare, e cantando oscenità; il che ricorda il monarca eletto in occasione dei Saturnali nell’antica Roma. (In effetti, Saturnali, Festa dei Pazzi e carnevale sembrano essere connessi). Addirittura, alcune città coniavano delle monete che venivano dette i “Gettoni del Matto”. Altro esempio era la “Flagellazione dell’Alleluia”, celebrata nella cattedrale di Langes, in cui dei chierichetti dovevano portare fuori le trottole, dette sabot, colpendole con delle fruste. Ma la cattedrale dava anche rifugio agli sventurati, ai bisognosi, ed ai malati, che potevano passare lì la notte in attesa della visita medica il giorno seguente. Mentre la città terrena non li accettava, la città divina, la cattedrale, centro stesso della città, dava loro asilo ed aiuto. Di fatto, l’uomo medievale visse la sua epoca come un proseguimento della tradizione dell’antichità, mantenendo inalterato il concetto di armonia cosmica e di rinascita. L’arte medievale, a differenza di quella romana, legata molto più all’apparire, è un’arte “sacra”, nel senso che non è fine a sé stessa, non esprime il gusto dell’artista, ma, come l’arte egiziana, vuole rappresentare le finalità del divino qui sulla terra, ricordando che l’uomo in quanto tale non è il centro del mondo, che è l’eternità e non l’esteriorità o il caduco che devono essere immortalate. La cattedrale era veramente il centro dell’attività quotidiana, anzi, centro e cuore della città, e per questo era un edificio sacro, era il luogo di fusione tra umano e divino, tra terra e cielo. Si dice che nei sotterranei di alcune cattedrali vi siano dei pozzi che eguagliano in profondità l’altezza della più alta guglia, in modo tale che si rispetti la simmetria tra terra e cielo. Ed in quest’asse verticale il labirinto fa la sua parte. Definito anche Cammino di Gerusalemme, il suo centro era la città di Gerusalemme.

Perché Gerusalemme compariva al centro del labirinto? Essenzialmente perché era il simbolo della città santa, luogo in cui il Redentore aveva vissuto ed insegnato; ma anche perché meta di pellegrinaggio e per la sua identificazione con la Gerusalemme celeste, ovvero il luogo terrestre dove l’anima poteva redimersi. L’idea della città celeste era già conosciuta dalle più antiche tradizioni, come nel caso della Babilonia terrestre che aveva il suo archetipo nella Babilonia celeste, costruita dagli dei. Inoltre, nella Bibbia, Gerusalemme è detta “vergine”, cosicché la sua conquista equivale ad un atto che, ripercorrendo le tappe che conducono alla nascita, sottolinea il concetto di nascita in senso iniziatico, e non semplicemente “biologico”. Il viaggio verso il centro produce una trasformazione, quella metamorfosi così fondamentale nelle iniziazioni, che prevedono la morte come passo necessario per giungere alla rinascita. Ed allora non può essere un caso che le fonti battesimali si trovino al centro dei labirinti, centro che ha, in genere, forma circolare (a ricordare la forma iniziale del sacco in cui si forma l’embrione) oppure esagonale (la morte nell’antica simbologia). E il numero sei compare, nel caso di Chartres, al centro del labirinto: una rosa a sei petali, appunto, quella elevazione che si raggiunge solo dopo il faticoso “percorso” labirintico, la conquista di quella vita spirituale in cui la morte è compresa, ma con ben altro significato.

Il raggiungimento del centro, che implica un mutamento fondamentale dal mondo dell’apparenza a quello dell’essenza, ripropone perfettamente il senso ultimo dell’arte gotica.

L’arte gotica investì tutta l’Europa, ma fu in Francia che le cattedrali sorsero quasi all’improvviso, proprio quando i Templari tornarono dalla Terra Santa. Anche i labirinti furono costruiti tutti nel 12° secolo. Questo ha dato spazio ad una teoria affascinante che vede proprio nei Templari gli artefici di tali costruzioni: essi avrebbero trovato nel corso dei loro scavi a Gerusalemme gli antichi segreti di Hiram, il costruttore del Tempio di Gerusalemme. Jacques de Mahieu, ad esempio, sostiene che tra i segreti venuti alla luce vi fossero delle antiche carte che permisero ai Templari di raggiungere l’America, dove, grazie allo sfruttamento delle miniere d’argento messicane, si sarebbero procurati il denaro sufficiente per finanziare l’edificazione delle cattedrali.

BIBLIOGRAFIA:

“L’iniziato” di Mark Hedsel

“Il messaggio iniziatici delle cattedrali” di Christian Jacq

“Il libro dei labirinti” di Paolo Santarcangeli