Il dionisismo fu molto diffuso in Grecia, ed il suo culto è molto antico, tanto che alcuni storici lo fanno risalire all’epoca pre-ellenica, e lo fanno derivare dal dio ariano della “bevanda dell’immortalità” Div-an-aosha.
Per alcuni studiosi Dioniso non dovette giungere in Grecia molto tardi, data la presenza, su alcune tavolette in lineare B ritrovate in Messenia e a Creta, di un Diwonusojo, figlio di Zeus, che era collegato al vino. L’origine del dio è molto controversa, e molti lo considerano non greco, anche per gli elementi tipici dell’Asia Minore che confluiscono nei suoi riti. In realtà, già Omero lo menziona insieme agli dèi dell’Olimpo, pur con caratteristiche diverse, che lo distinguono da tutti gli altri dèi greci. La sua appartenenza al pantheon miceneo renderebbe nulla l’ipotesi di un’origine orientale. La sua figura è molto complessa, non solo per i legami con gli altri culti misterici, per le sue origini orientali, ma anche perché fu venerato in varie località, ed ebbe molti epiteti.
Il mito narra che Dioniso nacque da Zeus e dalla principessa Semele, figlia di Cadmo, re di Tebe. Prima del parto Era, stravolta dalla gelosia, assume le sembianze della vecchia nutrice di Semele e le consiglia di chiedere a Zeus di rivelarsi completamente a lei e di mostrarle il suo volto, solitamente velato da una nuvola. Zeus, avendo promesso a Semele qualsiasi cosa chiedesse, è costretto a rivelarsi, e Semele rimane uccisa dal suo splendore.
Allora Zeus estrae il feto di sei mesi dal suo corpo, e se lo cuce nella coscia, affinché possa giungere ad una formazione completa. E’ come se Dioniso nascesse due volte, e il fatto di essere nato da Zeus lo conferma un dio a tutti gli effetti. (Nella gestazione e nel parto maschile si evidenzia un parallelo con il dio indiano Soma, anche lui cucito nella coscia di Indra, ed anche lui dio delle bevande fermentate con il miele). Affidato poi a Hermes, viene allevato da Ino, sorella di Semele. Divenuto adulto, Dioniso inizia a viaggiare per la Grecia, scoprendo la vite ed il vino, di cui diverrà divinità tutelare. Ma Era lo fa impazzire, e sarà in Frigia, grazie all’intervento di Cibele, che Dioniso sarà guarito ed iniziato ai misteri della dea. Dioniso continua a viaggiare in Tracia, in India, finché, tornato in Grecia, introduce le sue feste: i Baccanali.
Dioniso è un dio difficile da definire con un solo aggettivo, proprio perché il suo culto riunisce elementi di provenienza differente e lo rende una figura estremamente complicata e contraddittoria. Da un lato egli è dio dell’estasi, dell’ebbrezza e del vino, dall’altro è anche terrorizzante, irrazionale. I suoi epiteti si riferiscono tanto agli animali che alle piante che ad eventi rituali, o ad aspetti inerenti al rito: è il tralcio di vite, l’edera, il vino, il diritto, il furibondo, lo spirito dell’albero, il capretto, il nobile toro, colui che si ciba di carne cruda, cucito nella coscia, e anche la femminella. Ed ancora colui che è venuto due volte alla porta della nascita, o colui che conduce le baccanti, e molti altri nomi ancora, legati ai luoghi di culto ed anche ai diversi periodi. Tutti epiteti che sottolineano le varie maschere del dio, che fanno allusione al mito della sua nascita, ai riti cruenti che si svolgevano sui monti, agli animali sacrificati, alle feste orgiastiche, alla sua natura legata alla vegetazione, al suo essere androgino. Ne “Le Baccanti” Euripide lo descrive come “fragrante nelle chiome di riccioli biondi, con le grazie brune – color vino – di Afrodite nei due occhi”, quindi effeminato. Dioniso è una divinità che assume quindi varie forme, è il dio delle maschere, delle epifanie, che scompare e poi riappare di continuo. Le epifanie del dio tra gli uomini e l’introduzione del suo culto sono contrassegnati da episodi molto violenti. Il mito narra di come Licurgo, non riuscendo a catturare Dioniso, imprigionò le Baccanti. Il dio allora le liberò, colpì la Tracia con la siccità e fece impazzire Licurgo, che tagliò la propria gamba e quella del figlio, convinto invece di tagliare la vite sacra a Dioniso. Licurgo fu ucciso per far sì che la siccità cessasse. Anche Penteo subì la punizione per non avere accolto il suo culto, ed avere osato spiare in segreto le cerimonie per poi rivelarne il contenuto. L’episodio è narrato ne “Le Baccanti” di Euripide, in cui si narra di come Dioniso istituì i suoi riti, facendo impazzire le zie che negavano la relazione tra Zeus e Semele. Sue fedeli seguaci erano infatti, all’inizio, solo donne, dette Baccanti o Menadi, ed il corteo da loro formato è detto tìaso. Esse si aggiravano di notte sui monti, con i capelli sciolti, un tirso ricoperto di pampini ed edera, coronate di edera ed avvolte da serpenti, vestite con la pelle di un cerbiatto, detta nebride.
