Orfismo

di Alessandra Economo

L’etimologia del nome Orfeo è incerta, ed ancora discussa, così come lo è il suo personaggio.

Alcuni la ricollegano ad orphanòs (solitario); altri alla radice orph (tenebre); altri ancora ritengono che Orfeo voglia dire Il Pescatore, per il fatto che i pesci nel santuario di Apollo in Licia erano detti orphoì.

Orfeo è un cantore e musico, figlio di Eagro, re della Tracia e della musa Calliope.

Ricevette dalle muse l’educazione, ed imparò da loro a suonare la lira, che fu dono di Ermes e di Apollo, cui aggiunse due corde, che divennero 9 in tutto. Il suo canto era irresistibile: le piante si muovevano, le bestie inferocite si placavano, le acque dei fiumi si arrestavano.

L’incantatore viene già collegato alla tradizione misterica quando, nella spedizione degli Argonauti, supplica gli dèi Cabiri della Samotracia, ai cui misteri egli è iniziato.

Ma la sua vicenda è legata ad Euridice, figlia di Doride e Nereo, che il giorno stesso delle nozze con lui, per sfuggire alle insidie del pastore Aristeo, fu uccisa dal morso di un serpente nei campi. Orfeo, dopo aver versato tutte le lacrime che aveva per la morte della sposa, decise di scendere nel mondo infero. Avendo ammansito con la sua musica Cerbero e Caronte, giunse al cospetto di Ade e Persefone e li pregò affinché gli restituissero Euridice. Gli dèi infernali accondiscesero, ma nel cammino di ritorno verso il regno dei vivi infranse il divieto di voltarsi a guardare la moglie e questa ritornò per sempre negli inferi. Egli tentò invano di riprenderla, piangendo per 7 giorni sulle rive dell’Acheronte, ma stavolta Caronte non si fece incantare e Cerbero continuò a far la guardia. Orfeo si ritirò sul monte Rodope, dove fu ucciso e dilaniato dalle Baccanti, di cui rifiutava l’amore. La sua testa fu gettata nel fiume, ma continuò a cantare. Mentre tutti gli esseri viventi piansero la sua morte, gli dèi punirono la Tracia con una pestilenza, che sarebbe cessata solo quando la testa di Orfeo sarebbe stata ritrovata e gli fossero stati tributati tutti gli onori funebri. Alla foce del fiume Melete un pescatore la ritrovò e lì fu costruito un santuario. Secondo un’altra versione, Orfeo sarebbe morto perché aveva proibito alle donne la partecipazione ai misteri da lui istituiti. Si narra anche che la sua lira fu trasportata in cielo dopo la sua morte, divenendo la costellazione omonima, mentre l’anima di Orfeo andò nei Campi Elisi, ad allietare con il suo canto le anime dei beati.

La sua origine tracia, e tutti gli elementi “naturalistici” che lo caratterizzano, attestano una mitologia arcaica, e l’antichità della figura di Orfeo. E’ probabile che questa fu una scelta ben precisa dei Greci, una sorta di propaganda orfica mirante a collocare il personaggio ai primordi, ma è anche vero che egli non appartiene alla tradizione omerica (è definito come antenato di Omero), ed anzi il suo messaggio religioso era un punto di rottura con la classica religione olimpica.

L’Orfismo è un fenomeno amplissimo, sia dal punto di vista temporale che per la sua posizione intermediaria tra mondi culturali diversi. Gli Orfici hanno lasciato circa 80 inni ed alcune testimonianze dipinte o scolpite, e la loro presenza si protrae fin nella tarda antichità. Il periodo più fiorente della letteratura orfica risale al V secolo. In molti testi emerge la matrice egizia (Orfeo era iniziato ai misteri egizi), ed anche elementi mesopotamici, iranici ed indiani.

Abbiamo visto che Orfeo è uno strano personaggio, che da un lato è un sosia di Dioniso, dall’altro di Apollo. Il fatto che la sua testa continuò a cantare lo lega indissolubilmente ad una religione che prometteva la vita dopo la morte. Il menestrello era infatti considerato “fondatore d’iniziazioni”. In particolare, la sua discesa agli inferi ricorda quella di Dionisio alla ricerca della madre Semele, così come il suo smembramento ricorda il rituale dionisiaco. D’altro canto, secondo un’altra leggenda, era figlio di Apollo e della musa Calliope, e morì proprio per la sua devozione verso Apollo; come lui suonava la lira, e dava importanza predominante alla purificazione (tecnica propria apollinea) nei rituali iniziatici.