Esse danzavano freneticamente al suono di timpani, cembali e flauti, ed il ritmo ossessivo conduceva le Menadi ad uno stato di totale abbandono, di estraniazione dal reale. Ciò le portava a camminare su una gamba sola, a saltare, e slanciare il piede in avanti, a sottolineare uno stato che oggi chiameremmo di trance, ma che nei testi è definito di possessione, o mania. Il rito terminava col gesto cruento dello sparagmòs, ovvero lo smembramento dell’animale, seguito dall’omophagia, cioè il cibarsi delle carni crude. Benché si parli spesso dei riti orgiastici dionisiaci, bisogna ricordare che il termine orgia non aveva la stessa connotazione di oggi: significava “rito”. Lo stesso Euripide descrive le Baccanti “pure”, lontane da appetiti sessuali, ed inclini invece ad un amore spirituale per Dioniso. Si può solo supporre che i riti più antichi fossero scevri da pratiche sessuali, e Penteo viene forse punito anche per avereinvece detto che il culto cui assistette era un’orgia sessuale.
Non si può dire lo stesso per i riti della Grecia, dove le vergini non potevano essere Baccanti, proprio perché probabilmente i rapporti sessuali erano parte integrante del rito.
Di carattere orgiastico furono i Baccanali romani, che penetrarono nel II secolo a.C., giungendo dall’Etruria. A Roma il carattere sfrenato lasciò il posto ad azioni più cruente. Livio parla di delitti e stupri, ed ogni sorta di reato. Il Senato emise un senatus consultum ultimum, che limitava il numero degli iniziati a cinque, e sottoponeva le funzioni sacre al controllo ed al permesso dello Stato. Molti appartenenti alle famiglie nobili furono giustiziati. Di sicuro il racconto di Livio mette in evidenza come a Roma il dionisismo incontrò molte difficoltà, proprio perché, sfuggendo al controllo, minacciava l’ordine pubblico. La descrizione di Livio appare esagerata, e quindi dobbiamo pensare che a Roma i riti dionisiaci somigliassero molto a quelli greci. Di fatto, nonostante la repressione ad opera del Senato, il culto dionisiaco non scomparve, ed anzi nel II secolo d.C. si assiste ad una sua rinascita. L’ambiguità che caratterizza Dioniso è propria anche delle menadi: infatti, le donne che nella vita quotidiana non avevano lo stesso potere degli uomini, in qualità di baccanti, invece, dominavano il maschio, rifiutando il suo appetito sessuale, come dimostrano alcune scene in cui le baccanti cavalcano un mulo eccitato. Inoltre, l’animale eccitato viene poi sbranato. Si può dire che il dionisismo sconvolgeva i ruoli, e questo si evince anche dal fatto che durante le Grandi Dionisie in Atene gli uomini si travestivano.
Tornando ai riti notturni, gli animali fatti a pezzi e sbranati sono incarnazioni di Dioniso, quindi le Baccanti assimilavano la forza del dio prima ucciso e poi divorato. La scelta dei monti, la natura selvaggia, l’istinto bestiale, caratterizzano il culto. Le baccanti annullavano la loro identità, per divenire il dio, assimilato tramite l’animale sacrificato, che spesso era un toro (già simbolo di fecondità presso i popoli antichi). Il toro è però anche pericoloso, e ben rappresenta il duplice aspetto di Dioniso, che può dare la vita e distruggerla. Dioniso è spesso rappresentato come toro munito di corna, ed è un personaggio capace di suscitare una follia pericolosa, che conduce le madri a divorare i propri figli, a far impazzire chi lo ostacola, a far perire figli per mano dei padri.