La morte di Orfeo è strettamente collegata a quella di Dioniso Zagreo, divinità centrale nell’orfismo. Gli Orfici accettavano il mito che narrava di come Zeus, facendo l’amore con la figlia Persefone, generò Zagreo, il cui nome significa “colui che è lacerato a brani”. Era, moglie di Zeus, in preda alla gelosia, incitò i Titani ad uccidere il bambino. Furbescamente questi, prima divennero suoi amici, regalandogli uno specchio ed altri “giocattoli”, tra cui dei ninnoli, una trottola, una palla ed un rombo. Capito ciò che stava per accadere, il piccolo dio tentò di salvarsi assumendo forme diverse, tra cui quella di un toro, ma i Titani lo presero per le corna, poi lo fecero a pezzi e lo divorarono crudo. Il cuore, risparmiato, giunse a Zeus, il quale lo inghiottì. Poi, furioso per la morte del figlio, uccise i Titani con un fulmine. Dalle ceneri di quei Titani ebbe origine il genere umano.

Zeus, allora, generò di nuovo suo figlio con la mortale Semele, e nacque un nuovo Dioniso. C’è chi ha interpretato lo smembramento del piccolo Dioniso come il procedimento che dall’Uno conduce al molteplice, indicando in tal modo che l’orfismo operò una sintesi tra religione e speculazione filosofica.

Quindi gli esseri umani in parte sono malvagi, avendo avuto origine dai perfidi Titani, in parte sono divini, in quanto quelli avevano mangiato il fanciullo divino. L’uomo è composto dunque di due elementi, quello mortale e titanico e quello spirituale e divino. Ciò che l’uomo deve cercare di fare nel corso della sua vita è di disfarsi dall’involucro titanico per liberare la sua parte divina, la parte dionisiaca.

Nonostante la tragicità di tale visione, vi è un elemento positivo, il fatto cioè che l’uomo partecipa della divinità per natura.

Essendo caratterizzato dalla dottrina dell’anima imprigionata nel corpo-tomba, caduta questa che è segno di una colpa antecedente, l’orfismo segna il passaggio dal vitalismo dei culti di mistero al dualismo vero e proprio, anti-somatico ed anti-cosmico, in quanto il ciclo delle rinascite, incarcerando l’anima di continuo, non è più datore di vita, come lo fu nei riti stagionali e relativi culti. Infatti, rispetto ai culti dionisiaci, che pur riguardavano la sorte dell’anima, i misteri orfici introdussero il tema, diffuso in Oriente, della trasmigrazione e dell’immortalità, concetto fondamentale che vedeva le anime passare da un corpo ad un altro, in un ciclo senza fine di morte e rinascita. Tale ciclo è spesso paragonato ad un cerchio. Rispetto agli altri misteri, l’orfismo indica che la beatitudine è vincolata ad una precisa condotta morale, e non solo alla partecipazione ai riti. Il peccato originale, l’uccisione di Dioniso-Zagreo, può essere cancellato solo dal dio. L’orfismo si distacca quindi dagli altri culti misterici, tanto da poter essere definito “religione misteriosofica”, ossia fondata su un complesso sapienziale organico. Se la spiritualità e la soteriologia sono di origine tracia e greca, la teogonia orfica deriva dal mondo orientale. In un momento in cui uno dei problemi principali era quello dell’Uno e del Molteplice, della relazione tra umano e divino, risolta in modo solo “temporaneo” con le orgia dionisiache, l’orfismo, insistendo sull’immortalità dell’anima, sostituì tali pratiche con la purificazione.

Prima di approfondire i temi orfici, è bene ricordare che, accanto ad un orfismo “culto”, che si rifà ai testi scritti di Orfeo (Platone ne parla spesso), o comunque a scritture orfiche, vi fu un orfismo “popolare”, rappresentato dagli orfeotelesti (iniziatori orfici), ovvero presunti taumaturghi, indovini, guaritori, che : “…vanno alle case dei ricchi dando ad intendere che hanno ottenuto dagli dèi il potere, mediante sacrifizi ed incantazioni, di riparare… quei delitti…che hanno potuto commettere… Presentano un numero di libri di Museo e Orfeo che dicono discendere dalla Luna e dalle Muse e compiono il rito su questi libri…” (PLATONE La Repubblica).

In sostanza, essi intendevano purificare non solo il singolo, ma anche l’intera città dalle colpe commesse. Si è spesso tentato di sminuire il movimento orfico sulla base di tali personaggi, ma la verità è che essi garantiscono l’esistenza di gnosi e soteriologie superiori cui aspiravano invano. Di certo, vi era il rifiuto di commettere sacrifici di animali in onore delle varie divinità, per non entrare in contatto con dei cadaveri, dato che il corpo è solo prigione impura.

Mentre si sa ben poco dell’iniziazione, che prevedeva come fasi primarie il vegetarianismo, l’ascetismo, la purificazione, l’istruzione religiosa, è grazie a Platone se abbiamo una visione più chiara del concetto di immortalità dell’anima. Per colpa di un crimine primordiale, l’anima è rinchiusa in un corpo (soma), che rappresenta una tomba (sema). E’ ovvio che in tali termini, la dialettica vita-morte viene rovesciata, essendo la prima una vera morte, e la seconda vita vera. (“Chi sa se il vivere non sia morire e il morire invece vivere?” PLATONE- Gorgia) Ma l’anima deve meritarsela, ed infatti viene giudicata in base al suo operato, negativo o positivo, quindi si incarna nuovamente (tesi orientale, dell’India post-upanishadica).

La continua ricerca di Orfeo della donna amata, il suo ritrovarla e perderla sono una metafora del cammino della reincarnazione, della ricerca di quella salvezza che può essere guadagnata, ma faticosamente.

L’importanza di non mangiare carne, però, non si collega solo al fatto che nell’animale potrebbe esserci un nostro caro reincarnato, ma va ben oltre. Rappresenta non solo l’allontanamento dal “mondo”, ma soprattutto quello dai culti ufficiali del sistema religioso greco, che invece prevedeva tali sacrifici cruenti.

Bisogna anche ricordare che Prometeo, dando agli uomini la carne e agli dèi gli ossi, provocò la fine di un periodo in cui uomini e dèi erano simili. Quindi, il rifiuto della carne sembra voler condurre all’espiazione del peccato iniziale e al recupero di uno stato “paradisiaco”. Continuando nell’ambito della precettistica, in generale gli orfici dovevano evitare qualsiasi contatto con i morti, come anche con le donne gravide o il parto. Dovevano indossare una veste bianca, simbolo di purezza, e mai vesti di lana, perché provenienti da animali. Ad un rigido comportamento etico si accompagnava la partecipazione ai misteri, di cui si sa molto poco. Possiamo solo immaginare che fossero simili ai misteri eleusini. In base a tarde testimonianze, si sa che la cerimonia sacrificale era legata allo smembramento di Dioniso. Sembra logico supporre che i simboli presenti nell’iniziazione fossero gli oggetti usati dai Titani per attirare Dioniso. Nel “Papiro dei misteri”, risalente al III secolo a.C. e gravemente danneggiato, si legge: “Attraverso il rito mistico…ho spezzato le punizioni dei padri…salvami, o grande Brimo e Demetra e Rea…e Cureti in armi…perché facciamo belle offerte…presso la fonte l’ariete e il capro…doni indicibili…e presso il pascolo del fiume, prendendo i testicoli del capro…ma le altre carni le mangi, e chi non è iniziato non guardi…offrendo come dono voti-vo…preghiera…salvami…un solo Dioniso, i sogni segreti…dio nel grembo…ho bevuto, asino, mascherato da toro…simbolo, sopra sotto…e ciò che ti fu concesso profondere…gettare nel paniere…pigna, trottola, dadi...specchio”.

Ritroviamo gli oggetti del mito trasportati nel culto, e la proibizione ai profani di assistere ai misteri, che prevedevano capro e toro, simboli di Dioniso. Il rivivere lo sbranamento di Dioniso ed il consumo delle sue carni ha, però, nell’orfismo, un valore diverso rispetto al dionisismo, dove si tratta di un pasto sacro. Per l’orfico, esso ricorda lo stato dell’uomo che, rivivendo il mito, potrà iniziare a liberarsi dai vincoli. Sembra anche logico supporre che altro mito messo in atto fosse la discesa di Orfeo agli Inferi. Probabilmente i candidati ascoltavano il discorso sacro, consistente nell’esposizione del mito di Dioniso, ed apprendevano le dottrine dell’orfismo, comunicate appunto durante i riti misterici. Sicuramente esistevano anche in tale culto gerarchie non solo “ecclesiastiche”, ma anche diversi gradi d’iniziazione. “Ci sono…molti che portano il tirso, ma pochi veramente posseduti dal dio…” (Burkert – Antichi culti misterici), frase che allude proprio ad un percorso che via via portava a conoscenze più elevate. Inoltre, sembra che gli orfici vivessero in comunità isolate, anche se tutti potevano essere iniziati. La dottrina orfica, la sua teogonia e cosmologia, così come l’escatologia, si possono ricostruire grazie alle testimonianze degli autori antichi, tra cui Platone, Aristofane, Empedocle, ed altri neoplatonici, e in questo risiede la difficoltà di distinguere l’antico pensiero orfico dalle rielaborazioni posteriori. Bisogna sottolineare che l’orfismo sintetizza le posizioni dualistiche sopra analizzate e posizioni monistiche, se non monoteistiche. Nella teogonia orfica, il Tempo (Chronos) produce nell’Aither l’uovo primordiale. Eros, il primo dio, nasce da qui, ed è chiamato anche Phanes, ed è il creatore.