Una fonte importante è Demostene che, volendo ridicolizzare il suo avversario Eschine, ci rivela alcuni particolari interessanti sui tìasi celebrati in onore di Sabazios, dio tracio precursore ed equivalente di Dioniso. Demostene dice che il rito di iniziazione cominciava con la lettura di un libro sacro; ed accenna all’atto del “nebrizzare”, alludendo alla pelle del cerbiatto; parla di “craterizzare”, ossia usare il cratere, coppa in cui si mescolavano acqua e vino; e di catharmos, purificazione, in cui il corpo dell’iniziato, disteso a terra, veniva sfregato con argilla e farina, a simboleggiare il bianco della purezza.
A questo punto l’iniziato si alzava e diceva: “Sono sfuggito al male e ho trovato il meglio”, e i fedeli cantavano esultando.
Di giorno, gli iniziati scendevano nelle strade in processione, col capo coronato di finocchio e rami di pioppo bianco. Il capo spirituale, con dei serpenti attorcigliati sulla testa, li precedeva gridando: “Evoè, mysti di Sabazio”, oppure “Hyès, Attès, Attès, Hyès”.
Tra le nomine compare quella di Capo dei Misteri, Portatore del Latte, Portatore delle Torce, Porta-Canestro e Portatore del fallo. Infatti, elemento simbolico fondamentale era il liknon, un paniere o cesta, all’interno del quale veniva trasportato un fallo, simbolo non solo della fertilità, ma anche della vita che si conquista attraverso la morte.
Molti studiosi negano l’appartenenza del dionisismo alle religioni misteriche, perché manca la speranza escatologica. Ma, se è vero che le Baccanti non parlano di immortalità, la loro comunione con il dio influenzava poi la loro condizione post-mortem. La presenza di Dioniso ad Eleusi significa che i suoi rituali avevano di certo un aspetto escatologico. Le sue apparizioni e sparizioni, che potrebbero essere ricollegate ad un culto della vegetazione, sottolineano anche l’alternarsi della vita e della morte. La scomparsa è generalmente associata alla discesa agli Inferi, tematica che prenderà corpo nell’orfismo, movimento che vede in Dioniso-Zagreo divorato dai Titani il personaggio centrale. Anzi, è molto probabile che oltre ai discorsi sacri, gli iniziati apprendessero anche l’aspetto più sapienziale della religione dionisiaca, e le grotte in cui si svolgevano i misteri potevano rappresentare proprio gli Inferi.
La stessa figura di Arianna assume una connotazione importante. Dopo aver aiutato Teseo a sconfiggere il Minotauro, i due fuggirono sull’isola di Nasso, dove Teseo abbandonò Arianna addormentata. Dioniso la trovò, la baciò e ne fece sua moglie. Arianna può rappresentare l’anima che, accettando il divino e le sue braccia, viene condotta all’immortalità. Oltre ai Baccanali esistevano anche riti di iniziazione individuale, segreti, consistenti in una serie di prove, che servivano a garantirsi la felicità nell’aldilà.
LA VILLA DEI MISTERI
Gli affreschi della Villa dei Misteri a Pompei, anche se risalenti ad un’epoca piuttosto tarda, si riferiscono proprio ad un rito iniziatico dionisiaco. La padrona di casa è seduta e sembra presiedere il rito, mentre una candidata ascolta con una sciarpa in testa e la mano su un fianco un ragazzo che legge il preludio alla cerimonia, ovvero un testo sacro.
Vi sono due schiave: una porta alle sacerdotesse le offerte rituali fatte dagli iniziati su un piatto dorato, ha un mantello intorno alle anche e la testa cinta da una corona di mirto; l’altra versa le libagioni. C’è poi la scena che ritrae il rito dell’abluzione: una donna seduta e con il capo velato, forse la sacerdotessa, con il capo cinto di mirto, con una mano scopre una cesta e con l’altra vi pone sopra un ramoscello sul quale scende dell’acqua versata da un’ancella.