Ma Zeus lo inghiotte insieme al suo operato, raccogliendo in sé il principio di tutte le cose. Questa visione insiste sulla creazione di un universo molteplice a partire però dall’unità, ed evidenzia una forte analogia con la cosmogonia egizia. Zeus poi si unisce con sua madre Rea, sposa di Crono, ovvero Demetra, e genera Persefone. La quale, violentata da Zeus, genera Dioniso Zagreo, a volte identificato con lo stesso Phanes. Quanto detto evidenzia una complessità teologica rispetto alle altre religioni misteriche.

Molto importante per comprendere la dottrina orfica è il papiro di Derveni, scoperto nel 1962 in Tessalonica, nei pressi della città omonima. E’ un commento ad un testo orfico, secondo cui tutto nasce da Zeus, che è “il principio, il mezzo e il compimento di tutte le cose.” Secondo il testo, Zeus creò il mondo facendo l’amore “nell’aria”, senza una compagna, ed allude quindi ad un parto autogeno. Il logos del mondo è simile al logos di Zeus, quindi il nome che indica il mondo è Zeus. E questa è una visione altamente monoteistica. Molte tavolette ritrovate soprattutto nell’Italia meridionale, risalenti al IV e III secolo a.C., contengono delle istruzioni sul comportamento dell’anima dopo la morte, dichiarando che quella del giusto si dirigerà verso destra, in una precisa localizzazione geografica del mondo sotterraneo.

Tavoletta proveniente da Petelia

A sinistra della dimora di Ade,

troverai una sorgente

con un bianco cipresso accanto.

Non avvicinarti a quella fonte.

Ne troverai un’altra di acque

freschissime

provenienti dal Lago dei Ricordi,

guardata da una sentinella.

Allora dirai: “Io sono figlio della Terra

e del Cielo Stellato

e la mia razza è celeste.

Ma voi lo sapete.

Presto, datemi la fresca acqua che

proviene dal Lago dei Ricordi”.

E le sentinelle ti permetteranno di bere

a sazietà alla sacra fonte,

e potrai condividere la sorte degli altri

eroi.

Tavoletta proveniente da Turi

Da una comunità di puri io vengo

o puro sovrano degli inferi,

Euclete, Euboleo e voi tutti o dei

immortali.

Perché io mi vanto di appartenere alla

vostra razza beata.

Il Fato e le Stelle mi hanno sopraffatto.

Mi sono allontanato dal ciclo delle

gravi pene e dei dolori

e sono venuto, con passo leggero, verso

il premio desiderato.

Mi sono abbandonato in grembo alla

vostra signora,

la Regina degli Inferi.

“Felice e beato, tu sarai un dio e non

più un mortale.”

“Io sono come un bambino morto

durante l’allattamento.”

Le lamine d’oro venivano spesso appese al collo del morto, o comunque deposte vicino, ed erano una specie di passaporto, con cui l’orfico accedeva beatamente nel mondo dei morti. Importante è il riferimento, nella prima lamina, alla sete, che allude all’acqua della Vita. Platone ci dice che le anime che devono reincarnarsi sono obbligate a bere le acque del Lete.

Quindi, gli orfici, devono evitarle, per non dimenticare, per evitare, cioè, che il loro ricordo del mondo celeste non ritorni nell’oblio, e li conduca nuovamente a vivere. Di sicuro gli orfici possono considerarsi come successori dei gruppi iniziatici dell’epoca arcaica, ma sarebbe sbagliato considerare l’orfismo come una setta, o come un’organizzazione segreta.

Basti pensare che alcuni dei testi orfici di data più recente vengono considerati come la rivelazione di dottrine più antiche, e questo fa sì che si possa pensare all’orfismo come ad una scuola che faceva capo agli insegnamenti di maestri più o meno leggendari e ad un’ampia letteratura.

Un ultimo accenno ad un’altra importante figura, quella di Museo, a volte discepolo, a volte maestro di Orfeo. Anch’egli è un cantore, da alcuni indicato come colui che introdusse i misteri eleusini nell’Attica, da altri come un indovino. E’ indicativo che spesso Orfeo e Museo siano identificati, quasi che Museo sia una trasposizione dell’altro.

Dopo le guerre contro i Medi il movimento orfico decadde, se si eccettua il movimento popolare degli orfeotelesti, ma le sue concezioni principali saranno sempre all’attenzione del pensiero greco grazie a Platone e Pitagora. Con i neoplatonici e i neopitagorici l’orfismo tornerà in auge nei primi secoli dell’era cristiana.

Simbologia orfica in un mosaico del I sec. d.C.. La ruota allude al ciclo delle reincarnazioni dell'anima da un corpo all'altro, il teschio con le ali alla sua immortalità e la squadra che sovrasta il tutto ha la duplice possibilità di un premio o di un castigo che l'attendono (la squadra è anche un simbolo della vita secondo misura, in cui consiste la virtù).