Sull’altra parete, vediamo un Sileno nudo che suona la lira, e Pan che suona il flauto, ad indicare l’effetto trasformatore della musica sulla bestialità. Una Panisca, versione femminile di Pan, offre il seno ad una capretta. Una scena molto significativa è quella in cui un giovane satiro si rimira in una coppa, che funziona da specchio. Questa gli viene offerta da un vecchio sileno, mentre un altro satiro tiene sollevata una maschera, che si riflette nella coppa. Per alcuni, la maschera è la parte peggiore di noi, quella che deve essere eliminata. Ricordiamo che la coppa è simbolo di Dioniso in quanto contenitore del vino, del sangue del dio, ed è tramite l’ebbrezza che si raggiunge il divino. La maschera, anch’essa tipica di Dioniso, è la nuova immagine dell’iniziato, rappresenta il passaggio al mondo degli adulti, alla saggezza ed alla possibilità di procreare. Nelle scene centrali è ritratto Dioniso, sdraiato e seminudo, con Arianna, vestita; inginocchiata vicino a loro, una donna già iniziata con il tirso, nell’atto di scoprire un fallo enorme, coperto da un drappo di porpora.
E’ il tipico rituale ierofantico, consistente nel mostrare gli oggetti sacri. Per molti studiosi, tale scena rappresenta le nozze divine, con Arianna in procinto di cedere. E’ celebrato l’incontro tra i due sessi, la fusione tra i due principi vitali. La presenza di due donne ci ricorda che l’iniziazione era femminile. La scena della fustigazione pone dei problemi: in essa una figura femminile con ali nere solleva una verga sulla schiena nuda di una donna inginocchiata, l’inizianda. Lungi dall’evidenziare pratiche di umiliazione corporale, la scena evidenzia la rinascita spirituale dopo una morte rituale. La testa della donna è appoggiata sul grembo di altre donne che la assistono e la consolano. La donna viene colpita, mentre due baccanti danzano al suono dei cembali.
La flagellazione, forse, scaccia il pudore di scoprire il fallo, e libera l’iniziata, che ora può svelare il dio stesso, simbolo di fecondità materiale e spirituale. Pertanto, nonostante il motivo sessuale ricorre, esso sembra solo un mezzo per giungere all’unione mistica: l’iniziazione femminile si basa sulla sessualità mirata alla fecondità. In tal modo la sessualità della coppia umana, rappresentata da Dioniso e Arianna, diventa “sacra”, il mistero della vita, della potenza che può generare. Ora la donna è pronta ad affrontare le nozze mistiche, mentre una matrona, già sposa del dio, assiste assorta ai preparativi del rito nuziale.
LE FESTE DIONISIACHE
Le Piccole Dionisie o Dionisie rustiche
Le feste dette Dionisie ai campi avevano luogo nel mese di Posideone (dicembre-gennaio). Erano feste di villaggio, con un corteo che portava un fallo di grandi dimensioni, fra canti e danze. Era una festa della fertilità, agraria ed umana. Le falloforie erano note nel mondo greco, e nulla indica che all’inizio fossero associate a Dioniso. Solo in seguito, poiché egli fu associato al vino, alla gioia e alla licenziosità, vi fu tale accostamento. C’erano anche delle sfilate con maschere e personaggi travestiti da animali, con Dioniso alla testa del corteo dei bevitori, anch’essi mascherati.
Le Lenee
Si celebravano nel mese di gamelione (gennaio-febbraio), in pieno inverno, e se ne sa molto poco, se non che derivano il loro nome dal Leneo, forse una zona delimitata da un recinto dove era situato un santuario di Dioniso Leneo. Inoltre, lenoi vuol dire torchi. Eraclito dice che fare le lenai voleva dire fare la baccante.
Le Antesterie
Erano le feste più famose, e si celebravano dall’11 al 13 del mese di antesterione, all’inizio della primavera. Nell’aspetto esteriore, si festeggiava la revoca dell’interdetto che gravava sui raccolti, finchè non si fosse fatta una consumazione rituale solenne e fossero stati offerti sacrifici. In sostanza, si consumava il vino nuovo. Il primo giorno era detta pithoigia, ossia apertura del pithoi, in cui veniva consacrato il vino dell’ultimo raccolto. Ogni vignaiolo portava al sacrario del dio alla palude una botte, ne beveva, e così ne beveva anche Dioniso. Il giorno dopo c’era una gara tra bevitori presieduta, nei tempi più antichi, dall’arconte e prima ancora dal re. Ognuno aveva una coppa detta chous, da cui deriva il nome di questo secondo giorno di festa, ovvero choes, che vuol dire brocche. Al segnale dato da una tromba, bisognava trangugiare il vino più rapidamente possibile. Nello stesso giorno si formava un corteo: Dioniso, di cui veniva festeggiato l’arrivo dal mare, era portato su un carro navale, con l’uva in mano. Dai dipinti sui vasi ritrovati, si deduce che in testa c’era un suonatore di tuba come banditore; poi, portatori di ghirlande e parecchie figure in maschera. A seguire il carro, un toro sacrificale con dei nastri bianchi. Presumibilmente, il corteo si dirigeva al Limnaion, l’unico santuario aperto quel giorno. Qui c’erano delle cerimonie cui partecipava anche la moglie dell’arconte, la basilinna e 4 dame d’onore, che, dirette da lei, compivano dei sacrifici sugli altari. La basilinna veniva adesso considerata sposa di Dioniso, saliva al suo fianco sul carro, ed un nuovo corteo si dirigeva al Boucoleion, la stalla del bue, la vecchia reggia nella città bassa.
Era il luogo della ierogamia, menzionata da Aristotele. Il dio, la cui epifania coincideva con la nuova stagione, sposava la città nella figura della regina, che incarnava, a sua volta, tutte le donne. Ma erano anche giorni nefasti, soprattutto il 12, quando la città sentiva una serie di influenze malefiche, perché le anime dei morti tornavano tra i vivi, e con loro le entità che i greci chiamavano Keres. Era il giorno consacrato ai defunti, e si diceva che essi erano l’origine del nutrimento. Oltre a cospargere le porte di pece, adornarsi di biancospino, mettere delle corde intorno ai templi e chiuderli, si preparava una mistura con dei semi bolliti, le panspermie, simbolo dell’abbondanza,che si dovevano consumare prima dello scadere del giorno. Il sacrificio principale era per Ermete infernale, guida delle anime. Finita la festa si congedavano questi ospiti terrificanti così: “Alla porta i keres! Le Antesterie sono finite”.
Altre pratiche avevano relazione con i morti: la cerimonia della libazione di acqua, versata in buche o anfratti del terreno (acqua per i morti, vino per i vivi).
Le Grandi Dionisie
Venivano festeggiate ad Atene nel mese di Elafebolione (marzo-aprile) in onore di Dioniso Eleuterio, all’inizio rifiutato dagli uomini, che poi saranno invece protagonisti di tali giorni. Si sacrificavano dei tori sull’altare del dio, e poi i partecipanti godevano di un banchetto. Al calare del sole iniziavano balli e canti sfrenati, e gli uomini, travestiti, sfilavano in corteo con delle torce, danzando e cantando. Erano consentite anche le oscenità.
Nei giorni successivi si svolgevano i drammi e si cantava in onore del dio. In conclusione possiamo interpretare il dionisismo proprio come la rappre- sentazione del mistero della vita, che nel suo costante divenire conduce necessariamente verso la distruzione e verso una nuova creazione. Dioniso, come l’uomo, appare, scompare e poi riappare, esprimendo in tal modo la contraddizione intrinseca alla vita stessa, che contiene in sè la morte, morte che nel dionisismo viene mostrata tanto quanto la gioia e la vita.
Non c’è l’esaltazione di uno dei due aspetti, ma una “semplice” testimonianza dell’uno e dell’altro, della gioia e dell’ebbrezza della vita e della follia connaturata ad essa, e del continuo divenire.
Il dionisismo, che da un lato era la sfrenatezza, dall’altro era anche liberatorio perché, in un certo senso, consisteva in un superamento dei limiti stessi imposti dal corpo, raggiungendo stadi talmente elevati di “trance” che sembravano travalicare il concetto stesso di appartenenza alla vita fisica, e in tal modo la superavano, vivendo appieno il divenire in tutte le sue fasi attraverso i riti.